Chi utilizza il diritto contro chi accoglie

Perquisizione in casa alle 5 del mattino. Sequestro di cellulari e pc. Comunicazione di indagine per favoreggiamento a scopo di lucro, in seguito all’ospitalità fornita a una famiglia iraniana che per varcare il confine avrebbe in precedenza pagato dei passeur

. Questo è toccato a Gian Andrea Franchi, 84 anni, animatore con la moglie Lorena Fornasir dell’associazione triestina “Linea d’ombra”, da anni impegnata nel soccorso ai migranti in arrivo dalla rotta balcanica. Il giornale locale Il Piccolo

ha parlato dapprima di un’operazione con “decine di arresti” per poi precisare che l’associazione a delinquere in questione coinvolgerebbe persone di etnia curda e che la custodia cautelare riguarderebbe una quindicina di loro. Vedremo in seguito.

Ma intanto vale la pena di riportare testualmente le parole con cui il procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, ha voluto replicare al generale sconcerto suscitato dall’irruzione in casa della coppia, ben nota per il suo impegno solidale: “Se tra gli indagati c’è chi dimostrerà che ha operato non a scopo di lucro, ma umanitario, e non sapeva che dietro al proprio lavoro volontario di assistenza filantropica si svolgevano attività illecite, la posizione sarà ovviamente archiviata”.

Segniamocele, queste parole. Vogliono dire che verso chi pratica la solidarietà siamo giunti all’inversione dell’onere della prova. Chi soccorre deve dimostrare che non ne trae vantaggio. A tanto si è abbassata la soglia della cultura giuridica di un Paese in cui la caccia ai migranti viene elevata a titolo di merito. Franchi ha precisato di considerare politico, e non solo solidaristico, l’impegno di cura e soccorso cui si dedica insieme alla moglie e ad altri volontari. Speriamo che ciò non gli venga addebitato come aggravante.

Mazzetta record: 90mila pezzi da 50

Una settimana di grandi cifre, grande entusiasmo e soprattutto grande ottimismo. Grazie al crac di 41 miliardi nel settore ristorazione, a causa del Covid, qui a Criminopoli abbiamo raggiunto un risultato eccellente: le mafie – secondo la Dna e la Coldiretti – controllano circa 5mila piccole imprese legate all’agroalimentare. E si può migliorare! Va meravigliosamente anche sul fronte della corruzione: dal 18 al 25 febbraio contiamo 32 nuovi indagati. Ben 8 in più della scorsa settimana! Totale dal primo gennaio 2021: 155. In media 2,7 indagati al giorno. E diciamolo, come possiamo non conferire il premio Mazzetta della Settimana a Salvatore Abbate, imprenditore nel ramo rifiuti: la Guardia di Finanza, nella sua cantina, per sequestrare 4,6 milioni ci ha impiegato ben 9 ore: erano quasi tutti in tagli da 50 euro. Circa 90mila banconote e tutte impacchettate! Una fatica immensa. Speriamo venga ristorata dal nostro premio (per quanto simbolico). Resta inteso che ad Abbate, se si scoprisse che con questa super mazzetta di mazzette non dovesse avere nulla a che fare, il premio sarà ritirato. E sarà conferito al signore cinese che ieri, mentre la Gdf gli sequestrava 140mila scarpe contraffatte, ha infilato 850 euro nella tasca di un finanziere dicendogli: “Prendi questi soldi, non sequestrare nulla, andate a prendervi un caffè”. È stato arrestato. Ma ha mostrato lo spirito giusto. Fronte mafie: i nuovi indagati per associazione di stampo mafioso sono 63 (3 in più di 7 giorni fa) e portano il totale del 2021 a 495 (8,8 ogni 24 ore). Sequestri e confische per reati di mafia? Questa settimana 50,8 milioni. Il totale 2021: 870,6, ovvero 15,5 milioni al giorno. Ah, dimenticavamo: lo Stato non cattura Matteo Messina Denaro da 10.130 giorni.

 

Mail box

 

Pavlicenko, un’eroina dell’antifascismo

Caro direttore, la rievocazione di Ljudmila Pavlicenko, l’eroina della battaglia di Sebastopoli (Michela Iaccarino nel Fatto del 25 febbraio) richiama alla memoria il bellissimo film russo Resistence. La battaglia di Sebastopoli che si apre con il suo incontro con Eleanor Roosevelt, moglie del presidente degli Stati Uniti:

“D: E voi chi siete?

R: Sono un cecchino.

D: Una donna cecchino?

R: Sì, nel nostro Paese le donne combattono in guerra insieme agli uomini.

D: E quanti uomini ha ucciso?

R: Nessun uomo, solo fascisti. Trecentonove”.

Nicola Ferri

 

Più uomini in piazza per scusarsi con le donne

Dobbiamo dire basta e chiedere scusa. Altre donne uccise da uomini che avrebbero dovuto amarle. È una strage, terribile e continua. È il genere maschile ad essere sotto accusa per i troppi silenzi. Non possiamo far finta di niente, dobbiamo farcene carico. E allora scendiamo anche noi in piazza, per chiedere scusa alle donne. Noi lo faremo trovandoci in piazza San Michele ad Albenga domani alle ore 18 esatte. Chiediamo insieme scusa per i nostri silenzi, per aver girato la testa da un’altra parte, per aver sopraffatto le donne, passando loro davanti non perché più bravi ma solo perché uomini. Le giuste regole da rispettare per l’emergenza Covid ci impediranno di essere tanti, ma allora potremmo fare così: ogni uomo che vorrà e potrà esserci fisicamente si faccia chiamare sul telefono cellulare da un amico che non può essere lì, in modo che la piazza sia piena del suono assordante di chiamate senza risposta. Facciamo squillare tutti insieme i nostri telefoni. Per una volta invece di rispondere ad una chiamata telefonica rispondiamo alla nostra coscienza di esseri umani”.

Giuliano Arnaldi
presidente “Fischia il Vento”

 

Lettori in aumento per “lesa draghità”

Bravo direttore. Avanti tutta. Le varie rassegne stampa di regime a noi fanno il solletico. La controprova? Lettori e abbonati in aumento per “lesa draghità”.

Emanuela Burattoni

 

La “grande” importanza che dava B. alla ricerca…

Trovate la registrazione di un’intervista a Berlusconi che, quando governava, alla domanda sui soldi per la ricerca, rispondeva che in caso di bisogno avremmo comprato all’estero. Quindi niente soldi per la ricerca. Trovatela e sbattetela in faccia alla destra.

Fulvio Rosapane

 

Mantenere il vitalizio a Del Turco è ingiusto

È scritto in tutte le aule dei tribunali italiani che “la legge è uguale per tutti”. Ancora una volta, siamo stati smentiti. Il Consiglio di presidenza del Senato guidato da Casellati ha stabilito invece, incurante della legge, di lasciare il vitalizio a Del Turco nonostante abbia un Isee di oltre centomila euro e immobili per oltre 20 mila euro. Allora le cose da farsi sono o la rimodulazione di tutti gli Isee d’Italia portando il valore massimo agli stessi valori di Del Turco oppure lasciare il ripristino del vitalizio a Del Turco ma, a carico totale di tutti i senatori di Partito Democratico, Italia Viva, Lega e Forza Italia. Perché non è giusto che ancora una volta sia il popolo a pagare per un condannato che ha preso mazzette. Vorrei ricordare che oltre il 90% dell’Irpef italiano viene pagato da operai e pensionati. E ho detto tutto.

Luigi Pavan

 

Legge proporzionale: pro e contro

Egregio Travaglio, ma perché il nostro giornale non dice una parola su questa falsa democrazia del sistema elettorale proporzionale? I nostri governi non durano oltre un anno di media, all’estero perdiamo di credibilità ormai da anni e, anche i migliori politici non possono prendere impegni. È palese che il popolo non decide nulla col voto, tanto poi i partiti sono costretti (e apparentemente giustificati) a fare le alleanze anche con Renzi o altri pregiudicati, pur di dare un governo qualsiasi al Paese. Una volta scrisse che avrebbe usato il nostro giornale anche per denunciare problemi e per stimolare la soluzione di alcune tematiche. Allora perché non leggo mai una riga su un sistema elettorale che nega assolutamente il potere del voto al popolo?

Biagio Stante

 

Caro Biagio, il problema non è il proporzionale. Sono le liste bloccate dei “nominati” dai capi dei partiti previste prima dal Porcellum, poi dall’Italicum e ora dal Rosatellum. Le abbiamo sempre denunciate e continueremo a farlo finché non spariranno.

M. Trav.

 

Bisogna disincentivare i ricorsi in appello

Dopo il sacrosanto blocco della prescrizione (che speriamo non venga cancellato), ora rimane un solo provvedimento per dare efficienza alla Giustizia… Mi riferisco all’abolizione del “divieto di reformatio in peius”, legge questa che di fatto pigia l’acceleratore su valanghe di richieste di appello in secondo grado e in Cassazione. Il “divieto di reformatio in peius” allunga a dismisura i tempi della giustizia e va eliminato al più presto.

Marco Scarponi

 

Caro Marco, dubito che con questa maggioranza ci arriveremo. Aspettiamo la prossima.

M. Trav.

 

Non ha senso votare se poi arrivano i tecnici

Votare sarà anche un diritto e un dovere, ma visti i risultati di decenni contraddistinti da crisi di governo continue, inciuci, interventi di presidenti della Repubblica per la formazione di governi tecnici, a cosa serve andare a votare?

Maurizio Todaro

Ex governo “Io, ingegnere di Stato, rimpiango il presidente Conte”

Gentile redazione, sono un ragazzo di 28 anni, sono un ingegnere civile e lavoro attualmente nello Stato come Istruttore tecnico polifunzionale. Sono entrato a lavorare nello Stato da poco, dopo aver vinto il concorso pubblico a cui studiavo da quasi un anno. Ero entusiasta di poter lavorare con i cittadini e per i cittadini, in particolar modo in questo periodo in cui il mio Stato aveva e ha bisogno di me. Ero ancora più orgoglioso di poter lavorare per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il quale ha potuto mostrare la sua capacità e abilità nel gestire una situazione inedita e di assoluta complessità. Se ciò non bastasse, è riuscito a riposizionare l’Italia nel posto che merita tra i grandi Paesi d’Europa fino a conquistare i 209 miliardi che ci serviranno per rinascere. La politica come l’ha ripagato? Facendolo fuori, dando la possibilità “all’innominabile” di aprire una crisi scellerata, assurda e al limite dell’idiozia. Conte, che reputo il miglior premier degli ultimi anni, si è dimesso senza farsi sfiduciare, rimettendo il mandato nelle mani del capo dello Stato: ha fatto in modo così di agevolare la nascita di un nuovo governo ed è tornato a ricoprire i panni del semplice cittadino.

Mi auguro che voi possiate continuare a parlare di lui, anche per capire se e quando ci sarà un suo possibile coinvolgimento nella politica italiana. Noi tutti abbiamo bisogno di persone oneste e capaci… e invece ci tocca sorbirci i soliti renziani che gridano al bene dell’Italia sapendo di avere come unico scopo il loro bene e quello delle grandi compagnie e aziende a cui hanno promesso peso politico.

Con Conte abbiamo perso una grande persona, che avrebbe messo davanti il bene di noi cittadini, preferendogli invece uno che va ospite nei talk show a fare elenchi farlocchi e un delinquente condannato per frode fiscale. Probabilmente gli italiani questo vogliono… ma io no, e farò in modo di comportarmi ogni giorno perché le cose possano davvero cambiare.

 

Sui Ristori, Draghi rischia di perdere la fiducia del Paese

Se tutto andrà bene, il decreto Ristori 5 sarà approvato la prossima settimana. Ma verosimilmente passerà almeno un altro mese prima che i lavoratori autonomi e le imprese messe in ginocchio dal virus vedano anche un solo euro dei 32 miliardi stanziati con lo scostamento di bilancio di gennaio. Così, mentre la politica del “tutti dentro” si diletta con il manuale Cencelli, spartendosi poltrone su poltrone, il rischio reale per Mario Draghi e il suo esecutivo dei migliori è che presto in tanti rimpiangano i peggiori. Solo un italiano su tre, ci racconta un sondaggio di Alessandra Ghisleri, è soddisfatto dalla nuova squadra di ministri. Una percentuale bassissima rispetto a quelle di solito riscontrate in occasione della nascita di un nuovo governo. Un risultato choc che rende reale la prospettiva di una luna di miele assai breve tra Draghi e il Paese.

Molto dipenderà dai Ristori. Perché come al solito sono i soldi, lasciati o messi in tasca agli elettori, a fare la differenza. Ma qui Draghi parte in salita. La crisi del governo Conte innescata da Matteo Renzi ha avuto come conseguenza il blocco della preparazione del decreto. Il 25 gennaio, il vecchio ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, era piuttosto avanti col lavoro. Tanto che già per la settimana successiva si ipotizzava il varo di norme in grado di finanziare con molti miliardi chi ne aveva bisogno. Poi sono arrivate le dimissioni di Conte, le manovre per tentare di formare un nuovo governo, i no di Renzi e il giuramento di Draghi del 13 febbraio. E si è così arenato il progetto di smetterla con i pochi soldi dati in base ai codici Ateco (un sistema che aveva escluso molte categorie) per passare a interventi mirati nei confronti di chi nel 2020 aveva perso il 33 per cento del fatturato coprendo i costi fissi (affitti e utenze), come si sta già facendo in Francia e Germania. Draghi ha detto di condividere questa impostazione, spiegando di voler scegliere tra quali attività “proteggere” e quali “accompagnare al cambiamento”.

Farlo però è complicato. E soprattutto richiede l’invio di nuova documentazione da parte di chi avrà diritto al ristoro. Insomma, se a dicembre (ultimo mese di aiuti) l’Agenzia delle Entrate si era potuta muovere velocemente, bonificando le somme direttamente sui conti correnti, oggi la prospettiva è che, anche con il decreto approvato, le imprese (a partire da quelle della ristorazione e dello spettacolo) ci mettano molte settimane prima di incassare. Inoltre, domenica 28 febbraio, scade lo stop all’invio delle cartelle esattoriali. Che va prorogato, magari con un provvedimento ad hoc. Per questo Draghi, già alle prese con il moltiplicarsi delle zone rosse e arancioni scure, ha di fronte a sé un futuro incerto. Popolarissimo sui giornali e tra le lobby che tanto lo hanno voluto, potrebbe presto diventare impopolare tra gli italiani al pari di tanti suoi ministri.

Intendiamoci. Sui ritardi del decreto il neo premier ha ben poche responsabilità. Quello che accade è semplicemente frutto della scelta di Renzi. Sulla squadra di governo, invece, la responsabilità è esclusivamente sua. Visto che sulla composizione dell’esecutivo ha avuto mano libera. Per uscire dall’impasse, Draghi dovrà per forza provare a parlare al Paese rassicurando i cittadini. Lo saprà fare? E soprattutto basterà per tenere buoni i tanti che da dicembre non ricevono più nulla? Ce lo chiediamo senza spirito polemico. Perché sappiamo che finora quando Draghi ha parlato ha sempre rassicurato con successo i mercati. Ma sappiamo anche che le persone sono una cosa (fortunatamente) diversa.

 

Sottosegretari, la “ricetta” di Mario sa di penne alla vodka

Caro direttore, la leghista Borgonzoni, che incredibilmente non legge un libro da tre anni, torna sottosegretaria alla Cultura di Franceschini, che incredibilmente non scrive un libro da tre anni. Quella che si candidava alla guida dell’Emilia-Romagna “confinante con Trentino e Umbria” (la Lega non era per la difesa dei confini?). Sottosegretario all’Istruzione è il leghista Rossano Sasso, che credeva di citare Dante e invece era Topolino. Ci è andata bene, poteva essere una citazione di Giavazzi. È noto per aver organizzato una ronda contro il “Bastardo clandestino” accusato – da Sasso – di stupro e risultato estraneo ai fatti (ma il forcaiolo giustizialista è Bonafede). C’è poi l’avvocato di Berlusconi, autore dell’emendamento salva-ex Cavaliere poiché Ruby, marocchina, era nipote di Mubarak, egiziano (dice Borgonzoni che Egitto e Marocco confinano).

Sono esponenti delle “Quote-fuffa” inaugurate da Draghi per attirare le poche critiche al governo e lasciare lavorare indisturbati gli altri. Draghi dà in pasto all’opinione pubblica gli strafalcioni di Borgonzoni per distrarci dai trascorsi del ministro dello Sviluppo economico Giorgetti, prima nel Msi e poi – in quota Lega e saggio di Napolitano – relatore del Pareggio di bilancio in Costituzione (“Si è battuto più di tutti per farlo approvare!”, lo elogia Monti). “Quote-fuffa” per distrarci dai conflitti di interessi del ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani, frequentatore della Leopolda e manager di Leonardo, prima industria bellica italiana, che dirotta milioni di fondi al laboratorio diretto prima da lui e poi dalla moglie (forse Grillo, che lo ha indicato, intendeva ministro della trans-Azione ecologica). “Quote-fuffa” per distrarci dai conflitti d’interessi di Colao all’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, 10 anni alla guida di Vodafone e ora consigliere di amministrazione del colosso del 5G Verizon. Per distrarci, principalmente, dai trascorsi dello stesso Draghi che, nel discorso di insediamento copia un articolo dell’ultraliberista Giavazzi e poi lo assume come consulente (deve essere una mossa per far emergere il lavoro nero). Giavazzi che a sua volta citava Draghi che citava Giavazzi sui presunti benefici dell’austerity. Abbiamo capito chi è che tramanda la ricetta delle penne alla vodka con la panna indigesta dagli anni 80. I giornali ricordano il Draghi allievo di Caffè e quello del Whatever it takes, ma dimenticano il Draghi della Goldman Sachs, quello che a bordo del Panfilo Britannia ha spiegato agli investitori privati stranieri come accaparrarsi i gioielli italiani, quello che ha chiuso i bancomat alla Grecia e che, insieme all’attuale ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, ha scritto la lettera con cui la Bce ha imposto all’Italia le riforme lacrime e sangue attuate da Monti e proseguite con Renzi in ossequio alle raccomandazioni di Giavazzi.

Dalle colonne del Corriere, l’attuale consigliere economico di Palazzo Chigi chiede e ottiene infatti il “Contratto a tutele crescenti di Ichino e Blanchard” con la fine dell’articolo 18 e il taglio del cuneo fiscale. Nello stesso articolo auspica tagli alla spesa, l’abolizione dell’università gratuita (gratuita?! Ma dove?) e della Cig. Per quello Draghi ha assoldato Cottarelli, altro grande fan del Jobs Act, che nel 2015 ha definito “possibili tagli alla spesa sanitaria tra i 3 e i 5 miliardi” e ha scritto I dieci comandamenti dell’economia italiana con l’ultraliberista Alessandro De Nicola, che oggi si rammarica per la sentenza che impone le assunzioni dei rider e plaude al contratto firmato dalla sola Ugl per legalizzare il cottimo. Dall’Ugl, non a caso, arriva il viceministro all’Economia Durigon. Per spolpare quel che resta dei lavoratori all’ombra delle “quote-fuffa”.

 

La strategia di Graviano per fiaccare l’antimafia

Filippo Graviano, boss di caratura criminale indiscussa, ha messo a verbale di volersi dissociare dalle scelte del passato e ha chiesto al giudice di sorveglianza un permesso premio. Dopo il commento di ieri di Marco Lillo, ecco altre riflessioni.

Da sempre Cosa Nostra punta a ottenere benefici penitenziari in cambio di una semplice presa di distanza dall’organizzazione, senza segni esteriori di apprezzabile concretezza che consentano di aggirare le trappole. Sdegnosamente rifiutata ogni forma di “pentimento”, cioè di collaborazione attiva con lo Stato (così da riparare almeno in parte i danni causati). Nel 1987 una normativa a favore dei dissociati è stata varata per i terroristi, ma il terrorismo era ormai irreversibilmente esaurito. Mentre la mafia, purtroppo, è tuttora in gran “forma”. Per cui dare un qualche peso alla semplice dissociazione, per la mafia sarebbe contro ogni logica.

Tuttavia Filippo Graviano ha deciso di provarci. Malavitoso fin che si vuole, ma nient’affatto uno sprovveduto qualunque. Se fa una cosa deve avere una prospettiva. Forse pensa che nuovi scenari possano aprirsi alla dissociazione.

Qualcosa è cambiato quando due sentenze a stretto giro, una della Cedu (13.6.19) l’altra della nostra Consulta (23.10.19), hanno escluso che la condanna all’ergastolo per delitti di mafia impedisca (ergastolo ostativo) la concessione di benefici penitenziari, così estesi a tutti gli ergastolani mentre prima erano possibili soltanto per i detenuti pentiti, quelli che hanno fatto il salto del fosso dando una mano allo Stato. Una spallata per l’ergastolo ostativo, con evidenti ripercussioni sul pentitismo, non più decisivo per i benefici penitenziari. Sotto tiro due baluardi della lotta antimafia del dopo stragi. Nel libro Lo Stato illegale (Laterza, 2020) Guido Lo Forte e io abbiamo ipotizzato “una sorta di distacco dalla realtà”. Dei giudici europei si potrebbe pensare “che sapessero poco o nulla della realtà della mafia, mentre la stessa cosa non può dirsi a cuor leggero dei giudici italiani, che dovrebbero ben conoscere la storia della mafia e delle sue atroci efferatezze”. Ed è forse per questo che “la Cedu ha deciso praticamente all’unanimità con un solo dissenziente; mentre nella Consulta a imporsi sarebbe stata una risicata maggioranza di otto contro sette” (così Giovanni Bianconi).

Comunque sia, nella “spallata” Graviano potrebbe aver visto un’opportunità da esplorare con lo spirito di uno scout, che abbia nel suo Dna (in quanto mafioso) il camaleontismo, cioè l’abilità di adattarsi alle circostanze per cogliere ogni nuova opportunità. In quest’ottica la dissociazione di Graviano può avere un senso come apripista di un percorso che coinvolga altri soggetti e abbia come prospettiva meno 41-bis, meno ergastoli, meno confische di beni, più benefici; in un quadro di diminuzione dei pentiti e di rafforzamento di Cosa Nostra. Mi ritorna in mente un mantra di Riina: diceva che lui si sarebbe “giocato anche i denti”, cioè avrebbe fatto di tutto, per far annullare la legge sui pentiti ed eliminare l’articolo 41-bis (una sorta di interfaccia dell’ergastolo ostativo).

L’iniziativa di Graviano è una prima mossa sulla scacchiera della dissociazione. La partita andrebbe giocata dallo Stato con pragmatismo e non con astrattezze ideologiche. Riconoscendo che la realtà della mafia (confermata da mille inchieste e studi) esclude in modo assoluto che lo status di “uomo d’onore” possa mai cessare, salvo nel caso (l’unico!) di collaborazione processuale. Da questo dato di fatto deve partire ogni buon governo che i valori costituzionali – oltre a teorizzarli – li voglia davvero proteggere dal loro peggior nemico: la mafia. Il che significa che non si possono lasciare soli i giudici di sorveglianza. Cancellata l’ostatività dell’ergastolo, per la concessione dei benefici la Consulta richiede l’acquisizione di elementi che escludano l’attualità dei collegamenti con la mafia e il pericolo di un loro ripristino. Senonché le varie informative che dovrebbero aiutare a scegliere per il meglio, quasi sempre, se non proprio inutili, sono burocratiche o di facciata. Per cui, in assenza del pentimento, le decisioni dei giudici di sorveglianza (oltre a comportare una forte sovraesposizione personale) rischiano di essere un azzardo.

Concludo con il caso di Antonio Gallea, mandante dell’omicidio di Rosario Livatino, condannato all’ergastolo. Avendo fruito di vari permessi premio e della semilibertà, ne ha approfittato per rientrare in posizioni di rilievo nell’organizzazione criminale, facendo valere proprio i suoi 25 anni di detenzione senza aver mai collaborato. Una sconfitta per lo Stato. Che deve attrezzarsi seriamente per evitarne altre.

 

L’Italia è un carro di Tespi: comici di provincia, saltimbanchi e Brunetta

E per la serie “Bis dat qui cito dat”, la posta della settimana.

Caro Daniele, Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni da capo del Pd. (Enza Dalmasso, Torino). Peccato. Per me era l’estraneo perfetto. Che è più di quanto possa dire di Barbara D’Urso, che amo in segreto dai tempi dell’Antico Egitto, periodo in cui ero l’aspide di Cleopatra, e lei Mosè.

Draghi ha riportato al governo Brunetta. Un suo ritratto, scritto anni fa per L’Espresso da Marco Lillo, cominciava così: “La prima immagine di Renato Brunetta impressa nella memoria di un suo collega è quella di un giovane docente inginocchiato tra i cespugli del giardino dell’università a fare razzia di lumache. Lì per lì i professori non ci fecero caso, ma quella sera, invitati a cena a casa sua, quando Brunetta servì la zuppa, saltarono sulla sedia riconoscendo i molluschi a bagnomaria”. Perché non riesco a togliermi questa immagine dalla testa? (Tiziano Favaro, Venezia). Perché hai visto Il Signore degli Anelli, e quell’articolo, con la sua costellazione di immagini silvane (cespugli, giardino, lumache), evoca nel tuo inconscio la similitudine fra Brunetta e Bilbo Baggins, l’hobbit gioviale che quando si avvicinava all’anello del potere diventava AAARRRGHHHH! Brunetta, da ministro, diventava spesso AAARRRGHHHH! Non riusciva a trattenersi dallo schernire le categorie sociali più disparate con un sorriso malvagio, e quando era ospite nei talk-show sbranava i conduttori (Fazio, Floris, la Bignardi, la Gruber) apostrofandoli con raffacci che investivano tutto il passato. Lo spettatore ne ricavava una segreta e inorridita stupefazione, un intimo allarme, finché a un certo punto era costretto a portare il braccio sugli occhi, in modo da non vedere. Non voglio criticarlo a tutti i costi, sono convinto che col vestito giusto sarebbe un’ottima bambinaia svizzera, ma in un’intervista ci tenne a far sapere che, da ministro, le donne erano attratte irresistibilmente dall’elettrocalamita dei suoi fascini innumerevoli. Insolenza, teatralità, tenorismo, civetteria: Brunetta concentra in sé tutti i difetti del dilettante in scena. Perfetto per quel carro di Tespi, di comici provinciali e saltimbanchi, da commedia dell’arte, che è l’Italia. Quello che combinerà nei mesi a venire suscita in me un interesse febbricitante perché non dimentico il fuori onda di Tremonti, la volta che Brunetta si mise a illustrare alla stampa i correttivi alla spesa del pubblico impiego: shorturl.at/jxB56. A parte che le lumache devono essere spurgate per giorni, non servite “la sera stessa”, sennò dai da mangiare la merda.

Gli scozzesi, sotto il kilt, indossano le mutande? (Serenella Angeletti, Macerata). Anni fa posi la stessa domanda a Sean Connery, di cui ero la controfigura sul set di Entrapment

(baciavo Catherine Zeta Jones al posto suo nei PPP). Il birbone mi rispose: “Se indossi le mutande, non è un kilt, è una gonna”. Quindi, quando Sean Connery ritirò il suo titolo di Sir con addosso un kilt, stava a palle nude davanti alla regina d’Inghilterra. Il filmato è qui: shorturl.at/cCFHI. Nota il sorriso sornione di Sean Connery: non è più enigmatico, ora che conosci il piccante retroscena.

Che frase usi per attaccar bottone con una bella ragazza? (Pietro Di Lecce, Matera). Il mio trucco è cominciare da metà conversazione. Mi avvicino e le dico: “È quello che penso anch’io”. Da qui in poi, è tutta discesa.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

Abbiamo perso troppo tempo

È di pochi giorni fa la notizia Durante lanciata dalla Cnn sull’allerta della Russia, comunicata all’Oms, del primo “passaggio” animale-uomo del virus H5N8 (virus influenzale aviario), mai riscontrato prima nella specie umana. La immediata notizia è avvenuta grazie all’isolamento e genotipizzazione dell’agente patogeno. Questa notizia evidenzia come la precocità delle identificazioni sia l’unica arma per contenere le minacce epidemiologiche: isolamento del virus, genotipizzazione e conseguente isolamento degli infetti o loro contatti hanno a oggi garantito la non diffusione del fenomeno. Precocità che – come ribadito dalla commissione di esperti Oms in missione a Wuhan – non è stata messa in atto per Covid-19. Lo stesso governo cinese lo ha infine ammesso, seppur cercando di deviare l’attenzione sull’incerta origine.

Cosa sarebbe accaduto se le 47 polmoniti cinesi a dicembre2019 fossero state immediatamente comunicate all’Oms? La risposta ci viene data dal successo che ha avuto in Cina il lockdown. Circoscritto il focolaio, il virus ha smesso di diffondersi. E se avessero ragione i cinesi ad asserire che il virus sia arrivato in Cina da altrove? I dati a oggi in nostro possesso non riescono a smentirlo. Il virus è stato isolato dopo in altri Paesi (Italia compresa) ed è stato accertato che tale presenza risalisse a mesi prima del dicembre di Wuhan. A oggi queste risposte non hanno nessuna influenza sul decorso della pandemia e forse non le avremo mail. Potrebbe capitare ancora? Certamente si se non si crea una rete di sorveglianza epidemiologica che usi i più recenti mezzi, cioè la genotipizzazione. L’Oms è presente in quasi tutto il mondo con punti di osservazione ma le allerte spesso sono affidate ai test effettuati in laboratori locali non sempre opportunamente attrezzati. Oggi stiamo finalmente cercando con successo e ben organizzati le varianti (almeno in Europa) ma non è sufficiente. Dovremmo continuamente e globalmente monitorare la situazione epidemiologica perché le minacce dei virus non finiranno mai e le nostre vittorie sul campo sono, a tutt’oggi affidate soprattutto alla rapidità di intervento.

 

Con questo Pd, preferisco la coerenza della Meloni

Il paradosso mi ha sempre affascinato e spesso mi ha spinto verso il rifiuto del politically correct censorio. Tuttavia, come dice il vecchio adagio: “Chi di spada ferisce di spada perisce”, il mio amore per la critica della ragion-umoristico paradossale si vendica contro di me. In questo momento vengo “lapidato” con pietre di varia dimensione, alcune aguzze. L’iperbole di cui mi sono servito per apprezzare le qualità politiche, tattiche, strategiche e di coerenza di Giorgia Meloni, ha ferito molte persone fra cui diversi che hanno stima di me.

Mi rincresce se hanno potuto pensare che io apprezzassi le idee di Giorgia Meloni e me ne scuso; ho premesso che di quelle idee io sono all’opposto in quanto marxista e antifascista, l’iperbole è stata un’iper-reazione al dilagante conformismo, servilismo e retorica che caratterizzano da troppi anni il mediocre teatrino politico con molta stampa al rimorchio.

Il segretario di un partito che si definisce di centrosinistra, ha imbarcato nel proprio Gotha Barbara D’Urso. In un simile desolante contesto, le capacità politiche, ribadisco, politiche, della leader di Fratelli d’Italia, emergono per coerenza, per adesione alle proprie idee e per capacità di argomentazione. Questo non è un problema per Giorgia Meloni, è un problema per la cosiddetta sinistra che si è estinta in un centro pseudo-moraleggiante, con la capziosa pretesa di salvare la patria. La sola eccezione, il coraggio di Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana. L’avversario politico, anche il più estremo, deve essere analizzato, conosciuto con attenzione ed è giusto riconoscerne le capacità per riflettere criticamente. Io la penso così.

Accetto di essere criticato anche severamente. Ma se qualcuno mi sospetta di essere un voltagabbana per ragioni di bottega, o non ha capito o è un vile.