Con la prima visita nella storia di un Pontefice a una delle massime autorità dell’islam sciita, il Grande Ayatollah Sayyid al-Sistani, ritenuto anche dagli iracheni sunniti (minoranza in Iraq) una personalità da guardare con rispetto, Papa Francesco ha ottenuto un risultato epocale. Durante il colloquio privato di quasi un’ora nella dimora di Najaf, dove vive il Grande Ayatollah (religioso spesso in dissenso con il dominante regime teocratico sciita del confinante Iran), Bergoglio è riuscito ad assicurarsi ufficialmente l’appoggio degli sciiti iracheni ai cristiani di varie confessioni non solo in capo alla chiesa di Roma.
Diplomazia e politica sono la cifra del viaggio del Papa nel mosaico religioso iracheno intriso, da decenni, di guerre sanguinose che non hanno risparmiato nessuno, nemmeno il tassello sunnita anche se in misura inferiore. In seguito alla Seconda guerra del Golfo nel 2003, quando l’allora presidente americano George W. Bush non si fece scrupolo a inventare l’esistenza di armi di distruzione di massa per togliere di mezzo l’ex dittatore alleato degli americani, Saddam Hussein, l’Iraq è un paese destabilizzato. Anzi, peggio. Oggi combatte un conflitto per procura tra Stati Uniti e Iran.
Anche se nel 2014, quando lo Stato islamico riuscì a conquistare la maggior parte del territorio iracheno, l’aviazione americana e i pasdaran iraniani, assieme ai peshmerga curdi e all’esercito iracheno, collaborarono per annientarlo. La battaglia cruciale si svolse a Mosul nella regione di Ninive, cuore della millenaria cultura mesopotamica, ritenuto il luogo di nascita di Abramo nonché di sepoltura di Eva e Noè per i credenti delle tre religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islam). E fu proprio dalla moschea più sacra di Mosul che l’autoproclamato califfo nero al-Baghdadi pronunciò il sermone che “battezzò” la nascita delle milizie tagliagole autrici di massacri aberranti come quelli contro i curdi di religione yazida di Sinjar. Da allora i cristiani furono messi all’indice e la maggioranza sfollò in alcuni villaggi di Ninive e della vicina Regione Autonoma del Kurdistan iracheno dove oggi il Papa si recherà dopo la visita a Mosul per celebrare la messa nella cattedrale di Erbil. Tra le macerie di Mosul il Pontefice pregherà per tutte le vittime dell’Isis nella antica chiesa di Al Tahera che si erge nella piazza centrale circondata da diverse chiese che rappresentano le diverse denominazioni cristiane irachene. Le chiese siro-cattolica, siro-ortodossa, armena-ortodossa e caldeo-cattolica si trovano dentro e attorno alla piccola piazza chiusa da case basse nella città vecchia di Mosul. La battaglia per la riconquista di Mosul del 2017, durata ben 9 mesi, è una delle più cruente della storia recente, tanto che la maggior parte degli edifici sono stati rasi al suolo. “La preghiera del Papa sarà per tutte le sofferenze causate dalla violenza e dall’odio”, ha detto il domenicano padre Olivier Poquillon. “Nel condurre il viaggio, in mezzo alle macerie di Mosul, il Papa fa visita a un membro sofferente della famiglia umana, questo è il messaggio chiave”, ha sottolineato il frate domenicano.
La pericolosa ricostruzione di Mosul, dove tra le macerie si trovano ancora le mine anti uomo dell’Isis, è cominciata solo un anno fa grazie ai finanziamenti degli Emirati Arabi Uniti in occasione della prima Giornata internazionale della fratellanza umana. I cristiani, comunque – terza comunità dopo Baghdad e Bassora – esitano a tornare in città a causa della mancanza di fiducia nel governo che ritengono non offra loro la protezione di cui hanno bisogno. Padre Olivier ha detto che la visita rimette sul tavolo la questione del ritorno. “Il fatto che un Papa scelga di andare a Mosul, non con la forza ma con la pace, è davvero fonte di orgoglio e di speranza per i cristiani sfollati e per quelli già tornati in città, ma Francesco pregherà anche per le vittime delle altre religioni”.