Il modo più gradevole per capire chi fosse Riccardo Gualino è visitare il Grand Hotel dei Castelli. Negli anni 30 era la sfarzosa dimora estiva dell’imprenditore. Per costruirla ha comprato l’intera penisola di Sestri Levante, sopra la Baia del Silenzio, e rimosso l’antico cimitero. Tra colonne di porfido, mosaici, loggiati e scale, l’anfiteatro e la palestra di danza sul mare, sembra la residenza di un principe.
Gualino si muoveva con al seguito una corte di artisti e intellettuali come il ritrattista di famiglia Felice Casorati e il critico Lionello Venturi, uno dei professori che rifiuterà il giuramento fascista, consigliere per gli acquisti della collezione che comprendeva sette Modigliani e una Venere del Botticelli. Diversamente dalle altre dimore gualiniane, qui niente quadri. Come spiega Piero Laguzzi, portiere di notte e cultore delle memorie del luogo, i quadri sono i paesaggi che compaiono alle finestre. Non c’è stato il tempo di goderseli. La crisi del ’29 e altri rovesci finanziari mettono in ginocchio il socio francese, Albert Oustric, i debiti crescono e l’imprenditore cade in disgrazia.
Trascinato in un mortificante “viaggio invernale” – alias confino – a Lipari, Gualino – allora uno degli uomini più ricchi d’Europa – passerà diciassette mesi sotto la sorveglianza delle guardie che gli tolgono il sonno: “Tre colpi secchi alla porta: ‘Gualino!’. ‘Presente’. Una sghignazzata, si allontanano. Ritorneranno fra due ore”. Poi il regime gli concede di riavvicinarsi stabilendosi a Cava dei Tirreni e infine di tornare a casa: “Dopo ventun mesi di confino, tornando a Torino, trovai Agnelli e i maggiori dirigenti dell’industria piemontese muniti della classica cimice, che giustificavano con inderogabili esigenze industriali o familiari”.
Definito “Cagliostro” dal Duce, Gualino non individua nei debiti la causa della condanna. Pensa che Mussolini abbia voluto dare un segnale agli imprenditori torinesi per convincerli ad abbandonare ogni ambiguità politica. Durante il confino dà alle stampe la prima e meno sincera autobiografia, Frammenti di vita. Con la fine della guerra potrà rimettersi in piedi diventando produttore cinematografico e scrivendo le memorie più sincere, Confessioni di un sognatore, a lungo inedite. Finché Marini, editore collegato all’omonima galleria che ha curato la vendita di alcune oggetti rimasti agli eredi, le ha pubblicate. L’uscita avviene in parallelo a quella di un altro volume: Mio nonno Riccardo Gualino. Autore: Riccardo Gualino junior. Trasferito in Spagna per curare gli interessi di famiglia, cioè i diritti di distribuzione dei film prodotti dal nonno con la Lux e gli stabilimenti che producevano insetticidi, il nipote viene sorpreso in macchina con volantini di propaganda e riceve un colpo di pistola in faccia. Solo un molare lo salva dalla morte fermando il proiettile. Tornato in Italia tenta di gestire un campeggio in Calabria ma deve desistere a causa della ’ndrangheta e accontentarsi delle briciole della ricchezza che la nonna Cesarina, donna egoista e molto longeva, gli lascia.
Se alcuni ritratti di famiglia, fatti da Casorati, sono visibili a Palazzo Reale a Milano (nella mostra Realismo magico, fino al 27 febbraio), la collezione Gualino è custodita alla Galleria Sabauda di Torino. O meglio quel che resta dopo furti e tentativi di appropriazione “istituzionale”: i Modigliani svenduti e dispersi per il mondo, le sculture orientali alla Banca d’Italia… In Confessioni di un sognatore Gualino parla del rapporto con Giovanni Agnelli. Lo ammira per la freddezza e la capacità organizzativa, ma lo descrive come arido e privo di fantasia. Ha saputo ingraziarsi Mussolini restando in una dimensione nazionale e autarchica mentre Gualino spingeva perché si globalizzasse facendo concorrenza a Ford. Sarà lui a fargli comprare La Stampa, fino ad allora giornale molto critico con la Fiat, e ad affiancarlo in molte imprese.
Dopo la guerra, Agnelli subisce un processo per collaborazionismo e muore. Il tempo rende onore a Gualino e al suo poetico spirito imprenditoriale e mecenatesco. Ma pochi ne ricordano il nome forse a causa di una cortina di oblio calata su di lui a partire dall’epicentro Torino dove la Fiat mette tutto il resto in ombra. Mirafiori, per dire, erano le ex scuderie di Gualino. Se la più nota è la Snia, alcune imprese, ricordate oggi, sembrano invenzioni: le immense produzioni di legname nei Carpazi rumeni e in Ucraina, l’espansione residenziale della capitale russa: una specie di “Pietroburgo 2”. Per non parlare del progetto di un triangolo industriale Torino-Milano-Genova collegato da un treno ad alta velocità (180 km/h).
Poco amante della ordinaria amministrazione e bisognoso di nuove sfide, Gualino è stato un imprenditore visionario e vulcanico. Forse troppo. Ha tentato di costruire una biografia alternativa e cosmopolita dell’Italia destinata però a prendere la strada del nazionalismo fascista. Tra i suoi collaboratori (nel cinema) ci fu un giovane Mario Soldati, che dopo la morte gli dedicherà un profilo a tratti perfido nel romanzo Le due città, rivelando le passioni lesbico-danzanti della moglie e descrivendolo come un “Creso” dentro il quale albergava uno scaltro piazzista di Biella (Gualino era cresciuto su un ballatoio di quella città). Forse si voleva vendicare di essere stato cacciato dalla Lux per le avance insistenti ad Alida Valli. Secondo i pettegolezzi, l’attrice folleggiava sul set con tutti tranne che con lui.