Le mafie non crescono in un istante. Il seme germoglia, le radici affondano, la pianta cresce e se nessuno la recide infesta ovunque può. Nel Tavoliere, nel “granaio d’Italia”, uno dei semi della “Quarta Mafia” lo portò con le sue mani Raffaele Cutolo, sul finire degli anni 70, presenziando da latitante – era da poco evaso dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa – all’incontro che si tenne nell’hotel Florio di Foggia: il suo obiettivo non era quello di organizzare in modo stabile la delinquenza, ma di aggregare alla sua Nuova Camorra Organizzata i più talentuosi delinquenti pugliesi e, in quell’occasione, il visionario boss di Ottaviano diede i gradi ad affiliati liberi e affiliati in carcere. Era il 1979.
C’è voluta una strage con due vittime innocenti, ben 34 anni dopo, per mostrare a tutti la ferocia – e persino la stessa esistenza – della mafia germogliata da quell’incontro. Ora che Cutolo non c’è più – è morto due settimane fa – la sua pianta foggiana gli sopravvive. Sono molti i motivi che dovrebbero spingerci a leggere Quarta mafia – La criminalità organizzata foggiana nel racconto di un magistrato sul fronte, scritto dal procuratore aggiunto di Foggia, Antonio Laronga, edito da Paper First . Tra questi, il primo motivo è proprio conoscerla. Conoscerla per smettere di pensare che non esista. Conoscerla e fare in modo che la conoscano anche gli altri. Il più possibile. Quarta mafia non è soltanto un libro. È anche l’incipit di un impegno civile: quello di illuminare un fenomeno che si è rafforzato – e Laronga ci racconta fino a che livello – proprio grazie al “buio” che l’ha favorito. Quarta mafia per la prima volta sistematizza, rendendola comprensibile a chiunque, la complessa geometria delle mafie foggiane. Il seme portato da Cutolo – è da qui che inizia una storia che a tratti sembra incredibile – cresce con linfa e peculiarità proprie. La ferocia, innanzitutto. Terminata la lettura, si ha l’impressione di aver attraversato un cimitero, e che gli unici a restare vivi siano in due: Laronga e il lettore. Una processione di lapidi, di morti ammazzati che diventano l’ostensione di un messaggio: volti annientati dall’esplosione dei proiettili, per negare ai parenti della vittima anche la più remota possibilità di guardarli un’ultima volta. Ferocia e vendette. Ma anche amore e pentimenti. L’amore di una donna che lascia il boss di un clan perché sedotta dal suo principale avversario. Ma si ritrova a vivere sotto il sospetto costante dell’intera “nuova” famiglia e, per proteggere i suoi figli, decide di mollare tutto e collaborare con la giustizia. “Lo Stato per fortuna oggi si muove”, scrive don Luigi Ciotti nella prefazione, “la quarta mafia” è stata recentemente definita dal procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho una vera e propria emergenza nazionale. E dopo la ‘strage di San Marco in Lamis’, che nel 2017 è costata la vita ai fratelli innocenti Aurelio e Luigi Luciani, ci sono state scelte forti che hanno evidenziato una presenza più attenta e fattiva delle istituzioni sul territorio”. Il 10 gennaio 2020, a Foggia, 20mila cittadini hanno risposto all’appello di Libera partecipando a un corteo contro mafia, corruzione e violenza. “Tutto questo – commenta Ciotti – esprime il bisogno di riscatto di una comunità stanca”.
“Le forze di polizia del territorio – scrive l’autore nella sua introduzione – hanno ricevuto importanti rinforzi: sono stati istituiti lo squadrone eliportato carabinieri cacciatori di Puglia, il reparto prevenzione crimine Puglia settentrionale della polizia di Stato, una sezione operativa della direzione investigativa antimafia”. E poi aggiunge: “Ma la risposta a livello repressivo non basta. È necessaria un’operazione di contrasto con un impegno corale e su più livelli. Occorre, a livello educativo, sensibilizzare la società civile verso questa criminalità così poco indagata dai media e dalla letteratura sul fenomeno mafioso, divulgarne le caratteristiche e le potenzialità strategiche, le connessioni con settori della Pubblica amministrazione, far conoscere la sua ferocia e i disastri che ha provocato su benessere e sviluppo delle comunità assoggettate. Le mafie foggiane devono uscire dall’anonimato in cui sono state relegate per decenni e del quale si sono avvantaggiate, approfittando del clima di generale sottovalutazione”. Ecco, con Quarta mafia, leggendolo e consigliandone la lettura, ciascuno di noi può schierarsi e dare un contributo a questa lotta: le mafie foggiane – al pari delle altre – devono essere considerate un problema di tutti i cittadini italiani. Soltanto allora potranno essere sconfitte. Le mafie non crescono in un istante e non basta un istante per annientarle. Ma conoscerle e comprenderle è il primo dei passi necessari.