“Silvio mi regalò una casa da 1,7 milioni”

Silvio Berlusconi? “È un buonone”. E le sue non erano “cene eleganti”, ma “cene molto eleganti”. Lo giura Cristina Ravot, cantante di Sassari, che si è esibita insieme a Mariano Apicella nelle feste di Villa Certosa, in Sardegna. Convocata dall’avvocato Federico Cecconi, difensore del leader di Forza Italia al processo Ruby 3, per dimostrare che Berlusconi ha “aiutato negli anni una ampia platea di persone”. Ravot ha raccontato l’immensa generosità di Silvio: “Acquistò per me nel 2008, a Roma, un appartamento del Settecento da 170 metri quadrati in piazza Campo de’ Fiori”. Valore 1,7 milioni di euro. Silvio è fatto così: “Lui aiuta sempre quelli che stanno attorno a lui a comprare un’abitazione”, spiega la cantante. “Ci diceva che la casa è la cosa più importante, perché quando era piccolo aveva sofferto, aveva avuto problemi, non so bene di che genere, e quindi ora vuole vedere le persone tranquille”. La cantante si commuove, spunta la lacrimuccia: “La mia foto andò sui giornali come la nuova fidanzata di Berlusconi e il mio nome fu impropriamente accostato allo scandalo Ruby. Per effetto di questo, non ho avuto il rinnovo di un contratto in tv”. Restava la casa del Settecento. “Ma andava mantenuta, aveva spese di gestione importanti. Quindi gli dissi che dovevo venderla. Lui dal 2011 mi mandò un bonifico mensile di 2.500 euro che a me serviva per pagare le rate dell’Agenzia delle entrate per un accertamento fiscale che avevo avuto”. In pratica Berlusconi, che il fisco lo conosce bene, “in questi anni mi ha dato soldi che poi andavano all’Agenzia delle Entrate, servivano a togliere l’ipoteca dalla casa e ha sostenuto anche le spese legali, versava 20 mila euro al mese”. Davvero molto generoso. A un certo punto, “per non chiedere altri aiuti, ho chiesto un finanziamento. Io so che lui me li darebbe ancora, ma per anni lo ha fatto per questa ingiustizia tributaria che ho subito: tutto è nato quando il mio nome è uscito per il processo Ruby, anche se io non ero coinvolta e l’accanimento è partito da lì”.

Silvio è galante: “Gli piacevo come bella donna, un approccio può esserci stato, a lui piace corteggiare un po’ tutti, donne e uomini, ma io gli ho voluto molto bene”. E come non volergliene? “Prima del 2008 mi fece due bonifici per 50 mila euro”: erano i “rimborsi spese” per le serate in cui cantava. “Berlusconi mi chiamava sempre, poteva avere piacere a vedere una bella ragazza che cantava, ma poi si preoccupava continuamente e mi disse: ‘Voglio fare una cosa per te, vorrei che tu stessi tranquilla’. Io per un anno intero rifiutai. E lui mi disse: ‘Sei l’unica persona a cui sto offrendo qualcosa che mi dice no’”. Dopo un anno di resistenza, cede e si lascia regalare la casa. “Silvio chiedeva sempre a tutti se avevano bisogno di qualcosa: a me, ma anche ai camerieri”.

Villa Certosa in Sardegna, ma anche Villa San Martino ad Arcore: “Solo una volta, a una cena a cui erano presenti una ventina di ragazze: loro ballavano, ma quella sera io non ho cantato. Però quelle serate non mi piacevano, perché le ragazze erano invidiose tra loro, volevano farsi vedere, ballare e primeggiare. Glielo dissi anche al dottore”. Inteso come Berlusconi. “Non mi piaceva l’atteggiamento delle ragazze. Questo non gliel’ho mai detto, ma quando erano a tavola, alcune di loro facevano anche delle battutine senza farsi sentire”. Ma che vuoi farci: “Lui è un buonone. Invece molti gli stanno attorno solo per farsi vedere”.

Diritti tv, Berlusconi va ko: il processo non sarà rifatto

Silvio Berlusconi e la sua macchina di comunicazione l’hanno tenuta accuratamente nascosta per quasi tre mesi. È stato il Corriere della Sera, ieri, a rivelare l’ordinanza di 51 pagine del 30 novembre 2021 in cui la Corte d’appello di Brescia rade al suolo la sua speranza di rivincita giudiziaria, ovvero la possibilità di avviare un nuovo processo per ribaltare la sentenza che nel 2013 lo ha condannato in via definitiva per frode fiscale.

In questi quasi tre mesi ha tentato il suo ritorno alla grande sulla scena politica perfino candidandosi alla Presidenza della Repubblica. E i suoi hanno lasciato immaginare che la ferita della condanna sarebbe stata forse rimarginata da un nuovo processo a Brescia, con nuove prove, che avrebbero potuto capovolgere il primo verdetto e portare a una assoluzione.

Invece no. Già il 30 novembre la seconda Corte d’appello di Brescia, competente per le revisioni dei processi milanesi, aveva stabilito con parole nette e inequivocabili che la sentenza di condanna era giusta e che non ci sono elementi nuovi e “nuove prove” che giustifichino la riapertura del processo.

La condanna era stata chiesta in aula dal pm Fabio De Pasquale, era arrivata in primo grado il 26 ottobre 2012, era stata confermata in Appello l’8 maggio 2013 e suggellata in Cassazione l’1 agosto 2013. Aveva ritenuto provato che Berlusconi, con un gioco di specchi realizzato attraverso società estere, avesse nascosto al fisco italiano (e agli azionisti di minoranza di Mediaset) 368 milioni di dollari, di cui 7,3 sopravvissuti alla prescrizione e sufficienti a far condannare l’x premier a quattro anni di carcere. Per aver “ideato e gestito a partire dagli anni Ottanta l’articolato sistema di frode finalizzato a gonfiare i costi tramite passaggi fittizi dei diritti tv tra le società del comparto riservato estero”.

Il gioco è continuato anche dopo la “discesa in campo” del fondatore di Forza Italia: “Sarebbe comunque rimasto il gestore, il referente e il beneficiario principale di questo apparato frodatorio anche nel periodo successivo e specificatamente tra il 1995 e il 1998, epoca alla quale si riferisce l’acquisizione dei diritti televisivi a prezzi gonfiati poi confluiti, con il sistema dell’ammortamento pluriennale, nelle dichiarazioni fiscali presentate da Mediaset negli anni 2001, 2002 e 2003”. Nelle richieste dei suoi legali non ci sono “nuove prove” che permettano di rifare il processo. La richiesta di revisione è “inammissibile”, non è “sostenuta da alcuna prova nuova”, ma è soltanto un “mero tentativo di riproporre deduzioni difensive già affrontate e risolte in senso negativo, il cui esame si risolverebbe in un inammissibile quarto grado di giudizio”. Così scrivono il presidente della Corte Giulio Deantoni con il relatore Ivano Marco Bragantini e la giudice Ilaria Sanesi. Sconfitta piena per Berlusconi, condannato anche a pagare 1.000 euro alla Cassa delle ammende. Prove nuove? Erano soltanto sentenze successive, come quella del processo Mediatrade (in cui erano già stati assolti Fedele Confalonieri e il figlio Piersilvio Berlusconi), o come la sentenza del Tribunale civile di Milano che aveva giudicato un contenzioso tra Mediaset e Frank Agrama, il produttore cinematografico collaboratore e poi coimputato di Berlusconi nel processo sui diritti televisivi.

I giudici escludono che quelle sentenze di assoluzione abbiano a che fare con i fatti che hanno portato alla condanna definitiva dell’ex Cavaliere: “Si impone in modo macroscopico il fatto che da un lato queste sentenze hanno valutato la condotta di imputati diversi da Berlusconi, e dall’altro lato hanno riguardato fatti ontologicamente diversi e cronologicamente commessi in periodi diversi”.

Berlusconi si era anche lamentato di essere stato giudicato in Cassazione nel 2013 dalla sezione feriale, venendo così “sottratto al giudice naturale”, con il risultato di aver “subito una indebita compressione dei tempi di difesa” e di “essere stato giudicato da un magistrato prevenuto”: doglianze inammissibili, per la Corte, perché “non è sufficiente che la violazione di questi principi venga argomentata dal condannato, ma è necessario che risulti accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. È ora l’ultima spiaggia per Berlusconi, ma il suo giudizio non potrà comunque ribaltare la condanna.

“Così Tiziano Renzi rafforzò l’influenza di Russo su Marroni”

La sentenza di condanna in primo grado in abbreviato del Gup Annalisa Marzano contro Denis Verdini, Ignazio Abrignani e Ezio Bigotti a un anno di reclusione con pena sospesa per turbativa di gara è interessante. Non tanto per le motivazioni (depositate due mesi fa) con le quali il Gup scavalca la Procura e condanna per un capo di imputazione che i pm non vedevano proprio: l’esistenza di un accordo per chiudere in pace la gara Consip FM4 per la manutenzione dei palazzi della pubblica amministrazione a Roma. Si vedrà in appello.

La questione oggi più attuale è un’altra: il giudice Annalisa Marzano ricostruisce approfonditamente il presunto traffico di influenze illecite contestato a Tiziano Renzi, Carlo Russo, Italo Bocchino e Alfredo Romeo. Marzano ha firmato il rinvio a giudizio il 21 settembre per il traffico di influenze sulla gara Fm4 (prosciogliendo per altri capi di imputazione) e spiega in queste motivazioni che “Marroni Luigi è stato il destinatario delle influenze esercitate da Russo per conto di Romeo e rafforzate dall’intervento di Renzi Tiziano (delitto del traffico di influenze illecite per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio)”.

Soprattutto il Gup spiega le sue perplessità sul supertestimone della Procura: Luigi Marroni, il grande accusatore dell’altro filone del caso Consip, quello della fuga di notizie. Se l’ex ministro Luca Lotti e il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia, sono finiti a giudizio lo si deve infatti alle accuse di Marroni di aver ricevuto da loro notizie sull’inchiesta.

Marroni è stato ritenuto credibile dai pm romani sia quando ha accusato Lotti e Saltalamacchia sia quando ha oggettivamente alleggerito la posizione degli indagati per traffico di influenze sostenendo di non ricordare quale fosse la società raccomandata da Carlo Russo.

Sul punto il gup Marzano spiega: “sorgono perplessità sull’attendibilità del Marroni (che sarà verificata con più attenzione in sede dì contraddittorio nel corso dell’istruttoria dibattimentale) allorquando dichiarava all’autorità inquirente di non ricordare la denominazione della società per la quale il Russo perorava gli interessi, in quanto: la gamma dei partecipanti alla gara FM4, se osservata con riguardo ai gruppi dì imprese, non era poi così vasta; tra i partecipanti alla gara FM4 e comunque nelle gare indette da Consip non vi erano società nelle quali partecipava Russo Carlo (…);

Russo Carlo aveva incontrato Marroni Luigi in diverse occasioni nell’arco di un intero anno (accertate in numero superiore rispetto a quello originariamente indicato dal Marroni) ed è verosimile che il nome della società sia stato da costui più volte richiamato; le visite del Russo non erano destinate a mere chiacchiere di cortesia, ma erano rivolte ad influenzare le determinazioni del Marroni nei punteggi da attribuire in favore della società per conto delle quali parlava; per poter favorire tali società il Marroni avrebbe dovuto appuntare, quanto meno nella memoria, il nome della persona giuridica per la quale operare ipotetici favoritismi.

Così sembrerebbe non credibile il Marroni allorquando dichiarava – in un secondo momento dinanzi agli inquirenti – di escludere dal novero delle papabili società rappresentate dal Russo proprio quelle di Romeo Alfredo”.

Marroni ha sempre tenuto ferma la sua versione e i pm di Roma gli credono. Per il giudice Marzano però “occorre sempre ricordare che Marroni Luigi ha ricoperto la carica di amministratore delegato in Consip spa perché nominato da Matteo Renzi, che il Marroni conosceva da tempo Renzi Tiziano (diceva nel 2013 o nel 2011 al palio di Siena) con il quale sì era relazionato più volte nel periodo in cui aveva ricoperto la carica di assessore in Toscana. Indubbiamente – prosegue il Gup – l’indicazione della società sostenuta da Russo Carlo (quella di Romeo Alfredo) avrebbe compromesso la posizione del Renzi (Tiziano, ndr) il quale, infatti, non appena apprendeva delle indagini nei suoi confronti, chiedeva espressamente al Russo di non contattarlo più, mentre Marroni Luigi veniva convocato a Palazzo Chigi il 10 novembre 2016 quattro giorni dopo la notizia sul quotidiano La Verità delle indagini su Renzi Tiziano”. Il Gup Marzano sembra ipotizzare una ragione della perdurante amnesia di Marroni: “D’altronde un ripensamento nella memoria, lungo il percorso investigativo, avrebbe in qualche modo compromesso la sua posizione di semplice informatore. Ma questo – chiosa il Gup – è un profilo meritevole di ulteriore approfondimento dibattimentale”. Per il Gup poi “la straordinaria convergenza dei dati sulle intercettazioni e l’eccezionale sequenza degli incontri avvenuti tra Romeo e Russo da una parte e Russo, Marroni e Renzi dall’altra, propenderebbe – secondo una deduzione logico probatoria – per una segnalazione fatta da Russo a Marroni per conto e nell’interesse della Romeo Gestioni spa”. Sarà ora il I collegio della VIII sezione del Tribunale, presidente Paola Roja, a stabilire il destino di Tiziano Renzi e coimputati.

Picchia e spia la moglie. In cella professionista

La spiava collegandosi alla telecamera del salone di bellezza dove lavorava. L’ha picchiata davanti a tutti. La insultava anche con epiteti razzisti. R.C., commercialista romano di 61 anni, è finito nei giorni scorsi in carcere dopo l’escalation di violenze psicologiche e fisiche nei confronti della moglie, una 42enne algerina. Diverse volte, ha raccontato la donna ai poliziotti del commissariato Casilino, avrebbe sfogato la sua ira su di lei. Vessazioni e minacce sarebbero state sempre più frequenti. L’avrebbe accusata di intrattenere altre relazioni e poi avrebbe iniziato a picchiarla sottraendole anche il cellulare. Indaga il pm di Roma, Antonio Verdi.

Omicidio Ilenia Fabbri, chiesti due ergastoli

Dopo un’ora e mezza di requisitoria, i pm di Ravenna hanno concluso chiedendo la condanna all’ergastolo per Claudio Nanni, ex marito e considerato il mandante dell’omicidio di Ilenia Fabbri e per Pierluigi Barbieri, accusato di essere l’esecutore materiale del delitto, commesso il 6 febbraio 2021 a Faenza. I pm hanno definito “farneticante e incredibile” l’atteggiamento processuale di Nanni, che avrebbe mentito su tutto. Diverso l’atteggiamento di Barbieri, che dopo l’arresto ha confessato l’omicidio, ma le aggravanti restano comunque prevalenti, secondo la Procura.

Lamezia, sequestrati 800 mln a imprenditori

Maxi-sequestroda 800 milioni a Lamezia Terme agli imprenditori Francesco, Pasqualino e Marcello Perri. Su richiesta della Dda di Catanzaro, sequestrati il centro commerciale dei “Due mari”, uno dei più grandi della Calabria. I pm, guidati dal procuratore Nicola Gratteri, hanno colpito l’impero dei Perri ritenuti vicini alla cosca Iannazzo: 19 ipermercati, aziende commerciali e partecipazioni in 34 società comprese quelle nella squadra di calcio “Vigor Lamezia” e nel club di volley “Pallavolo Lamezia”. Un patrimonio immenso che comprende anche 26 fabbricati e 2 ville, 42 terreni e 19 autoveicoli.

Dissequestrati beni per 10 mln a Matacena

Beni per oltre 10 milioni di euro sono stati dissequestrati all’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, e all’ex moglie, Chiara Rizzo. Lo ha deciso la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria che ha accolto il ricorso degli avvocati Candido Bonaventura, Corrado Politi ed Enzo Caccavari. I sigilli erano scattati nel dicembre 2017 quando la Dia, nell’ambito dell’inchiesta “Breakfast”, sequestrò ai coniugi 25 immobili, navi, conti correnti e società di cui 4 con sede in Italia e 8 all’estero. Dopo oltre 4 anni di processo, secondo i giudici è stato accertato che l’ingente patrimonio di Matacena, condannato per concorso esterno con la ‘ndrangheta e latitante a Dubai, non era sproporzionato rispetto alle entrate e ai redditi familiari.

Gare Rai, ‘altri manager a libro paga di Gnoli’

“Non solo Ronchetti”. Il presunto “rapporto illecito” tra i componenti della famiglia Gnoli, indagati per gli appalti truccati in Rai, non era esclusivo con Gianluca Ronchetti, l’ex direttore degli Acquisti di Viale Mazzini, arrestato per corruzione. A sostenerlo Edoardo Gnoli, uno degli imprenditori indagati, secondo cui – spiegano i pm – “in passato si trattava di personale a Milano che gestiva le gare, come Corrado Pirola o Sergio Rigutto (che dopo la pensione era entrato nelle aziende Gnoli), che venivano pagati ricevendo una somma mensile di 1.000 o 2.000 euro calcolata sulla sovrafatturazione dei costi imputati a Rai. Pirola e Rigutto non figurano fra gli indagati. Secondo Ambrogio Gnoli, invece, “Ronchetti era a libro paga (…) ogni mese riceveva 15 mila euro in una busta”.

Caro carburante, blocco dei tir da Nord a Sud

D alla Calabria, alla Campania, alla Puglia, ma anche nel porto di Ravenna: si sono moltiplicate ieri sulle strade d’Italia le proteste dei tir contro il caro-carburante, che rischia di penalizzare fortemente il settore dell’autotrasporto e della grande distribuzione. Decine di autotrasportatori calabresi hanno organizzato sit-in nei pressi degli svincoli dell’A2 di Gioia Tauro e di Rosarno. Una iniziativa pacifica, ma che secondo i partecipanti potrebbe alzarsi di livello fino al blocco della fornitura di beni e servizi in tutto il Paese. Proteste in Campania, sul tracciato casertano dell’A1, e nel tratto che dal casello conduce alla Salerno-Reggio e fino alla barriera di Napoli Nord a Caserta. Si tratta di “blocchi mobili”, imposti e poi rimossi, ma che hanno comunque causato rallentamenti e disagi per il traffico tra Capua e Caianello, il cui casello è stato anche bloccato. Blocchi anche sull’A30 Caserta-Salerno, alla barriera di Mercato San Severino (Salerno). Stessa scena in Puglia, sulla statale 613 Lecce-Brindisi. Sei tir hanno percorso a passo lento un tratto di 10 km creando rallentamenti al traffico, senza però grossi disagi alla circolazione. Sempre in Puglia, nel Tarantino, diversi autotrasportatori hanno montato un presidio sulle statali 106 e 100, ricevendo la solidarietà di alcuni sindaci locali. Nel Barese, i camionisti sono al secondo giorno di protesta sulla statale 96 e nella zona industriale di Altamura. La protesta, è stato annunciato, porterà i tir-lumaca venerdì alle porte di Bari. Un camionista che stava protestando nel Foggiano, è stato ferito al fianco da un automobilista con un’arma da taglio, in modo non grave. Le iniziative però non si sono limitate al Sud: anche il Porto San Vitale di Ravenna è stato bloccato dai camionisti. Le prime conseguenze delle proteste già ci sono. “La produzione sarà sospesa da domani (oggi, nda) perché La Molisana affianca lo sciopero degli autotrasportatori”, fa sapere l’azienda produttrice di pasta.

Pamela, la Cassazione ordina nuovo appello per lo stupro: a rischio l’ergastolo a Oseghale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per omicidio di Innocent Oseghale, il nigeriano già condannato in primo e secondo grado per l’uccisione e il vilipendio di cadavere di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa e fatta a pezzi a Macerata nel gennaio 2018. Ma per l’aggravante della violenza sessuale Oseghale dovrà affrontare un nuovo processo d’Appello: la Corte ha annullato la relativa condanna. Questo, nella pratica, significa che la pena dell’ergastolo determinata in Appello potrebbe scendere a 30 anni, con la possibilità che scenda ancora durante il suo percorso carcerario. In attesa delle motivazioni, la famiglia ha mostrato la propria delusione. “Ammazzano, violentano, fanno a pezzi e lo Stato italiano non fa nulla”, ha detto la madre, Alessandra Verni. Prova a darsi una spiegazione il legale e zio della ragazza, Marco Valerio Verni: “Se la Procura di Macerata avesse messo meglio a fuoco le patologie psichiatriche di cui era affetta Pamela saremmo arrivati in Cassazione più blindati: questo prologo è per noi una dolorosa pena”.