Matteo Salvini ha deciso di andare allo scontro in tribunale. Contro la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti, l’organo da cui dipende l’erogazione del 2 per mille alle forze politiche. Motivo? La Commissione ha preso a pallettate la catena di comando della Lega Nord, che deve allo Stato i famosi 49 milioni di euro di rimborsi non dovuti spariti nel nulla e che ancora percepisce i benefici di legge accordati ai partiti a patto che siano puri come un giglio. La Commissione presieduta dal magistrato della Corte dei Conti, Amedeo Federici, ha imposto l’alt al nuovo statuto voluto dal Capitano e approvato al congresso di fine 2019 che ha rottamato la vecchia Lega e che prevede che la rappresentanza legale del partito sia affidata non già al vertice politico, come previsto dalle Linee Guida redatte dalla Commissione di garanzia, ma all’amministratore federale, in sostanza il tesoriere: quel Giulio Centemero a cui l’organismo di controllo ha chiesto infruttuosamente in passato di esibire i verbali relativi ai finanziamenti alla Editoriale Nord e a Media Padania e pure di certificare la natura dei rapporti tra il partito e altri soggetti come l’associazione Più Voci (di cui è fondatore) sospettata di aver ricevuto finanziamenti per conto della Lega.
Ma cosa c’è scritto esattamente nelle Linee guida tanto invise a Salvini e a Roberto Calderoli che è il deus ex machina del nuovo statuto? Che la famosa rappresentanza legale oggetto del contendere va “unitariamente riferita a un solo organo, esclusivamente quello di vertice del partito, nelle denominazioni usuali di presidente o di segretario generale”. Invece nel caso della Lega Nord il presidente, Umberto Bossi, è stato ridotto a una funzione onoraria, mentre al posto del segretario, carica da cui Salvini si è sfilato, c’è un commissario, Igor Iezzi. Con la rappresentanza legale attribuita all’organo a cui è affidata la gestione economico-finanziaria del partito. Ossia Centemero, lasciato a firmare ogni atto e a fare da parafulmine per ogni grana in sede giudiziaria e non. Con buona pace di quanto prescritto dalla Commissione di garanzia che pretende con chiarezza che a mettere la faccia e la firma sugli atti sia appunto il “soggetto esponenziale degli interessi della formazione politica”.
Di queste pretese della Commissione Federici la Lega non vuole saperne arrivando addirittura a lamentare al Tar, che deciderà il prossimo 17 aprile, una lesione delle proprie prerogative politiche legate all’autonomia statutaria riconosciuta dalla legge. Probabilmente, con i magistrati di mezza Italia alle calcagna del Carroccio, anche per mettere al riparo lo stesso Salvini. Che pur continuando a controllare e governare con i suoi uomini la vecchia Lega, nella stessa non riveste formalmente più alcuna carica essendo ora solo segretario della sua nuova creatura, la Lega per Salvini premier.