Giuseppe torna prof solo per un giorno: il futuro è in politica

Giuseppe Conte torna a Firenze da un ingresso laterale, in senso fisico e figurato. Rientra nell’Università che gli restituisce la cattedra in Diritto privato. Lo fa dall’accesso secondario in via La Pira, dove il rettorato confina col museo di Paleontologia. L’ex premier arriva da Roma a bordo dell’Alfa Romeo di servizio, l’auto dribbla i giornalisti e si parcheggia nel cortile, seguita dalla Jeep della scorta. Passa di fianco alla statua del Tirannosauro all’ingresso del giardino (minacciosa, ma pur meglio di un drago) e viene accolto dal rettore Luigi Dei.

Nella prima uscita pubblica dopo il trasloco da Palazzo Chigi, neanche una dichiarazione ai cronisti, né all’andata né al ritorno. Non è il momento di annunci, visto pure il palpabile nervosismo nel M5S. È già certo, però, che l’impegno universitario sarà flessibile, compatibile con le sue esigenze politiche. Nei colloqui con Dei e con la presidente della Scuola di Giurisprudenza, Paola Lucarelli, sono stati stabiliti i termini del suo impiego didattico nel prossimo semestre: Conte sarà in organico per lezioni, conferenze e seminari, ma “nell’ambito dell’insegnamenti già programmati”. Un ruolo laterale, appunto, perché il futuro dell’avvocato è ancora in politica.

La lectio magistralis per gli studenti dell’Università di Firenze è a porte chiuse, ma visibile in streaming. Fuori una ventina di ragazzi lo contestano per la didattica a distanza e per il diritto allo studio “calpestato”. Dentro, l’ex premier sale in cattedra, si toglie la mascherina con il logo dell’ateneo e pronuncia un discorso accademico nella forma, politico nella filigrana. Una cinquantina di minuti, 30 cartelle di file Word, un respiro ultra europeista e la versione retrospettiva dell’ex inquilino di Palazzo Chigi sulle sfide dell’ultimo anno terribile, che “ha cambiato il corso della storia”.

Il titolo, significativamente, è “lezioni dalla pandemia”. Il professor Conte qualche sassolino dalle scarpe se lo toglie: nella prima fase della crisi, ricorda, buona parte dell’opinione pubblica era contraria alla linea del rigore: “Un filone di pensiero, vigorosamente sostenuto nel dibattito pubblico, non voleva alcun intervento contenitivo. Questa tesi poggiava sull’argomentazione che la letalità del virus fosse poco più elevata di una semplice influenza”.

L’ex premier rivendica il suo metodo – la valutazione ponderata “tra la tutela della salute e gli altri interessi della persona” e si difende sul famigerato ricorso ai Dpcm (ereditato peraltro da Draghi): “Non sarebbe stato possibile affidarsi ai soli decreti legge, la cui conversione va operata dal Parlamento entro 60 giorni. Con la conseguenza che la medesima conversione sarebbe avvenuta a effetti ormai esauriti o comunque superati dal decreto successivo”. Bisogna fare in fretta, insomma: “Il ricorso ai dpcm è stato ispirato dalla necessità di dotarsi di uno strumento particolarmente agile, in modo da intervenire prontamente in base all’evoluzione del contagio”. La pagina più sostanziosa della “lezione” è per i nuovi euro-entusiasti: “Le professioni di fede ‘europeiste’ si sono moltiplicate, in Italia, in queste settimane. Alcune sono giunte inopinate, ma l’europeismo non è una moda” (chi ha detto Salvini?). E ancora: “Dobbiamo rafforzare l’Ue in modo da scongiurare la diffusa percezione che le politiche europee vengano decise in luoghi poco accessibili e in ambienti tecnocratici. Altrimenti, quando il vento cambierà e torneranno a spirare i venti nazionalisti, sarà molto complicato riuscire a contrastarli”.

Conte professore saluta il rettore e i colleghi e risale in macchina. Conte politico torna a Roma per ricominciare da capo. Lo staff di Palazzo Chigi al momento è quasi azzerato. Con lui a Firenze c’è Andrea Benvenuti, classe 1992. Era suo dottorando in Diritto privato, poi praticante presso lo studio Alpa, infine segretario particolare a Palazzo Chigi. Ora cura i rapporti con la stampa, in attesa del rientro in organico di Rocco Casalino. Nel frattempo ha un incarico da collaboratore parlamentare nel gruppo Europeisti-Maie-Centro democratico al Senato (avanguardia della fallimentare missione “responsabili”). Altro indizio che il professor Conte non ha nemmeno pensato di lasciare la politica per l’accademia.

Conte teme una “slavina” dei 5Stelle. Grillo vuole affidargli la rifondazione

Il M5S che ogni giorno perde qualche parlamentare sembra una novella di Pirandello: così è se vi (e gli) pare. Non ha ordine e solo residui di identità, il Movimento che Luigi Di Maio ora vorrebbe “moderato e liberale”. E questa confusione con morti e feriti (politici) a profusione non può piacere a Giuseppe Conte: “Molto ma molto perplesso”, raccontano, dalla situazione in cui versano i 5Stelle. Teme una frana, “una slavina” che travolga il partito. E per evitarla, dubbi permettendo, pensa a un totale riassetto del M5S, partendo dallo “spalancarne le porte” alla società civile. Idee che sono le sue condizioni, per accettare di entrare nel Movimento e diventarne di fatto il capo. Proprio come gli chiede da settimaneBeppe Grillo: pronto a dargli mano libera. Per questo ieri mattina il Garante si infuria, perché qualcuno ha raccontato alla stampa del vertice che doveva tenersi domani nella sua casa toscana a Marina di Bibbona. Nei piani una riunione decisiva, con il Garante, una dozzina di 5Stelle di peso(da Di Maio a Roberto Fico fino a Stefano Patuanelli, Paola Taverna e Alfonso Bonafede) e soprattutto Conte, l’uomo da convincere a ogni costo. Ma qualcuno ha parlato, “anche se lo sapevano in pochissimi” sussurrano dai vertici. “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere” twitta Grillo citando Wittgenstein: “furibondo”, giurano.

Così il vertice salta: o almeno questa è la versione ufficiale. Ma da ambienti vicini all’ex premier dicono che la riunione si terrà ugualmente a stretto giro. Magari altrove, quindi non nella villa in riva al mare dove nell’estate del 2019 Grillo spiegò ai big del M5S che bisognava costruire un nuovo governo con il Pd, e pazienza se Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista la pensavano diversamente. E altre fonti confermano che l’incontro potrebbe tenersi da qui a due o tre giorni.

Nell’attesa ci sarebbe già la formula per fare dell’avvocato il perno dei 5Stelle: nominarlo capo o segretario, affiancandogli l’organo collegiale a cinque appena inserito nello Statuto, ma per cui vanno ancora aperte le candidature. Però prima bisogna mettersi al tavolo con l’ex premier, che dopo l’apertura dei giorni scorsi è di nuovo incerto. “In queste condizioni non so neanche io se accetterei” ammette un contiano di ferro. Mentre alcuni parlamentari sulle agenzie rumoreggiano contro il caminetto dei big, “perché a cosa è servito fare ugli Stati generali se poi la linea cambia nel fine settimana a Bibbona?” obietta il deputato Francesco Berti, vicino a Davide Casaleggio.

E proprio il patron della piattaforma web manda email ai parlamentari sui versamenti e annuncia per il fine settimana due giorni di “incontri con la base per il tour digitale di Rousseau, gli unici suoi impegni per il weekend”. Tradotto, al vertice non l’hanno chiamato. E a occhio non ha gradito, l’erede di Gianroberto: consapevole, forse, che tra le condizioni per prendersi il M5S Conte ha posto anche un ripensamento del rapporto con Rousseau. L’ avvocato non vuole più vedere questa eterna guerra tra i grillini eletti e la casa madre di Milano sui soldi delle restituzioni. “Conte non ha nulla contro Casaleggio ma vuole un sistema più semplice, senza queste continui liti” spiegano. Intende ancora puntare sulla democrazia diretta, ma anche su questo fronte vuole allargare le porte, rispetto all’attuale piattaforma. Con molti più iscritti e meno filtri. Un’istanza che incrocia il voto degli iscritti negli Stati generali, che hanno autorizzato il M5S a ridefinire i rapporti con Rousseau con un contratto di servizio. Ovvero a tenerla fuori della porta come un fornitore esterno di servizi, ammesso che Casaleggio e i 5Stelle trovino un’intesa economica. “Beppe sta cercando di mediare, in tutti i modi” giurano un paio di fonti di peso.

Il Garante non vuole una rottura traumatica. Ma è difficile trovare un punto di caduta, perché tutto è complicato nel M5S attuale. Per esempio, in queste ore si sta cercando di recuperare alcuni degli espulsi dai gruppi parlamentari, che ieri hanno ricevuto l‘avviso dell’apertura di procedimento da parte dei probiviri. E la via è nelle Statuto del M5S, che prevede la possibilità di una grazia da parte del Garante, cioè di Grillo. “È riservata al Garante la possibilità di revocare l’espulsione” recita l’articolo 11. Per questo, ad alcuni è stato suggerito di sentire il fondatore, e di dare segnali pubblici di “ravvedimento”. Un’altra strada impervia, per il Movimento appeso a un sì: quello di Conte.

Pinocchiocrazia

Al netto di tutti i Peggiori che lo compongono, l’aspetto peggiore del Governo dei Migliori è che d’ora in poi nessuno crederà più alla parola di alcun politico. Non che prima la categoria apparisse granché sincera, ma qualcuno ancora si salvava. Per esempio, Mattarella: ora, dopo aver detto e fatto filtrare mille volte “dopo Conte c’è solo il voto” e averci poi regalato Draghi&C., fa onore al suo predecessore Napolitano, che giurò e spergiurò “no al secondo mandato” e poi si fece rieleggere dopo lunghi tormenti durati 10 minuti. Pensate poi a tutte le campagne del centrosinistra contro la Lega fascista, razzista, sovranista, populista, lepenista, orbanista, trumpista, bolsonarista, casapoundista ecc.: ora gli ex partigiani del Pd e LeU ci governano insieme e devono ringraziare la Meloni che s’è tirata via. Tutto ciò che avevano detto di Salvini (e dei 5Stelle suoi “complici” nel Conte-1) era pura propaganda e, si spera, eviteranno di ripeterlo alle prossime elezioni. Idem per le tirate del Cazzaro Verde contro la sinistra che tradisce i sacri confini e fa i soldi coi migranti, anzi va a prenderli in Africa. E per i 5Stelle, che almeno un limite se l’erano dato: tutti, ma non B. Infatti governano con B. e digeriscono senza neppure un ruttino il suo avvocato Sisto sottosegretario alla Giustizia (dove non hanno neppure tentato di far confermare Bonafede) e il suo prestanome all’Editoria.

Gli unici che possono dire qualcosa agli elettori senza essere sputacchiati sono – come ha scritto Moni Ovadia – la Meloni e Fratoianni. Ai quali aggiungerei i “dissidenti”, anzi i coerenti 5Stelle che si son fatti espellere pur di non ingoiare il rospo. Ma anche un altro personaggio. Quello che si “candida al Senato alle suppletive di Sassari per blindare il suo governo” (Repubblica, 5.6). Vuole “un ministero o il suo partito per restare in gioco” (Giornale, 4.2). Anzi “Draghi lo nomina commissario europeo” (Repubblica, 4.2). “Ministro degli Esteri o vicepremier nel governo Draghi” (Tpi, 4.2). “Punta alla Nato” (Libero, 6.2). “Cerca protezioni con Casalino per sopravvivere alla caduta” (Domani, 4.2). “Potrebbe correre a sindaco di Roma” (Repubblica, 4.2). “Mendica poltrone: ministro o sindaco di Roma” (Giornale, 7.2). “Cerca poltrone ma perde pure la cattedra” (Giornale, 11.2). “Correrà alle suppletive di Siena per entrare alla Camera” (Corriere, 9.2). “Cerca un’exit strategy: ministro, sindaco o presidente M5S” (Domani, 9.2). “Diventa un caso umano: che fare di lui?”, “Le paturnie del Conte in cerca di poltrona (Verità, 10.2). Lui è interessato a restare in politica, ma dice: “Non cerco poltrone, torno a fare il professore”. E tutti giù a ridere. Ieri ha tenuto la sua prima lezione all’Università di Firenze.

Mr. Suzuki lascia il volante, dopo 50 anni vissuti vorticosamente

Osamu Suzuki è una figura quasi mitologica nel mondo dell’auto. La sua decisione di andare in pensione alla veneranda età di 91 anni non è un semplice retirement, bensì la fine di una storia di quasi mezzo secolo da protagonista in Suzuki (che giusto nel 2020 ha compiuto 100 anni), dove ha fatto l’amministratore delegato, il presidente e quindi il chairman nel consiglio d’amministrazione.

È il regista dell’accreditamento a livello mondiale di uno dei più antichi marchi automobilistici giapponesi, dell’espansione vorticosa in India dove insieme a Maruti è diventato il primo costruttore. Delle alleanze poco fortunate con i tedeschi di Volkswagen e gli americani di General Motors, nonché di quella più proficua con i conterranei di Toyota, con cui Suzuki sta lavorando su powertrain a basso impatto ambientale e sulla nuova frontiera della guida autonoma. Lottando nondimeno come un leone per centrare gli obiettivi dell’azienda nonostante i tempi di pandemia.

Uomo dalla disciplina ferrea ma dal carattere gioviale, pare abbia risposto così a chi gli chiedeva se la decisione di ritirarsi a vita privata fosse dovuta a motivi di salute: “non mi preoccupa la mia salute, nell’ultimo anno ho giocato a golf ben 47 volte”.

Sarà per questo che ciò che lo attende in realtà è una pensione a mezzo servizio: continuerà infatti a sedere nel consiglio di amministrazione Suzuki, da consulente.

Difficile rinunciare a uno così, anche a 91 anni.

Il noleggio a lungo termine conviene?

Oltre che quelle sociali, la pandemia sta cambiando anche le abitudini di mobilità. L’uso dei mezzi pubblici, ove possibile, viene limitato al minimo indispensabile, mentre è più ampio il ricorso a quelli privati, che riducono il rischio di contagio. In quest’ottica vanno letti anche i dati che riguardano l’altro fenomeno che si sta verificando in Italia, ovvero il ricorso sempre più convinto alla formula del noleggio a lungo termine.

Un tempo appannaggio unico delle aziende, oggi questa è una soluzione che pare interessare anche i privati, almeno stando ai dati di una ricerca dell’Aniasa, ovvero la branca di Confindustria deputata ai servizi di mobilità: ad oggi sono più di 65 mila i privati senza partita iva a scegliere il noleggio a lungo termine e 70 mila quelli con partita iva. Oltre naturalmente alle succitate aziende: ben 80 mila hanno scelto questa soluzione per i propri dipendenti.

A ben vedere, la formula del noleggio può essere anche valida come testa di ponte per la diffusione della mobilità ecosostenibile. Tra i clienti tipo che la scelgono, infatti, ci sono parecchi giovani sensibili alle tematiche ambientali, che non si tirano indietro nello scegliere alimentazioni alternative a quelle tradizionali.

Ma il noleggio a lungo termine conviene? Dipende. Se si compra un’auto e si tiene, ad esempio, per una decina d’anni, non del tutto: in quell’arco di tempo i costi di acquisto vengono ammortizzati. Anche se c’è da fare i conti con quelli relativi agli interventi dal meccanico, più frequenti con l’obsolescenza del veicolo. Se invece si è abituati a cambiare l’auto con più frequenza, la risposta è affermativa. Costi fissi e pacchetti all inclusive, insieme a un azzeramento quasi totale delle pratiche burocratiche, attribuiscono al noleggio a lungo termine una convenienza media superiore del 15% rispetto all’acquisto e quindi alla proprietà effettiva del veicolo. Sempre che si percorrano mediamente tra i 15 ed i 25 mila km all’anno. Altrimenti si possono considerare altre formule, come noleggio a breve termine o car sharing.

 

Mercedes Classe C: il fascino discreto di essere (quasi) al top

È una Classe C. Eppure, l’ultima nata in casa Mercedes sembra una piccola Classe S, ovvero la celebre ammiraglia della Stella. Questione di stile e, soprattutto, di contenuti tecnici e tecnologici. Lunga 475 cm, l’auto è slanciata e si distingue per un design “pulito”, scevro da qualsivoglia elemento di disturbo visivo. Un linguaggio stilistico applicato pure alla versione station wagon (che ha un vano di carico che oscilla fra 490 e 1510 litri), che esordirà nelle concessionarie italiane congiuntamente alla berlina, in estate, completa di un corredo di sistemi di ausilio alla guida allo stato dell’arte.

L’aumento delle dimensioni esterne vale un abitacolo più spazioso, specie per chi siede dietro. Rivoluzionato il ponte di comando, che manda in pensione l’impostazione, più tradizionale, del vecchio modello per sposare la causa della digitalizzazione spinta: arriva quindi un grande touchscreen a centro plancia – che, a seconda degli allestimenti va da 9,5 a 11,9 pollici –, dedicato all’infotelematica a controllo vocale e leggermente orientato al guidatore, e una strumentazione digitale da 10,3” o 12,3”, che permette di visualizzare anche la cartografia Gps.

Il sistema di bordo può persino gestire alcune funzioni degli impianti domotici. Inoltre, la Classe C riconosce le impronte digitali degli utenti che utilizzano la vettura, caricando le loro impostazioni preferite. Fra i comfort da auto presidenziale ci sono i sedili anteriori massaggianti e il divano posteriore riscaldabile. Le motorizzazioni sono tutte a quattro cilindri, turbo e dotate di tecnologia mild-hybrid a 48 Volt – con motogeneratore da 20 Cv integrato nel cambio automatico a nove marce – per migliorare l’efficienza: si parte da un quattro cilindri 1.5 da 170 o 204 CV per arrivare al più prestazionale 2 litri da 258 Cv. Sul fronte turbodiesel, invece, c’è un 2 litri con potenze di 163, 200 e 265 cavalli.

Al vertice dell’offerta l’ibrida plug-in, ovvero ricaricabile alla spina, in arrivo alla fine dell’estate: è capace di 313 Cv di potenza, derivanti dalla combinazione di un motore termico da 204 Cv a cui si aggiunge uno elettrico da 129, alimentato da una batteria da 25,4 kWh (con la ricarica veloce si può fare rifornimento completo in mezz’ora); quest’ultima consente di viaggiare in modalità di marcia 100% elettrica per un centinaio di km a una velocità massima di 140 orari.

Tuttavia, vista la presenza della batteria, la capacità di carico della plug-in berlina passa da 460 a 360 litri. Altra novità tecnica è l’esordio delle quattro ruote sterzanti, che consentono di ottimizzare agilità o stabilità a seconda dei frangenti di guida. I prezzi per il mercato italiano sono ancora de definire.

“La musica non fiorisce sui prati: riaccendiamola”

L’evento farà rumore. Ma a modo suo. “Sarà un messaggio duro e preciso”, suggerisce cripticamente Cristiano Godano. I suoi Marlene Kuntz sono fra gli oltre 130 performer disseminati in altrettanti club sparsi lungo la penisola che domani sera parteciperanno allo streaming gratuito de L’ultimo concerto?. Dietro quel punto interrogativo si intuisce più un happening situazionista che un Live Aid all’italiana. Se ricalcassero l’idea dei loro colleghi spagnoli, assisteremmo a esibizioni choc dei vari Diodato, Subsonica, Agnelli & D’Erasmo, Lacuna Coil, Lo Stato Sociale, Brunori Sas, Anastasio, 99 Posse, Colapesce e Dimartino, Pinguini Tattici Nucleari, Zen Circus, Sud Sound System, Renzo Rubino e via elencando: tutti immersi nell’enigma dei palchi, a celebrare la morte della musica. A meno che Franceschini non trovi la quadra.

Godano, che combinerete?

Lo vedrete. L’estate scorsa con i Marlene abbiamo intrapreso un breve tour intitolato Andrà tutto bene?. Anche quella era una domanda. Ironica.

Risposte non ne arrivano. O forse sì? Ha sentito le novità dal governo?

Lo capiremo tra un mese. Intanto i luoghi dove suonare chiudono. La pandemia ci ha costretti a rinunciare ai live, e con i dischi non si guadagna più un euro. Le piattaforme? Un ladrocinio. Non esistono solo le star facoltose, Vasco, la Pausini o Liga che se stanno fermi anni non hanno problemi. Quando l’incubo sarà finito, avremo centinaia di artisti meno tutelati che scalpiteranno per fare concerti, ma non sapranno dove. Ci sarà la fila per esibirsi nei pochi club attivi, sperando che anche i promoter ce la facciano.

Per la politica siete quelli che fanno divertire. Però forse a fine marzo cinema e teatri riaprono…

I politici hanno dato voce al luogo comune. Vanno negli stadi ad applaudire i big senza chiedersi di quanto lavoro vi sia dietro gli spettacoli. I palchi non fioriscono spontaneamente sui prati.

Nel frattempo la filiera musicale ha perso un miliardo di euro di indotto.

Non siamo i soli: vedi il turismo, la ristorazione. Ma la cultura ha salvato l’equilibrio psichico di milioni di persone chiuse in casa. Ce l’abbiamo fatta anche grazie alle canzoni, le serie, i film.

È già iniziata l’era dei concerti solo via streaming?

I Marlene Kuntz non potrebbero mai produrre uno show virtuale faraonico come quello di Dua Lipa. Noi siamo nel sottobosco dei live artigianali, vecchio stile, mentre il mercato discografico ha abdicato in favore dei 15 secondi di Tik Tok o dei post su Instagram. Quelli come noi sono sostenuti solo da un pubblico che ci segue per inerzia, e che non possiamo spremere con biglietti salati per una serata sul web.

Smettere è un’opzione?

A 54 anni continua a piacermi fare musica, ma non posso resistere in modo eroico campando d’aria. Cambiare vita? Sul palco mi sento potente, è consustanziale in me pensare pezzi nuovi o svegliarmi in albergo nel mezzo di un tour.

Ha scritto molto sotto lockdown?

Solo in quest’ultimo mese mi sono scrollato di dosso la sensazione di inutilità. Compongo, e ho proposto al gruppo di cambiare strategia. Nei Marlene sono ingombrante, così ho fatto un passo di lato e chiesto loro di andare avanti con la creatività. Io li seguo.

Quest’anno vi eravate ricandidati per Sanremo. Amadeus non vi ha scelti. Come sarebbe stato cantare nell’Ariston vuoto?

Abbiamo partecipato a un Primo maggio tv senza pubblico e non mi sentivo smarrito. L’Ariston? Fosse stato gremito, tutti i musicisti esclusi avrebbero dovuto intraprendere una class action per far riaprire ogni spazio.

A Sanremo andaste nel 2012.

Era ed è l’unico spazio tv per arrivare a milioni di persone. I Late Show americani ospitano pure le band indie. Da Fazio non vedi quasi nessuno. Al Festival non ce ne fregava un cazzo della cagnara. Ovviamente fummo subito eliminati.

Ma faceste epoca per aver ospitato Patti Smith in Impressioni di settembre.

Qualcuno commentò: “Chi si crede di essere questo che prende per mano Patti?”. Ma era stata lei, prima di scendere la scalinata, a chiedermelo. Mi disse: “Per favore sorreggimi, ci vedo poco”.

Nel suo recente album solista Mi ero perso il cuore c’è la struggente ballata Padre e figlio. Negli ultimi frame del video compare Enrico Godano, 22 anni.

Tra noi vige il pudore di non imporci le cose. Ho scoperto su twitter cosa pensa Enrico di questo brano dove mi sono lasciato andare senza remore, chiedendogli scusa per la veemenza con cui, da quando è nato, gli impongo la mia filosofia di vita. Mio figlio ha scritto: Mi aspettavo una cosa diversa, la canzone è molto problematica, mi fa riflettere”. Lui, che è un rapper, sa che non gli romperò le scatole in altri modi. La sua generazione ha un mondo da salvare. Con più praticità e meno sogni campati in aria di noi padri boomer.

Mussolini, abusi e omertà: la legge del coach di football

Maurizio Vismara è un allenatore con le palle, un tempo “nonno” in caserma, nostalgico del Ventennio, uno squadrista, estimatore di Mussolini al quale tenta di assomigliare con una lucida pelata. “Con un moschetto e un ‘me ne frego’ dentro al cuor” come diceva Corrado Guzzanti quando interpretava Barbagli in Fascisti su Marte. E Vismara, come Barbagli, è una grottesca macchietta. Un armamentario completo per questo tecnico di football americano molto in auge nonostante la risaputa devianza, un personaggio che frequenta università e campi di gara con la stessa disinvoltura, un soggetto inquietante dalla sessualità malata. Molesta un’alunna quando insegna in una scuola media, si masturba in treno davanti a una ragazzina, incappa in squalifiche per comportamenti antisportivi. Il profilo giusto per fare il coach.

Aeroporto di Malpensa, 13 novembre 2011: un gruppo di ragazzini è in partenza per Cagliari. Solita trafila e consueto chiasso. Routine di ogni trasferta sportiva. Ma sarà una giornata da ricordare per quello che accade in un angolo dell’aeroporto, riparato da telecamere. Un ragazzino di 16 anni viene picchiato, denudato e penetrato con le dita dal suo allenatore, che si serve di un preservativo fornito da un altro ragazzo, Filippo Turrin, lo stesso che immobilizza la vittima. Insieme a Walter Petronaci si dà da fare per assecondare il maestro. Alcuni compagni di squadra riprendono le violenze, pubblicano un video sui social, poco dopo lo rimuovono. Poi si può intraprendere il viaggio, come se nulla fosse accaduto. La squadra è la Seamen Milano under 18: alle 17, quello stesso giorno, affrontano nella High School League i Crusaders a Cagliari e vincono 64 a 0. Il ragazzo violato prima di partire è regolarmente in campo. Nel settembre del 2011, ad Asiago, lo stesso allenatore è alla testa di un gruppo di under 18 per impartire lezioni di football e di vita durante un campeggio. Con la complicità di 13 atleti della squadra under 21, sottopone almeno otto minori a una sorta di “rito di iniziazione”. Le vittime, bendate, vengono accompagnate dai compagni più grandi dal mister, che abusa di loro. I ragazzi vengono fatti spogliare, in alcuni casi penetrati.

Maurizio Franco Vismara, originario di Corato e trapiantato a Bellusco, in provincia di Monza e Brianza, oggi ha 62 anni. Un coach di rango, popolare e vincente, nel football americano da trent’anni, benemerito fondatore di una squadra di ragazze.

Il 2 dicembre 2011, l’allenatore viene arrestato per violenza sessuale di gruppo. “Riteniamo ci possano essere altri fatti non denunciati”, dichiara il capo della Squadra mobile, Alessandro Giuliano, figlio di Boris Giuliano, assassinato dalla mafia a Palermo nel 1979. Per Vismara le manette scattano in seguito alla vicenda di Malpensa. Il presidente della Seamen Milano, Marco Mutti, dichiara: “Atteggiamenti rudi, ma siamo basiti. Ha i titoli per allenare la Nazionale, chi poteva aspettarsi una cosa del genere?”. Tutti. Vismara non faceva mistero dei suoi metodi brutali né delle sue devianze. Al contrario, se ne vantava. “Ci faceva vincere”, dice il presidente dei Seamen Mutti “e i ragazzi lo osannavano. Conoscevo quell’aspetto del suo carattere e l’avevo ammonito dicendogli che alla prossima che avrebbe combinato sarebbe stato allontanato”. Mutti era anche al corrente del processo per violenza su minore che aveva in corso: “Mi assicurò che era tutta una montatura”. “Appena appresa la notizia da un altro allenatore, sono subito intervenuto, contattando la questura. L’allenatore è stato licenziato… Dieci ragazzi, di cui otto maggiorenni, hanno lasciato la squadra perché in disaccordo con la mia decisione. Questo per far capire quanto ogni allenatore sia carismatico per i ragazzi”. Come afferma lo stesso Mutti ai giudici, “il football americano non è uno sport per ballerine”.

Il 16 gennaio 2014, Maurizio Vismara è stato condannato a tre anni di reclusione. Il capo d’imputazione viene modificato da violenza sessuale di gruppo a violenza sessuale su minore. Il 7 marzo 2017, Vismara patteggerà un anno di pena per i fatti di Asiago. Avrebbe dovuto rispondere di violenza privata e violenza sessuale. Il 3 luglio 2014, la Fidaf radia Vismara. La Seamen viene condannata al pagamento di una multa di 10.000 euro. Valeria e Alessandro, i due figli di Vismara, non abbandoneranno mai il padre. Sono presenti, insieme ad altri ragazzi della Seamen, alla lettura della sentenza. Entrambi giocano a football. Quelli che lui definisce i suoi “unni” gli restano vicino anche nell’aula del tribunale, fanno il tifo per lui con cartelli e magliette. Nausicaa Dell’Orto, amica di Valeria, allenata da Vismara nel 2011 quando faceva parte delle Vichinghe, compagine femminile della Seamen e prima squadra di football americano femminile in Italia, il 23 luglio 2014 lancia un appello affinché sia concessa una seconda chance a quello che considera un padre adottivo e un maestro: “Non è affatto il mostro che descrivono i giornali”. Non è il mostro che descrivono i giornali: è molto peggio. Il guaio è non capirlo.

Le ultime battaglie dei pini di Roma

Andrà in Consiglio, finalmente, fra una settimana o giù di lì, questo benedetto Regolamento del Verde romano, in discussione dai tempi funesti della Giunta Alemanno salutata dagli alalà col braccio destro ben teso di rito, che dovrà attendere ancora qualche giorno.

Eppure quei saluti romani risalgono al 2008, cioè a ben 13 anni or sono. Ma del resto è dai giorni lontani della Giunta Veltroni 2001-2006 (due mandati, il secondo monco perché il sindaco si candidava alla Camera) che il Comune di Roma non ha più un Servizio Giardini degno di questo nome e delle sua tradizione, del suo patrimonio.

Che ancor oggi conta almeno 150.000 alberi in strade, slarghi e piazze, più gli arbusti di siepi spesso preziose, e altri 300.000 alberi nelle Ville storiche (tuttora una cinquantina nonostante cementificazioni pazzesche) e nell’Agro verde (residuale). Questo prezioso, grandioso tesoro verde è ormai affidato a meno di 200 operai comunali esperti del mestiere. Il resto è appaltato all’esterno, come in tante altre città italiane sciaguratamente. Magari a cooperative di detenuti o di ex detenuti, nobile intento se potare una siepe, magari antica, o capitozzare un albero, che esperti calcolano secolare, fosse un mestiere che non richiede alcuna particolare specializzazione.

Ci sono anni nei quali si sono raggiunti livelli di accanimento contro gli alberi romani del tutto particolari, al limite della ferocia: nei primi dieci mesi del 2016 risultano abbattuti soltanto nel I Municipio ben 123 alberi “con proprio personale”. Più altri 30 “in economia”. Sostituiti? In gran parte no, ed è il modo migliore per far diventare le aree urbane centrali, anche a Roma, autentiche “isole di calore” .

Se non è accaduto di peggio lo si deve alla costellazione di associazioni e di comitati, nazionali, regionali, locali, di quartiere che hanno ingaggiato lotte spesso furibonde per difendere anche un singolo albero ritenuto di particolare valore storico o botanico. “Abbiamo dialogato con almeno tre diverse amministrazioni”, sostengono documenti alla mano, Annamaria Bianchi Missaglia di Carteinregola, Cristiana Mancinelli Scotti di Respiro Verde e Giorgio Osti del Coordinamento Regionale Verde.

La Giunta Raggi aveva fatto una buona scelta chiamando a dirigere l’assessorato all’Ambiente e alle Ville Storiche una amministratrice decisamente esperta, Pinuccia Montanari, che aveva dato un’ottima prova a Genova sia pure alle sole Ville Storiche (là gli assessorati erano due. Giustamente). Esiste quindi un Regolamento del Verde firmato Montanari, che aveva suscitato vasti consensi. Senonché le dimissioni dell’assessore hanno praticamente bloccato tutto l’iter burocratico dall’approvazione. Esattamente un anno fa e non per questioni legate al verde, bensì alla situazione della consociata Ama difesa dalla Montanari e invece condannata quasi alla gogna da altri.

Ovviamente il nuovo assessore, Laura Fiorini, largamente digiuno della materia, ha avuto bisogno di qualche mese per impadronirsene. Fin troppo, secondo associazioni come Vas (Verdi Ambiente Società) al punto da presentare oltre 300 emendamenti più altri 130 discussi. È vero che molte correzioni non sono di sostanza, ma di pura forma, punti, virgole, punti e virgola, ecc… Però sono stati tutti inciampi.

Il film si dipana in un clima “tranquillo” per il verde della Capitale? Neanche per sogno. Se il celebre Pino di Napoli è scomparso ormai da decenni. I pini caratteristici da secoli (il Pinus Pinea) del paesaggio romano rischiano di fare la stesse miseranda fine per colpa della terribile Toumayella Parvicornis, un parassita che tuttavia può essere combattuto efficacemente con mezzi naturali. Invano lo predicano i naturalisti, gli specialisti della “guerra” naturale ai parassiti. Prediche al vento perché gli abbattitori vanno avanti con le loro motoseghe. È già successo a Firenze nel 2017 con una autentica strage di vecchi tigli a Porta Prato a causa dei lavori maldestri di una ditta appaltatrice (ovviamente) di lavori stradali, con taglio delle radici. Prontamente sostituiti ha assicurato il Servizio Verde del Comune che ancora esiste in quella città dove d’estate si arde come in un forno e soltanto il verde può mitigare quell’afa spessa.

A Roma succedono fatti strani. La Soprintendenza Archeologica, ad esempio, non sapeva nulla dell’abbattimento di pini importanti in largo di San Gregorio, pini piantati negli anni 30, nientemeno, “per creare una quinta scenografica”. Possibile che si possano impunemente azionare le motoseghe (che un po’ di rumore lo fanno) in zone storiche dove fra il Pinus Pinea e i marmi romani c’è da secoli una sorta di fusione estetica. Quando si scorge un pino malato o malmesso, invece di curarlo, lo si abbatte e buonanotte. Certo, chi si aspettava che la Toumeyella Parvicornis o Cocciniglia Tartaruga arrivasse dai Caraibi a infestare le pinete romane, laziali e campane? Ma a questo servono gli esperti. I quali sanno che certe malattie si possono curare all’inizio con mezzi modesti, irrorazioni, potature circoscritte, mirate, ecc. Tuttavia le chiome potate devono poi essere portate nei luoghi di distruzione su camion dai cassoni coperti da teloni ben chiusi per evitare contagi. Prim’ancora bisognerebbe piantare i Pinus Pinea ad almeno 15 metri di distanza l’uno dall’altro, accanto a specie affini come il Pino di Aleppo o il Pino Marittimo. Ma anche queste son cose che soltanto i botanici e anche i giardinieri molto esperti sanno o comunque studiano. Chi non le sa e vede il Pino romano malato o soltanto sofferente, lo abbatte e si toglie il pensiero. Però in tal modo impoverisce anche il patrimonio verde più tradizionale e affascinante di Roma, dall’Appia Antica ai laghi di Bracciano e Trevignano, alla Tuscia, alla Maremma. Eppure anche sulla stampa quotidiana ormai sono usciti articoli divulgativi di studi internazionali dai quali emerge con evidenza che le polveri sottili le quali imperversano nelle città, nelle grandi aree metropolitane, sono il veicolo di ogni sorta di virus, pure del Coronavirus, delle nuove pestilenze. Gli alberi, gli arbusti, i boschi, le foreste anche nelle città o nei loro immediati dintorni sono il più pacifico e tonificante dei rimedi. Specie per noi che vantiamo nella Val Padana l’area con l’aria peggiore del Continente europeo. Ma pure Frosinone (sì, Frosinone) sta piuttosto male e viene dopo la Padania “avvelenata”, ma Roma la segue da vicino e pertanto ha bisogno di verde, verde, verde, ancora verde… E ben curato.

 

È arrivato Draghi (ma anche Rocco)

Dopo il Burian è arrivato il Dragon, la gelata siberiana con i ministri e compagnia tenuti alla larga dai salotti televisivi. Si parla solo quando si ha qualcosa da dire, il contrario di prima. Forse è per questo che tanti leader lungimiranti non sono voluti entrare al governo, così possono continuare ad andare da Barbara D’Urso “di cui c’è bisogno”, come ha sottolineato Zingaretti. Intanto però ai talk tocca inventarsi qualcosa; fortuna che ci sono abituati.

La variante inglese. L’amo perfetto per agganciare l’audience: terrore, speranza e suspense, Mission impossible con il professor Galli al posto di Tom Cruise. Nella battaglia all’ultima proteina tra le varianti, presto quella inglese diventerà dominante. Dopo la vecchia ciabatta cinese farà secca la sudafricana, la brasiliana, la nigeriana, e bisognerà tenere sotto controllo anche la variante di valico. Noi la sfangheremo con la variante inglese dei vaccini, sebbene non si escludano fastidiosi effetti collaterali, come mettersi a parlare lo stesso inglese di Renzi.

Vaccini. La luce in fondo al tunnel, l’altra serie tv proposta dai talk messi a dieta dal Dragon. Crisi della produzione, emergenza piani vaccinali, ma soprattutto l’avvincente sfida tra varianti e vaccini. Pfizer batte Variante Inglese due dosi a zero; Johnson & Johnson batte Sudafricana uno a zero, tra AstraZeneca e nigeriana si aspetta la decisione del Var… Meglio del fantacalcio.

Rocco Casalino. Non abbiamo Draghi, non abbiamo nemmeno Brunetta, ma abbiamo Casalino. Fuori dal coro, Quarta Repubblica, #Cartabianca, Otto e mezzo, Non è la D’Urso (di cui c’è tanto bisogno)… Finché avere il portavoce di Giuseppe Conte poteva essere un bel colpo, non lo si è visto proprio. Da quando ha lasciato Palazzo Chigi, i salotti se lo strappano di mano per assicurarselo insieme alla copertina del suo libro. Chi l’avrebbe mai detto: al paragone con il Talk Unico Permanente, il Grande Fratello era acqua fresca.