Jannacci come medico che consiglia lo svenimento nei momenti di panico, Berlusconi con i parrucchini nascosti in barca.
La raccomandazione di Craxi per lavorare in Rai e i boss della malavita intorno al Derby di Milano (“E allora la droga era molto differente”).
Sesso e volentieri.
Bloody Mary come se non ci fosse un domani, ma con “poco ghiaccio, altrimenti si annacqua”.
Renato Pozzetto in mutande davanti la porta di casa, Roberto Benigni quando era ancora Roberto Benigni (“con noi si divertiva e non parlava sempre di politica”); e ancora una lunga, infinita sequenza di nomi, di vizi, sprazzi di virtù, genialità vissuta, goliardia a pioggia, day after terribili, e a volte sembra quasi e solo per vedere lo strano effetto che fa (Jannacci dixit).
È la biografia di Silvia Annicchiarico (“due ‘n’ e due ‘c’, mi raccomando”) scritta con Gabriella Mancini: la più famosa tra i meno famosi, come appare nel sottotitolo.
Artista illuminata dall’intuito di Renzo Arbore ai tempi di Quelli della notte, ancora oggi la notte rappresenta il suo paradigma, in veste radiofonica: “Ho una trasmissione su Rtl e devo ringraziare Suraci (proprietario della radio): è il mio benefattore”.
Biografia rivelatrice.
Maurino Di Francesco mi ha suggerito un sottotitolo: “Silvia parla e Milano trema”; (ride) non so quante volte l’editore ha portato alcune pagine dall’avvocato per il timore di querele.
L’imprinting alla sua vita è iniziato molto presto.
Ho una famiglia un po’ particolare: mio padre era medico, un duro, girava sempre con la pistola; una mattina mamma aveva dolori mestruali e per curarla le diede della morfina. Da quel giorno non è più riuscita a rinunciarci, e quando papà smise di passargliela, mi chiese di rubare delle ricette. Mamma venne condannata a due anni; (pausa) erano due birichini.
Nel senso…
Ci arriveremo; nel frattempo una nonna, quando avevo appena sei mesi, mi inficcò una banana intera in bocca: da allora non posso più vederne una, mi sento male; l’altra nonna mi zittiva con dei ciucci di garza pieni di zucchero. Un massacro per l’intestino.
Birichini…
Mamma gradiva le attenzioni maschili, ma anche papà non si risparmiava: aveva un’infermiera, la Mariuccia, con la quale intratteneva una storia; una sera, a una festa, mi avvicina un bel tipo, io ero già conosciuta, e si presenta: ‘Sono il figlio della Mariuccia’. E io: ‘Allora sei mio fratello’. Lui sconvolto, non sapeva nulla (Silvia Annicchiarico ha una sua traccia verbale ininterrotta: parla a profusione, non si inceppa mai, saltella tra i decenni, gli amici, le esperienze come se fosse un’unica storia, o un’unica notte. E ovviamente ne è consapevole); negli anni Ottanta ho girato 7 chili in 7 giorni.
Bene.
Quando lo trasmettono in televisione prendo 6 euro dall’Imaie, stessa cosa per Colpa del paradiso, mentre Il pap’occhio non lo passano mai.
Come ha iniziato la carriera artistica?
Incontri, casualità, amicizie e soprattutto la mia faccia tosta; (sorride) lo sa che ho conosciuto i Beatles?
Lo racconta nel libro…
Grazie a Gianni Minà, e con delle amiche, ci siamo infilate dentro la loro stanza d’albergo. Albergo blindato. Eppure abbiamo varcato la soglia, ci siamo presentate, autografo, stretta di mano, e poi siamo scappate; anzi no, una di noi è rimasta ed è uscita con Paul.
Riproviamo: come ha iniziato…
Mi ero infilata in quel mondo, frequentavo la Numero Uno di Mogol e Battisti, ero tra i ragazzi di Arbore ai tempi di Speciale per voi, fino a diventare la corista di molti cantanti; in quella trasmissione ho conosciuto tanti amici, da Cochi e Renato a Teo Teocoli.
I prodromi del Derby.
Di Pozzetto sono stata innamoratissima e uscivamo spesso insieme; quando andavamo a casa di amici si presentava in mutande con i vestiti sottobraccio, suonava il campanello, ed esclamava: ‘È qui la festa? Taaaaaaaaac!’.
Intorno al Derby c’era varia umanità…
Il giro di persone non è che fosse leggero: tra di noi si mischiavano dei veri boss della mala, gente come Angelo Epaminonda, Francis Turatello o Luciano Lutring.
Tre nomi importanti.
Epaminonda mi chiamava a casa.
Per dirle?
Anche da carcerato: squillava il telefono di casa ed era lui, e non ho mai chiesto come fosse possibile, con mia mamma raggelata; l’ultima volta che l’ho incontrato è stato due giorni prima del suo arresto, una cena con la moglie (sorride).
Una cena equivoca. Lo scrive.
L’ho raccontato in maniera sobria? Comunque puntavano a un rapporto a tre, io mi sono data; (cambia discorso) al tempo vivevamo tutta la notte, con le spaghettate alle quattro del mattino post-spettacoli, il giro della morte dei locali: entravamo, bevevamo, passavamo a quello dopo, e magari concludevamo dentro una bisca.
Ci vuole il fisico.
Prima forse, ora sto molto seduta; e poi sono zitella, sto da sola, non ospito nessuno, ogni tanto viene giusto Marina Suma, con lei siamo amiche; (ci pensa) per problemi economici ho venduto anche casa.
Quanti soldi si è sputtanata?
Molti; (sorride) il mio primo lavoro stabile, pagato, è questo con Rtl, altrimenti ho passato tutta la vita a vivere con retribuzioni saltuarie; Arbore mi ha aiutato e ho rubato il suo motto: “Libertà e salute, libertà è salute”; e pensare che non ho neanche mai fatto un vaccino anti-influenzale.
Non prende medicine?
In generale sì, sono la regina dello Xanax, lo uso da sessant’anni, da quando ho vissuto la mia prima crisi di panico. Io vivo con i medicinali. Da bambina non giocavo con i Lego ma con le scatole dei farmaci: erano loro i miei mattoni per le costruzioni.
Ha conosciuto Berlusconi quando era “solo” un costruttore.
In realtà per noi era totalmente uno sconosciuto; nei primissimi anni Settanta ero in tournée con Johnny Dorelli, purtroppo accompagnato dalla neo moglie Catherine Spaak: gelosa e appiccicata; in una tappa finimmo a Lampedusa, e mentre siamo al ristorante si avvicina un tizio: ‘Mi consenta, signor Dorelli, posso presentarmi? Mi chiamo Silvio Berlusconi, sono di Milano anch’io come lei e ho una barchetta ancorata qui dietro, all’Isola dei Conigli. Sarei molto onorato se veniste, sul mio guscio’.
Chissà il “guscio”.
Qualcosa di enorme, faraonico. Lui gentile, divertente, fissato con le canzoni francesi; a un certo punto accompagna Lalla, una delle altre coriste, sottocoperta, e quando tornano proprio lei, ridendo, mi confida: ‘Ho trovato una schiera di parrucchini’; (cambia tono) ma il top è stato al momento dei saluti: dalla barca alza il braccio e traccia il suo futuro: ‘Ricordate il mio nome… Berlusconi… oni… oni… Sentirete parlare molto di me’. Silvio poi l’ho incontrato altre volte, ci ho portato anche Arbore, e soprattutto con Craxi.
Craxi l’ha raccomandata.
Un disastro.
Esagerata.
Nel 1991 ricevo una telefonata ‘Vuoi lavorare col Berlusca o col Manca?’. ‘Fai quello che vuoi’, rispondo. Due giorni dopo Craxi alza il telefono e chiama il capostruttura di Rai2: ‘Annicchiarico deve lavorare’. Finisco a Gazebo, con Sandra Milo, e i fucili rivolti ai miei errori.
Di chi?
Tutti speravano in qualche mio scivolone, e Sandra Milo, amante di Craxi, possessiva e infastidita.
Ha nominato Arbore.
A lui rivolgo solo dei grazie e un rimpianto: non abitare a Roma non mi ha permesso di mantenere un rapporto più stretto, magari come quello che ha con Marisa Laurito.
Arbore capo-truppa.
L’unico in grado di scoprire talenti, valorizzarli e tenerli uniti. Una certezza.
Talenti veri, come Benigni.
A quel tempo era uno del gruppo, uno da goliardate, e poi non era così fissato con la politica; con l’arrivo dell’allora fidanzata, Nicoletta Braschi, è un po’ cambiato; (sorride) ma il massimo dei siparietti erano le scene con Luciano (De Crescenzo).
Cioé?
Renzo lo metteva in mezzo, lo prendeva in giro; una sera Arbore prende in disparte il cameriere: ‘Serva tutti quanti, meno De Crescenzo, lo salti con nonchalance, faccia finta di non vederlo…’. Alla quarta portata mancata, Luciano diventa paonazzo e impazzisce; per calmarlo abbiamo impiegato un bel po’. (ride ancora) un’altra volta gli ha fatto servire una cotoletta impanata, ma invece della carne c’era il cartone.
Arbore adirato, mai?
Con Marenco; eravamo alla Reggia di Caserta, Mario salta il cordone rosso di sicurezza e ruba piccoli oggetti unici, tipo quadrettini, piattini, penne rarissime. Renzo lo scopre e si incazza. E lui, per giustificarsi, confessa la sua cleptomania.
Quelli della notte.
Che periodo pazzesco, alla fine eravamo una sorta di Beatles, ovunque andavamo c’era la folla, tutti ci richiedevano, compresa la famiglia Agnelli.
E…
Arbore fu un maestro a capire che non avevamo bisogno di una scaletta: noi sapevamo il tema della puntata poco prima d’entrare, il resto era pura arte d’improvvisazione.
Voi delle star.
Una volta Maurizio Ferrini arrivò con un’ora di ritardo, Renzo imbestialito; e lui: “Ero a Botteghe Oscure per un intervento sul comunismo”.
Più volte è andata a Sanremo come intervistatrice.
E anche lì ho avuto attacchi di micropanico; ma tanto è un classico.
In che senso?
Tutti a Sanremo vivono nel panico. Tutti. Per questo c’era un’infermiera che propinava a chiunque iniezioni di ansiolitici. Si chiamava Giorgia e la sua stanza da lavoro era nei sotterranei.
Nella biografia, oltre ai suoi genitori, anche lei si definisce birichina…
Anche io mi sono divertita (e allude al sesso).
Un no?
A Sandro Ciotti; era fisso alla Bussola a giocare a carte con il patron Sergio Bernardini e altri personaggi. Ci prova, ma gli do buca due volte, alla fine scocciato estrae il suo orgoglio: ‘Tu non sai a chi hai detto di no”; non è finita: dopo anni, anni e anni mi scrive una cartolina, che ho ancora: “Hai perso una grande occasione, quella di essere considerata da Sandro Ciotti”.
Renato Zero nella postfazione la definisce “l’eterna ragazza”.
E mi conosce bene, ci frequentiamo da oltre quarant’anni, da quando veniva alla feste di Milano e lo guardavano male per il suo abbigliamento. È un grande amico.
Il suo cocktail da sbronza.
Bloody Mary salato ed è stato sempre una fonte di discussione con i barman degli alberghi: mettono troppo ghiaccio, poi chiedo sempre di abbondare con la vodka; una volta andavo a Petrus.
Il difetto che le rimproverano maggiormente.
A Milano mi chiamavano quella del “Ciuli News” perché sapevo tutto, e vengo tacciata di pettegolume: ma se le persone mi raccontano i cacchi loro, non è colpa mia.
Un grazie a…
Adesso a Suraci, un vero benefattore, poi a Renzo, sia per il lavoro che per le meravigliose esperienze e anche per qualche bonifichino nei momenti di difficoltà; poi con Renzo siamo entrambi molto legati al ricordo di Mariangela (Melato): ancora oggi quando viene a Milano lo vedo piangere per lei.
Lei oggi.
Sto bene da sola non voglio nessuno nel letto, mi arrotolo tutta e a volte mi do fastidio anche da sola. E se qualcuno viene a dormire da me neanche riesco a chiudere gli occhi.
Personaggio letterario preferito…
Una volta il mio amante mi ha regalato La provincia dell’uomo di Canetti, ma non sono una lettrice accanita. Topolino?
Super eroe?
Forse Peter Pan.
Lei chi è?
(Zitta per l’unica volta. Prende fiato. Cambia tono) Ah, saperlo. Mi conosco attraverso la gente, e qualcosa la sto scoprendo ora grazie a questo libro.