Associazione per delinquere, Alfredo Romeo va a processo

Ci sarà un processo per il ‘sistema Romeo’ a Napoli. L’immobiliarista Alfredo Romeo, il dominus del caso Consip a Roma, dove è sotto processo per la corruzione di Marco Gasparri ed è indagato per traffico d’influenze in concorso, tra gli altri, con Tiziano Renzi (il papà dell’ex premier Matteo Renzi), è stato rinviato a giudizio a Napoli per associazione a delinquere finalizzata a reati di Pubblica amministrazione insieme ad alcuni tra i suoi più stretti collaboratori, tra cui l’ex parlamentare Italo Bocchino, e alcuni dirigenti della Romeo Gestioni Spa. Lo ha deciso ieri il Gup Simona Cangiano con un articolato provvedimento con il quale ha prosciolto Romeo e altri imputati da due ipotesi di reati fiscali e da una ipotesi di corruzione per alcuni lavori di riqualificazione delle aree prossime all’Hotel Romeo.

Il giudice ha accolto buona parte dell’impianto accusatorio dei pm Celestina Carrano ed Henry John Woodcock, che avevano riproposto un’accusa di associazione a delinquere respinta dal Gip che nel novembre 2017 ordinò l’arresto di Romeo, ma solo per determinati e circoscritti episodi. Quasi tre anni e mezzo dopo, è arrivato il rinvio a giudizio di Romeo “promotore e organizzatore” del sodalizio di tangenti e favori intorno al suo impero imprenditoriale di leader del global service, la formula del tutto compreso nei servizi di pulizia e manutenzione di strutture pubbliche. Tempi lunghi, dipesi anche da una lunga battaglia in udienza preliminare sull’utilizzabilità di intercettazioni disposte col trojan in virtù di un’aggravante camorristica presto caduta durante le indagini.

A giudizio anche Ciro Verdoliva, direttore dell’Asl Napoli 1 e all’epoca direttore del Cardarelli, ospedale i cui appalti finirono al centro di uno dei filoni delle indagini. È accusato di corruzione e frode in pubbliche forniture, il processo chiarirà anche l’episodio dei lavori di ristrutturazione a casa sua ottenuti, secondo i pm, in cambio dell’assegnazione di consulenze. Verdoliva è stato prosciolto da un paio di accuse di rivelazione di segreto, ed è stato prosciolto con lui il carabiniere dei Nas Sergio Di Stasio, papà della deputata M5S, Iolanda Di Stasio. Altro nome di peso che finisce sotto processo è quello dell’ex governatore della Campania, Stefano Caldoro. Traffico di influenze, il capo di imputazione che divide con Romeo, Bocchino e Natale Lo Castro: avrebbe mediato con quest’ultimo, direttore amministrativo della Federico II di Napoli, la revoca di un appalto che interessava a Romeo.

Il reato di corruzione viene contestato anche a un dirigente di prima fascia del ministero della Giustizia, Emanuele Caldarera, all’epoca con funzioni di Direttore generale per la manutenzione degli uffici ed edifici del complesso giudiziario di Napoli. Secondo l’accusa, la figlia di Caldarera fu assunta in Romeo Gestioni mentre il padre sbloccava alcuni pagamenti in favore del gruppo.

La sciagura dell’uomo divino

Gentile Presidente,

sono un idiota (dal greco idiotes, “privato cittadino”), un soldato semplice che dopo un cambio repentino dello Stato Maggiore si trova spaesato nel suo dovere quotidiano. Anche un po’ sfiduciato, Le dirò.

Non mi tacci di dar voce ai borborigmi di inconcludenti sinistrami: non sono iscritto a nessun partito, amo le cose concrete. Gli antichi dicevano che “il potere mostra l’uomo”, e qualche idea sull’essenza del Suo governo me la sono fatta misurando la storia – non privata, ma politica – di alcuni suoi membri (tralascio, per carità di patria, i sottosegretari).

Vivo e insegno nella città più bella del mondo, che per molti anni, prima della pandemia, è stata mortalmente ferita da una visione predatoria del turismo di massa, condivisa più o meno tacitamente da forze politiche le più varie: vedo ora, tra le novità del Suo esecutivo, un ministero ad hoc, guidato da un esponente (Massimo Garavaglia) di quello stesso partito che ha incarnato nella mia Regione proprio il pernicioso ideale del turismo come veicolo di danari, a onta di qualsivoglia idea di buon senso, o – come usa dire oggi – di “sostenibilità”: del resto il Garavaglia è un economista, e si batterà per tassazioni agevolate ad alberghi e ristoranti (e Grandi Navi?), proprio ciò che a Venezia aspettiamo con ansia. Per non parlare di ciò che il medesimo partito ha combinato nella terraferma veneta in termini di cementificazione del suolo, assurde strisce d’asfalto inproject financing, ostentato disprezzo della tutela ambientale: e ora proprio un uomo chiave di questo sistema, Giancarlo Giorgetti (noto come “moderato”), è diventato il Suo Ministro dello Sviluppo economico.

Quando arrivo nel mio Dipartimento, le prime persone che incontro sono portieri e pulitori, che da oltre vent’anni dipendono da ditte spesso avare di salari e di diritti, quando non direttamente (è accaduto in passato, anche qui al Nord) legate al malaffare organizzato: immaginavo per questi colleghi un futuro diverso, ma Lei ha scelto come Ministro della Pubblica Amministrazione il massimo teorico delle esternalizzazioni, il veneziano Renato Brunetta (lo stesso che nel 2010 combattemmo fieramente nella sua corsa a sindaco, sostenendo peraltro uno stimato collega, Giorgio Orsoni, finito poi in galera nella “retata storica” del 2014 sul Mose: sunt lachrymae rerum).

La mia attività lavorativa a Ca’ Foscari è tuttora normata da una legge, la 240/2010, che ha ridefinito lo statuto e i principî del sistema universitario, ingabbiandolo in una coltre burocratica che ci attanaglia quotidianamente, senza alcun apprezzabile effetto di ammodernamento: quella legge – che dieci anni fa criticammo nel dettaglio, assieme a tanti che ora La sostengono – porta il nome di una ministra del Suo governo, Mariastella Gelmini. E non pensi che l’impostazione verticistica e “tecnocratica” (sottrarre il governo della ricerca a chi lavora nell’università pubblica) sia rimasta un fatto isolato: non dimentico – è cosa di pochi anni fa – la protervia con cui l’IIT del Suo attuale Ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, tentò di accaparrarsi la guida del ricco polo milanese di Human Technopole (si oppose, con lena ammirevole, la senatrice a vita Elena Cattaneo), dimostrando – lo sappiamo anche qui a Venezia, dove l’IIT ha una filiale – il piglio sicuro e arrogante di chi ha in mano così tanti dobloni che i soldati semplici non toccano palla.

Da anni insieme a un collega organizzo una rassegna di cultura antica che coinvolge i licei d’Italia: abbiamo frequentato molti istituti, conosciuto tanti docenti straordinari, assistito tramite loro e tramite i nostri allievi oggi insegnanti alle giravolte e alle contraddizioni di una politica spesso incapace di capire i veri problemi della scuola. Che messaggio potrà arrivare ai docenti ora che – dopo anni passati a insistere sulla necessità di non cedere al primato dell’economia – a guidare il Ministero dell’Istruzione è giunto un bocconiano di sicura “competenza”, Patrizio Bianchi, con ogni probabilità inviato a presidiare la torsione professionalizzante e aziendalista del sistema educativo?

So da vicino cosa sia la disabilità: la nascita di un ministero ad hoc è una svolta splendida; ma come rallegrarmi nel vederne a capo la mia corregionaria Erika Stefani, la medesima che per mesi (nel Conte-1) strombazzò quell’idea di autonomia differenziata tra le Regioni che proprio nell’ambito sanitario e assistenziale oggi si ha pudore financo a rievocare?

Non vanto amicizie importanti, ma i casi della vita mi hanno portato a conoscere personalmente una delle menti più vivaci e capaci del precedente esecutivo, il giovane ministro per il Sud, Peppe Provenzano: alla sua capillare conoscenza della questione meridionale, maturata in anni di lavoro allo Svimez, ma anche in tante lotte dalla parte dei lavoratori, si sostituisce ora il tocco un po’ glamour della berlusconiana Mara Carfagna, distintasi per tutt’altre (pur importanti) battaglie.

Come tanti, ho conosciuto e frequentato coppie gay, malati terminali, donne che hanno vissuto il dramma dell’aborto. La ministra della Giustizia del Suo governo, Marta Cartabia, si è espressa in più sedi contro ogni forma di eutanasia (per es. nel caso di Eluana Englaro, che da nordestino ricordo come uno dei momenti più cupi della nostra recente vita pubblica), contro il matrimonio tra omosessuali, e contro il “falso diritto” a non nascere: posizioni certo legittime, e ben comprensibili alla luce della sua nota militanza ciellina, ma tali da suscitare in me un moto di sgomento.

Non so che fine faranno nel Suo governo gli interventi ambientali “sul campo” di un Costa, la visione europea di un Gualtieri, le battaglie sul lavoro di una Catalfo, certa intransigenza di un Bonafede, o la competente empatia di una Azzolina, che a fronte di un inaudito killeraggio mediatico sapeva tenere il punto, sapendo cosa vuol dire insegnare. Il poeta greco Archiloco al generale “gigantesco, gambelarghe, tutto fiero dei suoi ricci, glabro a forza di rasoi” ne preferiva uno “piccoletto, gli si notino le gambe storte, ma si regga in piedi saldamente, tutto cuore”: tra mille difficoltà qualche generale tutto cuore, e in qualche misura credibile, nel Conte-2 lo scorgevo; nel Suo governo, assai meno.

Si osserva che tra tutti questi figuranti Lei “solo ha mente sagace; gli altri sono ombre svolazzanti” (così disse Catone il Censore di Scipione, citando un verso, bellissimo, dell’Odissea): studio per mestiere la Grecia antica e moderna, e non servivano gli Euroleaks di Yanis Varoufakis per rammentarmi quale posizione (e quale tono) Lei tenne nel corso della crisi del 2015, concorrendo a strangolare quel Paese nella morsa di un’austerità senza uscita – mosse delle quali non mi risulta Lei abbia fatto, come altri, pubblica ammenda. Il fine umorismo dei salotti, l’inglese fluente che non è quello del bibitaro (ma quali disastri ha combinato, poi, Di Maio agli Esteri? e Renzi, l’ha imparato per andare a Riyad?), la sicumera (che non era del Suo predecessore) di chi sta sempre dalla parte dei salvati: mi illudevo che l’Italia non avesse bisogno di un dictator, e mi spaventano sia l’avvento dell’“uomo divino” (foss’anche dalla mente sagace), sia l’idea di un consensus bonorum teso a negare o marginalizzare il conflitto politico, col rischio di convogliare il prevedibile dissenso (che arriverà, perché arriverà) verso lidi nebulosi e neri.

 

La derrata mia, la derrata tua

Non sappiamose tutti l’abbiano notato ma la derrata è stata al centro delle preoccupazioni del centrodestra per un certo numero di mesi (e lo sarebbe stata di quegli altri a parti invertite, sia chiaro): mai buttare la derrata, grida vendetta a dio. No, non stiamo parlando di cibo. O meglio sì, parliamo di cibo per parlare della qualità del dibattito. Queste benedette derrate hanno talmente ossessionato il centrodestra, e giustamente, che Mariastella Gelmini nella sua prima conferenza stampa da ministro ha voluto sottolineare che quello approvato il 2 marzo “non è il Dpcm last minute, c’è un cambio di passo nei tempi, che sono fondamentali per non mettere in difficoltà i cittadini: i ristoratori che acquisiscono materie prime deperibili e almeno non devono avere il danno di doverle buttare”. Poi dalla sera alla mattina hanno chiuso Lombardia, Liguria, Piemonte etc., i ristoratori vanno in piazza (ieri a Sanremo) e il centrodestra si dimentica la derrata (e pure i ristori che dovevano arrivare la sera in cui chiudi paiono ora meno urgenti, a non dire di quanto non si porta più il movimento #Ioapro). Non si parla qui del merito dei provvedimenti, anche perché il merito non interessa a nessuno dei protagonisti del suddetto dibattito: basta sventolare la bandierina per un paio di giorni, poi si passa ad altro, fosse pure il contrario di quel che s’è sventolato fino a ieri. Inutile andargli dietro: il 21 febbraio, neanche due settimane fa, l’Anci, Salvini, Bonaccini e le tv parlavano di riaprire i ristoranti la sera, ora li chiudono anche di giorno perché hanno scoperto che ci sono le varianti… Tutto a maggior gloria della derrata, che come argomento polemico è un po’ il Dpcm dei poveri di spirito: a chi la forma di formaggio, a chi quelle della democrazia formale, ma sempre sventolando la bandierina che fa aria e rende meno probabile il contagio. Quel che è preoccupante non è tanto che al circo i clown, gli acrobati e i domatori facciano il loro numero, quanto che il pubblico paia prenderli ogni volta sul serio e poi si scanni nella vita reale come se pensasse essere parte del circo… E pensare che c’era il pensiero non smette di cantare Giorgio Gaber: “Un mare di parole, un mare di parole / ma parlan più che altro i deficienti…”.

MailBox

 

Il segretario si dimette e i “demolitori” esultano

Zingaretti era uno dei pochi leader che tentava di mantenere una parvenza di democrazia interna, nel centrosinistra e nelle difficoltà della pandemia. È evidente il tentativo dei “demolitori” delle forze renziane palesi e occulte, che vogliono una nuova alleanza con il centro e Forza Italia.

Mauro Bortolani

 

Al Nazareno sono ancora di sinistra?

Con Conte leader dei 5 Stelle, nei sondaggi il Pd perderebbe 7/8 punti in loro favore. Come analizza questa diaspora? A differenza del suo giornale, che definisce il Pd partito di sinistra, io non lo considero tale e la fuga considerevole di tali elettori lo conferma.

Pasquale Mirante

Caro Pasquale, il Pd di Zingaretti un po’ di sinistra (anche perché costretto dai 5 Stelle) era tornato a esserlo. Ma ora, se i renziani riprendono il sopravvento, tornerà a destra e lascerà un’autostrada ai 5 Stelle contiani.

M. Trav.

 

“Mario” non è estraneo ai giochi della politica

Caro Marco, nel tuo editoriale di ieri sostieni che Draghi è estraneo ai giochi politici. Ritengo invece che debba assumersi la piena responsabilità di questa ammucchiata: i suoi silenzi sono molto politici secondo me.

Carlo Gallo

Intendevo dire che Draghi bada al sodo e se ne infischia delle sorti di questo o quel partito.

M. Trav.

 

Serve una nuova fase per il giornalismo

Tranne poche eccezioni, tutti si prostrano di fronte a Draghi come se fosse un sultano. Suggerisco al Fatto di farsi promotore di una campagna di rinascita etica del giornalismo italiano a partire da un Manifesto sottoscritto da tutti coloro che credono in un’informazione libera.

Paolo Petruzzi

Caro Paolo, temo che i manifesti servano a poco. Servono schiene dritte, che sono purtroppo merce rara.

M. Trav.

 

La sostituzione di Arcuri è un pessimo segnale

Arcuri è stato deposto per mettere un generale al suo posto: un brutto messaggio antidemocratico. Draghi sta con le destre e con lui annuiscono Mattarella e tutta la stampa. Come hanno potuto fare ciò i 5 Stelle!

Adriano Guarnieri

 

Se vi sono stati colpevoli, il defenestrato commissario è stato probabilmente il meno colpevole di tutti. Arcuri ha svolto diligentemente un lavoro infernale. È vergognoso che ne sia stata chiesta a gran voce la testa.

Giampiero Bonazzi

 

Formigli a “Piazzapulita” assomiglia a Fonzie

A Piazzapulita , rivolgendo una domanda a Padellaro, il conduttore Formigli ha detto: “Antonio, oggi il direttore del tuo giornale…”. Ma gli si strappava la lingua se specificava anche il nome Marco Travaglio? Sarà una piccola cosa, ma l’ho trovata una mancanza di rispetto.

Giovanni Frulloni

Caro Giovanni, mi ricorda Fonzie quando provava a dire “ho sbagl…” e poi si bloccava: era più forte di lui.

M. Trav.

 

Il centrodestra ha ripreso consensi e potere

Il centrodestra ha in mano il massimo possibile delle leve di potere. Al governo, nei ministeri dove si trovano i maggiori centri di spesa; nella maggioranza delle Regioni, dove sicuramente aumenteranno le dotazioni; e ora all’opposizione con il controllo di quelle commissioni che spettano all’opposizione! Chi dobbiamo ringraziare?

Sebastiano Oriti

 

Ancora sulle querele dell’Innominabile

Io ci sono e saremo in tanti a sostenere Il Fatto Quotidiano nelle battaglie contro l’arroganza di un inutile personaggetto della politica italiana.

Roberto Lorenzetti

 

“Renzi querela il Fatto”. Dov’è la notizia? Il giorno che leggerò “Il Fatto querela Renzi” salterò a piè pari tutto il quotidiano e andrò curioso a leggere.

Stefano

 

Un patto generazionale per il disagio giovanile

Mi si stringe il cuore a leggere, sul suo giornale, del profondo disagio psichico che attanaglia i ragazzi e le ragazze. Ma che Paese siamo diventati? È ora di stipulare un patto generazionale per permettere ai giovani di vivere la loro vita. Stiamo distruggendo una generazione. La sanità pubblica in Italia è devastata, è questo il vero problema da risolvere.

Laura Bellandi

 

Nel dibattito con Fini ha ragione Travaglio

Gentile direttore, ho letto con attenzione l’articolo di Massimo Fini del 3 marzo. Interessante, ma sono d’accordo con la sua risposta. Il tumore non è contagioso, ma se non uso le dovute precauzioni quando lavoro a contatto con l’amianto, rischio di ammalarmi di cancro. Quindi le precauzioni aiutano a difendere la nostra salute.

Claudio Molaschi

Covid e Dad. “Mio figlio ha bisogno di andare a scuola. Ministro, riapra”

Gentile Signor Ministro Bianchi, vorrei attirare la sua attenzione sulla situazione della scuola, particolarmente la superiore di secondo grado, nella mia regione, l’Umbria.

La scuola superiore in Umbria è stata chiusa già nel 2020, i ragazzi avranno fatto lezione in presenza sì e no 20 giorni, pur non essendo in zona rossa. La scuola superiore è rimasta chiusa anche a gennaio, quando eravamo zona gialla, è stata riaperta alla fine del mese per 5 giorni con il 50% in presenza e richiusa subito dopo. Nel 2021 mio figlio ha fatto un solo giorno di presenza a scuola!

La situazione dell’Umbria è disastrosa per molti motivi. Principalmente gli amministratori regionali non sono stati in grado di organizzare bene il trasporto pubblico, non rispondono alle email e lettere che vengono scritte, non forniscono i dati in modo trasparente e tempestivo e rifiutano qualunque confronto, con episodi di atteggiamenti di vari assessori molto discutibili e documentati.

Lei sa bene che la Dad è solo una soluzione all’emergenza e che, aggiunta al distanziamento sociale, sta devastando la vita degli adolescenti. Le chiedo di intervenire formalmente presso la Regione Umbria per tutelare il diritto a un’istruzione di qualità dei nostri ragazzi e il diritto alla loro salute psico-fisica, entrambi garantiti dalla Costituzione, considerato anche che l’istruzione non risulta essere una materia delegata alla in-competenza regionale.

Le scuole hanno lavorato tantissimo per garantire sicurezza al loro interno, sono stati fatti lavori per sistemare gli spazi, le indicazioni sanitarie vengono rispettate ed è in corso la vaccinazione del personale. Se la scuola è una leva strategica della crescita sociale, devono essere trovati i modi per consentire la frequenza, anche in percentuale ridotta, così come succede in altri Stati europei.

Non si capisce veramente come può essere consentito a un giovane studente di acquistare alcolici fino alle 22 e andare a fare shopping, ma non di andare a scuola, fosse anche per un giorno alla settimana.

Signor Ministro, mi affido alla sua competenza e alla sua comprensione. In attesa di conoscere le azioni che andrà a intraprendere, la ringrazio per l’attenzione e le auguro buon lavoro.

Rosita Sfascia

Professor Draghi, il Mezzogiorno non può attendere

“La modernizzazione del Sud è una modernizzazione imperfetta o insufficiente o non è piuttosto l’unica modernizzazione possibile, la modernizzazione reale?”

(da Il pensiero meridiano di Franco Cassano – Laterza, 1996 – pag. 3)

 

Non è un mistero che il compito principale di Mario Draghi, alla guida del suo governo extralarge, sia quello di gestire i 209 miliardi del Recovery Fund che l’ex presidente Giuseppe Conte è riuscito ad assicurarsi. E di conseguenza, assegnarne una parte cospicua al Mezzogiorno: 111 ne reclamano i duecento firmatari, economisti ed esperti, che hanno sottoscritto il “Manifesto per il Sud”, per ridurre il gap fra le “due Italie”. Questo è un passaggio obbligato per realizzare la modernizzazione del Paese. L’ultimo vagone dell’ultimo treno.

Il professor Draghi ne ha parlato poco o niente nel suo discorso programmatico: un capitoletto di appena una decina di righe, limitandosi ad auspicare un aumento dell’occupazione, in particolare di quella femminile. Ma, a parte la preponderanza di ministri settentrionali, la stessa scelta di affidare il ministero del Mezzogiorno (senza portafoglio) a Mara Carfagna, un’esponente politica che – al di là del fatto di essere nata a Salerno – non vanta particolari competenze ed esperienze in materia, lascia alquanto stupiti e perplessi. Basta pensare alla filiera dei nostri meridionalisti eccellenti, dal pugliese Gaetano Salvemini al lucano Francesco Saverio Nitti, agli ex ministri della Coesione territoriale Fabrizio Barca, Carlo Trigilia e Giuseppe Provenzano, all’economista Gianfranco Viesti e al sociologo Franco Cassano recentemente scomparso, per valutare la distanza intellettuale rispetto all’onorevole Carfagna, già apprezzata modella e showgirl prima di diventare vicepresidente della Camera. Tanto più che, sul fronte nordista, il centrodestra schiera al suo fianco Mariastella Gelmini, ministra degli Affari regionali, fautrice di quella “autonomia differenziata” che il professor Viesti chiama la “secessione dei ricchi”.

Il premier del governo “taglia XL” sa benissimo che la cosiddetta “questione meridionale” è in realtà una questione nazionale; anzi, la vera questione nazionale da cui può dipendere il futuro non solo del Sud, ma anche del resto d’Italia e d’Europa. Non a caso la politica di coesione è uno dei tre pilastri, insieme alla transizione ecologica e a quella tecnologica, a cui il Next Generation EU della Commissione di Bruxelles destina la quota maggiore dei fondi stanziati per gli investimenti post-Covid. Magari non sarà la ministra Carfagna ad amministrarli direttamente, ma sarebbe opportuno che il governo avviasse al più presto un piano specifico per la ripresa e il rilancio del Mezzogiorno, in funzione della nuova Ricostruzione.

Fino a quando un terzo dell’Italia avrà un reddito pro-capite di gran lunga inferiore al Centro-Nord, consumi in calo e disoccupazione (soprattutto giovanile e femminile) in aumento, non ci sarà politica di coesione territoriale che possa eliminare o almeno ridurre le disuguaglianze e riunificare le “due Italie”. Ma il Sud, professor Draghi, non può più attendere la manna dal cielo: ha bisogno subito di investimenti e infrastrutture, banda ultralarga, strade e autostrade, porti e aeroporti, per essere messo alla pari delle regioni centro-settentrionali. Altrimenti, rischia di diventare una polveriera di disperazione e rabbia sociale pronta a esplodere da un momento all’altro. E naturalmente, per attrarre capitali italiani e stranieri, occorre liberarlo dal giogo della criminalità organizzata, perché – come ha detto lo stesso Draghi in Parlamento – il riscatto del Mezzogiorno è anche una questione di “legalità e sicurezza”.

 

Il Pd ha smarrito il paese reale tra una chat e un’ospitata Tv

Nel Pd vige una speciale selezione naturale, oltre che una nichilistica tendenza all’autodistruzione: non sopravvive il più adatto, ma il più cinico, dunque era scontato che Zingaretti mollasse.

Dopo le uscite – prima degli elementi sani con Bersani e Speranza, poi degli esiziali renziani e del partito mononucleare di Calenda – il Pd si è tenuto in seno i sabotatori e ha fatto di tutto per svalutare i suoi elementi migliori.

Arrivato al 18% a causa dell’usurpatore, ha avuto due occasioni d’oro per riconquistare il suo elettorato. Il Pci non fu mai al governo eppure rappresentava masse di cittadini, le commuoveva, le rispettava. In queste due esperienze di governo, cosa è diventato il Pd? Come passano le giornate i suoi dirigenti?

Deputati, senatori, ministri, sottosegretari, amministratori locali e sottovicecapi stanno tutto il giorno su WhatsApp: a disegnare scenari di potere; a parlare di Renzi, di cosa ha detto, fatto, farà Renzi, o di Bonaccini, o di Gori o, nei casi più gravi, con Renzi stesso: a blandirlo, e – specie durante la crisi che ha portato alle dimissioni di Conte – a credere di usarlo facendosene invece usare; a litigare tra loro, a spostare pedine locali per mandare messaggi nazionali (vedi il caso Toscana), fino all’ultimo presidente di circolo della più piccola provincia; a imboccare i giornalisti con veline avvelenate, a farseli amici o a carpire da loro informazioni sui nemici; più spesso chattano con uffici stampa e spin doctor, per concordare ospitate televisive e post di Facebook che siano al contempo ficcanti e spiritosi, emozionali e incisivi, di solito pieni di errori di grammatica; poi, mentre il mondo crolla, aprono Twitter e si mettono a rilanciare i tweet di troll e anonimi, a esporre all’orda dei fan (finti e veri) quegli stessi giornalisti che cercavano di lisciare nelle chat.

Vi pare strano che non abbiano tempo per capire cosa succede nel mondo reale? Li avete mai visti andare in un ospedale, in un reparto Covid o non Covid? Sapete se qualche dirigente del Pd ha promesso di battersi nel governo Draghi per far valere i principi fondamentali di tutela dei deboli? Li avete mai visti in una fabbrica di una zona rossa, a parlare con quelli che non sono in smart working? Dopo “abbraccia un cinese” e l’aperitivo a Milano, avete notizie di idee sulla gestione del virus? Li avete mai sentiti dire altro che banalità sulla pandemia, o qualsiasi altra cosa che non riguardasse il Pd, l’identità del Pd, il congresso del Pd, le primarie del Pd, le alleanze del Pd? Sapreste dire cosa pensano veramente del reddito di cittadinanza? (Della patrimoniale invece sì: non la vogliono). Avete capito se vogliono il Mes o no, se vogliono aprire o chiudere i ristoranti la sera? Li avete mai letti solidarizzare con qualcuno che ha perso il lavoro e che non si chiama Barbara D’Urso? Li avete sentiti fare la voce grossa con le aziende dei vaccini che ricattano l’Europa? Il Pd è un aggregato di “correnti” che non si differenziano programmaticamente, ma solo a seconda di chi sta con chi, per l’appartenenza o la gratitudine a un sotto-capo (a sua volta privo di programma e di pensiero); se sei dentro una corrente e il capo farà carriera ti si porterà dietro: è come puntare su un cavallo alle corse.

Le donne hanno avuto un sussulto di ribellione, ma non certo per contestare questa gestione desolante del potere; bensì perché stavolta non hanno avuto posti come ai bei tempi, quando il segretario posizionava donne silenziose e fedeli in sua vece per darsi una verniciata di quote rosa e di merito. Ma non ci sono donne a fare battaglie sociali. Non conosciamo le idee di nessuna di loro (se non sul Pd). Zingaretti, buon presidente di Regione e ormai per antonomasia brava persona, ha ritenuto che questo andazzo non fosse più in linea con la sua coscienza; col che ha dimostrato che a differenza dei suoi colleghi, almeno, ne possiede una.

Renzi, lo scalpo di Zinga e questo Stato di Polizia

E così, con l’ultima pennellata, Matteo Renzi ha completato il suo capolavoro, una sorta di Monna Lisa al contrario, appesa per i piedi o col celebre viso rivolto verso il muro.

Il 21 luglio 2020 l’Unione europea, grazie ai buoni uffici di Angela Merkel, ma anche al lavoro diplomatico di Giuseppe Conte, ci aveva accordato 209 miliardi di Recovery Fund. Veniva così messa in tavola un’appetitosa torta che solleticava i famelici appetiti dei soliti noti. Bisognava far fuori Conte che avrà anche, come tutti, i suoi limiti ma è un uomo integro e quegli appetiti avrebbe saputo tamponare. È allora che Renzi, in combutta col Presidente Emerito Mattarella e col futuro Onnipotente Mario Draghi, incomincia a tirare la corda per far cadere un governo che avrà avuto anche i suoi limiti, ma era sufficientemente coeso (al 97 per cento, il restante 3 rispecchiava Renzi) perché un partito come il Pd ha certamente più affinità con i 5Stelle che con Matteo Salvini e Forza Italia.

I 5Stelle sono uno strano animale politico, una specie di Democrazia cristiana degli anni Duemila, con in pancia sia fattori di sinistra, prevalenti (reddito di cittadinanza per dirne una), sia fattori di una certa destra antiatlantica e antiamericana rappresentata simbolicamente da Alessandro Di Battista, sia fattori del tutto propri, i più interessanti a mio parere: l’antimodernismo coniugato con l’ecologismo (no al Tav, anche se poi han dovuto ingoiare il rospo, no al ponte sullo Stretto, no alle trivellazioni, no alle grandi opere sì alle piccole).

L’operazione riuscì al catto-boyscout e il governo cadde, in piena pandemia, cosa che si è permessa solo l’Olanda ma per motivi molto più seri. Il governo Conte, durante le tre settimane della crisi, fu paralizzato e certamente si deve anche a questo il ritardo nella campagna vaccinale, oltre che alla criminale ingordigia delle case farmaceutiche che non contente di far già soldi a palate si sono create un superadditum di profitto violando i contratti e vendendo sottobanco al miglior offerente.

Intanto nelle more fra la caduta del governo Conte e l’insediamento del nuovo governo, Matteo Renzi, mentre noi comuni mortali non potevamo quasi uscir di casa, trasvolava Regioni, Stati, continenti, per andare a incontrare, pagato 80.000 dollari (non olet) il principe saudita bin Salman, accusato dagli Stati Uniti di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Questo, insieme al regime più sessista del mondo, il Renzi lo chiamava “nuovo Rinascimento”.

Poi arrivò finalmente l’Onnipotente “che tutto dà e tutto toglie”, accolto da un consenso planetario, il banchiere e finanziere Mario Draghi. È noto e arcinoto che i banchieri e finanzieri hanno un particolare penchant, quasi un amore, per le classi più svantaggiate ed economicamente più deboli. Loro gli amici li hanno in altri quartieri, in Europa e negli Stati Uniti. In più l’Onnipotente ha messo nei posti che contano militari e gendarmi di ogni genere e uomini della destra salviniana (chiedo scusa alla Destra) oltre che sottoposti del pregiudicato Berlusconi. Si è creato insomma, approfittando della pandemia che aveva già permesso di calpestare quasi tutte le libertà personali, un vero e proprio Stato di polizia.

È a questo punto che Zingaretti deve essersi chiesto se non fosse assurdo che un partito come il Pd, che nonostante tutto viene da una storia di sinistra, appoggiasse un governo di tal genere, di destra, turboliberista, poliziesco. Renzi ha quindi ottenuto, dopo Conte, anche lo scalpo di Zingaretti e disgregato ulteriormente il Partito democratico. Questa è la mia personalissima lettura. Ma dice un vecchio proverbio “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. E se l’indignazione che ha colto Zingaretti diventasse comune anche ai 5Stelle e a LeU, e questi se ne andassero dal governo lasciando l’Onnipotente in braghe di tela? Non so chi vincerebbe le prossime elezioni, probabilmente la destra, forse a guida Giorgia Meloni, ma Matteo Renzi ne uscirebbe asfaltato.

Diceva il compagno Rino Formica, un socialista onesto, particolarmente meritevole perché è difficile rimanere onesti quando si è circondati da dei ladroni, che “la politica è sangue e merda”. Purtroppo oggi la merda sembra aver coperto quasi interamente il sangue, cioè gli ideali di cui ogni partito, ma direi ogni uomo, dovrebbe farsi portatore.

 

Sanremo è un festival apotropaico, ma il gesto non si addice a tutti

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rai 1, 20.45: Festival di Sanremo, musicale. È un festival della canzone, ma non è un’arte inferiore saper cantare. Com’è noto, una canzone ben fatta è un film in miniatura con una colonna sonora indimenticabile. Chi canta una canzone è il protagonista di quel film: deve sapersi calare nella parte. Purtroppo, quest’anno troppi cantanti sembrano inadatti al loro ruolo: come buona parte degli attori incapaci che sopportiamo nelle fiction italiane ormai da decenni, invece di interpretare le emozioni le esibiscono: ma così l’emozione non la trasmetti, e la performance viene compromessa. Grazie dunque a Gigliola Cinquetti e Fausto Leali, che hanno dimostrato invece come si fa. Stiamo parlando di vertici irraggiungibili da chi riesce a stonare anche con l’autotune, che dal vivo andrebbe proibito, nonostante la moda imposta dai rapper, perché pialla l’interpretazione; così come non andrebbe ammesso alla gara chi è meno intonato di un concorrente allo Zecchino d’oro (quest’anno sarebbero rimasti in gara solo Arisa e altri tre). Cinquetti e Leali, inoltre, hanno ricordato a tutti la seconda qualità indispensabile per il successo di una carriera canora: il timbro. Definire le caratteristiche del timbro accattivante è impossibile, non c’è una formula; ma sai di cosa si tratta, e quanto ti tenga compagnia, quando ascolti chi ha quello giusto: Celentano e Battisti, Tenco e Conte, Morandi e Ranieri, Nicola Di Bari e Fred Bongusto, Andrea Laszlo De Simone e Nico Fidenco. Il festival di Sanremo è più di uno spettacolo televisivo: è un rito che rinnova l’adesione degli italiani al loro patto sociale, come nelle religioni il rito e l’osservanza dei precetti rinnovano il patto con Dio, da cui ricevono protezione: da qui la connotazione apotropaica del festival, posto infatti a ridosso della primavera come le antiche feste pagane di purificazione e rinascita. A una festa siffatta serve la presenza dionisiaca del comico, e se i comici sono bravi rendono indimenticabile un’edizione (penso agli interventi di Benigni, Grillo, Pio & Amedeo). Fiorello è un eccezionale animatore da villaggio vacanze, uno dei mestieri più difficili del mondo, ma immalinconisce se il villaggio vacanze è vuoto, anche perché le gag di un intrattenitore non sono mai potenti come quelle che i comici dell’arte hanno in arsenale: quando è solo, non funziona più. Poi arriva Lundini, e con un breve monologo fa vedere come poteva essere. È bene non ignorare il quadro completo, quando si fa spettacolo. Anni fa, Baudo mi propose la co-conduzione del Festival con lui e la Hunziker (“Devi ritornare in Rai passando da S. Pietro”, cioè il Festival di Sanremo): rifiutai, perché la satira divide (che persona modesta sarei se pensassi che ogni abitante del pianeta mi adori!), dunque è inadatta al compito omogeneizzatore, reazionario, del Festival. Baudo, da uomo di spettacolo, puntava allo scandalo inevitabile; ma sarebbe stata una strumentalizzazione della satira, che se è vera ha scopi diversi dall’omogeneizzazione (non avevo in progetto di fondare un movimento e finire al governo con Draghi). Quest’anno, certe puntate non ho retto, e per rifarmi le orecchie sono andato su Mina Mazzini Official a godermi il suo live 1972 dalla Bussola; e poiché ho raggiunto l’età in cui la bellezza e la bravura (che coincidono) ti commuovono, ho pianto lacrime calde e grate.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Gesù viene crocefisso, ma si ostina a non capire il punto.

 

La missione in Cina non è servita a nulla

Siamo abituati ad accettare e spesso a giustificare che esista un confine poco netto tra esigenze diplomatiche e cronaca reale, ma credevo che almeno fosse rispettata la minima dignità dell’intelligenza umana. Mai dire mai. La tracimazione di tale limite è avvenuta e con la diretta responsabilità di un organo politicamente neutro. La faccenda è quella della comparsa del virus SarsCov2, avvenuta presumibilmente in Cina. A oggi, come mai accaduto, non sappiamo né da dove si sia originata la pandemia, tantomeno con che modalità. Un anno trascorso tra accuse (infondate?) e altrettanto (infondate?) assoluzioni. Dopo mesi di richieste da parte di molti Paesi occidentali, l’Oms è stata costretta a inviare in Cina una missione di esperti con il mandato di far chiarezza sull’argomento. Ciò è avvenuto a circa dieci mesi dall’inizio del nostro dramma, attendendo l’accettazione da parte della Cina. Sarebbe stato sufficiente dichiarare che per motivi da ascrivere al tempo trascorso, non ci fosse la possibilità di trarre una definitiva conclusione. Purtroppo l’Oms ha proprio esagerato. Peter Ben Embarek, che ha guidato la missione, ha denunciato che Pechino si è rifiutata di fornire “alcuni dati chiave”. Malgrado ciò, Tedros Adhanom, direttore generale dell’Oms, ha cercato di spegnere la protesta, dichiarando che la missione a Wuhan avrebbe “aggiunto importanti informazioni”. L’ipotesi “più probabile” è che il coronavirus sia stato trasmesso all’uomo da un animale, passando attraverso una specie intermedia. L’ipotesi che sia uscito per errore da un laboratorio è “estremamente improbabile”. E non ci sono evidenze che circolasse in maniera massiccia a Wuhan o nella provincia dello Hubei prima di dicembre. Non credo che oltre due milioni e mezzo di decessi meritino questa fake news. Lo scopo non è “risarcire” la loro memoria, ma impedire che nel futuro accada una simile tragedia. Solo la trasparenza e la collaborazione globale potranno assicurarlo.