La voce che esce dal telefono è di un vecchio, con un forte accento romanesco, strascicata: “Ma ancora co ‘sta storia d’er carcere de Turi e de Gramsci…. So’ Angelo Scucchia e adesso pure socialista…”. Ho raccontato sul mio giornale di allora, siamo nel ’74, l’aggressione fisica ad Antonio Gramsci già malatissimo nel carcere di Turi da parte di un gruppo di comunisti settari sino alla violenza, e un aggressore citato – che l’ha colpito con un pugno – ora se ne lamenta con me.
Ma non può negare l’episodio, del resto riportato anche nella bella biografia di Antonio Gramsci pubblicata da Peppino Fiori da Laterza nel ‘66. Nell’occasione il solo Sandro Pertini, anch’egli recluso, accorre in difesa di Gramsci. Ma Fiori non lo scrive. Eppure l’avvocato socialista di Savona era già ben noto come esponente politico, uno di quelli (Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, nel ruolo di autista Adriano Olivetti) che nel 1926 avevano fatto fuggire il vecchio leader riformista Filippo Turati, vedovo da un anno della amatissima Anna Kuliscioff, prima in Corsica e poi in Francia sottraendolo alla violenza e al carcere fascista. Pertini aveva subito una prima condanna, con Parri, per quella fuga, poi era andato in esilio in Francia, rientrando sotto falso nome nel 1928. Era stato scoperto, imprigionato, condannato e confinato (è nota la lettera nella quale sconfessa e disconosce con parole durissime la madre che a sua insaputa ha chiesto la grazia al Tribunale Speciale fascista).
Giuseppe Fiori riferisce tuttavia quanto racconta in modo illuminante un altro recluso, Giovanni Lai, sulle discussioni e sulle liti che scoppiavano frequentemente a Turi nelle ore d’aria fra i compagni comunisti. “Lo Scucchia giungeva ad affermare che le posizioni di Gramsci erano posizioni socialdemocratiche, che Gramsci non era più comunista, che era diventato crociano per opportunismo, che bisognava denunciare la sua azione disgregatrice al partito e che pertanto lo si doveva buttar fuori dal collettivo e dal cortile di passeggio”. Fra l’altro Gramsci cercava di far capire ai compagni che le guardie carcerarie ex contadini non erano i veri responsabili di certe durezze e anche per questo, si prendeva del “legalitario”, del privilegiato che non voleva perdere la possibilità di disporre di libri e quaderni per poter leggere e scrivere anche in quella galera. I rapporti di Antonio Gramsci col partito sono ormai praticamente inesistenti, non soltanto per il contrasto oggettivo, ideologico, sviluppatosi fra lui e Togliatti anni avanti, prima della affermazione definitiva di Stalin su Trotsky, Kamenev, Zinoviev e altri, ma anche per la difficoltà oggettiva di comunicare in un ambiente inquinato di spie che manipolano anche i rapporti fra i familiari. La cognata Giulia poi è in preda ad un esaurimento psichico e fisico che la rende lontana e depressa. I fratelli sono pure distanti, Mario, il più giovane, ha addirittura sposato con convinzione, già nel 1920, le posizioni fasciste invano scongiurato dal fratello maggiore. L’altro fratello, Gennaro, gli scrive da Namur una lettera resa illeggibile dalla censura. Quindi l’ispettore Saporiti che lo visita a fondo il 3 settembre 1933 e gli parla di “motivi psichici, fra i quali l’impressione di essere stato abbandonato” dai suoi. Il terzo fratello, Carlo, ha attraversato gravi difficoltà economiche, ha dovuto chiudere il negozio di scarpe a Ghilarza, trovando un lavoro precario alle Latterie Sociali di Macomer, è andato a trovarlo promettendogli che gli avrebbe scritto, ma anche di una sola lettera non c’è traccia. L’unico che gli presta aiuto – per esempio – pagandogli a Milano i libri di cui abbisogna – risulta l’economista Piero Sraffa, che è del 1898, quindi di sei anni più giovane. Il quale anche dalla cattedra a Oxford gli rimarrà amico e corrispondente affettuoso. Sono stati entrambi allievi a Torino di Piero Cosmo (come Terracini del resto) e Sraffa ha collaborato fittamente a Ordine Nuovo di cui erano redattore capo Alfonso Leonetti e segretaria di redazione sua moglie Pia Carena. Il minore dei Gramsci, Mario, ha finalmente trovato un lavoro alla Snia Viscosa rimanendo tuttavia fascista. Una situazione per Gramsci a dir poco angosciosa. La salute di “Nino” deperisce, dorme, quando le dorme, due ore per notte, molte le passa “in bianco”. Di sé dice “giro nella cella come una mosca che non sa dove andare”. Poi cominciano gli sbocchi di sangue, gli attacchi di emottisi. Trasferito alla Clinica Quisisana di Roma, viene visitato da un luminare, il professor Cesare Frugoni, che lo trova in condizioni gravissime: morbo di Pott, una infezione osteoarticolare, tbc polmonare, ipertensione a 200, crisi anginoidi e di gotta. Eppure, a fatica, funziona quel cervello al quale Mussolini voleva “impedire di pensare” e che molti compagni consideravano fuori dal comunismo. Sono gli anni dello stalinismo più feroce e della eliminazione fisica dei principali oppositori, con i comunisti italiani, come Paolo Robotti e altri meno noti, spesso a fare da spie contro altri compagni , finiti ai lager, in Siberia, o sul Mar Nero, mai più tornati di là. E Palmiro Togliatti si salva tacendo.
Tornando all’ultimo Gramsci, va ancora a trovarlo, ogni tanto, magari per distrarlo con qualche mano di carte, l’ingegner Amadeo Bordiga l’avversario accanito del 1921, il settario che però umanamente gli vuole un gran bene e lo stima moltissimo. Ma nella prima edizione delle Lettere dal carcere (Einaudi) curate da Valentino Gerratana, l’episodio, decisamente significativo non viene in alcun modo riportato. Comparirà in quelle successive evidentemente sottratte alle forbici del censore di partito.
Sulle circostanze della morte di Antonio Gramsci le versioni imperversano. Giornalisti e saggisti si cimentano con grande fervore e anche con gli esiti più differenti. L o storico Francesco Perfetti nota che Togliatti nel necrologio su Lo Stato Operaio scrive che dietro quella morte c’è la volontà di Mussolini di spegnere per sempre quella testa pensante. In una lettera della cognata a Piero Sraffa viene adombrata l’ipotesi di un suicidio (ad uso dei censori polizieschi?). Nel 2008 lo storico Piero Melograni, ex comunista, avanza l’ipotesi che possa essere stato ucciso per ordine dei sovietici. Attorno al cadavere girava parecchia gente strana. Due fatti sono certi: il certificato di morte di Gramsci – testimonia Luigi Nieddu – non viene mai redatto né tantomeno firmato da un medico. Il cadavere sarà cremato senza che risulti alcuna richiesta espressa. Mistero nel mistero.
Quando Davide Lajolo intervista Renato Mieli, padre di Paolo, sul libro dedicato ai grandi processi staliniani contro gli oppositori del regime, gli chiede di Togliatti. Il quale, come è noto, si salvò restando sempre in silenzio. Di Gramsci fece capire che non sarebbe scampato. Non avrebbe taciuto. Dopo il ’45 la glorificazione unisce, in forma di culto, Togliatti a Gramsci. Soltanto una ventina di anni più tardi si comincerà a scavare nella vera biografia di Gramsci e nel vero rapporto fra i due.