Giovani e social. Per tutelare i figli bisogna conoscere il loro mondo

Sono un papà di due bimbe di 3 e di 7 anni e si avvicina il giorno dello sbarco sui social con l’apertura dei profili personali da parte delle ragazze. Non nascondo un crescendo di preoccupazioni e di timori, legati soprattutto alla mia più completa ignoranza su questi temi e alla mia poca conoscenza. Si potrebbe pensare di creare qualcosa che aiuti i genitori a conoscere quali rischi si corrono, dove potrebbero essere celati problemi, coinvolgendo magari degli esperti che aiutino a monitorare i profili social dei ragazzi, una sorta di “Sert sociale”?

Pietro Petrone

 

Gentile Pietro, la sua lettera identifica uno dei nodi fondamentali nella catena di situazioni che oggi porta i ragazzi a essere esposti e vulnerabili sui social network: l’impreparazione degli adulti. Non è il solo ad affrontare questa incertezza, c’è una diffusa tendenza tra i genitori a catalogare le nuove tecnologie come qualcosa di lontano e poco interessante. Possono passare al setaccio e giudicare tutti gli ingredienti di un omogeneizzato, ma sembrano allergici alle nozioni base del web, al funzionamento di Tik Tok o Twitch (assodato che Facebook e Instagram siano ormai noti alla maggior parte degli over 30) o delle impostazioni della privacy. Se questo approccio nelle persone senza figli denota solo mancanza di curiosità nei confronti del presente, quando si hanno figli la situazione cambia radicalmente. Conoscere e usare, anche solo a scopo esplorativo, gli strumenti amati dai ragazzi è il primo passo per comprendere da dove possano arrivare i pericoli e agire di conseguenza. Ed è ciò che chiede lei, giustamente. Esistono molte iniziative per dare una mano ai genitori ed educatori, fra tutte però le consiglio di cercare la #toolbox realizzata dalla Fondazione Carolina. È semplice, chiara e pratica. Ma soprattutto le consiglio di affrontare le sue remore e fare un giro in questo mondo che dice di non conoscere. App e social sono così semplici da utilizzare che le basterà qualche minuto al giorno per capire quali pericoli possano celare. Proprio come si impara ad affrontare il mondo reale, si impara a rapportarsi al mondo virtuale, se ne prendono le misure, si capisce cosa sia meglio e cosa no per i propri figli e con che tempi sia meglio farglielo conoscere. Provi e ci faccia sapere.

Virginia Della Sala

Mail Box

 

L’Innominabile querela, ma non chiarisce su MbS

Il senatore Renzi, dopo la sua partecipazione al convegno in Arabia Saudita e la dichiarata ammirazione per il regime di cui invidia il costo del lavoro, aveva temporeggiato e promesso una conferenza stampa, ma solo dopo la conclusione della crisi di governo. Cosa che non è avvenuta. Anzi, ora minaccia querele a chi fa notare che intrattiene inopportunamente, come parlamentare, rapporti privati e non istituzionali con un Paese totalitario in cui ci sono centinaia di oppositori in galera e che si è macchiato dell’uccisione barbara del giornalista Khashoggi denunciata anche dal rapporto della Cia. Chiediamo un intervento del presidente Mattarella e dell’Ordine dei giornalisti: una presa di posizione contro queste intimidazioni tese a chiudere la bocca a chi informa.

Tanino Armento

 

Egr. direttore, le scrivo per esternare la mia indignazione per l’ennesima causa che l’Insopportabile ha mosso a lei e al mio giornale. Mi sorge un dubbio: non è che tutte queste azioni legali servano, in qualche modo, a pagare il mutuo della villa di colui in oggetto? Quando Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre… Qualora fosse necessario un contributo dei lettori per le spese giudiziarie, io sono disponibile.

Giorgio Zambelli

 

Caro Giorgio, per avere i nostri soldi dovrebbe vincere almeno una causa.

M. Trav.

 

Csm, l’“uomo del Colle” si affretti a riformarlo

Se non c’è nessun giurista che chiede, allora faccia il Fatto, a nome dei suoi lettori, una domanda “all’uomo del colle”: ci dice perché ha sostituito Conte con questo governo dei “migliori” (che fa tutto quello che faceva Conte) e perché continua a mantenere in piedi un Csm “marcio”?

Raffaele Fabbrocino

 

Alla Cultura Borgonzoni è ancora inappropriata

Ci si ricorda della senatrice Lucia Borgonzoni non per le sue qualità (a tutt’oggi non pervenute) ma per gaffe tipo “non leggo un libro da più di tre anni” quando nel 2018 fu nominata (sic) sottosegretario alla Cultura. Giorni fa è stata di nuovo scelta (ri-sic) sottosegretario sempre alla Cultura! Aspettiamo con ansia che aggiorni lo stato delle sue letture: “è più di sei anni che non leggo un libro”.

Luciano Cherchi

 

Sanremo, il festival si fa: la nostra psiche è salva

Meno male che il Festival di Sanremo si farà. Il più felice di tutti è Amadeus, che rammenta come l’annullamento della kermesse sarebbe stato “un danno psicologico e morale”. Per fortuna, con le performance alla Città dei fiori, l’equilibrio psichico degli italiani è salvo.

Marcello Buttazzo

DIRITTO DI REPLICA

Terna, in merito a quanto riportato nell’articolo pubblicato sabato dal suo giornale dal titolo “Mascherine, il fornitore già segnalato all’Uif. Questa è stata un’annata straordinaria”, smentisce categoricamente che l’azienda abbia mai affidato alcun tipo di incarico alla dottoressa Antonella Appulo.

Ufficio Stampa Terna Spa

 

Prendiamo atto della smentita. Di seguito riportiamo integralmente l’annotazione della Guardia di Finanza da cui abbiamo tratto il passaggio: “La mediazione illecita svolta costantemente dal Benotti Mario nei confronti della Pubblica Amministrazione e delle società a partecipazione statale è risultata chiara e tangibile anche nel tentativo di quest’ultimo – poi andato a buon fine (segnato in grassetto, ndr) – di far assegnare alla Appulo un incarico all’interno di Terna Spa – società a partecipazione pubblica – grazie alla conoscenza vantata nei confronti di Agostino Scornajenchi (frase segnata in grassetto, ndr), attuale Chief Financial Officer del Gruppo Terna”.

Vin. Bis.

 

Sono la sorella di Beppe Fenoglio e vi scrivo da Marburg, in Germania, dove abito da molti anni. Ho letto con grande sorpresa l’articolo a firma di Massimo Novelli apparso il 22 febbraio sul vostro giornale, che riporta ampi stralci di un’intervista a mia madre registrata, così si legge, nel 1980, e ora pubblicata nel volume Voci dalle Langhe. Già il titolo, Beppe Fenoglio e quella mamma cattiva, mi ha non poco sconvolta. Credo che offra un’immagine fuorviante, riduttiva e superficiale del pur tormentato rapporto tra madre e figlio. Forte del mio osservatorio privilegiato di sorella minore posso dire che nessuno in famiglia ha mai pensato o rivolto a mia madre, la parola “cattiva”. Fu lei che negli anni 30, in piena era fascista, mandò i due figli del macellaio al ginnasio, poi al liceo e all’università. Ciò valse anche per me, che arrivai qualche anno dopo. Da quella svolta coraggiosa si aspettava l’inserimento dei figli nel ceto borghese, con una carriera all’università o in un’industria. Mio fratello Walter l’accontentò. In Beppe, invece, trovò un ostacolo imprevisto: voleva scrivere! Era un creativo, aveva un talento letterario fuori dal comune. Nacque così il suo dramma: quel sentirsi impreparata, inadeguata al confronto col figlio. Vederlo imboccare una strada sconosciuta, l’esser messa di fronte al più inquietante risultato dei suoi sforzi: scrivere libri. Eppure anche nell’intervista citata nel vostro articolo trovo parole autentiche pronunciate da mia mamma: “Io mamma cattiva? Volevo soltanto che Beppe dormisse di notte, che andasse all’università”. Che smettesse di fumare, aggiungo io.

Marisa Fenoglio

Genetica, toponimi, sfottò e altre ardite giravolte dei “liberali” miglioristi

Golden Globes, domenica i premi fra le polemiche. L’Hfpa (Hollywod Foreign Press Association) deve fare i conti con le accuse del Los Angeles Times di essere una “casta” facilmente influenzabile dagli studi. (Ansa, 26 febbraio)Golden Globe 2021, premiata Laura Pausini. I Golden Globes premiano il meglio del cinema e della tv dell’ultimo anno in 25 categorie. (Ansa, 1 marzo)

Quando le circostanze cambiano, il politico adatta la sua strategia, il paraculo adatta i suoi princìpi. Un partito è solo uno strumento per mettere in pratica certi princìpi. Se cambi i princìpi, il partito non è più quello di prima, e chi ci teneva non si riconosce più nella modifica genetica. L’altra prova della mutazione è che il Blocco politico-militare-finanziario-giornalistico-spettacolare, impegnato quotidianamente a produrre consenso ai rapporti sociali e di potere dominanti, applaude la modifica genetica conveniente (Di Maio: “I 5 stelle ora sono un Movimento moderato e liberale”, Grillo: “I grillini non sono più marziani”), sbeffeggiando chi si mantiene fedele agli ideali rivoluzionari degli inizi. Lo sfottò, la fallacia reazionaria con cui si squalifica l’avversario invece di replicare ai suoi argomenti, è usato per il fuoco di sbarramento. Quello all’italiana consiste nell’aggiungere all’antonomasia il toponimo di provenienza del bersaglio (“Il Pindaro di Gallarate”), e così Di Battista diventa “il Che Guevara di Roma Nord” (Repubblica, il Giornale, Dagospia). Poi arrivano i generali, con la retorica delle grandi occasioni, a dare la linea, incensare i redenti e schernire i reprobi. Ezio Mauro (Repubblica, 21 febbraio): “Il conflitto tra lo spirito originario del Movimento e il suo vertice governista non si risolve se non si capisce che un ciclo storico è finito con il suo vocabolario, le sue pratiche, i suoi simboli e i suoi riti, compresi i più dissacranti (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta)… Grillo, dopo aver urlato per anni davanti al Paese che il Re era nudo, sta strappando di colpo i vestiti ai grillini per spingerli a rivestirsi con abiti nuovi più adatti alla stagione, perché l’addobbo ideologico non si porta più (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta)… Anche il programma di aiuti europei pretende che il Paese si faccia sistema, per impiegare con profitto i 209 miliardi (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta)… Non è dunque più tempo per forze anti-sistema (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta)… Tramonta il culto della presunta diversità grillina (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta)… Finisce la pratica miserabile di cercare una rendita nella maledizione (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta). Svanisce la tentazione ribelle dell’anti-Stato, la convinzione aliena di venire da un altro mondo per convertire o conquistare il mondo in cui ci tocca vivere (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta). Inizia l’esperimento inedito di coniugare i valori e gli ideali con i compromessi e le alleanze (quindi sì a Berlusconi, Sisto, Bergamini e Brunetta)”.

Attivissimi anche i caporali del Blocco (già berlusconiani e renziani) che scrivono sul Foglio e su Linkiesta. Amano definirsi liberal-democratici, socialisti, riformisti, europei e atlantici. Oggi lanciano l’Alleanza per la Repubblica, coagulo dei consensi dispersi in “Azione, Italia Viva, Più Europa, e in parte il Partito democratico e Forza Italia” per “il rilancio economico e la transizione digitale ed ecologica la cui esecuzione è stata affidata ai ministeri di Franco, Colao e Cingolani”. “E il leader? Una vera leadership, quando c’è, emerge”. Nuove Leopolde in arrivo.

 

No pastone, no party: Iv difende pure Salvini

Censura! Il Tg1 fa imbufalire i renziani. Michele Anzaldi, l’uomo che presidia la tv pubblica per Matteo, insorge contro la prima rete: “Imbarazzante disinformazione al Tg1: la notizia del giorno, la rimozione di Arcuri, insabbiata come un semplice cambio di routine. Nessuno spazio alla netta discontinuità voluta dal presidente Draghi, eliminati gli espliciti commenti di Renzi e Salvini sull’ex commissario”. Traduciamo per i meno avvezzi alla materia e al personaggio: il Tg1 è accusato di non aver fatto “pastone”, il servizio con le dichiarazioni lottizzate dei leader di partito (su cui è edificata la Rai). No pastone, no Renzi, no party: e Anzaldi sale in barricata. D’altra parte, Italia Viva ha un obiettivo esplicito: la cacciata di Giuseppe Carboni, direttore del Tg1 nominato (in altri tempi…) in quota 5Stelle. Anzaldi però ci regala pure un dettaglio rivelatorio: non si lamenta della “censura” solo a nome di Renzi, ma pure dell’altro Matteo. Si comincia a giocare a carte scoperte…

L’odio anti-m5s e due consigli all’ex premier

Nell’autobiografia Il Portavoce, Rocco Casalino racconta che, nel 2013, quando i grillini arrivarono in Parlamento pensavano di essere accolti con una certa simpatia. “Eravamo tutti ragazzi nuovi, giovani puliti, uomini e donne, esattamente quello che invocavano i giornali. Ci tagliavamo pure lo stipendio per oltre la metà. Allora perché invece degli applausi prendevamo sputi? Da subito era partita una vera e propria campagna di distruzione: incompetenti, incapaci, ridicoli”. Ecco, il primo consiglio, non richiesto, che darei a Giuseppe Conte nel momento in cui pensa di farsi carico del M5S, è quello di comprendere le ragioni profonde di questa costante antipatia. Di non accontentarsi della spiegazione più immediata, certamente vera, ma che coglie solo una parte del problema, a cominciare dall’ostilità dei giornalisti. Dice Casalino: “Nel Movimento abbiamo capito che i giornali facevano parte del sistema di potere, avevano padroni con interessi particolari”.

Figuriamoci se noi del Fatto possiamo essere insensibili all’argomento, visto che siamo nati impegnandoci con i lettori a scrivere “tutto ciò che gli altri giornali non pubblicano”, comprese le notizie non manipolate sui 5 Stelle. Un’avversione mediatica preconcetta che l’ex premier, in questi anni, ha subito sulla pelle compensata, e forse anche provocata, dagli alti indici di popolarità riscossi dal suo operato. E però se Conte intendesse scrivere una pagina nuova del Movimento non sbaglierebbe a fare punto e a capo con vittimismi e manie complottiste cominciando a chiedersi sinceramente: dove abbiamo sbagliato? A interrogarsi, per esempio, se al di là del “sistema di potere”, un certo malinteso complesso di superiorità non abbia fatto danni. Soprattutto nel mondo dell’informazione dove non è detto che tutti quelli che esprimono critiche fondate siano per forza “servi dei padroni”. L’immagine rassicurante di cui gode Conte – rafforzata dall’uscita da Palazzo Chigi senza alcuna polemica e dal passaggio di consegne a Mario Draghi in un clima di collaborazione tra uomini di Stato – potrebbe consentirgli di mettere mano a due “riforme” di cui forse chi scrive non è il solo ad avvertire l’urgenza. Primo: una semplificazione della burocrazia grillina, quella che ha trasformato la cosiddetta democrazia dal basso in una giungla di leggi, regole, codicilli e ricevute. In un turbinio di garanti, segreterie collegiali e piattaforme Rousseau che accreditano la fama (respingente) di una setta governata da oscure liturgie. Secondo: se deciderà di prendere le chiavi del M5S proclami una bella amnistia per il plotone di espulsi colpevoli di non avere votato il governo Draghi. Li riammetta. Ristabilire la dialettica delle opinioni (diverse) non potrà che fare bene al Movimento e alla democrazia tutta.

Contenere subito le varianti

La ricerca scientifica corre come non mai durante questa pandemia e questa è una delle migliori armi per contrastarla. Fino a qualche giorno fa, non conoscevamo nulla o quasi sulle varianti. Oggi il panorama ci appare più chiaro. Per quanto riguarda la contagiosità è favorita anche da una più lunga persistenza nel soggetto infetto. Altro fattore importante, rilevato anche dal mio gruppo di ricerca e confermato da altri ricercatori, è che la carica virale (quantità di virus) presente nei soggetti positivi è molto alta. Basterebbero questi due elementi per motivare la diffusione del nuovo virus che, malgrado le misure di contenimento, credo sia destinato a diventare il predominante. La più grande preoccupazione è rivolta all’efficacia della vaccinazione. I vaccini sui quali il mondo intero pone la sua speranza di ritorno alla vita “normale” sono un patrimonio da non sprecare. Sappiamo che sono stati fabbricati utilizzando il virus che circolava nello scorso marzo. Merito certamente all’ immediato impegno. Ciò però non ci tranquillizza sul fatto che potrebbero sorgere varianti sulle quali non riescano a essere attivi. Qualche dichiarazione, suffragata da studi preliminari, ci aveva tranquillizzati. Purtroppo il 23 febbraio è apparso su Nature un articolo di Pei-Yong Shi della Università del Texas Medical Branch di Galveston, che rivela le evidenze in vitro che potrebbero far prevedere una minore attività dei vaccini alla variante sudafricana. Questo dato deve suggerire un intervento drastico sulla diffusione di questa variante che, al momento, è ancora presente in casi isolati. Far scappare i buoi, questa volta, potrebbe avere un effetto gravissimo. Spunterebbe l’attuale migliore arma, il vaccino.

*direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Tiro al piccione su Zingaretti e Orlando. Il leader: “Congresso nel 2023”, coro di no

Dopo il terremoto nel Movimento 5 Stelle, volano gli stracci anche in casa Pd. Ieri la direzione del partito si è trasformata in un tiro al piccione contro il segretario Nicola Zingaretti in uno scontro ben più ampio rispetto alla questione all’ordine del giorno: la valorizzazione delle donne dopo l’esclusione di una rappresentanza femminile dem in seno alla rosa dei ministri del governo Draghi. Il pressing su Zingaretti per attribuire a una donna il ruolo di vicesegretaria con funzioni vicarie (in pole Cecilia D’Elia) però si è trasformata in una resa dei conti nei confronti dell’altro vicesegretario, Andrea Orlando, di cui molte componenti della direzione dem ora chiedono le dimissioni dall’incarico. “Visto che è andato al governo, faccia come fece all’epoca Paola De Micheli. È una questione di stile”, attaccano ad esempio Giuditta Pini ed Enza Bruno Bossio tra quanti non hanno ancora digerito l’intervista di Orlando di qualche giorno fa. Quella in cui il neo ministro del Lavoro e numero 2 del Pd ha denunciato il tentativo in corso nel partito, ancora a trazione renziana, per abbattere Zingaretti reo di volere l’alleanza con 5stelle (e LeU) tanto invisa al leader di Italia Viva. Ma le parole di Orlando (“Il congresso è iniziato: puntano a un logoramento del gruppo dirigente”) hanno scatenato un putiferio. E così l’impegno a garantire la parità di genere approvato alla fine della direzione non rimargina le ferite che paiono ben più profonde. Lo suggerisce l’agguerrito Francesco Verducci stigmatizzando che si sia impedito di parlare a Pini e Bruno Bossio a sostegno della proposta di attribuire funzioni vicarie alla futura vicesegretaria. “Non avrei mai creduto potesse accadere nel Pd. A proposito di gestione unitaria e rispetto del pluralismo”, ha detto facendo il verso alle parole dietro cui si era trincerato l’altro giorno Zingaretti. Matteo Orfini è andato più dritto: “Zingaretti vinse il congresso promettendo che mai ci sarebbero stati accordi col M5S. Poi abbiamo tutti scelto di fare una alleanza emergenziale col M5S. Col tempo qualcuno ha scelto di trasformarla in una alleanza strategica indicando il leader del M5S come punto di riferimento di tutti i progressisti e leader della coalizione. Scelta fuori dal mandato che iscritti ed elettori ci hanno consegnato”. Poi l’affondo della corazzata di Base riformista contro l’idea del segretario di confermare la data del congresso nel 2023: “È un’altra era politica: va aperta subito una discussione profonda sull’identità del Pd”.

Matteo il Saudita e l’intervista modello Marzullo

Avete presente quando, fino a circa un mesetto fa, Matteo Renzi appariva ovunque ci fosse un microfono, tant’è che l’Angelus papale su Radio Maria era costantemente disturbato dalla voce di Renzi che “non ci interessano le poltrone!”? Avete presente quando con la luce negli occhi, con quel bagliore mefistofelico, alla vigilia del suo “capolavoro politico”, appariva alle spalle di Paolo Celata, al fianco di Alessandra Sardoni, in braccio a Myrta Merlino, a cavalcioni di Alessandro De Angelis, nel vostro capanno degli attrezzi e nei tutorial del trucco-sposa su YouTube? Quando, insomma, aveva l’impellenza di parlare al Paese? Ecco, è bastato quel viaggetto in Arabia Saudita per fargli ritrovare un’insolita vocazione alla riservatezza. È bastato quel piccolo, trascurabile problema di dover chiarire la visita in Arabia Saudita, quel cachet, quella familiarità con il principe saudita, quella questione morale (sì, morale), per disinnescare la sua urgenza di apparire ovunque.

Incredibile ma vero, ha perso tutta l’irrefrenabile voglia di parlare con i giornalisti. Giornalisti che lo hanno cercato, tampinato, invocato che neanche la pioggia nel Mali. Ha ceduto – impavido – solo alla Meli, che in un’intervista senza scampo, alla nona domanda, dopo averlo prima interrogato sulle questioni fondamentali tipo “le sue gengive sono più sensibili al gelato o ai brodi caldi?”, l’ha inchiodato: “La accusano di aver fatto da testimonial del regime saudita!”. Della serie: “Io non c’entro, riferisco. Lo dice l’Internet, il popolo del web, bufera social”. Renzi aveva “risposto” che lui va anche in Cina e negli Stati Uniti, che paga le tasse in Italia. Ma tu pensa, vive in Italia e paga le tasse in Italia, un cittadino modello. E magari non butta la bottiglia di Gatorade nell’umido, dopo la corsetta sull’Arno. Non stampa banconote nel seminterrato. Ad Agnese è perfino concesso di guidare la macchina. Davvero un italiano modello. Dopo questa incalzante raffica di domande, Matteo Renzi pensava di aver calmato quella fastidiosa sete di sapere dei giornalisti. Voglio dire, la Meli l’aveva sottoposto a un interrogatorio così serrato che l’antiterrorismo saudita le ha chiesto qualche dritta per gli interrogatori ai prossimi dissidenti. Invece i giornalisti non hanno smesso di pretendere risposte esaustive sulla questione saudita. Oddio, i giornalisti. Diciamo, quelli che non hanno smesso di martellarlo, come noi del Fatto. La maggior parte era troppo presa dal farci sapere che Mario Draghi la mattina mangia una brioche integrale. E quindi, alla fine, Renzi ha ceduto: ha risposto alle domande choc del suo antagonista più temuto, quello che in fondo – su questo dobbiamo dargli atto – gli ha creato più problemi negli ultimi anni, quello che gli ha polverizzato i consensi, quello che gli ha fatto più male: se stesso. In pochi l’hanno sottolineato. Siete ingiusti. È un format, a ben pensarci. Niente più conduttori e giornalisti, ma interviste totalmente autogestite. Viene in mente quando Maurizio Costanzo andò da Marzullo e alla mitologica domanda “Si faccia una domanda e si dia una risposta”, quello gli rispose sornione: “Come stai? Benino”. Si è chiesto “Come stai?”, Matteo Renzi, sulla questione Bin Salman, nulla di più. E ci ha messo un mese, ad auto-intervistarsi.

Lo ha fatto quando ha capito che no, non poteva contare sull’oblio. O forse chissà, Matteo Renzi era disponibile per l’intervista ma Matteo Renzi aveva da fare, per cui Matteo Renzi e Matteo Renzi hanno impiegato un po’ a trovare una data disponibile per entrambi. Capita. E poi voglio dire, Matteo Renzi ha la fama di uno di cui non bisogna fidarsi, ovvio che Matteo Renzi abbia nicchiato un po’ prima di concedersi a Matteo Renzi.

Luca Sofri, direttore de Il Post, ieri twittava “Renzi ha torto su tutto, di brutto. E ok. Poi non ho capito perché i giornalisti che criticano la povertà delle sue autodomande non lo abbiano intervistato e inchiodato loro, con il loro infallibile professionismo”. Ora, a parte che le interviste gli sono state chieste, a parte che aveva premesso lui che avrebbe risposto “dopo”, Corrado Formigli, nel dicembre del 2019, a proposito delle conferenze in Arabia Saudita gli domandò: “Da senatore si pone un problema etico soprattutto dopo l’omicidio di Khashoggi, tagliato a pezzi?”. Renzi: “Solo chi non fa più politica fa gli speech?” Formigli: “Ma io lo chiedo a lei”. Renzi: “Non c’è incompatibilità col mio ruolo. Se mi domanda, ‘ci sono altri esempi?’ Io gliene faccio dozzine!”. Insomma, alla fine faceva lui le domande a Formigli, pur di non rispondere. Un chiaro presagio di come sarebbe andata a finire. Per il resto, sorridendo sulla sua bicicletta, Renzi annuncia querele a chi lo incalza. A chi gli ricorda che sì, accettare denaro dal mandante di un omicidio brutale (sorvolando sul resto), è un tema morale. Va già bene che lui, visto che chiama Bin Salman “my friend”, i suoi conti con i giornalisti scomodi, se li risolva chiamando gli avvocati. I giornalisti li elimina con la motosega, fa la differenziata, sua moglie guida, paga perfino le tasse in Italia. Che cittadino, che uomo, che politico modello. Peccato non essere così intima con lui da poterlo chiamare “my friend”.

Genio Bomba: Come perdere la faccia per due spicci

Sdraiandosi ai piedi insanguinati del principe Mohammed bin Salman, il senatore Matteo Renzi si è infilato in un guaio senza via d’uscita. Dice che quel viaggio a Riyad era privato. Ne fa fede l’ingaggio di 80 mila dollari. Peccato che per giustificarlo, esibisca, dal giorno dello scandalo, ragioni pubbliche e politiche. L’Arabia Saudita “è un baluardo contro l’estremismo islamico”, dice. Un “alleato dell’Occidente”. Una manna “per le nostre aziende”. Perfetto. E allora perché l’ingaggio? Se vai in missione politica, anzi geopolitica, dovresti farlo a spese tue, del tuo partito, della tua nazione, non dell’ospite. Specialmente se l’alleato da sollecitare decapita in pubblico i condannati, tortura i detenuti politici, sigilla le donne nel velo, sfrutta lavoratori immigrati imprigionandoli senza diritti. Ed è capace di fare a pezzi Jamal Khashoggi nel proprio consolato a Istanbul per poi scioglierlo nell’acido.

Per mandare in malora la sua storia, Renzi ha accettato un ingaggio equivalente allo stipendio annuo di un funzionario. Il suo ammirato maestro, Silvio B., lo ha fatto almeno per una montagna di miliardi, coi quali si è comprato tutto: il potere, le leggi, gli avvocati, i testimoni. Oltre alla libertà e al sesso. Cavalcando a suo piacere l’intera Repubblica per un quarto di secolo.

Cosa ci ha fatto il Bomba con gli spiccioli di Riyad? Forse la veranda della villetta più qualche mese di scuola di dizione alla Berlitz. In cambio ha chiamato “Rinascimento arabo” quel mattatoio di cristallo. E ora crede di cavarsela accampando ragioni private al suo gesto pubblico. E motivazioni politiche al suo patetico guadagno personale. Immaginando, proprio come il suo principe, di far sparire il corpo del reato. Non con l’acido, ma con il silenzio.

La stampa estera su Renzi: “Una figura imbarazzante”

Sarebbe scoppiato uno scandalo in qualsiasi Paese europeo. E si sarebbero chieste a Matteo Renzi giustificazioni sul suo operato e su quali siano i suoi rapporti politici ed economici con l’Arabia Saudita. Così i giornalisti stranieri che lavorano in Italia vedono il caso Renzi. Ovvero il viaggio a Riyad di fine gennaio e l’intervista a Bin Salman da parte dell’ex premier. Il tutto condito dagli 80 mila euro annui che il fondo saudita FII elargisce al leader Iv. Sabato pomeriggio l’ex premier si è difeso con una e-news in cui non ha sciolto i principali nodi, ribadendo di essere nel giusto. Tra l’altro proprio ieri gli Stati Uniti hanno fatto sapere di “riservarsi il diritto di imporre sanzioni contro Mohammed bin Salman”, per l’operazione che ha portato all’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, come rivelato due giorni fa dall’intelligence Usa.

Tornando a Renzi, dal punto di vista prettamente legale avrebbe potuto tenere la stessa condotta anche in altri Paesi. “In Inghilterra non c’è alcuna legge che vieta ai parlamentari di prendere soldi per attività esterne alla politica, a patto che tutto venga dichiarato e ci sia la massima trasparenza”, spiega Philip Willan, giornalista britannico del Times e del Sunday Herald. “Credo però che una legge per vietare questo genere di prestazioni economiche sarebbe sacrosanta, soprattutto in Italia dove i politici sono molto ben pagati. Così si eviterebbero figure imbarazzanti come quella di Renzi e si eliminerebbe qualsiasi sospetto di conflitto d’interessi”, aggiunge Willan. Che poi pensa a Tony Blair. “La sua immagine di ex premier che si è arricchito facendo conferenze ha offuscato la sua immagine. Per Renzi è diverso, visto che, non solo è senatore in carica, ma è uno dei principali protagonisti della scena italiana”. “Di sicuro il leader di Italia Viva ha sbagliato il timing. È andato a Riyad a intervistare Bin Salman proprio nei giorni cruciali della crisi del governo Conte-2, quando aveva tutti i riflettori addosso”, nota il cronista francese Dominique Dunglas, collaboratore del settimanale Challenges e di Tribune de Genève. Secondo Dunglas, “l’ex premier ha commesso un grave errore politico, perché un parlamentare dovrebbe stare attento ai Paesi con cui intrattiene relazioni economiche”. E il timing, aggiunge, “si è rivelato beffardo anche per la sopraggiunta notizia sull’omicidio Khashoggi”. Peggio non gli poteva andare.

“Anche in Germania non è vietato ai politici prendere soldi da lavori extra, tipo conferenze o attività di lobby per aziende, ma bisogna dichiararlo fin nei minimi particolari ed è vietato a ministri o membri del governo. Nel nostro Paese, però, c’è anche un’opinione pubblica molto sensibile su questi temi, con una soglia di attenzione più alta sui rapporti con Paesi autocratici dove vengono negati i diritti umani”, sostiene Tobias Piller, cronista economico del Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il fatto che la vicenda riguardi l’Arabia ha molta importanza per la giornalista finlandese Liisa Liimatainen. “È una monarchia assoluta dove l’unica legge vigente è la sharia. E dove molte persone non hanno diritti e si uccidono oppositori e giornalisti. Ora i loro rapporti con gli Usa si sono incrinati e sono alla ricerca di nuovi interlocutori in Europa”, spiega Liimatainen. Che sul regno ha scritto anche un libro: L’Arabia Saudita. Uno stato islamico contro le donne e i diritti, pubblicato nel 2016 da Castelvecchi. “Prendere soldi da una potenza straniera per un politico è sempre pericoloso. Sarebbe necessaria una legge che lo vieti. Così si taglia la testa al toro…”, aggiunge la cronista.

“In Spagna il caso Renzi avrebbe fatto molto clamore, perché l’Arabia per noi è un tallone d’Achille, vista l’inchiesta sulle tangenti prese dall’ex re Juan Carlos. Per il resto, la vicenda avrebbe creato lo stesso sconcerto che sto vedendo in questi giorni in Italia. Ma senza finte ipocrisie o eccessivi moralismi: si sa che i politici spesso non vivono solo di quello”, sostiene infine lo spagnolo Dario Menor Torres, cronista per il quotidiano basco El Correo.