Migranti, chiusura indagine su Msf e Save the Children

Concluse le indagini della Procura di Trapani sulle ong Save The Children e Medici Senza Frontiere indagate, insieme ad altre 21 persone, a vario titolo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso ideologico commesso in atto pubblico, omessa denuncia, e esecuzione o rimozione arbitraria e omissione di segnali del codice navale. Secondo i pm Brunella Sardoni e Giulia Mucaria, le ong avrebbero permesso l’ingresso in territorio italiano dei migranti, in alcuni casi i trasbordi sarebbero avvenuti fuori le acque italiane, in prossimità delle coste libiche e con la compiacenza dei trafficanti.

Tra gli episodi finiti sotto indagine, le operazioni di recupero in mare della nave Vos Hestia di Save The Children, e della Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet (che però non è indagata) ma venne sequestrata nell’agosto del 2017. Sotto accusa anche la società Vroon Offshore Services Srl, armatore della nave Vos Hestia.

Carcere, Salvini loda gli agenti condannati per tortura: “Sono servitori dello Stato”

Il 26 settembre 2019, quando era scoppiata l’indagine, Matteo Salvini si era precipitato nel carcere di Ranza a San Gimignano (Siena) per mostrare la sua solidarietà nei confronti dei 15 agenti di polizia penitenziaria indagati per aver pestato un detenuto tunisino durante un trasferimento di cella nell’ottobre 2018. Le accuse dei pm di Siena erano quelle di tortura e lesioni aggravate. “Tra guardie e ladri io sto sempre dalla parte delle guardie – aveva detto in quell’occasione l’ex ministro dell’Interno –. Gli uomini e le donne in divisa di polizia penitenziaria non meritano di esser trattati come delinquenti, assassini o torturatori”. Il 17 febbraio sono arrivate le prime dieci sentenze con il rito abbreviato (altri 5 agenti hanno scelto il rito ordinario): tutti condannati dal Tribunale di Siena a pene che vanno da 2 anni e 3 mesi a 2 anni e 8 mesi.

E così, ieri pomeriggio, il leader della Lega non ha potuto mancare di visitare il carcere e portare nuovamente solidarietà agli agenti. Li ha incontrati e ascoltato i loro sfoghi. Poi, fuori dal carcere, Salvini li ha difesi pubblicamente: “Conto che venga resa giustizia, stimo questi agenti e solo sentirli accostare alla tortura mi fa arrabbiare”. Secondo la Procura di Siena il detenuto tunisino in carcere per spaccio e furti di beni alimentari era stato colpito dagli agenti con calci e pugni insieme a frasi del tipo: “Infami, pezzi di merda, vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano!” rivolte agli altri detenuti. C’è anche un video, pubblicato dal Tg3, in cui si vedono gli agenti colpire il detenuto, premere un ginocchio sul suo corpo disteso mentre un altro sembra soffocarlo con la mano. Gli altri agenti stanno a guardare.

Ma per Salvini le violenze sono “inesistenti”: “Tutti quelli che lo hanno visto possono giudicare che non ci sono violenze – ha aggiunto il leader della Lega– sarebbe il primo caso al mondo di tortura senza torturato, è un episodio incredibile”. Poi ha attaccato direttamente pm e giudici di Siena: “Sulla Procura di Siena ci sarebbe da dire tanto – ha aggiunto Salvini – da David Rossi in giù più di una cosa non ha funzionato. Ne parlerò con il ministro Cartabia, una riforma della giustizia va fatta”. Ma per il momento, ha concluso Salvini, “ho portato solidarietà a dei servitori dello Stato”. Lo stesso Stato che li ha condannati per tortura.

Accusato di tutto, ma ecco i risultati del Commissario

A leggere i giornali, la “cacciata” di Domenico Arcuri è stata solo tardiva. L’arrivo del buon Figliuolo, scrivono, dovrà rimediare agli “errori da ribalta” o alla “rottura della catena di comando dello Stato” come se Arcuri fosse un guerrigliero al comando dell’emergenza. Così, leggendo le pagine a lui dedicate non si capisce dove sia il peccato.

Mascherine. È stato accusato di averle pagate troppo in qualche caso (mentre dell’inchiesta parliamo a fianco), eppure dopo un anno di pandemia, dal non avere letteralmente nulla in magazzino (grazie anche alla Protezione civile) l’Italia vanta una produzione di 20 milioni di mascherine al giorno. I dispositivi si trovano letteralmente ovunque e a un prezzo bassissimo. Le scuole sono rifornite gratis (anche se le prime forniture erano scadenti).

Vaccinazioni. L’Italia, con 4,4 milioni è al terzo posto in Europa dopo Germania e Francia per numero di vaccinati, mentre con 73,60 su 1000 abitanti è sotto la linea mediana in rapporto alla popolazione. Ci sta però insieme a Francia (69,90), Germania (76,30), Svezia (71,40), mentre primeggiano i Paesi più piccoli come Danimarca, Malta, Lituania, a eccezione delle buone performance di Polonia e Spagna (fonte Agenas). Eppure sembra che non abbiamo mai cominciato a vaccinare.

Velocità vaccini. Su 6,5 milioni di dosi ricevute l’Italia ne ha somministrate 4,4, circa il 67%. Si tratta dell’applicazione di una raccomandazione che consiglia di tenere circa il 30% di dosi in riserva. Se si deciderà che non va più seguita si avranno più vaccini, ma non molti di più. La lentezza della vaccinazione dipende esclusivamente dai ritardi: l’Italia ne aspettava 30 milioni a fine marzo, ma oggi si stima che ne arriveranno 12 milioni (6 milioni già consegnate e 6 milioni nel corso di marzo). Al Commissariato dicono poi di contare su 4000 punti di somministrazione, il sito del ministero della Salute ne elenca 1254 “tra i principali”. Si potrà fare di più, ma solo se arriveranno i vaccini. Urlare “vaccini, vaccini, vaccini” al momento non ha molto senso

Il generale della logistica. La logistica di smistamento delle dosi poggia già sull’Esercito e sul corriere Sda delle Poste. L’hub di riferimento per i vaccini è l’aeroporto di Pratica di Mare che è di proprietà dell’Aeronautica. L’esercito c’era già, fin dal primo giorno.

Terapie intensive. Ad Arcuri è stato contestato il ritardo con cui, tra luglio e novembre 2020, ha pubblicato l’elenco dei fornitori di nuove terapie intensive. Se ci sono state irregolarità indagherà la magistratura. In ogni caso, da 5.179 posti di terapia intensiva si è arrivati a 9.018 (dati Agenas) con ulteriori 2.000 posti letto, assicura il Commissariato, a disposizione delle Regioni.

Siringhe. L’accusa ad Arcuri è di aver acquistato siringhe inutili e più costose, le luer-lock da 1 millilitro. Alla Corte dei Conti, però, il Commissario ha presentato due lettere della Pfizer e una dell’Aifa che consigliavano quella scelta per ragioni igieniche e da quelle siringhe, come è noto, si è potuta estrarre la sesta dose da flaconi che ne contenevano cinque. A protestare è stata la Pentaferte che produce siringhe, ma non quelle messe a bando.

Banchi a rotelle. Il Commissario all’emergenza si è occupato di acquistare i banchi monoposto per le scuole: su un totale di 2,579 milioni, 434 mila sono banchi a rotelle ordinati su indicazione delle scuole e su richiesta del ministero.

Probabile che tra poco tempo sul nome tanto contestato scenda l’oblio (chi lo conosce ne è sicuro), ma resterà la domanda: perché ce l’avevano così tanto con Arcuri?

Mascherine, cosa c’entra Arcuri con l’indagine

Da due giorni, Domenico Arcuri non riveste più il ruolo di Commissario straordinario. E quanto abbia inciso davvero nella mancata conferma l’indagine della Procura di Roma sulla fornitura di 801 milioni di mascherine acquistate per 1,2 miliardi di euro nel marzo del 2020, lo sa solo Mario Draghi. Ma di cosa tratta questa indagine e qual è la posizione di Arcuri? Per capirlo bisogna riavvolgere i fili dell’inchiesta e muoversi lungo due binari: da una parte bisogna affrontare la questione dell’efficienza, dall’altra quella dell’opportunità.

L’ormai ex Commissario straordinario, nei mesi scorsi, è stato indagato per corruzione: un atto che serviva anche per disporre una serie di accertamenti. Che non hanno rivelato nulla di illecito: Arcuri per i pm non è stato corrotto e per questo hanno chiesto l’archiviazione (sulla quale si attende la decisione del gip). Per i magistrati sono stati i privati, in rapporti con la struttura commissariale, a commettere un altro reato, il traffico di influenze. E qui si chiude la questione penale.

Dagli atti depositati, però, emerge un aspetto che riguarda la gestione della struttura commissariale (che essendo straordinaria risponde a regole diverse, è chiaro) ma che pone alcuni quesiti. Su tutto, una domanda: possibile che in un momento di profonda emergenza – come era quello che si stava attraversando nel marzo scorso – l’accesso alla Pubblica amministrazione avvenisse anche grazie a conoscenze personali?

Prima ondata. La gara Consip e i dispositivi più cari

Ma procediamo con ordine. L’efficienza, si diceva. Le mascherine acquistate dall’Italia in quel particolare momento storico sono state una mano santa. Nel marzo del 2020, infatti, l’allarme era altissimo e i dispositivi mancavano ovunque, nelle case e negli ospedali con il virus che impazzava tra infermieri e medici. Le mascherine in alcune farmacie di Milano arrivavano a costare anche 60 euro l’una. E di morti se ne contavano troppi, fino a 800 al giorno. Ed è in questo periodo che la struttura commissariale guidata da Arcuri stipula un contratto di fornitura di mascherine con tre aziende cinesi. Wenzhou Moon-Ray, Wenzhou Light (già finita in una segnalazione dell’Uif) e Luokai-Trade vengono incaricate di portare in Italia 801 milioni di mascherine. Ogni Ffp2 costa allo Stato intorno ai 2,20 euro. Un prezzo che appare esorbitante oggi, ma non lo era in quelle settimane. E basta guardare due procedure d’urgenza indette da Consip il 9 e il 19 marzo 2020: al 15 marzo le Ffp2 offerte alla stazione appaltante avevano un prezzo medio di 3,19 euro (più, quindi, dei 2,20 euro di quelle fornite dai cinesi).

Gli intermediari. I legami coi privati e i compensi

La fornitura delle aziende cinesi, come detto, finisce al centro di un’inchiesta della Procura di Roma, che apre un fascicolo dopo una segnalazione della Banca d’Italia. Qui emerge l’esistenza di alcuni intermediari. Tra questi anche Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa che gode di ottimi rapporti in Vaticano, e l’imprenditore milanese Andrea Tommasi. Le aziende a loro riconducibili incassano compensi per il lavoro svolto: 12 milioni di euro alla Microproduct it riconducibile per i pm a Benotti (che potrebbe essere sentito nelle prossime ore) e poco meno di 60 milioni alla Sunsky, per i magistrati, di Tommasi. Denaro pagato dai cinesi. Per i magistrati, Benotti è l’uomo “in grado di intrattenere rapporti diretti con soggetti apicali della Protezione civile nonché con politici e dirigenti di società a partecipazione statale”. Quindi anche con Arcuri, che lo conosce personalmente. E l’ex Commissario quando si parla di mascherine lo indirizza agli uffici preposti. Benotti, con altri, alla fine viene indagato per traffico di influenze.

Secondo i pm, infatti, “sfruttando le sue relazioni personali con Arcuri”, si faceva promettere indebitamente da Tommasi, che secondo le accuse agiva in concorso con altri, circa 12 milioni di euro “quale remunerazione indebita (perché svolta al di fuori di un ruolo istituzionale-professionale) della sua mediazione illecita, siccome occulta e fondata sulle relazioni personali con il predetto Commissario”. Secondo gli investigatori, come è scritto negli atti dell’inchiesta, “il compenso per l’intermediazione” (di Benotti e degli altri) “pur formalmente corrisposto dalle società cinesi, è caricato sul prezzo della fornitura ed è, pertanto, retribuito dal governo italiano”.

Dagli atti emergono anche i rapporti di Arcuri con il giornalista. Tra il 1º gennaio e il 6 maggio si contano 1.282 contatti, molte in realtà sono chiamate a vuoto. Ci sono anche le chat tra i due, le stesse mostrate in tv da Benotti: “Monsignore” è l’appellativo con il quale lo chiama Arcuri. Secondo gli investigatori, in ogni modo, i contatti più frequenti “addirittura giornalieri” avvengono nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2020, periodo “in cui – è scritto nelle carte – l’epidemia da Covid-19 aveva raggiunto in Italia il suo ‘picco’ massimo e in cui sono avvenute le forniture di mascherine dalla Cina…”. Il traffico di influenze però viene contestato a Benotti e ad altri, non ad Arcuri che per i pm è il “trafficato” a sua insaputa.

L’opportunità È giusto che a guadagnare siano gli amici?

A questo punto però bisogna cambiare binario. E passare su quello dell’opportunità. Perché dalle carte emerge un altro aspetto, anche se non penalmente rilevante. E riguarda l’accesso alla Struttura commissariale. In un decreto di sequestro, i magistrati scrivono: “Si comprende che il comparto privato in discorso abbia un certo ascendente sulla struttura commissariale, la quale non appare interessa a costituire un proprio rapporto con i fornitori cinesi, né a validare un autonomo percorso organizzativo per certificazioni e trasporti, preferendo affidarsi a freelance improvvisati, desiderosi di speculare sull’epidemia”.

Il punto dunque è: possibile che l’accesso alla Pubblica amministrazione dipenda dalle relazioni personali, seppur in una fase di emergenza così grave? Altri che avrebbero potuto vendere mascherine in quel periodo di profonda crisi (certo avrebbero dovuto fornire quantità ingenti in tempi strettissimi) sono rimasti fuori perché privi di contatti diretti con la struttura commissariale? Per i pm se c’è reato è solo per il privato che approfitta di quelle conoscenze per i suoi affari e non per il pubblico ufficiale. Da qui un’ulteriore domanda: Arcuri sapeva delle provvigioni del suo conoscente? Secondo i magistrati sembrerebbe di sì: in un passaggio di alcuni atti collegano il “raffreddamento dei rapporti con il Commissario straordinario, a far data dal maggio 2020”, quando i due smettono di sentirsi, alla “sopravvenuta conoscenza dell’enorme illecito ritorno economico ottenuto da soggetti estranei al rapporto con la struttura commissariale”. Ma su questo, come pure su altri aspetti, Arcuri potrà chiarire.

Il quesito Quanto ha inciso il fattore emergenza?

La questione dunque resta: in nome dell’emergenza, della necessità di salvare in fretta vite umane, si giustifica tutto?

La fornitura delle aziende cinesi arriva infatti in un momento nero, durante il quale l’unica cosa da fare era trovare i dispositivi in pochissimo tempo. In più, c’era la questione dell’acconto, nel caso specifico non richiesto. I fornitori cinesi proposti da Benotti e Tommasi infatti sono stati pagati dopo la consegna. Una differenza non da poco viste le esperienze di altri soggetti pubblici come la Regione Lazio. Qui infatti, sempre nel marzo 2020, la Protezione civile regionale ha commissionato l’acquisito di 7,5 milioni di mascherine, fornitura pagata con un anticipo di 14 milioni. Le mascherine in Regione non sono arrivate e gli anticipi non sono stati restituiti, dando vita a una battaglia legale. Nel frattempo è intervenuta anche la Procura di Roma che indaga per inadempimento in pubbliche forniture e l’Anac. Che nei mesi scorsi ha archiviato il caso. Con motivazioni che rimandano proprio al periodo più duro dell’emergenza: “È emersa – scrive l’Autorità anticorruzione – l’assenza di significative irregolarità nell’operato dell’amministrazione, in quanto improntato a fronteggiare criticità di estrema gravità rispetto alle quali si è data preminenza alla tutela della salute pubblica nel rispetto di una disciplina eccezionale e in deroga, che ha caratterizzato l’attività di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale…”.

Ma quella della Regione Lazio è un’altra storia. La fornitura al centro dell’inchiesta di Roma in cui è finito coinvolto (con richiesta di archiviazione) Arcuri riguarda altre mascherine. E pur non essendoci nulla di penalmente rilevante, resta da capire se le modalità di accesso alla struttura commissariale da parte di alcuni soggetti siano un caso isolato o meno.

(Ha collaborato Vincenzo Bisbiglia)

 

“Basta politici pagati da altri Stati”

Il deputato del M5S, Francesco Berti, è il primo parlamentare a essersi attivato sul caso “Renzi-Arabia Saudita”. Con una proposta di legge ad hoc.

Onorevole Berti, cosa prevede la legge?

La proposta prevede che un ministro, un sottosegretario o un parlamentare che, durante il proprio mandato e nell’anno successivo, incassa una somma di denaro superiore a 5.000 euro da uno Stato estero o da un ente da esso controllato decade e scatta l’interdizione per 5 anni.

È una legge per punire i casi come quello di Renzi?

È già stupefacente parlare di un caso del genere, perché dovrebbe essere una precondizione che un senatore non prenda soldi da una fondazione legata a uno Stato straniero. Ma quando è emerso il caso Renzi, ci siamo accorti che il rischio di casi simili è concreto.

Che giudizio dà della vicenda Renzi-bin Salman?

La realtà ha superato la fantasia. Se si vuole fare diplomazia, i parlamentari hanno già gli strumenti per farla come gli intergruppi o le missioni parlamentari. Ma in questo caso Renzi non rappresenta l’Italia ma solo se stesso ed è inopportuno per tre motivi: in primo luogo si rischia di creare un cortocircuito diplomatico con il governo italiano, poi lo è ancora di più se un senatore viene pagato da un ente di un governo colpevole di calpestare i diritti umani e responsabile dell’omicidio di un giornalista. E poi il caso Renzi è inopportuno per un terzo motivo…

Dica.

Se un parlamentare prende soldi dall’Arabia Saudita rappresenta l’Italia o l’Arabia Saudita? Se tutti i 945 parlamentari facessero lo stesso, avremmo un intero Parlamento pagato da uno stato straniero e potenzialmente influenzabile. Per questo intanto Renzi si deve dimettere dal board saudita o da senatore, poi arriverà la legge.

Anche Pd e LeU attaccano Renzi. Chi dovrebbe sostenere la proposta?

Dobbiamo partire dagli alleati del Conte II, ma spero che tutto il Parlamento appoggi questa legge per difendere l’interesse nazionale.

Alcuni giuristi, come il professor Pertici, suggeriscono che il caso Renzi potrebbe già essere esaminato dalla Giunta per le elezioni, perché in contrasto con l’articolo 54 della Costituzione secondo cui ogni parlamentare rappresenta la nazione. Cosa ne pensa?

Io chiederò al M5S di attivarsi in giunta, ma se la base giuridica manca, possiamo crearla con la legge.

Il rischio che questa legge finisca nel cassetto perché Renzi sostiene con voi il governo Draghi esiste, lo sa, vero?

Il rischio c’è, ma chi blocca questa legge non fa gli interessi nazionali.

“Crimini contro l’umanità”. Denunciato Bin Salman

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman dovrà rispondere di crimini contro l’umanità davanti alla magistratura tedesca: Reporters sans frontières ha sporto una denuncia in tal senso presso la procura della Corte di Giustizia federale di Karlsruhe, che, in base alle leggi tedesche, ha giurisdizione “sui maggiori crimini internazionali”, anche se non sono coinvolti cittadini tedeschi. L’iniziativa segue la pubblicazione di un rapporto dell’intelligence statunitense sulle responsabilità del principe, noto come Mbs, nell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ucciso e smembrato il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul. Reporters sans frontières denuncia, inoltre, l’incarcerazione di una trentina di giornalisti – 34, per l’esattezza – e la loro “diffusa e sistematica persecuzione” in Arabia saudita, dove i diritti fondamentali sono costantemente violati.

L’organizzazione con sede a Parigi, che difende ovunque nel mondo la libertà di stampa, s’è mossa dopo la pubblicazione del rapporto dell’intelligence secondo cui il principe ereditario approvò l’operazione che condusse all’eliminazione di Khasoggi, un oppositore del regime esule negli Stati Uniti, dov’era editorialista del Washington Post.

Il passo di Reporters sans frontières e la possibilità che la magistratura tedesca chiami in giudizio Mbs e i suoi complici ravviva negli Stati Uniti le polemiche suscitate dalla decisione dell’Amministrazione Biden di non colpire il principe ereditario, nonostante le prove a suo carico. Per la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, il presidente Joe Biden “si riserva il diritto di prendere in futuro qualsiasi tipo di azione” contro Mbs. Ma “l’obiettivo essenziale è ricalibrare le relazioni con l’Arabia Saudita”, con cui l’Amministrazione Trump aveva stabilito un rapporto privilegiato, specie in funzione anti-Iran.

Gli Usa tradizionalmente non sanzionano leader di nazioni con cui hanno relazioni diplomatiche. E Biden ha del resto tenuto un atteggiamento analogo nella vicenda Navalny, dopo che un rapporto dell’intelligence ha concluso che il dissidente russo Aleksej Navalny fu avvelenato con il coinvolgimento delle autorità russe. Le sanzioni, decise a stretto contatto con Gran Bretagna e Ue, colpiscono sette figure degli apparati russi, ma non leader politici e istituzionali.

A Riyad, Washington chiede di smantellare la rete dietro l’omicidio Khashoggi, cioè l’élite militare e della sicurezza da cui provenivano i componenti della squadra della morte che uccise il giornalista nel consolato saudita di Istanbul. Ufficiali molto vicini al principe ereditario. “Esortiamo l’Arabia Saudita a smantellare la rete e ad attuare riforme istituzionali per fare cessare le operazioni contro i dissidenti”, dice il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price.

La relatrice speciale dell’Onu per le esecuzioni extragiudiziali, Agnès Callamard, francese, ritiene “estremamente preoccupante” la mancanza di azioni da parte degli Usa nei confronti di Mbs: “È molto problematico, se non pericoloso, riconoscere la colpevolezza di qualcuno e poi dirgli che non faremo niente. Chiedo al governo Usa di agire sulla base dei suoi rilievi e di sanzionare il principe ereditario per ciò che ha fatto”. La fidanzata di Khashoggi, Hatice Cengiz, che attese invano il giornalista fuori dal consolato, chiede che Mbs venga “punito immediatamente”. Pare, invece, chiarito il giallo della sparizione di tre nomi dalla lista dei responsabili dell’omicidio del dissidente inizialmente pubblicata dall’intelligence statunitense: i 21 colpevoli sono rimasti 18 dopo che tre nomi “pubblicati per errore” – dice una fonte ufficiale – sono stati depennati essendo “risultati estranei agli eventi”.

Lazio, i dem aprono ai grillini per fermare la Raggi a Roma

Nicola Zingaretti chiama il M5S a far parte della giunta regionale del Lazio, nel tentativo (anche) di eliminare Virginia Raggi dalla corsa per il Campidoglio. Con la capogruppo pentastellata, Roberta Lombardi, che risponde “presente”. Un accordo “politico, programmatico e di organigramma” importante “per le prossime occasioni elettorali, a cominciare dalle amministrative”, ha sottolineato ieri pomeriggio il segretario del Pd Lazio, Bruno Astorre, leggendo l’ordine del giorno sottoposto alla direzione regionale Dem, documento che sarà – salvo colpi di scena – ratificato oggi con voto elettronico.

Un governo giallorosso nel Lazio, secondo quanto dichiarato da Zingaretti nel suo intervento via Zoom, oltre che “foriero per battere le destre” alle prossime regionali, sarebbe “l’occasione per il Pd” di farsi “trovare pronto” in vista, “fra quattro anni, del più grande evento planetario post-Covid, il Giubileo 2025”. E il M5S? “L’addio dell’assessore Sartore ha sbloccato la possibilità, attraverso una redistribuzione delle deleghe, di portare nella nostra regione il tema della transizione ecologica, centrale per il M5S e per il futuro del territorio”, ha spiegato sui social il pentastellato Devid Porrello, ampliando il ragionamento formulato in un tweet da Lombardi. Quello alla “transizione ecologica” e “transizione digitale” è uno degli assessorati che i pentastellati potrebbero andare a guadagnare con l’ingresso in maggioranza. Insomma, il dialogo è in fase avanzata. E la stessa Lombardi, col Messaggero, ha aperto all’ipotesi di “primarie della rete progressista” per il Campidoglio.

L’accordo, secondo Zingaretti, sarà utile anche in vista delle elezioni politiche che – ha scherzato – “ci saranno prima o poi… ”. Per il segretario dem, si tratta di “un modello di un nuovo centrosinistra del quale il Pd è il principale protagonista”. Un colpo al cerchio e uno alla botte. “Attenzione! – avverte Zingaretti – Le differenze con il M5s ci sono e sono immense. Ma non dobbiamo confondere le differenze con le divisioni. Le alleanze servono per costruire un campo fra differenze. E ci sarà una competizione”. “In tutti i sondaggi – ha sottolineato Zingaretti – il Pd va fortissimo. Ma dobbiamo continuare a investire su a un fronte che torni a essere competitivo rispetto alla forza immensa del centrodestra”.

Il documento di Astorre quasi sicuramente non sarà approvato all’unanimità. Le relazioni di Astorre e Zingaretti ieri sera sono stati seguiti da un dibattito “piuttosto animato”. Hanno già annunciato di non voler partecipare al voto il consigliere Emiliano Minnucci, della corrente dell’ex segretario Matteo Orfini, e i due esponenti di Base riformista, il gruppo degli ex popolari di Beppe Fioroni rappresentati da Patrizia Prestipino e Claudio Moscardelli. Molti altri, tuttavia, si tureranno il naso. “Bisogna seguire la strada tracciata da Zingaretti – dice Eugenio Patané – questo è un percorso naturale che può aprire opportunità anche su Roma”. E “l’opportunità” sarebbe proprio quella di chiedere un passo di lato all’attuale sindaca Virginia Raggi. In molti, fra i dem, pensano non sia un caso che la svolta giallorossa in Regione sia arrivata a pochi giorni dalla pubblicazione, su Repubblica, di un sondaggio sul futuro sindaco di Roma, che vedeva in testa Roberto Gualtieri oltre il 30% e, seconda, proprio la prima cittadina uscente, oltre il 25%. Più dietro il candidato in pectore del centrodestra, Andrea Abodi, e la “mina vagante” Carlo Calenda. “Questo significa che al ballottaggio rivincerebbe la Raggi”, dice allarmato un autorevole componente della direzione dem, che poi azzarda: “Ora speriamo che Giuseppe Conte al vertice del M5S completi l’opera e la faccia ritirare”. Ma la sindaca, come noto, ha già invocato il voto su Rousseau.

M5S, nuovo Statuto per Conte. Guerra totale con Casaleggio

L’avvocato che era premier studia carte e norme per adattare il Movimento a sua immagine e somiglianza e rivoltarlo, da capo a piedi. Per ora non pensa a un nuova associazione, ipotesi che non convince il Garante Beppe Grillo e il legale del M5S, Andrea Ciannavei (“Non è all’ordine del giorno”). Però il Giuseppe Conte che lavora al progetto di “rifondazione” non esclude un nuovo Statuto, idea suggerita da Alfonso Bonafede nel vertice romano di domenica.

Di certo l’ex presidente del Consiglio dovrà fare anche il gioco delle figurine, e non sarà un passatempo da bimbi. Perché capire chi starà dentro e chi si terrà fuori dai nuovi 5 Stelle sarà fondamentale. Partendo da quello che al vertice non ha voluto partecipare, dal Davide Casaleggio che batte cassa e reclama diritti. Sa che anche Conte vuole limitare di molto i poteri della sua piattaforma web, Rousseau. E lì aspetta i 5Stelle, sul terreno delle norme e dei regolamenti. Mentre fuori resterà anche l’ex deputato che pure con Conte ha un ottimo rapporto, Alessandro Di Battista. Netto, su Instagram: “Rispetto totale per Conte, ma io ho lasciato il M5S per la presenza al governo con Draghi, Pd, Berlusconi, Salvini, Bonino, Brunetta, Gelmini”. Ergo, neppure l’avvocato (per ora) può riportarlo nei 5Stelle. “Non ho nulla a che vedere con un Movimento che fa parte del governo dell’assembramento pericoloso” scandisce Di Battista. Conte potrebbe ugualmente sondarlo. Intanto ragiona soprattutto su come e con chi partire, cioè sulla segreteria che dovrà affiancarlo e che di fatto si sceglierà, nome per nome. Iniziando con Luigi Di Maio, perché l’ex capo politico è meglio tenerlo dentro, per cautelarsi.

E Di Maio è pronto, anche se nell’attesa incontra parlamentari in serie, per contare le truppe. E anche Paola Taverna dovrebbe essere della partita. Però prima bisognerà sempre fare i conti con Casaleggio, e non è solo una metafora. “L’associazione Rousseau aspetta 450mila euro di restituzioni non versate dal M5S” sussurra una fonte qualificata. Anche per questo l’erede di Gianroberto ha protestato con Grillo per le espulsioni (ieri hanno cacciato altri tre deputati). Decine di parlamentari in meno vogliono dire anche molti meno soldi per far funzionare la piattaforma: già in enorme difficoltà economica, come ripete da mesi Casaleggio. Ma meno eletti significano meno fondi anche per i gruppi parlamentari. Per questo, come anticipato dal Fatto giorni fa, il M5S sta provando a salvare alcuni espulsi, a patto che assicurino sostegno al governo Draghi. In questo caso, il Garante è disposto a revocare la sanzione, come gli consente lo Statuto. Ma la frattura con Casaleggio resta, perché il patron di Rousseau ritiene tutte le espulsioni irregolari, visto che ad avviarle è stato il reggente Vito Crimi, a suo avviso non più in carica. Mentre il Movimento ritiene che il capo sia ancora lui, perché prorogato da Grillo. Quindi “disconosce” la sentenza del Tribunale di Cagliari che ha ritenuto il M5S “privo di un legale rappresentate”, tanto da prevedere la nomina di un curatore speciale. E il legale dei grillini, Ciannavei, lo ha detto (“il capo è Crimi”).

Ma diversi espulsi chiederanno reintegro e danni in sede civile, mentre alcuni senatori hanno fatto già ricorso contro la cacciata dal gruppo alla Commissione Contenziosa di Palazzo Madama, insistendo sull’assenza di “un capo politico”. Poi c’è la battaglia sulla segreteria. Rousseau ha diffuso le regole per le candidature due giorni fa con un post, e a Roma non ne sapevano nulla. “Ma non aveva titolo per farlo” ringhiano i 5 Stelle. Però gli iscritti hanno detto sì all’elezione di una segreteria… “No, hanno dato il via libera al principio della collegialità” è la replica. Tradotto, un organo collegiale arriverà, ma senza candidature. Perché a costruirlo sarà Conte, il prossimo capo.

Padani di nuovo sovranisti: trasferta alla corte di Trump

In tempo di governi tecnici ed europeismo, per prendere una boccata d’aria tocca farsi 14 ore di volo. Direzione: Orlando, Florida, a due passi da Disneyworld. È lì che per quattro giorni la Lega ha ritrovato se stessa, togliendosi gli abiti buoni del moderatismo e ringalluzzendosi alla corte di Donald Trump.

L’occasione era l’edizione 2021 del Cpac, la convention annuale del Partito Repubblicano chiusa domenica scorsa proprio da The Donald con un lungo discorso in cui – lui sì restio alla svolta moderata – ha rilanciato la storia dei brogli elettorali e ha annunciato la possibile ricandidatura nel 2024. Il tutto sotto lo sguardo di tre eurodeputati leghisti: Susanna Ceccardi, Silvia Sardone e Paolo Borchia, giunti a Orlando insieme al parlamentare europeo di FdI Carlo Fidanza. Il quale, a differenza dei colleghi, si può però risparmiare l’imbarazzo di doversi riposizionare a seconda del fuso orario.

Di rientro dalla trasferta sovranista, i tre leghisti sembrano entusiasti. Susanna Ceccardi ha condiviso la propria soddisfazione sui social: “Ascoltare dal vivo Donald Trump è stata una grande esperienza”. D’altra parte “è un comunicatore eccellente, nemmeno un’interruzione per bere un bicchiere d’acqua” e poi, “piaccia o meno, ha ancora forte seguito”. Anche dentro la Lega, appunto, dove sperano che questa volta la delegazione abbia riscosso più successo di quanto non fece Matteo Salvini cinque anni fa, quando raggiunse il tycoon a Philadelphia: il leghista postò felice una sua foto con Trump, che però poco dopo negò di averlo mai incontrato.

Si spiega allora l’ansia da prestazione: “La Lega ha bisogno di farsi conoscere all’estero, – è la versione data da Paolo Borchia su Facebook – forse in passato non abbiamo dedicato la giusta attenzione a questi temi”. E allora ecco i tavoli coi diversi esponenti della galassia conservatrice. Tutti interlocutori ai quali la Lega ha dovuto spiegare il Sì a Draghi, anche se, a giudicare dalla nota diffusa dalla delegazione, si è preferito martellare sui vecchi mantra: “Riduzione delle tasse, sostegno alle piccole e medie imprese, difesa dei confini”. Battaglie “comuni della Lega e dei conservatori Usa”, da “portare avanti insieme”. Chissà che ne pensa Draghi.

“Con questo governo inguardabile si torna all’Ancien Régime”

Nel giro di pochi giorni, ha scritto Marco Revelli sul Manifesto coniando il termine “kakistocrazia”, in opposizione all’acclamata aristocrazia dei Draghi boys, siamo passati dal governo dei migliori al governo dei peggiori.

Professore, la kakistocrazia dipende dalle nomine dei sottosegretari?

La scelta dei sottosegretari è un po’ la “prova dei 39”, un momento di verità sulla qualità complessiva della squadra di governo. Che è il prodotto di una media tra un piccolo gruppetto di eletti – gli uomini del caveau, i fedelissimi dell’ex governatore di tutte le banche, custodi del tesoretto – e una pletora che, nel suo insieme, è inguardabile. Un mix tra cui ci sono anche persone di valore, profondamente guastato da personaggi di infimo livello. È molto difficile immaginare come un’arlecchinata del genere possa diventare una squadra se non considerando una sindrome bipolare. Cioè pensando che i fondamentali siano custoditi dagli uomini del caveau e il resto sia riservato al pollaio, che purtroppo è l’espressione della nostra classe politica. Tutto questo lo possiamo giudicare da un punto di vista estetico.

Estetico?

L’estetica non è una cattiva chiave di lettura della politica. E dal punto di vista estetico il governo è appunto inguardabile, una specie di armata Brancaleone che non promette nulla di buono. Se d’altra parte lo analizziamo da un punto di vista politico, è il prodotto quasi terminale di un sistema dei partiti incapace di trovare una soluzione e di selezionare un personale politico degno. C’è poi un terzo punto di vista: quello del modello. Questo ci rivela una verità ancora più profonda, rispetto al paradigma neoliberista vincente, in cui l’economia umilia la politica, ridotta a ruolo ancillare. È una spettrografia esemplare del rapporto tra denaro e politica: il denaro chiuso a chiave e vigilato dai fedelissimi, e la politica ai piani bassi abbandonata al peggio di sé.

Perché al peggio di sé?

Perché possiamo immaginare l’uso delle cariche come megafono, occasione per far vedere che si esiste. È la petulante presenza sulla scena di una perenne campagna elettorale a cui Salvini ci ha abituati: le funzioni di governo sono subalterne alla produzione di immagine e consenso. La novità è che il governo è sostenuto praticamente da tutti, quindi anche da forze tra loro incompatibili tenute insieme dalle circostanze. Circostanze che sono state create ad arte da un pirata della politica, quale è Matteo Renzi. Questa accozzaglia improbabile è il degno prodotto del soggetto che ha dato origine alla reazione a catena.

Lei dice: non ci si può aspettare altro da un Paese che ha accettato con entusiasmo cieco la soluzione del governo dei migliori. Sudditi, più che cittadini?

Siamo un Paese senza speranza, allo sbando. Abbiamo perso la capacità di osservare con lucidità il reale, per rincorrere allucinazioni collettive: il coro urlato di leader politici e opinion maker, più che il saluto alla soluzione della crisi, è la testimonianza della sua gravità. Che è radicata nella dissoluzione di quelli che, in una democrazia sana, dovrebbero essere gli anticorpi. Cioè i media, che dovrebbero agire come difese immunitarie, una barriera contro gli eccessi di entusiasmo e di disperazione capace di costruire un’opinione pubblica matura. Restando nella metafora, siamo in una sindrome autoimmune: quelli che dovevano essere gli anticorpi hanno distrutto le difese immunitarie. Si è creata un’aspettativa mostruosa: sarà un miracolo se si riuscirà a mettere in atto una campagna vaccinale in tempi decenti. Figuriamoci se si riusciranno a portare a termine la riforma del fisco, della Pubblica amministrazione, della giustizia, il risanamento del debito pubblico… Tutte le piaghe d’Egitto sanate da un re taumaturgo: siamo piombati nell’ancien régime. Una superstizione che fa male anche al presidente del Consiglio.

Ecco, a proposito. Ma Mario Draghi è un keynesiano figlio di Federico Caffè o anche qualcos’altro?

Non siamo in un periodo in cui si possa proporre austerity: di fronte a una sfida radicale pari a quella di una guerra, non si possono proporre politiche di austerità, nemmeno nella loro forma espansiva. Mario Draghi però è interno al paradigma che ritiene le privatizzazioni la via maestra, che non considera le politiche assistenziali un tema strategico nella gestione della coesione sociale, che fa del conto perdite-profitti il baricentro dell’azione politica. E questo è il male del secolo, perché la politica così è diventata la suburra, quando invece dovrebbe rappresentare la costruzione del consenso attraverso la leva della redistribuzione e della riduzione delle diseguaglianze. Questa sarebbe la logica del politico, contrapposta a quella dell’economista. Ma se la banca diventa sistema di governo entriamo in un ordine di idee che dimentica gli ultimi.