Gentile Presidente,
sono un idiota (dal greco idiotes, “privato cittadino”), un soldato semplice che dopo un cambio repentino dello Stato Maggiore si trova spaesato nel suo dovere quotidiano. Anche un po’ sfiduciato, Le dirò.
Non mi tacci di dar voce ai borborigmi di inconcludenti sinistrami: non sono iscritto a nessun partito, amo le cose concrete. Gli antichi dicevano che “il potere mostra l’uomo”, e qualche idea sull’essenza del Suo governo me la sono fatta misurando la storia – non privata, ma politica – di alcuni suoi membri (tralascio, per carità di patria, i sottosegretari).
Vivo e insegno nella città più bella del mondo, che per molti anni, prima della pandemia, è stata mortalmente ferita da una visione predatoria del turismo di massa, condivisa più o meno tacitamente da forze politiche le più varie: vedo ora, tra le novità del Suo esecutivo, un ministero ad hoc, guidato da un esponente (Massimo Garavaglia) di quello stesso partito che ha incarnato nella mia Regione proprio il pernicioso ideale del turismo come veicolo di danari, a onta di qualsivoglia idea di buon senso, o – come usa dire oggi – di “sostenibilità”: del resto il Garavaglia è un economista, e si batterà per tassazioni agevolate ad alberghi e ristoranti (e Grandi Navi?), proprio ciò che a Venezia aspettiamo con ansia. Per non parlare di ciò che il medesimo partito ha combinato nella terraferma veneta in termini di cementificazione del suolo, assurde strisce d’asfalto inproject financing, ostentato disprezzo della tutela ambientale: e ora proprio un uomo chiave di questo sistema, Giancarlo Giorgetti (noto come “moderato”), è diventato il Suo Ministro dello Sviluppo economico.
Quando arrivo nel mio Dipartimento, le prime persone che incontro sono portieri e pulitori, che da oltre vent’anni dipendono da ditte spesso avare di salari e di diritti, quando non direttamente (è accaduto in passato, anche qui al Nord) legate al malaffare organizzato: immaginavo per questi colleghi un futuro diverso, ma Lei ha scelto come Ministro della Pubblica Amministrazione il massimo teorico delle esternalizzazioni, il veneziano Renato Brunetta (lo stesso che nel 2010 combattemmo fieramente nella sua corsa a sindaco, sostenendo peraltro uno stimato collega, Giorgio Orsoni, finito poi in galera nella “retata storica” del 2014 sul Mose: sunt lachrymae rerum).
La mia attività lavorativa a Ca’ Foscari è tuttora normata da una legge, la 240/2010, che ha ridefinito lo statuto e i principî del sistema universitario, ingabbiandolo in una coltre burocratica che ci attanaglia quotidianamente, senza alcun apprezzabile effetto di ammodernamento: quella legge – che dieci anni fa criticammo nel dettaglio, assieme a tanti che ora La sostengono – porta il nome di una ministra del Suo governo, Mariastella Gelmini. E non pensi che l’impostazione verticistica e “tecnocratica” (sottrarre il governo della ricerca a chi lavora nell’università pubblica) sia rimasta un fatto isolato: non dimentico – è cosa di pochi anni fa – la protervia con cui l’IIT del Suo attuale Ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, tentò di accaparrarsi la guida del ricco polo milanese di Human Technopole (si oppose, con lena ammirevole, la senatrice a vita Elena Cattaneo), dimostrando – lo sappiamo anche qui a Venezia, dove l’IIT ha una filiale – il piglio sicuro e arrogante di chi ha in mano così tanti dobloni che i soldati semplici non toccano palla.
Da anni insieme a un collega organizzo una rassegna di cultura antica che coinvolge i licei d’Italia: abbiamo frequentato molti istituti, conosciuto tanti docenti straordinari, assistito tramite loro e tramite i nostri allievi oggi insegnanti alle giravolte e alle contraddizioni di una politica spesso incapace di capire i veri problemi della scuola. Che messaggio potrà arrivare ai docenti ora che – dopo anni passati a insistere sulla necessità di non cedere al primato dell’economia – a guidare il Ministero dell’Istruzione è giunto un bocconiano di sicura “competenza”, Patrizio Bianchi, con ogni probabilità inviato a presidiare la torsione professionalizzante e aziendalista del sistema educativo?
So da vicino cosa sia la disabilità: la nascita di un ministero ad hoc è una svolta splendida; ma come rallegrarmi nel vederne a capo la mia corregionaria Erika Stefani, la medesima che per mesi (nel Conte-1) strombazzò quell’idea di autonomia differenziata tra le Regioni che proprio nell’ambito sanitario e assistenziale oggi si ha pudore financo a rievocare?
Non vanto amicizie importanti, ma i casi della vita mi hanno portato a conoscere personalmente una delle menti più vivaci e capaci del precedente esecutivo, il giovane ministro per il Sud, Peppe Provenzano: alla sua capillare conoscenza della questione meridionale, maturata in anni di lavoro allo Svimez, ma anche in tante lotte dalla parte dei lavoratori, si sostituisce ora il tocco un po’ glamour della berlusconiana Mara Carfagna, distintasi per tutt’altre (pur importanti) battaglie.
Come tanti, ho conosciuto e frequentato coppie gay, malati terminali, donne che hanno vissuto il dramma dell’aborto. La ministra della Giustizia del Suo governo, Marta Cartabia, si è espressa in più sedi contro ogni forma di eutanasia (per es. nel caso di Eluana Englaro, che da nordestino ricordo come uno dei momenti più cupi della nostra recente vita pubblica), contro il matrimonio tra omosessuali, e contro il “falso diritto” a non nascere: posizioni certo legittime, e ben comprensibili alla luce della sua nota militanza ciellina, ma tali da suscitare in me un moto di sgomento.
Non so che fine faranno nel Suo governo gli interventi ambientali “sul campo” di un Costa, la visione europea di un Gualtieri, le battaglie sul lavoro di una Catalfo, certa intransigenza di un Bonafede, o la competente empatia di una Azzolina, che a fronte di un inaudito killeraggio mediatico sapeva tenere il punto, sapendo cosa vuol dire insegnare. Il poeta greco Archiloco al generale “gigantesco, gambelarghe, tutto fiero dei suoi ricci, glabro a forza di rasoi” ne preferiva uno “piccoletto, gli si notino le gambe storte, ma si regga in piedi saldamente, tutto cuore”: tra mille difficoltà qualche generale tutto cuore, e in qualche misura credibile, nel Conte-2 lo scorgevo; nel Suo governo, assai meno.
Si osserva che tra tutti questi figuranti Lei “solo ha mente sagace; gli altri sono ombre svolazzanti” (così disse Catone il Censore di Scipione, citando un verso, bellissimo, dell’Odissea): studio per mestiere la Grecia antica e moderna, e non servivano gli Euroleaks di Yanis Varoufakis per rammentarmi quale posizione (e quale tono) Lei tenne nel corso della crisi del 2015, concorrendo a strangolare quel Paese nella morsa di un’austerità senza uscita – mosse delle quali non mi risulta Lei abbia fatto, come altri, pubblica ammenda. Il fine umorismo dei salotti, l’inglese fluente che non è quello del bibitaro (ma quali disastri ha combinato, poi, Di Maio agli Esteri? e Renzi, l’ha imparato per andare a Riyad?), la sicumera (che non era del Suo predecessore) di chi sta sempre dalla parte dei salvati: mi illudevo che l’Italia non avesse bisogno di un dictator, e mi spaventano sia l’avvento dell’“uomo divino” (foss’anche dalla mente sagace), sia l’idea di un consensus bonorum teso a negare o marginalizzare il conflitto politico, col rischio di convogliare il prevedibile dissenso (che arriverà, perché arriverà) verso lidi nebulosi e neri.