“La corruzione ostacola le indagini”

Robert Flummerfelt è un giornalista investigativo esperto dell’est Congo, l’area al confine con il Ruanda dove sono stati uccisi Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo. Ha collaborato all’inchiesta di The New Humanitarian che nel giugno 2020 ha rivelato la rete di corruzione fra il personale di alcune Ong e attori locali, e a una seconda esclusiva sullo sfruttamento sessuale di donne congolesi da parte di operatori e funzionari dell’Onu.

Chi è responsabile di stabilire il livello di sicurezza della strada su cui viaggiava il convoglio del Programma alimentare mondiale a cui si erano uniti Attanasio e Iacovacci?

La designazione spetta all’Ufficio per la Sicurezza della missione dell’Onu Monusco. In questo caso aveva dato il via libera, ma bisogna ricordare che quella è un’arteria di comunicazione essenziale in quell’area. Se viene dichiarata troppo pericolosa si bloccano anche commerci e lavoro umanitario. È notoriamente una strada pericolosa: i rapimenti sono frequenti, la zona infestata da milizie armate e criminali.

È usuale che un ambasciatore viaggi senza scorta e auto blindata su quella strada?

No, è molto inusuale. A meno che non viaggiasse in forma non ufficiale e il governo non fosse informato, ma non vedo come sia possibile al seguito di un convoglio del Programma Alimentare. Va però detto che le scorte non sono sempre un deterrente, anzi possono attirare l’attenzione.

I protocolli sono chiari: gli ospiti di convogli umanitari non possono portare armi. Nell’auto è stata trovata la pistola di Iacovacci.

Il veto esiste, ma qui è teorico. In pratica, data la pericolosità dell’area, su quella strada la regola viene spesso disattesa.

Che peso dai all’ipotesi di un’esecuzione maturata per una presunta attività di verifica di Attanasio sull’utilizzo di aiuti umanitari?

In base a quello che sappiamo per ora, penso che si sia trattato di un tentativo di rapimento di una delle tante milizie che agiscono in zona, finito male per l’intervento dei Rangers e dei militari congolesi. Ma se Attanasio stava indagando sulla destinazione di fondi umanitari… è un’attività molto pericolosa.

La corruzione fra gli operatori umanitari continua anche dopo le inchieste?

Non lo metto in dubbio. È così endemica che le Ong la mettono in conto nel calcolare i loro budget. E coinvolge funzionari del governo.

Qual è la relazione fra la missione Monusco e la popolazione?

È odiata al punto che le comunità locali preferiscono farsi proteggere dalla milizie piuttosto che dai Caschi blu.

Hai fiducia che si arriverà alla verità?

Per gli inquirenti italiani sarà molto difficile muoversi in uno scenario così complesso, e sono scettico sul fatto che possano contare su una efficace collaborazione di governo e Onu.

“Attanasio poteva essere un testimone scomodo”

“È urgente che la comunità internazionale porti avanti un’inchiesta indipendente per conoscere la verità sulla morte del nostro ambasciatore”. La nostra fonte, che preferisce restare anonima per motivi di sicurezza, lavora in una Ong “amica” locale che opera nella regione del parco dei Virunga, nella parte est della Repubblica Democratica del Congo. Non esita a parlare di Luca Attanasio, che già altre volte era stato a Goma, come del “nostro ambasciatore”. Ben (lo chiamiamo così) ci ha detto che nella zona delle “tre antenne” ci è arrivato dopo l’agguato al convoglio in cui si trovava l’ambasciatore italiano, per raccogliere “informazioni sul posto” e portare avanti la sua contro-inchiesta, perché secondo lui nessuna “seria” è stata aperta dalle autorità congolesi. “Analizzando il modo in cui l’azione è stata condotta, c’è da credere che sia un colpo ben pianificato da persone informate che conoscevano gli spostamenti dell’ambasciatore – dice –. Pensiamo che gli assassini abbiano ricevuto istruzioni dall’inizio alla fine”. Per Ben non c’è dubbio che chi ha ucciso Luca Attanasio, e con lui il carabiniere Vittorio Iacovacci, che gli faceva da scorta, fosse al corrente della missione, come ha suggerito la moglie dell’ambasciatore, Zakia Seddiki, al Messaggero: “Qualcuno che conosceva i suoi spostamenti ha parlato, lo ha venduto e lo ha tradito”. Ma chi? E per quale motivo? Si sa che quel giorno l’ambasciatore, che si era dimostrato sensibile alla tutela dei bambini, era in visita una mensa scolastica nel Rutshuru, a Kiwanja, nell’ambito di un progetto del World Food Programme. Visita che Attanasio aveva fatto almeno un’altra volta, a febbraio 2020. “L’asse Goma-Kiwanja è classificato come pericoloso. Sin dall’inizio – precisa Ben – ci interroghiamo sulle modalità il cui i responsabili del Wfp hanno organizzato il viaggio”. Che Luca Attanasio partecipasse a una missione “gestita dall’Onu” e “non era in viaggio per attività diplomatica italiana”, lo ha confermato anche il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, a RaiNews 24: “È evidente – ha detto ieri – che la sicurezza è stata gestita male”. Anche la Farnesina aveva classificato la zona ad “alto rischio”. L’ipotesi che Ben privilegia è che ci sia una responsabilità di alcuni agenti del Wfp. Un’ipotesi su sfondo di corruzione e di frode agli aiuti umanitari, pratica non rara tra le Ong come rivelato da un’inchiesta del 2020 di The New Hamanitarian. Nel 2020, il Wfp ha ricevuto più di 8 miliardi di dollari da diversi donatori per i suoi programmi alimentari nel mondo, di cui 37 milioni dall’Italia, secondo dati del sito dell’agenzia. “Si sospetta che i fondi destinati alla costruzione della mensa scolastica non fossero stati usati correttamente. Che una parte dei fondi sia stata deviata e l’ambasciatore, che andava sul posto a verificare che tutto andasse bene, fosse un testimone scomodo da allontanare”, spiega Ben. Si ipotizza, in secondo luogo, che i fondi “deviati” fossero italiani o in parte italiani. Informazione questa che al momento non è confermata. Il sito dell’Ocha indica che, nel 2020, la Rdc ha ricevuto poco più di 800 milioni di dollari di fondi umanitari, di cui poco meno di 1,2 milioni dall’Italia. Ma sul posto, ci spiega Ben, si seguono anche altre piste. Una porta in Ruanda: “Sembra che l’ambasciatore stesse infastidendo il governo ruandese – dice –. Forse voleva andare a visitare le zone delle fosse comuni, o che forse stesse cercando di aprire un dialogo tra governo ruandese e Fdlr, le forse democratiche per la liberazione del Ruanda”. Ma non si esclude il ruolo di certi militari congolesi delle Fardc che “sono immischiati in attività illecite nella regione e collaborano con gruppi armati e non esitano a sequestrare anche operatori umanitari per chiedere riscatti”.

“Eliminate Khashoggi”, firmato Mbs

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman autorizzò l’operazione per catturare o uccidere il giornalista dissidente Jamal Khashoggi, nell’ottobre 2018. Lo afferma un rapporto dell’intelligence degli Stati Uniti, diffuso ieri dall’Amministrazione Biden. Il principe ereditario saudita, noto come Mbs, 35 anni, uomo forte del regime, considerava Khashoggi una minaccia per il regno e propugnò il ricorso alla violenza per metterlo a tacere. Khashoggi, che viveva esule negli Usa, denunciava il consolidamento del potere autoritario di Mbs, che ora Biden vuole chiamare a rispondere delle sue azioni. Il rapporto di 4 pagine, declassificato e pubblicato integrale dai media Usa, la cui principale conclusione era già nota e che non rivela altri fatti inediti, cita 21 persone che gli 007 ritengono con molta probabilità complici o responsabili della morte del giornalista dissidente. Il succo del documento era già noto, ma Trump aveva deciso di ignorarlo.

Molti degli elementi su cui si basano le conclusioni del rapporto restano classificate: fra gli altri, dettagli ottenuti dall’intelligence turca, delle registrazioni dell’assassinio e dello smembramento dell’esule, il 2 ottobre 2018, nel consolato saudita di Istanbul, dov’era stato attirato in una trappola. Stilato dall’Ufficio del Direttore della National Intelligence, il documento, chiesto dal Congresso, potrebbe spingere le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita al punto più basso. Se re Salman, 85 anni e mal in arnese, è il capo dello Stato, Mbs è l’uomo che di fatto governa il Paese e ne controlla l’apparato di sicurezza. Non è chiaro quali passi Washington intenda fare per rispettare l’impegno di Biden a fare pagare i responsabili del delitto Khashoggi. Parlamentari bipartisan hanno suggerito sanzioni che vanno da restrizioni economiche alla proibizione di fare affari con Riyad. “Ci sono un gamma di opzioni”, dice Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca. Ma Politico e altri media scrivono che le misure punitive non toccheranno Mbs, per evitare una crisi gravissima tra Washington e Riyad, ma il generale Ahmed al-Asiri, ex n. 2 dell’intelligence saudita. La pubblicazione del rapporto segue di poche ore il primo colloquio tra Biden e il re Salman, ben diverso da quelli tenuti nell’era Trump: Biden ha sollevato i temi del rispetto del diritti umani e della parità di genere – punti deboli del regime saudita – e ha messo sull’avviso re Salman delle possibili conseguenze della pubblicazione del rapporto. Bin Salman ha sempre negato il coinvolgimento nell’omicidio Khashoggi, ma ne ha accettato la responsabilità come leader del Paese. È lo stesso MbS che solo qualche settimana fa si relazionava con Matteo Renzi nel corso di una conferenza. L’ex premier italiano è membro del board di un istituto del Regime Saudita, il Future Investment Initiative (Fii), e ha accettato di essere retribuito con 80 mila dollari all’anno per il suo impegno. Il Fii organizza la cosiddetta Davos nel deserto, l’evento che si tiene a Riyad dal 2018. Durante l’edizione dello scorso gennaio si è tenuto l’incontro tra MbS e Renzi, che ha definito l’Arabia come luogo del nuovo Rinascimento.

Per Mbs, l’uscita di scena di Trump e del genero Jared Kushner, l’uomo dietro le scelte Usa per il Medioriente, è stato un duro colpo. Tanto più che il magnate non ha potuto concedergli una sorta di ‘salvacondotto’ per i delitti di cui possa essersi reso responsabile perseguibili dagli Usa. Ora gli sarebbe davvero servito. La telefonata a re Salman e il rapporto contro Mbs sono un doppio segnale di Biden: avere come interlocutore il re e non il principe; e ricalibrare la relazione con Riyad, anche in vista di una ripresa del dialogo sul nucleare con Teheran. Cambio di passo evidente quando Biden ha imposto uno stop, sia pure temporaneo, alle vendite di armi a Riyad e ha tolto l’appoggio alla guerra nello Yemen, dove i sauditi stanno con il governo sunnita contro gli insorti Huthi sciiti sostenuti dall’Iran.

Mascherine, il fornitore già segnalato all’Uif. “Questa è stata un’annata straordinaria”

Un “sodalizio” che era stato “capace di interloquire e di condizionare le scelte della Pubblica amministrazione”. Sia quelle della struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri, sia “società a partecipazione pubblica, prima tra tutte Leonardo Spa e Terna Spa”. È quanto scrivono i finanzieri in un’informativa agli atti del fascicolo aperto per traffico di influenze illecite della Procura di Roma in relazione all’affare sulle 801 milioni di mascherine, acquistate dallo Stato a marzo 2020 dalla Cina per 1,2 miliardi di euro. Tra gli indagati, l’ex giornalista Rai Mario Benotti e l’imprenditore Andrea Tommasi. Secondo i pm, con altri, avrebbero ottenuto provvigioni occulte dalle aziende cinesi superiori a 70 milioni di euro in totale. Forniture che per la Procura riescono a piazzare grazie ai rapporti di Benotti con il commissario Arcuri (indagato per corruzione, per lui è stata chiesta l’archiviazione). Dalle carte dell’inchiesta adesso si scopre che uno dei fornitori cinesi, la Wenzhou Light Industrial, era stato segnalato dall’Uif di Bankitalia “per aver ricevuto tra il 2011 ed il 2014 numerose rimesse in contante dall’Italia, per complessivi 5 milioni di euro”, oltre a “bonifici disposti da società italiane segnalate in contesti riconducibili alle frodi fiscali”. Fonti della struttura di Arcuri spiegano che questo tipo di segnalazioni “non sono visibili se non all’autorità giudiziaria”. Agli atti però emerge come la rete del “comitato di affari” arrivava anche in altre aziende pubbliche. Per chi indaga, Antonella Appulo, ex funzionaria del Mit, ha ottenuto attraverso la “mediazione illecita” di Benotti “un incarico all’interno di Terna Spa”, grazie “alla conoscenza vantata nei confronti di Scornajenchi (estraneo all’indagine, ndr) Ceo del Gruppo Terna”. Secondo i pm, Appulo era “l’insider” per “agganciare” funzionari pubblici “ignoti”. Non solo. Per gli inquirenti, Tommasi avrebbe accreditato una piccola parte delle commissioni percepite “a favore di un ex funzionario di numerosi ministeri connesso ad indagini per legami tra la criminalità organizzata e gli ambienti politici. È lo stesso Tommasi che intercettato con Benotti dice: “Il mercato delle mascherine è un… è come la Borsa, ok? Oggi i prezzi sono bassi, ma domani son troppo alti…”. “Per la faccenda delle mascherine, se non c’erano le conoscenze di Andrea mediche… col cazzo che Andrea faceva gli affari che ha fatto”, dice in un’altra intercettazione una collaboratrice di Tommasi, secondo cui quello appena trascorso “è stata un’annata straordinaria”.

Milano, almeno dieci nuovi indagati nell’inchiesta sui fondi della Lega Nord

Quella sulla Lombardia Film Commission è solo la prima tranche di un’inchiesta più ampia che la Procura di Milano sta conducendo sulle finanze della Lega. Nel filone principale ci sono infatti almeno dieci indagati per vari reati fiscali e per peculato. Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il sostituto Stefano Civardi stanno lavorando insieme al nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza e agli investigatori di Banca d’Italia sulla base di decine di fatture emesse da vari fornitori nei confronti della Lega, analisi dei conti correnti del partito e alcuni documenti acquisiti dalla Procura di Genova, che nel frattempo indaga per il presunto riciclaggio dei 49 milioni di euro. La vicenda del capannone di Cormano, comprato dalla Lombardia Film Commission con 800mila euro pubblici alla fine del 2017, secondo i magistrati milanesi sarebbe dunque solo la punta dell’iceberg, un filone stralciato dall’inchiesta principale (quella, appunto, sui soldi della Lega) per arrivare subito a conclusione giudiziaria. Dopo il patteggiamento a 4 anni e 10 mesi deciso a gennaio per Luca Sostegni, ieri è stato infatti il turno del commercialista Michele Scillieri e di suo cognato, Fabio Barbarossa: accusati di peculato e turbativa d’asta, i due hanno ottenuto il patteggiamento rispettivamente a 3 anni e 4 mesi e a 2 anni e 1 mese. Per l’inchiesta su Lombardia Film Commission restano dunque aperte solo le posizioni dei commercialisti del partito, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, accusati di peculato e turbativa d’asta, e quella del principale fornitore del Carroccio, Francesco Barachetti, imputato per peculato e false fatture. Per loro il gip Giulio Fanales ha già accolto la richiesta di giudizio immediato avanzata dalla Procura. In attesa del processo (i tre potrebbero anche optare per il rito abbreviato, che esclude la possibilità di chiamare in aula testimoni), l’attenzione degli inquirenti è ora puntata sui fornitori che negli ultimi anni hanno beneficiato di generosi pagamenti da parte della Lega. Gli indagati, come detto, sarebbero almeno una decina. Tra questi ci sono ancora una volta, con nuove ipotesi di reato, Di Rubba e Manzoni: i due contabili scelti come custodi delle finanze leghiste dal tesoriere del partito, Giulio Centemero, e dal leader, Matteo Salvini.

Fregolent, bonus Covid per il centro estivo del figlio

“La senatrice Sonia Fregolent segnala che è indispensabile una gestione oculata di tutte le risorse, ed è necessario porre rimedio a sprechi e inefficienze…”. Lo stenografico del Senato riporta così l’intervento della leghista di Sernaglia della Battaglia (Treviso), a settembre, in Commissione sanità, su investimenti e spese per risollevare l’Italia dal Covid. Oculatezza l’ha sicuramente dedicata ai ristori distribuiti dal Comune dove abita, nel Trevigiano, e di cui è stata sindaco dal 2009 al 2019, prima di fare il salto nella politica nazionale. Infatti, ha ottenuto 240 euro per la spesa sostenuta per il figlio che ha partecipato ai centri estivi. In tutto sono state 8 le famiglie che hanno chiesto e ottenuto il bonus, tra queste anche quella della senatrice, che fa l’avvocato per l’Asl, è ancora consigliere comunale e percepisce uno stipendio da parlamentare. Illegittimo? No, ma forse poco opportuno vista la crisi che coinvolge tanti cittadini. Quando è scoppiata la buriana, ha detto: “I soldi li ho donati a un’associazione di volontariato”.

Mail Box

 

Lombardia, il vaccino si prenota col cellulare

Caro Travaglio, la mia Lombardia, nella persona della signora Moratti, mi ha confezionato un grazioso regalo: alle ore 8 del 16 febbraio mi reco in farmacia per la prenotazione del vaccino; mi accorgo di aver dimenticato il cellulare. Poco male: comunico il numero fisso di casa. Passano i giorni e osservo che diversi conoscenti che hanno prenotato dopo di me si sono già vaccinati. Chiedo, quindi, lumi al servizio informazioni. Risposta: “I numeri fissi di casa finiscono in coda indipendentemente dagli anni e dalle patologie che negli anni si sono accumulate”. Sarebbe interessante sapere chi ha preso questa decisione discriminatoria.

Luigi Perego

 

Perché è caduto Conte? Bernabè ha la risposta

Gentilissimo direttore, si è chiesto più volte perché è caduto Conte, ci ha offerto diverse ipotesi… Ahimé tutte sbagliate! Tra i tanti opinion leader del taglio di Minzolini e Cirino Pomicino, è finalmente arrivata una voce chiara e autorevole a sgombrare il cielo: un simpaticissimo Bernabè. Alla fine è arrivata in diretta su La7 la sorda verità quando Franco ha scandito chiaramente e con ritrovato gaudio: “Mi sembra una grande differenza che finalmente si convochi il Cdm alle 9 e non alle undici di sera. Alle undici di sera credo che ci sia poca gente lucida”; quindi, dato che è tutto così semplice, chiaro e lapalissiano, la saluto esprimendo il mio dispiacere per non aver letto nulla al riguardo.

Gabriele Gennuso

 

Per i “giornaloni” Mario è l’unico visionario

È stato mortificante sentire nel dibattito parlamentare e leggere poi sui giornaloni – ormai giornalini di parrocchia con tutto il rispetto per la parrocchie –, interventi che si compiacciono perché finalmente c’è una “visione”. E ci sono progetti. Ma noi cittadini, li abbiamo eletti proprio perché in campagna elettorale ci proposero visione e progetti. Ora scopriamo che li ha solo il presidente Draghi e si doveva attendere lui, inviato dal “destino benevolo”? E allora perché hanno chiesto il nostro voto? A che serve il Parlamento se si è lì solo per dare esecuzione alla visione ai progetti di un presidente arrivato da chissà dove? Poi, spudoratamente, concludono tronfi: “Noi ci siamo con le idee di sempre”. Cioè, nessuna.

Melquiades

 

Moni Ovadia pro Meloni: i pareri dei lettori

Vorrei dire a Modi Ovada, che leggo e stimo: elogiare le qualità politico-tattiche di Meloni è come affermare che Mussolini ha fatto anche cose buone.

Roberto

 

Concordo con quanto scritto da Moni Ovada e credo dovrebbero farlo tutti quelli “autentici” di sinistra.

Raffaele Fabbrocino

 

Il mio riferimento storico è Sandro Pertini, la sua frase “a brigante brigante e mezzo” l’ho sempre ritenuta illuminante. Com’è possibile che anche una lucida mente come Ovadia possa farsi ingannare dalla presunta coerenza della Meloni?

Gerardo Nocera

 

Giustissime le considerazioni di Moni Ovadia. Solo un marxista le può esprimere ed essendo un vecchio elettore del Pci, io mi associo a Moni.

Paolo

 

“Fuori fase”, una rubrica ironica e molto riflessiva

Caro Padellaro, tutti i miei complimenti! Il tuo Fuori fase mi strappa sempre un sorriso. Quasi sempre amaro mentre, con ironia sopraffina e levità, descrive il peggio dell’Italia.

Giuseppe Salerno

 

Un nuovo soprannome perfetto per Renzi

Propongo di cambiare nome (sic!) all’Innominabile. Che ne pensate di Insopportabile?

Marco Magliocchetti

 

Li lascerei entrambi. Ad abundantiam.

M. Trav.

 

Non ho capito l’articolo di Grasso sul “Corriere”

Caro Travaglio, vorrei un suo commento sul pezzo di Aldo Grasso (Corriere del 13 febbraio) dove parla della trasmissione Lui è peggio di me, dove viene citato in modo ironico: “il programma verrà ricordato per la presenza di Marco Travaglio nella sua migliore esibizione: il sorcino. Non contento di essere tutte le sere ospite di Lilli Gruber, detronizzato dal ruolo di ideologo del M5S, intronato dalla presenza di Draghi, Travaglio ha sentito il bisogno di sfoggiare il repertorio del cantante di riferimento, Renato Zero. Deposta la maschera del ghigno, appariva soddisfatto, appagato, avendo trovato quello che tutti inseguono, quello che pochi incontrano: la sorcinità. Il suo vero universo di riferimento”. Cosa ha voluto dire?

Giuseppe Pasquini

 

Caro Giuseppe, è il suo modo di comunicarci che conduce una vita molto triste, dunque detesta chi riesce ancora a divertirsi. Credo che il suo editore Cairo l’abbia poi informato che io sono ospite di Lilli Gruber non tutte le sere, ma una sera a settimana; ma con il dovuto tatto per non incorrere nelle sue ire (Grasso, con i padroni, è notoriamente ferocissimo).

M. Trav.

Brescia. “Da medico sono indignato: troppi contagi causati dalla movida”

 

Buongiorno, sono un medico bresciano arrabbiato per la moltitudine di persone che nei giorni e nelle settimane scorse, prima che la provincia di Brescia venisse dichiarata zona arancione rafforzata, ha affollato piazze, metropolitana e luoghi prescelti dalla movida locale. In diversi casi con spavaldi volti senza mascherina che confidavano nell’impunità. L’altro giorno, Brescia contava 901 persone con nuova positività al Covid-19, che conferma la recente tendenza all’estensione del contagio. Le rianimazioni degli ospedali sono già piene e i pazienti infettati dal virus e non domiciliabili aumentano senza sosta. Tornano sensazioni già provate, che vorremmo dimenticare, e che invece si ripresentano.

Un medico del Gruppo “Siamo Tutti Ippocrate”

 

La discordanzatra i comportamenti individuali di alcuni e l’emergenza che purtroppo stiamo ancora vivendo è – in particolare per voi medici, ma non solo – una delle fatiche che questa lunghissima pandemia ci costringe a sopportare. E lo è ancora di più in un territorio come quello di Brescia, la città che insieme a Bergamo ha dovuto piangere il più alto numero di morti durante la cosiddetta prima ondata. Impossibile però dimenticare come, in quella drammatica fase, non fosse solo la movida il termometro delle incongruenze e delle irresponsabilità. Come i lettori del “Fatto” ricorderanno, durante il lockdown totale della primavera scorsa abbiamo assistito a una folle corsa al “restare aperti” da parte delle aziende, più o meno grandi, che sono notoriamente il motore dell’economia locale. Richieste di deroghe – sulla base dei codici Ateco – che arrivavano alla Prefettura di Brescia al ritmo di 350 al giorno, weekend compresi. Il risultato furono quasi 20 mila imprese che hanno continuato a produrre – e quindi a far circolare persone – nonostante la chiusura imposta a causa dell’epidemia. La crisi economica, insomma, ha pesato più di quella sanitaria. E oltre ai tamponi e al tracciamento, quello che è mancato, oggi come allora, sono i controlli. L’impunità di cui parla danneggia per primo chi, a rispettare le regole per contenere il virus, non ha mai smesso di impegnarsi.

Paola Zanca

Sputi e corruzione: beata democrazia

Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania: ascoltate… Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria (boato). L’ora delle decisioni irrevocabili.

La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia (boato, fischi). Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di 52 Stati (boato, fischi). La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa. Ma tutto fu vano (duce! duce! duce!). Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità (…) bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia (Hitler! Hitler! Hitler!). Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire fermamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia (duce! duce! duce!). Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime. Noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di 45 milioni di anime non è veramente libero se non ha libero accesso all’Oceano (duce! duce! duce!). Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione. È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra. È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto. È la lotta tra due secoli e due idee. Italiani! In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue vittoriose Forze armate. (…) Salutiamo alla voce il Führer, il capo della grande Germania alleata (Hitler! Hitler! Hitler!). L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo (boato, delirio).

Questo è il testo integrale, o quasi, del discorso col quale il 10 giugno 1940, da Palazzo Venezia, Benito Mussolini annunciava al popolo italiano che il nostro Paese entrava in guerra contro le “democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”. Dovrebbe essere integrato dal sonoro che restituisce il timbro, la retorica, la potenza della voce del Duce (maiuscolo o minuscolo? dipende dai tempi) e soprattutto l’impressionante sottofondo. Credo che pochi italiani lo conoscano, se non per sentito dire, dopo che il fascismo, e tutto ciò che lo contorna, è stato bollato come “Male assoluto”, secondo in questa nera classifica, almeno nell’Europa continentale, solo al nazionalsocialismo. Lo ripropongo non per sbeffeggiare e vilipendere gli italiani illusi, entusiasti e atrocemente ingannati di ieri che poi non sono che, nella stragrande maggioranza, a seconda dell’età, i padri e i nonni degli italiani di oggi. Lo ripropongo per chiedere agli italiani di oggi se si credono sul serio eticamente superiori agli italiani di ieri solo perché “democratici e antifascisti” (durante il similsinistrismo degli anni 70 era obbligatorio aggiungere “laici”).

Le Democrazie sono, storicamente e statisticamente, i sistemi politici più corrotti del mondo, più delle dittature, delle autocrazie, delle teocrazie. E si comprende facilmente il perché: le varie fazioni politiche, in perenne conflitto fra di loro per procacciarsi il consenso, ricorrono molto spesso, per non dire quasi sempre, ad atti illeciti. Quella italiana, almeno in Europa, è la più corrotta di tutte, più che in Germania, più che in Spagna, più dei pur corrottissimi cugini francesi. Pervertiti sono i suoi meccanismi istituzionali a uso e consumo delle varie autocrazie, economiche e politiche. Corrotti sono i partiti, poco più che delle associazioni mafiose che proteggono, a scapito di pochi cittadini liberi, gli amici e gli “amici degli amici”. Corrotto in larga misura è il Parlamento dove siedono centinaia di inquisiti e anche condannati per reati di diritto comune e personaggi di un tale squallore che ci si chiede perché mai siano lì a rappresentare la più prestigiosa Istituzione della Repubblica. Scrive Alexis de Tocqueville in La democrazia in America: “Al mio arrivo negli Stati Uniti fui molto sorpreso scoprendo fino a qual punto il merito fosse comune fra i governati e come fosse scarso nei governanti” e aggiunge “Nella democrazia i semplici cittadini vedono un uomo uscire dalle loro file e giungere in pochi anni alla ricchezza e alla potenza: questo spettacolo suscita la loro sorpresa e la loro invidia. Essi ricercano in che modo colui che ieri era un loro eguale sia oggi rivestito del diritto di dirigerli”. Corrotta è la Pubblica Amministrazione infiltrata arbitrariamente dai partiti. Corrotta è una parte della Magistratura, soprattutto nei suoi gradi più alti. Corrotto è il mondo universitario dove, solitamente, si entra e si avanza non per merito ma per uno scambio di favori e c’è voluto un docente di origine inglese, Philip Laroma Jezzi, per smascherare un sistema che tutti conoscevano. La mafia, per parafrasare al contrario Bertoldo, sono quattro: la mafia propriamente detta, la ’ndrangheta, la camorra, la Sacra corona unita, cui si aggiunge quel “mondo di mezzo” per il quale è stata accolta con gran giubilo una sentenza della Magistratura che non lo giudicava propriamente mafioso mentre si tratta di un fenomeno ancora più grave perché le mafie ufficiali sono malavita organizzata gerarchicamente e quindi, in teoria, individuabile, il “mondo di mezzo” no, perché può essere dappertutto.

Scriveva Ignazio Silone in Vino e Pane: “Per vivere un po’ bene, bisogna vendere l’anima. Non c’è altra via”. Si riferiva al periodo fascista, ma questo vale anche, e forse ancora di più, nella democrazia italiana degli ultimi decenni.

E allora vi chiedo, italiani di oggi: siete davvero così sicuri di essere eticamente migliori dei vostri padri e dei vostri nonni e continuerete a sputare sulle loro tombe? Attendo risposte.

 

Luca e il “selfie” oltre se stesso che abbraccia il suo mondo

Luca sorride con un sorriso/ambiente, un sorriso che raccoglie tutto ciò che lo circonda. Tiene il telefonino, la sua camera, altissimo, in un selfie che nulla ha a che fare col “self”: se stesso non è l’oggetto della fotografia; egli appare quasi come un demiurgo, come la causa dell’identificazione della scena, in un dentro/fuori che sottolinea da un lato una partecipazione attiva all’evento, eppur sottraendosi ad esso con la dolcezza di un sorriso meraviglioso, timidamente complice e gioioso della complicità. I suoi occhi semi-chiusi sembrano trasferirsi nella camera, come per guardare senza apparire. C’è l’amore di un fratello che si trova a giocare la posizione del padre. Alla sua sinistra sorridono due ragazze: quella più a destra – forse la moglie – sorride aperta e segnala alla macchina “ci sono anch’io”, dove l’esserci non è il voler esserci, come spesso accade, ma essere felice di esserci, un bel sorriso di felicità solidale. La ragazza più vicino a Luca sorride invece secondo una diversa tonalità. Ella guarda la macchina dalla parte della macchina, come anticipando la foto che ne uscirà; il dito alzato nel segno dell’ok ci dice insieme che approva la foto e approva se stessa che vi apparirà. Alla destra di Luca compaiono due palmi di cui non cui non è possibile attribuire l’appartenenza, accanto alla metà del volto attento di un bambino non piccolissimo e al volto di un ragazzo curioso e insieme incerto di ciò che sta accadendo. Alla sinistra della donna, con gli occhiali, un altro bambino che saluta con un sorriso appena accennato, ma quasi dubbioso se risulterà ripreso e desideroso di esserlo. Dietro di lui, con il maglioncino azzurro, un piccolo con le pupille rivolte verso l’alto, che sembra salutare più la camera che il se stesso che potrebbe apparirvi. Alla loro destra un piccolo gruppo di ragazzi che si spintonano per comparire, più presi gioiosamente dal gioco dei corpi vicini che dall’evento: un bello spingere spensierato. In questa fotografia, in questo squarcio di luce impressa, si esperisce una gran parte della bellezza che renderebbe la vita degna di essere vissuta.