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La risposta di Flaiano all’Innominabile

Trasmetto quello che avrebbe risposto Ennio Flaiano al Senato sul conflitto di attribuzione a Renzi per Open: “Scaltritosi nel furto legale e burocratico, a tutto riuscirete fuorché ad offenderlo. Lo chiamate ladro, finge di non sentirvi. Gridate forte che è un ladro, vi prega di mostrargli le prove. E quando gliele mostrate: ‘Ah’ dice, ‘ma non sono in triplice copia!’” (da Diario Notturno, 1956).

Giorgio De Tommaso

 

Expo 2030: quindi ora Raggi è adeguata?

Ho letto che Virginia Raggi è stata nominata commissaria speciale capitolina di Expo 2030 con i voti della maggioranza e dell’opposizione. Mi sono chiesta se fosse la stessa Raggi che fino a sei mesi fa veniva definita incapace, inadeguata, impreparata, ingenua; che diceva no alle grandi opportunità di Roma, che non sapeva gestire l’Ama, i vigili, i taxi, l’Atac, l’immondizia, le buche, i cinghiali, i maiali, la flora e la fauna romana, le inondazioni, le alluvioni, il caldo, il freddo. E visto che parliamo proprio di lei, la domanda sorge spontanea: ma non è che Gualtieri si è già pentito?

Valentina Felici

 

Studenti: i problemi reali sono ignorati dai media

Durante la settimana di occupazione ci sono state diverse assemblee di istituto, nelle quali sono venuti a galla i problemi della scuola. Eppure i contenuti da noi espressi non coincidono rispetto al resoconto dei media. Abbiamo parlato di edilizia scolastica, riflettendo sul paradosso tra i contributi dati all’edilizia privata e alla situazione delle scuole. Ci siamo preoccupati delle lacune che abbiamo subìto a seguito della pandemia, e per l’isolamento culturale, dovuto all’assenza di visite e eventi che c’erano prima del Covid. Fuori dalla scuola si può fare tutto senza problemi, ma all’interno risulta impossibile. Infine abbiamo discusso dell’alternanza scuola-lavoro, e ne è uscito che la maggioranza non vuole abolirla, ma riformarla. Eppure, leggendo i giornali e guardando la televisione, ma soprattutto confrontandomi con miei coetanei che frequentano altre scuole, vedo un racconto totalmente diverso, che non corrisponde alla realtà. Le associazioni studentesche che narrano i fatti rappresentano solo loro stesse, non gli studenti, ma ciò nonostante sono le più intervistate dai media.

Francesco Favro primo liceo artistico, Torino

 

Renzi, Serracchiani e i meriti dei bonus

Apprendo da Debora Serracchiani , ospite a Dimartedì, che l’assegno unico lo avrebbe fatto il Pd, che il Superbonus 110% lo avrebbe fatto il Pd, e che pure i miliardi del Recovery fund li avrebbe garantiti il Pd. Apprendo, insomma, che tre traguardi raggiunti con le lotte da Conte e dal M5S, stando a come dice Serracchiani, sarebbero da attribuire al Pd.

Andrea Vivalda

Brutta bestia la mitomania, specie quando colpisce la famosa vicesegretaria di Renzi.

M. Trav.

 

Togliere libertà non è un segno di democrazia

Come cittadino sono preoccupato dalle limitazioni alle libertà e ai diritti di quelli che hanno idee diverse rispetto a quelle del governo. Non voglio discutere sulla ragione di queste idee: quello che vorrei far presente è che quando i diritti personali vengono calpestati per un supposto bene comune superiore, la democrazia è finita. Non credete anche voi che in uno Stato democratico le idee e i diritti delle minoranze dovrebbero essere rispettate sempre?

Giorgio

Sì.

M. Trav.

 

DIRITTO DI REPLICA

Gentile direttore, ieri Daniele Luttazzi ha scritto sul Fatto che “il direttore di Cuore ha abiurato il suo passato anti-craxiano”. Come si diceva una volta, la notizia è destituita di ogni fondamento. In una lunga intervista contenuta in un documentario su Tangentopoli ho raccontato i lontani anni di Cuore con divertimento e orgoglio. Ho detto che, se tornassi indietro, un solo titolo (dei cento dedicati ai socialisti) non rifarei: “Pensiero stupendo” con Craxi dietro le sbarre, perché trovo difficile ridere sui carcerati. A Luttazzi e ai tanti che hanno commentato la mia intervista senza averla vista né ascoltata (bastava perdere dieci minuti), segnalo l’utilità di sapere ciò di cui si parla. Grazie e buon lavoro.

Michele Serra

Il video l’avevo visto, e se le frasi di Serra “Poveri socialisti”, “Forse un po’ di lucidità in più avrebbe aiutato” e “Quello che posso dire come mio parziale alibi è che fummo i primi a prendere in giro Antonio Di Pietro” non erano un’abiura del suo anti-craxismo, me ne rallegro.

Daniele Luttazzi

Concorsi. “Il merito non paga: sono arrivata prima, ma non ho diritti”

Buongiorno, vi scrivo per segnalare la mia storia. Ho partecipato al concorso straordinario per la classe di concorso A013 (Lettere, Latino e Greco al liceo classico) e sono arrivata prima in Lombardia. Tuttavia, a causa dello scorrimento della graduatoria del 2018, non ho potuto scegliere un posto in base alle mie preferenze, ma mi è stato assegnato quello che rimaneva dopo le rinunce degli altri candidati. Chi è arrivato dopo di me, invece, potrà scegliere tra i posti messi a disposizione per il prossimo anno scolastico. Si tratta di una situazione palesemente ingiusta che penalizza il merito e l’impegno di chi arriva primo. Per questo, vorrei che la mia storia avesse diffusione, in modo da stimolare una riflessione sul meccanismo di reclutamento nel mondo scolastico e sulla valorizzazione del merito in Italia.

Isabella Nova

 

Gentile Isabella,qui può trovare comprensione, ma ahimé, ben poche soluzioni. “Il Fatto” è uno dei pochi giornali che mentre cerca di difendere i diritti di precari sfruttati per anni dalla Pubblica amministrazione per l’assenza di concorsi regolari ha anche parallelamente rilevato l’ingiustizia che ogni volta affronta chi, vincitore di concorso, si vede sorpassato da aventi diritto magari per sanatoria. Ogni volta che ne ho potuto scriverne ho fatto riferimento a una guerra tra titolari degli stessi diritti, lasciati però a sbranarsi tra loro mentre la politica va avanti facendo quello che gli è più comodo. Succede quindi che il suo caso sia un tremendo paradosso: lei arriva prima al concorso di quest’anno e dovrà aspettare che scorra in graduatoria chi è arrivato ultimo lo scorso anno. E a sua volta, è possibile che chi ha vinto il concorso lo scorso anno abbia visto dar precedenza a chi aveva maturato altri diritti per lei e altri oggi indisponibili. E così via: un effetto farfalla che ha origini antiche. Questa babele di regole, queste continue eccezioni, questa incapacità di pianificare nel dettaglio e di cambiare le norme in corsa partorisce proprio paradossi come il suo. E indovini? Ogni volta che si prova a fare ordine nel reclutamento, poi si trova il contentino da concedere, o il compromesso da raggiungere che riporta tutto punto e a capo. Alla fine, gli ultimi saranno i primi, i primi gli ultimi e tutti saranno scontenti.

Virginia Della Sala

La commissione fantasma sul virus

Siamo venuti a sapere che esiste una commissione, istituita da più di un anno presso il ministero della Salute, che dovrebbe analizzare la pandemia e le misure intraprese: non s’è mai riunita. Eppure di cose da imparare e di responsabilità da individuare ce ne sono. Analizzare, riconoscendo gli errori, si chiama debriefing. È una procedura dovuta dopo qualsiasi evento importante. Forse il timore che ciò possa tradursi in giudizi politici e, brutalmente, voti, blocca un’attività utile soprattutto per il futuro. Al centro di tali analisi dovrebbe esserci una delle misure più esaltate e mai utilizzate prima, il lockdown. Questo ha coinvolto molti aspetti della nostra socialità. Sappiamo che i più colpiti sono stati i giovani: Attività motoria rimedio essenziale contro l’ansia e la depressione da lockdown è il titolo di un lavoro pubblicato su Plus One, coordinato dall’Università di Pisa, che ha consentito di raccogliere informazioni sullo stile di vita della popolazione universitaria durante il lockdown tra aprile e maggio 2020 tramite un sondaggio online a cui hanno partecipato 18.120 tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo. Rispetto a coloro che sono sempre stati inattivi, chi è riuscito a praticare con continuità attività fisica durante il lockdown ha avuto un rischio ridotto del 20% di soffrire d’ansia e depressione, mentre chi ha interrotto la pratica dell’esercizio fisico ha avuto un rischio maggiore del 50%. Secondo studi effettuati in Germania, ogni abitante di Berlino ha visto il peso aumentare in media di 3-4 chili. Ancora peggiori le conseguenze sui più piccoli: il movimento aiuta non solo la crescita delle ossa, ma anche lo sviluppo cognitivo. La situazione diventa drammatica se si pensa ai bambini disabili: gli esercizi fisici sono l’unica possibilità di dar sfogo alle emozioni. Lo sport ha anche un’altra funzione: scaricare lo stress; accumulare tensione senza poterla rilasciare, moltiplica i comportamenti aggressivi. E l’attività fisica stimola il sistema immunitario, una delle principali armi di difesa contro il virus. Malgrado tutto ciò, ragazzi a casa! Non praticare sport è un rischio sicuro per corpo e mente, non vaccinarsi entro i 19 anni pone un rischio tendente allo zero.

 

Narciso Amato e la consulta da talk: andrà dalla D’Urso?

Sabato ci chiedevamo: ma non sarà un po’ narciso, questo neo-presidente della Corte Costituzionale che indice una conferenza stampa a camera di Consiglio appena chiusa, mentre i segretari stanno ancora passando l’amuchina sui tavoli, e si mette a parlare per più di un’ora di tabelle di cannabis e omicidio del consenziente e Clint Eastwood e fustini del Dixan, bacchettando i promotori e allestendo siparietti sui suoi anni a Pisa, quando il professore di Diritto Internazionale lo obbligava a indossare la cravatta eccetera?

Martedì Amato era in collegamento con Floris su La7: scrivania in radica di noce, quasi quirinalesca; bandiere; aquile; tagliacarte. Solennità da discorso di Capodanno.

Floris: “Non teme le polemiche per quest’intervista?”. Amato: “Bisogna che l’Italia un po’ si abitui che la Corte Costituzionale, oltre che a parlare con le sentenze, si adopra (sic, ndr) anche per spiegare le sentenze”. Andiamo bene. Forse è un disincentivo a proporre referendum per il terrore di doversi sorbire le conferenze a grappolo di Amato (che parla in quanto Consulta: “A me come Corte Costituzionale…”: la Corte c’est moi). Ma il tema referendum è appena sfiorato: “I promotori non rappresentano il popolo”, dice, dal che si evince che per guadagnarsi la definizione di “popolare” un referendum deve essere chiesto da 60 milioni di persone. Gesticolando ampollosamente, Amato educe la nazione anche sui seguenti argomenti: guerra in Ucraina; pandemia; scienza; matrimoni omosessuali; genitori che picchiano gli insegnanti dei figli; trionfo del bene sul male. In attesa della lectio magistralis da Barbara D’Urso, vi pare normale che il presidente della Corte Costituzionale si metta a girare i talk show per discettare di attualità come un opinionista (peraltro credendosi Cesare Beccaria)? Proporremmo un referendum abrogativo della prassi testé inaugurata, se poi Amato non ci facesse una conferenza.

Grillini che non ce l’hanno fatta

Sì, ci sono tante cose importanti di cui occuparsi: certo, la guerra incipiente a Est e la bizzarra constatazione che se non ci fossero i vecchi conservatori (vedi l’ambasciatore Sergio Romano ieri sul Fatto) non ci sarebbe quasi più nessuno a ricordare anche le colpe della Nato. E fosse solo la guerra: c’è sempre il Covid coi suoi casini e pure la questione Totti/Blasi, che avrà spiegato a tutti cosa gliene fotte della privacy a media e commentatori che si scandalizzarono per il conto corrente di Renzi che poi non era il conto corrente. Ci sono, dicevamo, tante cose importanti nel mondo e anche per questo certe volte è bello non pensare a nulla. Ecco, forse avrete notato la lite – via social, dove sennò? – tra renziani e calendiani del consiglio comunale di Roma su una poltrona minore (e su cosa sennò?). In breve: due presidenze di commissioni di controllo, che spettano all’opposizione, sono finite una ai 5 Stelle (l’ex sindaca Raggi su Expo 2030) e una ad Azione (Dario Nanni sul Giubileo 2025). Una cosa innocua, che ha innescato la lite tra quelli di Italia Viva e i calendiani, che si erano presentati uniti alle Comunali e ora si danno dei poltronari a vicenda. Il punto non sono certo le liti tra i mille centrini, né il merito della vicenda, poca cosa, ma proprio lo stile: il deputato Luciano Nobili che accusa Calenda di pensare solo al sottopotere (“a chi interessano le poltrone è facilmente dimostrato dai fatti: le hai prese tutte tu”), quello che risponde “mi hai chiesto di mettere Casini alla presidenza (…) Ti ho detto di no e avete montato questa indegna sceneggiata”. Il tutto, particolare delizioso, accusandosi a vicenda anche di grillismo: se i renziani infatti denunciano il cedimento “inaccettabile” di aver votato la Raggi, i calendiani replicano che “insinuare che il voto per il presidente di commissione, che spetta al M5S, sia un inciucio è un mezzuccio da M5S”. Eccolo, il punto: questa retorica – che rinvia a un’idea della politica e delle assemblee legislative – è populismo in purezza. Se la si unisce all’ossessione per 5Stelle e affini, persino una volta che li si sia sconfitti nelle urne o nel gioco parlamentare, si capisce cosa siano davvero le piante grasse che vivono nel campo largo di Letta: solo grillini che non ce l’hanno fatta.

Corea, Ucraina e “Si combatte? Bene”: poi però non c’è un euro

Non vorrei ricordare male e men che meno sbagliare citazione. Ma mi pare che nel romanzo di Raffaele La Capria, Ferito a morte, compaia a un certo punto una sorta di gagà che con leggerezza estiva se ne esce con una frase che suona “Si combatte in Corea? bene, bene…”. La battuta citata, e spero corretta, riaffiora perché nella calca del bar, favorita da un vento teso che sconsiglia di uscir da casa a chi pesa meno di cinquanta chili, si alza la domanda se già si combatte in Ucraina. Le risposte sono ondivaghe, tranne l’affermazione di uno che confessa di non saper collocare l’Ucraina sulla carta geografica. Me ne compiaccio poiché io stesso ho dovuto mettermela sotto gli occhi per ripercorrerne i confini e soprattutto collocare con precisione quei territori filorussi che sono alla base della questione. Stabilito comunque alla quasi unanimità che non c’è ancora guerra propriamente intesa, si trova invece accordo sul fatto che, gratta gratta, dietro c’è sempre una questione economica: i soldi insomma, i veri padroni del mondo. E il discorso vira su quelli e la recente possibilità di poter disporre di duemila euro in contanti anziché mille. Ma perché non tremila allora, o cinquemila o diecimila? Perché mettere un limite? La domanda scaturisce da quelle stesse labbra che poco prima hanno candidamente dichiarato di non sapere dove sta l’Ucraina. Per quanto lo riguarda andrebbe all’istante in banca a chiederne un ventimila, per vedere l’espressione del bancario. Il quale, seguendo le regole di comportamento e forse con un poco di imbarazzo, gli spiegherebbe che prima di ritirare soldi da una banca sarebbe opportuno metterceli. Cosa che invece lui non ha mai fatto. Ma mica per sfiducia. Piuttosto perché con lo stipendio che prende riesce a fatica ad arrivare alla fine del mese. Ragione per la quale si scusa con gli ucraini tutti, ma lui la sua guerra la sta già combattendo, e sono anni ormai.

Bentornati turisti: la nuova Repubblica fondata sul consumo

Com’era in effetti ragionevole perfino qui, le regole legate alla pandemia cambiano: i contagi continuano a calare, gli ospedali si stanno svuotando e ieri Mario Draghi ha annunciato la fine dello stato d’emergenza dal 31 marzo e pure del sistema dei colori. Anche l’Italia, con cautela, riapre: “Cesserà ovunque l’obbligo delle mascherine all’aperto, e quello delle mascherine Ffp2 in classe. Metteremo gradualmente fine all’obbligo di utilizzo del certificato verde rafforzato, a partire dalle attività all’aperto, tra cui fiere, sport, feste e spettacoli”. Dal primo aprile (forse addirittura prima) la capienza di spettatori negli stadi dovrebbe arrivare al 100%: tutti dentro. E dalla stessa data non si dovrà esibire il certificato rafforzato (guariti o vaccinati) per alloggiare in hotel e visitare sagre o centri congressi. Sembra che ci potremo sedere ai tavolini di bar e ristoranti all’aperto senza pass. E gli spostamenti? Liberi! Scade l’obbligo di esibire il super green pass sui mezzi di trasporto a lunga percorrenza e su quelli del trasporto pubblico. Misure per favorire il turismo, in vista della bella stagione, per evitare che gli stranieri preferiscano altre mete al Belpaese. Finora gli stranieri che entravano in Italia dovevano fare cinque giorni di quarantena, che sono stati aboliti. Come avete letto sul giornale di ieri, con il nuovo decreto chi è vaccinato o guarito da meno di 6 mesi, potrà entrare nel nostro Paese con il pass base, chi ha un certificato di guarigione o vaccinale da più di sei mesi (compresi quelli ottenuti con Sputnik o altri prodotti non autorizzati dall’Italia) dovrà mostrare l’esito negativo di un tampone effettuato non più di 48 ore prima (se rapido) o 72 (se molecolare). Tampone che non è obbligatorio se si è guariti dopo aver completato il ciclo di vaccinazione. E poi, sul fronte interno: Green pass con durata illimitata per chi ha completato il ciclo vaccinale ma anche per chi ha fatto solo due dosi di vaccino ed è guarito dal Covid. Bene, no? Mica tanto.

Scuola e lavoro. Cambia qualcosa anche per gli studenti, ma non è chiaro se anche per i non vaccinati. Ieri il premier ha detto “scuola sempre aperta per tutti”, il che fa presumere che verrà superata la Dad, anche per i non vaccinati, diversamente da quanto ipotizzato finora (cioè dad solo per i non vaccinati, e comunque dimezzata da dieci a 5 giorni). E sul posto di lavoro? I lavoratori che non percepiscono lo stipendio perché non vaccinati, potranno tornare? Stando a quel che sappiamo, non cambia nulla: per gli over 50 sui posti di lavoro l’obbligo del pass rafforzato dura fino a 15 giugno, come ieri ha ribadito il sottosegretario alla Salute Costa. Diamo un’occhiata ai numeri: contagi un mese fa erano 250 mila al giorno, ieri sono stati 49 mila, ma le restrizioni sono le stesse. “Il Green Pass è servito a far immunizzare le persone, ma non a impedire la trasmissione del virus”, ha spiegato il professor Crisanti a Libero. “Per questo dico che tenere il certificato verde oggi è una decisione squisitamente politica e non sanitaria, giustificata dalla determinazione del governo di tenere fino in fondo la linea, dallo choc iniziale delle bare di Bergamo e dal non voler dare la sensazione che tutto sia finito, ma non dalla curva della pandemia”. Una politica che si preoccupa dei consumi e del turismo, ma che ritiene il lavoro un diritto così poco fondamentale da renderlo condizionato. L’intento punitivo è chiaro, e ieri il governo con la maggioranza più ampia della storia ha addirittura messo la fiducia sulla proroga dell’obbligo vaccinale per gli over 50 fino a giugno (cioè sul vecchio decreto, in sede di conversione, mentre è già in lavorazione quello nuovo ed è superato dalle dichiarazioni di Draghi): chissà se il presidente della Repubblica e la Consulta avranno qualcosa da dire sulle discriminazioni di questa nuova Repubblica fondata sul consumo e sul turismo.

 

Riforme della giustizia: basta col processo penale del 1989

Nel discorso del secondo mandato, il presidente della Repubblica ha chiesto l’attenzione del Parlamento e del governo sui seguenti punti:

1) Un profondo processo riformatore deve interessare il versante della Giustizia: nella salvaguardia dei principi irrinunciabili di autonomia e di indipendenza della Magistratura – uno dei cardini della nostra Costituzione – l’Ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle ineludibili esigenze di efficienza e di credibilità. 2) È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Csm possa svolgere appieno la funzione che gli è propria valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la magistratura può contare, superando logiche di appartenenza estranee al dettato costituzionale.

Dunque, il Capo dello Stato richiede riforme immediate della Giustizia improntate a efficienza, credibilità, alta professionalità. Per quanto riguarda il processo penale è inutile farsi soverchie illusioni poiché potranno rispondere solo in parte a tali obiettivi quelle attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera dei deputati dove i vari disegni di legge di modifica sono tutti ispirati alla filosofia del processo penale attuale, datato 1989 e pertanto del tutto superato di fronte alle profonde trasformazioni della società italiana con una criminalità sempre più agguerrita e una serie di gravissimi delitti vecchi e nuovi che richiedono risposte ben più rapide ed efficaci (mafia, cartelli della droga, terrorismo, femminicidi, morti sul lavoro, corruzione diffusa, truffe milionarie in danno dello Stato, disastri di danno ambientale, traffico di esseri umani, incendi dolosi boschivi, ecc.).

Si impone pertanto una svolta radicale, nel senso della modernità e della efficienza, sia nella fase delle indagini preliminari e sia in quella del giudizio che solo il processo accusatorio può assicurare poiché con le solite “leggine” (di cui dal secolo scorso a oggi si è perso il conto) i tempi e i modi della Giustizia sono inesorabilmente destinati a rimanere bloccati sui disastrosi standard attuali. Il 12 ottobre scorso è entrata in vigore la legge n. 134/2021 di delega al governo per l’efficienza del processo penale: sono due articoli e una miriade di commi condensati in 14 pagine della Gazzetta Ufficiale n. 237/21 che denotano il solito vizio di origine del legislatore italiano, cioè quello di voler prevedere nei minimi dettagli tutte le possibili ipotesi di estensione della voluntas legis, laddove sarebbero sufficienti limitate, sintetiche, chiare espressioni normative per dare attuazione ai principi e ai criteri direttivi previsti dalla legge senza il rischio di letture confuse o errate da parte dell’interprete.

Il termine della delegazione, che riguarda in particolare le notificazioni, la durata delle indagini preliminari, il giudizio abbreviato e quello immediato, scadrà il prossimo 12 ottobre, ma il governo può accelerarne il corso, anche archiviando norme di dubbia legittimità costituzionale come quella del Comma i) dell’art. 1 per il quale il Pubblico ministero, nell’esercizio dell’azione penale di cui è il dominus ex art. 112 Cost., dovrebbe attenersi ai criteri generali indicati ogni anno dal Parlamento con apposita legge.

 

Su Renzi e Open, il Senato va contro la Cassazione

Il Senato della Repubblica, il 22 febbraio, ha approvato con 167 voti sì e 76 no la relazione della Giunta per le immunità che proponeva di sollevare un conflitto di attribuzione contro l’autorità giudiziaria di Firenze, ritenendo che il sequestro di messaggi in capo a un soggetto non parlamentare possa rientrare nella immunità rispetto a intercettazioni, perquisizioni e sequestri di corrispondenza, non autorizzati dalla Camera di appartenenza che l’articolo 68 della Costituzione assicura ai membri delle Camere. In particolare la vicenda riguarda un messaggio elettronico (tali sono email, sms, whatsapp e altri) sequestrati a un soggetto non parlamentare.

Si sono levati alti lai sulla violazione delle prerogative di un parlamentare e dell’intero Parlamento, anche rispetto a fatti diversi da quelli oggetto del conflitto di attribuzione sull’inchiesta “Open”.

La questione pone tre distinti problemi: la rilevanza dell’oggetto sequestrato in un procedimento penale, la natura dell’oggetto e l’estensione della tutela del parlamentare.

Quanto al primo punto, ovviamente dipende da che cosa c’è scritto o registrato nell’oggetto. Per esempio, il senatore Renzi lamenta il sequestro di messaggi whatsapp fra un terzo non eletto e se medesimo e, già che c’è, anche l’acquisizione agli atti di un processo diverso da Open (quello a carico dei suoi genitori per bancarotta) di una lettera diretta a lui da suo padre. È intuitivo che in questi casi non sarebbe rilevante la privacy, rispetto a prove di reati.

Quanto al secondo punto, la Corte suprema di Cassazione ha più volte affermato che, in tema di mezzi di prova, i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di “documenti” ai sensi dell’articolo 234 del Codice di procedura penale, sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di “corrispondenza” di cui all’articolo 254 del Codice di procedura penale. Nella motivazione della sentenza della VI sezione n. 1822 del 12.11.2019 depositata il 17.01.2020, Rv. 278124, la Cassazione ha precisato che, nel caso di acquisizione di un messaggio conservato nella memoria del cellulare, non si è in presenza della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della mera documentazione ex post di detti flussi.

Quanto al terzo punto, la Corte suprema ha chiarito che, in tema di intercettazioni telefoniche, in assenza di autorizzazione della Camera di appartenenza, non può escludersi l’utilizzabilità nei confronti del “terzo” delle conversazioni captate sull’utenza nella sua disponibilità cui abbia preso parte casualmente un parlamentare, anche dopo che quest’ultimo sia stato identificato come interlocutore del soggetto intercettato, salvo che si accerti che le stesse erano finalizzate a intercettare indirettamente il parlamentare (Cassazione sezione II, sentenza n, 8739 del 16.11.2012 dep. 22.2.2013, Rv 254548 – 01).

Per quanto è dato capire (ma bisognerà attendere il testo della proposizione del conflitto), non si comprende neppure se il conflitto riguarda anche l’utilizzabilità verso terzi non parlamentari.

Nonostante la asserita violazione delle prerogative parlamentari, è la prima volta che viene sollevato un conflitto di attribuzione su questo punto, nonostante le precedenti pronunzie. Sarà interessante vedere la decisione della Corte costituzionale su quella che viene presentata come una violazione dei diritti di un parlamentare, ma che si presenta come una novità nel panorama giurisprudenziale.

 

La satira è arte, non ha fini utilitaristici: infatti Kraus non fermò Hitler

Nell’intervista di Renato Franco a Corrado Guzzanti sul Corriere sono state espresse opinioni sulla satira che non condivido. Ieri ho contestato l’impostazione fuorviante della domanda (“Adesso funziona l’immediatezza. La satira è morta?”) poiché è inesatta (l’immediatezza funziona da sempre, e anche oggi l’offerta satirica non si limita alle forme brevi, che sono comunque satira, quando esprimono un giudizio), fa confusione (la satira non è morta, ma pare sparita perché la tv generalista la censura, togliendole visibilità, dunque impatto, una cosa che non capita all’estero) ed è revisionista (derubrica la censura della satira a un fatto meteorologico, e tace sull’autocensura dei comici che, viste le epurazioni eccellenti, si buttano sulla comicità surreale, che dà molti meno grattacapi: il problema tutto italiano, invece, è che si creano grattacapi a chi fa satira libera, cioè non utilizzabile dai partiti per la loro propaganda; se sei un cane sciolto ti fanno fuori dalla tv generalista per sempre, nonostante gli ascolti record che facevi, dunque il problema è politico).

Quanto alla prima parte della risposta di Corrado, secondo cui la satira oggi è più difficile perché il livello della politica si è così abbassato che fare parodie diventa sterile, e parte della classe politica è satiricamente autosufficiente, ho obiettato che fare satira è sempre stato difficile, dato che per formulare opinioni satiriche occorre avere interesse per i vari temi ed essere aggiornati; che fare parodie è sterile se ci si limita alla caricatura; e che anche il politico più cretino ha un suo ruolo nei giochi della politica, dunque merita commenti. Quanto allo scetticismo circa la possibilità di poter incidere con la satira sulla realtà, be’, certo, Karl Kraus non ha fermato Hitler; ma la satira è arte, non propaganda partitica, cioè non va valutata in termini utilitaristici: il valore della satira è innanzitutto nel suo essere testimonianza. A chi, scuotendo la testa, nel ventennio berlusconiano mi diceva: “Ma chi te lo fa fare?”, rispondevo: “La mia coscienza”. Per fare satira nobile devi avere una rabbia speciale, sennò fai solo del colore sull’attualità: non dai fastidio a nessuno, anzi sei perfetto per il marketing (sui tipi di rabbia, e sulla satira reazionaria, cfr. Qc #7). Corrado aggiunge: “E poi è cambiato il linguaggio, la satira è esplosa sui social, è diventata uno sport nazionale. Una volta esisteva solo sulla tv generalista, oggi il web ne trabocca, tutti fanno satira, gli stessi giornalisti fanno battute pungenti, è un linguaggio molto più diffuso”.

Il linguaggio satirico si presta a tutti gli usi, che allora vanno sindacati. I meme buffi nei social, per dire, sono solo tappezzeria. E purtroppo non si fa più satira nella tv generalista, dove aveva impatto, a meno che tu non appartenga a qualche parrocchietta Pd, e allora è propaganda. La satira vera contesta l’ortodossia del discorso egemonico facendo nomi e cognomi: e questo, ai partiti che controllano le tv, dà fastidio. Continua Corrado: “Osho mi diverte molto, ma fa riflettere che uno dei satirici più influenti faccia dei meme e non degli sketch, basta una foto con un dialogo immaginato, il monologo non serve più”. Negli Usa, le foto di politici con dialogo immaginato furono un successo editoriale di Gerald Gardner per tre decenni (cfr. Qc #54), ma monologhi e sketch satirici sono continuati, perché non è vero che per fare satira “basta una foto con dialogo immaginato”. Sono divertenti? Ma la risata non è un criterio per il giudizio sui contenuti (si ride per la tecnica della gag, cfr. Qc #8): le vignette di Osho sono reazionarie, cioè interne al sistema (non è un caso se pubblica sul Tempo).

(2. Fine)