Da due giorni, Domenico Arcuri non riveste più il ruolo di Commissario straordinario. E quanto abbia inciso davvero nella mancata conferma l’indagine della Procura di Roma sulla fornitura di 801 milioni di mascherine acquistate per 1,2 miliardi di euro nel marzo del 2020, lo sa solo Mario Draghi. Ma di cosa tratta questa indagine e qual è la posizione di Arcuri? Per capirlo bisogna riavvolgere i fili dell’inchiesta e muoversi lungo due binari: da una parte bisogna affrontare la questione dell’efficienza, dall’altra quella dell’opportunità.
L’ormai ex Commissario straordinario, nei mesi scorsi, è stato indagato per corruzione: un atto che serviva anche per disporre una serie di accertamenti. Che non hanno rivelato nulla di illecito: Arcuri per i pm non è stato corrotto e per questo hanno chiesto l’archiviazione (sulla quale si attende la decisione del gip). Per i magistrati sono stati i privati, in rapporti con la struttura commissariale, a commettere un altro reato, il traffico di influenze. E qui si chiude la questione penale.
Dagli atti depositati, però, emerge un aspetto che riguarda la gestione della struttura commissariale (che essendo straordinaria risponde a regole diverse, è chiaro) ma che pone alcuni quesiti. Su tutto, una domanda: possibile che in un momento di profonda emergenza – come era quello che si stava attraversando nel marzo scorso – l’accesso alla Pubblica amministrazione avvenisse anche grazie a conoscenze personali?
Prima ondata. La gara Consip e i dispositivi più cari
Ma procediamo con ordine. L’efficienza, si diceva. Le mascherine acquistate dall’Italia in quel particolare momento storico sono state una mano santa. Nel marzo del 2020, infatti, l’allarme era altissimo e i dispositivi mancavano ovunque, nelle case e negli ospedali con il virus che impazzava tra infermieri e medici. Le mascherine in alcune farmacie di Milano arrivavano a costare anche 60 euro l’una. E di morti se ne contavano troppi, fino a 800 al giorno. Ed è in questo periodo che la struttura commissariale guidata da Arcuri stipula un contratto di fornitura di mascherine con tre aziende cinesi. Wenzhou Moon-Ray, Wenzhou Light (già finita in una segnalazione dell’Uif) e Luokai-Trade vengono incaricate di portare in Italia 801 milioni di mascherine. Ogni Ffp2 costa allo Stato intorno ai 2,20 euro. Un prezzo che appare esorbitante oggi, ma non lo era in quelle settimane. E basta guardare due procedure d’urgenza indette da Consip il 9 e il 19 marzo 2020: al 15 marzo le Ffp2 offerte alla stazione appaltante avevano un prezzo medio di 3,19 euro (più, quindi, dei 2,20 euro di quelle fornite dai cinesi).
Gli intermediari. I legami coi privati e i compensi
La fornitura delle aziende cinesi, come detto, finisce al centro di un’inchiesta della Procura di Roma, che apre un fascicolo dopo una segnalazione della Banca d’Italia. Qui emerge l’esistenza di alcuni intermediari. Tra questi anche Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa che gode di ottimi rapporti in Vaticano, e l’imprenditore milanese Andrea Tommasi. Le aziende a loro riconducibili incassano compensi per il lavoro svolto: 12 milioni di euro alla Microproduct it riconducibile per i pm a Benotti (che potrebbe essere sentito nelle prossime ore) e poco meno di 60 milioni alla Sunsky, per i magistrati, di Tommasi. Denaro pagato dai cinesi. Per i magistrati, Benotti è l’uomo “in grado di intrattenere rapporti diretti con soggetti apicali della Protezione civile nonché con politici e dirigenti di società a partecipazione statale”. Quindi anche con Arcuri, che lo conosce personalmente. E l’ex Commissario quando si parla di mascherine lo indirizza agli uffici preposti. Benotti, con altri, alla fine viene indagato per traffico di influenze.
Secondo i pm, infatti, “sfruttando le sue relazioni personali con Arcuri”, si faceva promettere indebitamente da Tommasi, che secondo le accuse agiva in concorso con altri, circa 12 milioni di euro “quale remunerazione indebita (perché svolta al di fuori di un ruolo istituzionale-professionale) della sua mediazione illecita, siccome occulta e fondata sulle relazioni personali con il predetto Commissario”. Secondo gli investigatori, come è scritto negli atti dell’inchiesta, “il compenso per l’intermediazione” (di Benotti e degli altri) “pur formalmente corrisposto dalle società cinesi, è caricato sul prezzo della fornitura ed è, pertanto, retribuito dal governo italiano”.
Dagli atti emergono anche i rapporti di Arcuri con il giornalista. Tra il 1º gennaio e il 6 maggio si contano 1.282 contatti, molte in realtà sono chiamate a vuoto. Ci sono anche le chat tra i due, le stesse mostrate in tv da Benotti: “Monsignore” è l’appellativo con il quale lo chiama Arcuri. Secondo gli investigatori, in ogni modo, i contatti più frequenti “addirittura giornalieri” avvengono nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2020, periodo “in cui – è scritto nelle carte – l’epidemia da Covid-19 aveva raggiunto in Italia il suo ‘picco’ massimo e in cui sono avvenute le forniture di mascherine dalla Cina…”. Il traffico di influenze però viene contestato a Benotti e ad altri, non ad Arcuri che per i pm è il “trafficato” a sua insaputa.
L’opportunità È giusto che a guadagnare siano gli amici?
A questo punto però bisogna cambiare binario. E passare su quello dell’opportunità. Perché dalle carte emerge un altro aspetto, anche se non penalmente rilevante. E riguarda l’accesso alla Struttura commissariale. In un decreto di sequestro, i magistrati scrivono: “Si comprende che il comparto privato in discorso abbia un certo ascendente sulla struttura commissariale, la quale non appare interessa a costituire un proprio rapporto con i fornitori cinesi, né a validare un autonomo percorso organizzativo per certificazioni e trasporti, preferendo affidarsi a freelance improvvisati, desiderosi di speculare sull’epidemia”.
Il punto dunque è: possibile che l’accesso alla Pubblica amministrazione dipenda dalle relazioni personali, seppur in una fase di emergenza così grave? Altri che avrebbero potuto vendere mascherine in quel periodo di profonda crisi (certo avrebbero dovuto fornire quantità ingenti in tempi strettissimi) sono rimasti fuori perché privi di contatti diretti con la struttura commissariale? Per i pm se c’è reato è solo per il privato che approfitta di quelle conoscenze per i suoi affari e non per il pubblico ufficiale. Da qui un’ulteriore domanda: Arcuri sapeva delle provvigioni del suo conoscente? Secondo i magistrati sembrerebbe di sì: in un passaggio di alcuni atti collegano il “raffreddamento dei rapporti con il Commissario straordinario, a far data dal maggio 2020”, quando i due smettono di sentirsi, alla “sopravvenuta conoscenza dell’enorme illecito ritorno economico ottenuto da soggetti estranei al rapporto con la struttura commissariale”. Ma su questo, come pure su altri aspetti, Arcuri potrà chiarire.
Il quesito Quanto ha inciso il fattore emergenza?
La questione dunque resta: in nome dell’emergenza, della necessità di salvare in fretta vite umane, si giustifica tutto?
La fornitura delle aziende cinesi arriva infatti in un momento nero, durante il quale l’unica cosa da fare era trovare i dispositivi in pochissimo tempo. In più, c’era la questione dell’acconto, nel caso specifico non richiesto. I fornitori cinesi proposti da Benotti e Tommasi infatti sono stati pagati dopo la consegna. Una differenza non da poco viste le esperienze di altri soggetti pubblici come la Regione Lazio. Qui infatti, sempre nel marzo 2020, la Protezione civile regionale ha commissionato l’acquisito di 7,5 milioni di mascherine, fornitura pagata con un anticipo di 14 milioni. Le mascherine in Regione non sono arrivate e gli anticipi non sono stati restituiti, dando vita a una battaglia legale. Nel frattempo è intervenuta anche la Procura di Roma che indaga per inadempimento in pubbliche forniture e l’Anac. Che nei mesi scorsi ha archiviato il caso. Con motivazioni che rimandano proprio al periodo più duro dell’emergenza: “È emersa – scrive l’Autorità anticorruzione – l’assenza di significative irregolarità nell’operato dell’amministrazione, in quanto improntato a fronteggiare criticità di estrema gravità rispetto alle quali si è data preminenza alla tutela della salute pubblica nel rispetto di una disciplina eccezionale e in deroga, che ha caratterizzato l’attività di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale…”.
Ma quella della Regione Lazio è un’altra storia. La fornitura al centro dell’inchiesta di Roma in cui è finito coinvolto (con richiesta di archiviazione) Arcuri riguarda altre mascherine. E pur non essendoci nulla di penalmente rilevante, resta da capire se le modalità di accesso alla struttura commissariale da parte di alcuni soggetti siano un caso isolato o meno.
(Ha collaborato Vincenzo Bisbiglia)