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Draghi non è un santone: la stampa se ne accorgerà

Prima pagina del Tempo: “Draghi non cambia la musica”. Ma che si aspettavano, un nuovo Mozart? O magari un santone o un taumaturgo? E Draghi ha capito bene con chi ha a che fare? Questi ci mettono un attimo a trasformarlo da eroe a carnefice nazionale.

Giampiero Bonazzi

 

Grazie al “Fatto”: ottima squadra

Quando si dice che i soldi sono spesi bene, ho le mie buone ragioni. Da quando ho sottoscritto l’abbonamento fin dalla nascita del Fatto, non passa giorno senza che ringrazi per averlo fatto. Ringrazio Travaglio, Padellaro, Scanzi , Fini, Lillo, Massari, Palombi, Barbacetto, Caporale, Spinelli, Truzzi, Zanca ecc, mi scuso con chi non ho menzionato, ma sono lì insieme agli altri.

Claudio Memmi

 

Riecco le sovvenzioni all’editoria odiate dai 5S

Voglio mandare un messaggio agli italiani che non avessero capito: ripristinato il sovvenzionamento all’editoria. Ecco spiegato il veleno dei giornaloni contro il M5S.

Antonio Perrone

 

I grillini stanno perdendo pezzi (pregiati)

Svegliatemi! Stiamo perdendo persone come Alessandro Di Battista e ci stiamo tenendo stretti gente come Vito Crimi. Ho urgente bisogno di Maalox.

Bruno M.

 

La crisi, Mattarella e la lotta agli evasori

Due piccoli rilievi sulle lettere degli ultimi giorni: 1. non credo che quella del presidente Mattarella sia stata una “errata valutazione”, bensì credo che sia stato un atto voluto e perseguito con altri; 2. non credo che il presidente Draghi mai emanerà un “provvedimento severo contro gli evasori”. Mi auguro di sbagliare.

Gennaro Lacaita

 

Prima volevano il Mes, ora sono tutti muti

D’ora in poi, visto che Draghi non ha citato, e continua a non citare, il Mes, pretendo che tutti i giorni i giornalisti dei giornaloni e della prima serata chiedano a Draghi come mai ha deciso di non prenderlo, esattamente come esaurivano i nervi a Giuseppe Conte.

Ferdinando Vittone

 

Il centrosinistra riparta da Giuseppe Conte

Professor Conte, non insegua più i giallorosa. Si faccia inseguire dai giallorosa. C’è bisogno di rifondare, non di riformare. Se non c’è continuità, ci sono solo interessi; non è certo lo spirito della nostra Costituzione. Ripartiamo da capo con un’esperienza totalmente nuova. Lei è l’unica persona che può aggregare le tantissime persone per il bene dell’Italia. E lasciamo perdere il proporzionale, che sarebbe il trionfo dei mediocri e dei furbi.

Rino Alessandrini

 

Serve una battaglia per la democrazia

Caro direttore, nessuno dei commentatori da lei citati si rende conto che questo modo di fare è la ragione per cui gli italiani poi si gettano su Conte, o su chiunque altro i giornaloni non incensino: perché tutto questo sa di regime, non dei colonnelli, non dei dittatori, ma dei “migliori”. La nostra non è una battaglia geopolitica, ma per l’anima della democrazia.

Giovanni Contreras

 

Perché non avete scritto degli insulti alla Meloni?

Sul Fatto di ieri non una parola sulle offese alla Meloni, salvo la notizia dei provvedimenti che l’Università di Siena sta assumendo nei confronti del professore e una vignetta che ridicolizza chi da sinistra ha solidarizzato con Giorgia Meloni.

Stelvio Costantini

Caro Stelvio, quegli insulti sono vergognosi e disonorano il “professore” che li ha vomitati. Ma la notizia era arcinota su tutti i siti da due giorni (compreso il nostro) e non avevamo nulla da aggiungere di originale.

M. Trav.

 

Attenzione ai numeri e alle percentuali

Caro Travaglio, nel suo magnifico fondo di sabato ha illustrato i dati dei contagi nel nostro Paese in assoluto e, per confronto, nel mondo carcerario. Ma i dati corretti dell’ultimo anno sono questi: 95.223 contagi su una popolazione complessiva di 60.404.419 significa lo 0,158%; 12 contagi su 100.000 carcerati significa lo 0,012%.

Pino Rappini

Caro Pino, ha ragione lei. Resta comunque la conclusione: i rischi per chi è in carcere sono oltre 10 volte inferiori rispetto a quelli di chi sta fuori.

M. Trav.

 

Ora aspettiamo critiche sui Dpcm

Caro direttore, in vista del nuovo Dpcm targato Draghi, in quanti grideranno allo scandalo per l’utilizzo di questa emanazione rispetto al decreto legge? Ricordo che Conte fu definito “accentratore di potere” e “dittatore” a causa dell’uso dei Dpcm.

Francesco Multari

Caro Francesco, attendo con ansia gli illuminati strali del sempre sia lodato professor Cassese.

M. Trav.

Movimento. “Lascio i 5Stelle: ormai sono governisti, non più idealisti”

 

Buongiorno, il M5S è stata la mia “casa” politica per quasi un decennio, io che per anni non ero riuscito a farmene piacere una per più di una tornata elettorale. Ma tutto ciò che inizia ha una fine. Ancor più un movimento che, forse, nel suo Dna, aveva a conti fatti più uno scopo moralizzatore della politica che uno governista. Anche perché sembra proprio che i due scopi non possano coesistere.

È stato bellissimo, finché è durato. E davvero molto si è fatto e, per inerzia, ancora qualcosa si potrà fare grazie all’iniziale propulsione di questo generoso manipolo di idealisti, che compone il Movimento 5 Stelle. Ma è evidente che il Movimento sconterà il suo camaleontismo politico alle prossime urne, quando gli attuali vertici comprenderanno con fin troppa chiarezza che al Movimento sarebbe stato utile fare oggi della sana opposizione per garantirsi, domani, un ruolo di lungo periodo nella scena politica italiana. Invece chi ci guida ha deciso di giocarsi tutte le carte a questo tavolo, facendosele dare… da Draghi e da alcune delle peggiori facce del Parlamento italiano. Un tempo, da Roma alle province più sperdute dell’Impero, noi “grillini” potevamo girare a testa alta perché non ci si poteva rinfacciare nulla, alla peggio di essere idealisti e “populisti”, mentre tra chi oggi si ostina a rimanere nel Movimento “nonostante tutto” cresce sempre di più in percentuale la categoria antropologica, davvero urticante, di coloro che hanno sempre salutato gli espulsi come, in fondo in fondo, “cripto-pidini”, “cripto-leghisti”, “cripto-laqualunque”. Cosa amaramente comica, guardando la fotografia dell’ultimo governo. Dopo un’infilata di decisioni – locali e nazionali – che mi ha clamorosamente spiazzato, per evitare, di esperimento governista in esperimento governista, di ritrovarmi in futuro a rappresentare un movimento che dovesse appoggiare magari un governo anche peggiore (dopo il gialloverde, il giallorosso e il gialloarcobaleno, uno bianconero?), è con vero dolore, così, che preferisco rassegnare oggi le mie dimissioni da consigliere comunale di Vimercate (Mb), lasciando il Movimento, nella fievole speranza che qualcosa finisca per salvarlo da se stesso, consentendomi un giorno di tornare nella famiglia che abbiamo creato, ben lontana dalla schizofrenica setta che – buon ultimo – sto salutando. Perché una cosa è certa: un’Italia senza un (vero) Movimento è un’Italia che torna a esporsi pericolosamente ai venti peggiori. Au revoir.

Carlo Amatetti, Consigliere M5S di Vimercate (MB)

La tragedia di Clara e l’inaccettabile silenzio dei maschi

Adesso ci sono i fiori davanti al negozio di Clara con la saracinesca abbassata e il sangue nel corridoio del bagno. Sono tantissimi, colorati e profumati eppure sono fiori maledetti. Clara aveva sessantanove anni, vedova da venti, mamma di Marco, un uomo di quarant’anni con la mente di un bimbo. Nella foto che abbiamo visto in questi giorni sui giornali, ha il sorriso tirato di una vita difficile, piena di responsabilità e di preoccupazioni per i suoi cari, di cui si prendeva cura perché le donne lo sanno e lo fanno da sempre. Clara non c’è più: è stata uccisa venerdì sera nel suo negozio di calzature a Genova. Venerdì lui è entrato e l’ha spinta in un piccolo corridoio vicino al bagno del negozio, senza alcuna via di fuga, senza scampo. Lei si è rannicchiata per proteggersi, ma non ci è riuscita. Lui l’ha colpita con il coltello cento volte, dice l’autopsia, dappertutto: alla testa, all’addome, al petto, alla schiena. Una macelleria. Lui chi è? È Stefano, l’ex compagno, conosciuto 12 anni fa, e poi lasciato l’anno scorso. Dai giornali abbiamo scoperto che è un portuale disoccupato, con il vizio del gratta e vinci. Dopo la rottura, lui le telefonava di continuo, si presentava in negozio, aveva vandalizzato le vetrine (ci aveva pisciato sopra, tanto per rendere l’idea del rispetto). Forse è lui l’autore di una rapina (bottino 20 euro!) ai danni di Marco: che coraggio ci vuole a rapinare un disabile. “Mia figlia aveva capito che non era una persona valida”, ha raccontato il padre di Clara al Corriere. “Gli aveva detto di andarsene, di non farsi più vedere, anzi glielo aveva stradetto. Ma era come parlare a un sordo… Subito dopo lui cominciò con i dispetti, l’orina sulla saracinesca, l’auto rigata, la serratura della portiera rotta. Suonava spesso al portone, io non gli aprivo perché sapevo che era lui. Le telefonava di continuo, mattina e sera: allo squillo Clara rispondeva e se era lui riappendeva. Se è stata picchiata? No, questo no. Quanto alla denuncia, ne aveva parlato, ma credo che non fu una denuncia vera e propria”. Clara aveva timore di denunciare, probabilmente temeva ritorsioni. Ma era così sicura di morire che aveva nominato un tutore per suo figlio, e poche settimane fa si era pagata il funerale. Un particolare terribile, che racconta paura, senso di impotenza, impossibilità di difendersi. Il suo assassino ha riassunto alla polizia il bagno di sangue con grande semplicità: “Volevo tornare con lei, ma Clara no. Così l’ho colpita”. Voleva uccidersi, poi però niente. Questi uomini che uccidono le loro donne e i loro bambini vogliono sempre uccidersi, ma riescono più spesso a levare la mano sugli altri che su di sé. Strano no? Quasi tutti alla fine restano vivi.

La storia di Clara non finisce qui. Dopo di lei, lunedì, sono state uccise dai loro compagni Deborah e Rossella. Prima di loro, da gennaio a oggi, altre 8 donne dai 17 anni ai 70. Voi vi domanderete perché vi abbiamo raccontato questa e tutte le altre storie. Prendiamo a prestito un tweet di Milena Gabanelli: “Ne ammazzano una al giorno. Ma io vedo solo donne manifestare, protestare, gridare aiuto. Non ho visto a una sola iniziativa organizzata dagli uomini, contro gli uomini che uccidono le loro mogli o fidanzate. Dove siete? Non è una cosa da maschi proteggere le donne?”. È una domanda sacrosanta che resterà senza risposta finché anche gli uomini non capiranno che non si tratta di casi isolati, ma di un solo gigantesco caso, quello in cui l’uomo pensa di essere padrone della donna, dei suoi soldi, del suo corpo, della sua vita. Finché gli uomini, tutti, non capiranno che questa è un’emergenza sociale possiamo metterci tutte le scarpe rosse del mondo, ma sarà inutile. Mai come in questo caso vale che nessuno si salva da solo.

 

Avanti il prossimo. Rider, badanti, Bertolasi: i nuovi lavori in pandemia

La luce in fondo al tunnel, se c’è, è un lumino lontano lontano, ma come sempre nelle crisi più acute lo spirito italiano e la proverbiale arte di arrangiarsi prendono il sopravvento, e dunque ecco che nella più grande crisi dal dopoguerra spuntano nuovi lavori, occupazioni prima inesistenti che si impongono sul mercato della mano d’opera. Eccone alcuni.

Il finto rider – A leggere le cronache si direbbe una professione in grande espansione. Sono ormai decine, se non centinaia, i fattorini ricchi e felici intervistati dai giornali, con l’evidente scopo di dimostrare che i rider veri, quelli che si battono contro il cottimo, sono un po’ stronzi. C’è chi consegna pizze in Bentley, chi sventola guadagni da dirigente, e chi il dirigente l’ha fatto davvero (in un’azienda di consegne) che va in tribunale a testimoniare (da rider) che l’azienda è bella e brava, e lui campa come un re. Servono spirito d’iniziativa, qualche amico nei giornali e la faccia come il culo.

Il Bertolaso – Professione diffusa da secoli. C’è sempre, al bar, quello che lo farebbe meglio di voi, meglio di tutti, una specie di mister Wolf prosecco-munito, capace di costruire intorno a sé una piccola leggenda di efficienza e “ghe pensi mi”. È tutto bellissimo ed edificante finché non vi viene la malaugurata idea di farglielo fare, insomma finché non ci cascate. Così, la professione è in ascesa, ma invisa alla popolazione in certe zone, tipo l’Aquila post-terremoto, o la Lombardia nel marasma sui vaccini. Non è un lavoro difficile – basta fare tanti proclami a vanvera – e ha il vantaggio di creare altre professioni collegate, ad esempio i chiamatori di Bertolaso, cioè quelli che ci cascano.

Il mediatore di vaccini – Personaggio mascherato, sempre inquadrato di spalle, o con la voce contraffatta, o “che chiede di restare anonimo”, è la prova di due verità incontrovertibili in un colpo solo: l’emergenza sviluppa pescecani, e il mercato vince sempre, specie quello nero. Serve astuzia, diplomazia, un aplomb discreto da venditore di tappeti e, a giudicare dalle interviste rilasciate, la padronanza della lingua italiana non è richiesta. Due le caratteristiche principali: parlare per ore con la stampa riuscendo a non dire mai dove cazzo si procura i vaccini che vende al mercato nero (la prima, difficile) e convincere Zaia (la seconda, più facile).

La badante istituzionale – In questo triste momento storico, i nostri anziani rischiano l’abbandono. E nella solitudine, si sa, si prendono decisioni affrettate, o stupide, o sbagliate, o cretine, o si fanno affari con i cognati. Ecco dunque la figura della badante istituzionale, affiancata al presidente della Lombardia Attilio Fontana, Letizia Moratti, unico caso al mondo di badante più anziana del badato. Non è un lavoro per tutti: serve essere ben cementati da secoli nella classe dirigente e avere ampie conoscenze nel business della sanità privata. Ma alla fine quel che conta è saper fare meglio di Fontana, quindi se avete un gatto andrebbe bene anche lui.

Le petit Macron – Altra professione emergente, il federatore di sfigati, che si mette in testa di prendere quattro-cinque forze politiche private e farne una forza contrista tutta intera, capitanata, nel caso, da lui medesimo: il nuovo Macron. Si tratta di un secondo tentativo di piazzarsi sul mercato del lavoro, visto il precedente tentativo di fare il nuovo Blair. Lavoro dalle prospettive incerte: si consiglia di avere anche altre fonti di reddito, tipo agiografo di regimi dittatoriali.

 

La decrescita post-Covid sarà soltanto “infelice”

Forse non tutto il Covid vien per nuocere. Certo quando il Covid verrà definitivamente sconfitto avremo, per ritessere la tela di un’economia lacerata, un rilancio della produzione e dei consumi. Troppe persone sono allo stremo per poter fare diversamente. Ma rimesse le cose a posto potrebbe cambiare il trend sul quale ci eravamo abituati a vivere prima dell’epidemia. Le persone potrebbero aver riscoperto il gusto e il valore delle piccole cose, delle piccole gioie. Per esempio, in una regione ridiventata “gialla”, il piacere di poter pranzare all’aperto con un amico o un’amica.

È la privazione che ci fa comprendere i valori della vita. Eraclito lo aveva già detto 26 secoli fa: “La malattia rende piacevole la salute e di essa fa un bene, la fame rende piacevole la sazietà, la fatica il riposo”. L’uomo post-Covid potrebbe aver compreso che non è necessario consumare compulsivamente il superfluo, il voluttuario, l’inutile per star bene con se stesso e con i suoi simili, senza per questo doversi ridurre a una vita d’asceta. Una riduzione dei consumi comporterebbe necessariamente una parallela riduzione della produzione che dovrebbe concentrarsi sui beni essenziali. Questo darebbe anche un senso e un contenuto a quel sacco vuoto che è, per ora, il ministero della “Transizione ecologica” voluto fortemente da Beppe Grillo (anche se ovviamente il discorso non riguarda l’Italia ma tutto il mondo consumistico). Perché non c’è green o bio, più o meno sinceri e autentici, che tenga se non si riduce drasticamente la produzione. Ogni energia, anche quelle più pulite, se utilizzata in modo massivo è, in una forma o nell’altra, inquinante. Un foglio di carta in una casa è innocuo, diecimila fogli ti tolgono l’aria, ti soffocano.

Se davvero l’uomo post-Covid, ridiventato tale e non più ridotto a consumatore costretto a ingurgitare il più rapidamente possibile quanto altrettanto rapidamente produce, seguisse la via di una relativa riduzione invece di continuare sulla strada di una progressiva e indefinita espansione, allora si aprirebbe un varco per quella che Maurizio Pallante, un pensatore che non a caso è stato oscurato, ha chiamato con felice espressione (la tautologia è qui inevitabile) “la decrescita felice”. Del resto Pallante riprende da due correnti di pensiero americane: il neocomunitarismo e il bioregionalismo. Il neocomunitarismo guarda al ritorno di una specie di feudalesimo senza feudatari, cioè a piccole comunità solidali che non abbiano sopra di sé alcun potere, né personale né statuale. Il bioregionalismo coniuga il comunitarismo, che è sostanzialmente un localismo, con l’ambientalismo. In pratica queste correnti di pensiero propongono “un ritorno, graduale, limitato e ragionato, a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano per un recupero della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario”.

Mi piacerebbe molto credere all’ipotesi di Pallante, col quale anni fa tentammo di fare fronte comune, ma non penso che le cose andranno così. La decrescita non sarà “felice” ma improvvisa e sanguinosa. Passato lo spavento del Covid, che avrebbe dovuto insegnare qualcosa, i reggitori della terra e tutti coloro che sono legati ai loro interessi o ai loro interessi piegati rilanceranno ulteriormente, approfittando proprio dell’abbrivio dato dalla ricostruzione, il modello di sviluppo che, partito intorno al 400 con l’affermazione del mercante (poi imprenditore, poi finanziere) e sviluppatosi quindi con la Rivoluzione industriale e le sue successive evoluzioni, è oggi egemone. Questo modello si basa sulle crescite esponenziali che esistono in matematica ma non in natura. Tutto ha un limite. Non solo le fonti di energia ma anche la capacità della tecnologia, aiutata dal cervello umano, di autoinnovarsi (la famosa Singularity di cui parlava Gianroberto Casaleggio) o, se si preferisce, del cervello di potenziarsi costantemente attraverso la tecnologia. Quando, in un modo o nell’altro, non potremo più crescere ci sarà il collasso del modello, rapidissimo, nel giro di qualche mese, forse di qualche settimana. Si riproporrà la situazione che si ebbe dopo il crollo dell’Impero romano e delle sue strutture che diede origine al feudalesimo europeo. Ma l’Impero romano era uno sputo, seppur importante, del vasto mondo di allora, oggi il modello è pressoché globale e il collasso sarà globale.

Quando nei primi anni 80 rimuginavo su queste cose, che sono all’origine della mia opera storico-filosofica, pensavo che questa catastrofe ci avrebbe raggiunto non prima di un centinaio di anni. Ma da allora le cose sono andate sempre più veloci, sempre più veloci, già adesso siamo immersi dentro una serie infinita e quasi indecifrabile di connessioni, in una complessità quasi insostenibile che sorpassa anche le giovani generazioni e le rende vecchie, obsolete, in pochissimo tempo. Nel 1982 feci per Pagina un’inchiesta che Aldo Canale e io intitolammo “Scienza amara”, intendendo con ciò segnalare i pericoli cui ci esponevano la velocità assunta dalla Scienza tecnologicamente applicata e la Tecnologia stessa, idolo incontrastato allora come ora. Andai a Ginevra a intervistare Carlo Rubbia che allora dirigeva il Cern. Rubbia mi ascoltò infastidito, ritenendomi un “apocalittico”. Allora gli dissi: “Professor Rubbia, lei è un fisico e le faccio una domanda per la quale vorrei una risposta da fisico. Non è che andando a questa velocità noi stiamo accorciando il nostro futuro?”. Rubbia ci pensò un po’ poi ammise: “È così”. “Io vedo l’uomo tecnologico scendere una ripidissima strada in sella a una lucente bicicletta senza freni. All’inizio era stato piacevole, per chi aveva pedalato sempre in salita e con immane, penosa fatica, lasciarsi andare all’ebbrezza e alla facilità della discesa, ma ora la velocità continua ad aumentare e si è fatta insostenibile, finché a una curva finiremo fuori” (La Ragione aveva Torto?, 1985).

 

La bambina che ha sfidato il toro di wall street e l’inserviente della nasa

Arturo Di Modica, che ci ha lasciato la settimana scorsa, era uno scultore ignoto ai più, nonostante una sua opera fosse famosissima nel mondo: Charging Bull, il toro in bronzo da lui installato abusivamente il 19 dicembre 1989 davanti alla Borsa di Wall Street. Il toro fu rimosso dalle autorità, ma Di Modica lo riposizionò nei paraggi, in Bowling Street, e una petizione popolare ne impedì lo sgombero definitivamente. L’artista non era nuovo alla guerriglia: nel 1977 aveva piazzato 60 tonnellate di sculture di marmo davanti al Rockefeller Center, un blitz che lo fece conoscere ai collezionisti. Quattro anni fa, il provocatore Di Modica fu a sua volta vittima di una provocazione: il 7 marzo 2017, per la “Giornata internazionale della donna”, l’agenzia pubblicitaria McCann e la società di investimenti State Street Global Advisors (SSGA) collocarono davanti al suo toro un’altra scultura di bronzo, Fearless Girl, opera di Kristen Visbal: rappresentava una bambina senza paura, i pugni sui fianchi, come “simbolo del potere delle donne nella leadership”. Le critiche definirono l’iniziativa “femminismo fasullo”, sia perché nella SSGA, su 28 dirigenti, solo 5 erano donne; sia perché nella sua pubblicità dichiarava: “Le ricerche dimostrano che le aziende con una maggior diversità di genere hanno una performance finanziaria migliore” (un nuovo tipo di sessismo: le donne ridotte a garanzia della ricchezza capitalistica). Fu sospetto anche il tempismo di Fearless Girl, tipico di un’operazione di marketing: solo due mesi prima, la SSC, una società affiliata alla SSGA, aveva patteggiato 64 milioni di dollari per risolvere un’accusa di frode, dopo un’inchiesta dell’Fbi.

Di Modica chiese subito la rimozione di Fearless Girl perché quella nuova scultura stravolgeva il significato della sua opera (“la forza del popolo americano che si era ripreso dopo la crisi del 1987”), facendolo diventare un simbolo negativo. Inoltre accusò SSGA di aver violato il copyright della statua del toro, dato che l’avevano sfruttata per dare un significato alla Fearless Girl; e la Città di New York per aver permesso l’installazione della statua della bambina senza il suo consenso.

È il grande tema dell’ambiguità dell’opera d’arte, e delle sue interpretazioni. Ogni prodotto artistico si presta a letture molteplici, che il pubblico rielabora attraverso un processo di ri-creazione (Kris, 1952). Fearless Girl dirottava il senso di Charging Bull in una direzione non voluta da Di Modica: questi, però, avrebbe potuto dirottarla a sua volta, per esempio piazzando una grande cornice vuota fra il toro e la bambina. Dopo le sue proteste, la bambina fu spostata davanti alla Borsa di New York: anche il suo significato cambiò, poiché esso dipende dal rapporto fra gli elementi di un contesto. La seconda mostra di Ad Reinhardt, intitolata Ad Reinhardt: Recent Square Paintings 1960-1963, mostrava solo quadri neri. Fu inaugurata alla Dwan Gallery di Los Angeles il 24 novembre, senza orpelli e cocktail, appena due giorni dopo l’assassinio Kennedy. Gli intervenuti lodarono la galleria, pensando che Reinhardt avesse dipinto quei quadri neri in segno di lutto nazionale. Invece, nell’intenzione espressa dall’artista, ciascuno di quei quadri era “una pittura pura, astratta, non oggettiva, senza tempo, senza spazio, immutabile, senza relazioni, disinteressata – un oggetto che è autocosciente, ideale, trascendente, consapevole di nient’altro che l’arte (assolutamente non anti-arte)”. Febbraio 1962: John Kennedy visita il centro spaziale Nasa. Vede un inserviente con una scopa e gli chiede cosa sta facendo. L’inserviente risponde: “Presidente, sto aiutando a portare un uomo sulla luna”.

 

Supermario e l’appetito dei partiti

Mario Draghi alle prese con la nomina dei sottosegretari fa venire in mente l’occhio elettronico del rover Perseverance che scruta con curiosità e apprensione un pianeta misterioso popolato da forme di vita sconosciute. Per carità, niente di nuovo sotto il sole del sottogoverno, che i professionisti della politica hanno sempre gestito con regole fisse e modi spicci. Fin da quando un papabile sui carboni ardenti, dopo estenuante anticamera cercò di arpionare Alcide De Gasperi custode della preziosa lista, con la fatale domanda: allora presidente, cosa posso dire alla mia signora? Risposta gelida: che la saluto tanto.

Per noi iene dattilografe, la delusione dei trombati è materiale prezioso, ma per quanto si sa, l’ex presidente della Bce, persona quanto mai garbata, preferisce non essere portatore di cattive notizie. Ragion per cui starebbe “semplicemente aspettando che le forze di maggioranza sciolgano i propri nodi interni” (La Stampa). Insomma: se la vedano loro. Facile a dirsi, visto che oltre a dividere le poltrone tra i sei partiti delle larghe intese e le rispettive correnti la rappresentanza deve rispettare gli equilibri del voto di fiducia e la metà delle indicazioni devono essere di donne. Non è finita perché oltre all’equilibrio di genere occorre colmare il divario tra Nord e Sud in un governo a prevalente trazione settentrionale. Purtroppo non esiste algoritmo adatto a risolvere la complessa operazione, che rischierebbe di mandare in tilt perfino il computer che stila il tostissimo calendario del campionato di calcio. A pensarci bene, evitare di mettere le mani in ingranaggi quanto mai dentati può essere la scelta più saggia per un premier chiamato ad affrontare emergenze ben più impegnative rispetto a qualche ambizione perduta. L’intendance suivrà, l’intendenza seguirà, diceva Napoleone (ben prima di De Gaulle) quando rassicurava i generali sul fatto che, alla fine e comunque, i sottoposti avrebbero dato corso alle sue decisioni. E tuttavia chissà se in questi primi giorni a Palazzo Chigi, SuperMario non sia rimasto affascinato dalle dinamiche di potere scatenate dal suo arrivo. Cosa mai penserà l’uomo che sussurra ai grandi della terra davanti alle fregole dell’onorevole Pincopallo? (non a caso la sonda marziana precedente si chiamava Curiosity).

Il metodo Draghi: ora si cena a casa

• “Penso che il ‘metodo Draghi’ sia un metodo di lavoro serio. Da questo punto di vista credo che alcuni segnali differenti si vedano. Per esempio il fatto di convocare il consiglio dei ministri alle 9 di mattina invece che alle 11 di sera, come faceva il governo precedente. Penso che alle 11 di sera ci sia poca gente lucida”.

• “L’effetto Draghi. L’Italia sulle prime pagine internazionali, lo spread subito giù, il raccordo immediato e non solo formale con le cancellerie che contano, il G7 virtuale di ieri (venerdì, ndr) come prima ribalta multilaterale. Non avviene solo per l’indubbia consistenza dell’uomo”.

• Il mutamento di prospettiva ha creato disagio e imbarazzo in tutte, o quasi, le forze politiche. Disagi e imbarazzi che Draghi ha rimosso, e dove occorreva domato, con stupefacente risolutezza. Con poche parole ha fissato i punti sui quali si deve convenire, senza ambiguità, per stare nell’area di governo e maggioranza. (…) Parole come pietre”

Il Senato salva ancora Del Turco: continuerà a percepire il vitalizio senza averne il diritto

Il Senato continuerà a erogare il vitalizio a Ottaviano Del Turco. Nonostante già da due anni abbia perso diritto a percepirlo per via della condanna definitiva legata alla Sanitopoli abruzzese. La decisione è stata presa dal Consiglio di presidenza guidato da Maria Elisabetta Alberti Casellati. Una decisione presa in realtà per continuare a versare l’assegno nonostante le regole parlino chiaro e non conoscano eccezioni, nemmeno nel caso di grave malattia come quella che affligge l’ex dirigente sindacale della Cgil poi parlamentare per il partito socialista, indi ministro delle Finanze, eurodeputato e infine governatore dell’Abruzzo: in caso di condanna per reati di particolare gravità (Del Turco è stato riconosciuto colpevole di aver preso mazzette da un imprenditore proprietario di cliniche) la revoca del vitalizio è automatica. E invece no. “Il Consiglio di Presidenza è aggiornato in attesa della nomina da parte del giudice dell’amministratore di sostegno” è la formula approvata con i voti di Pd, Italia Viva, Forza Italia e Lega, mentre i 5 Stelle si sono espressi per la revoca dell’assegno. Una soluzione che spunta come un coniglio dal cilindro, a leggere le carte inviate dal figlio di Del Turco, Guido. Che nella sua interlocuzione con la Presidenza del Senato aveva scritto di aver avviato “su vostra sollecitazione la procedura presso il tribunale di Avezzano per diventare amministratore di sostegno”. Guarda caso. Ormai da molte settimane Guido Del Turco scrive al Senato, ma solo ora si scopre che non aveva alcun titolo per farlo. Eppure, allegato al fascicolo che riguarda suo padre, agli atti di Palazzo Madama, compare una sua lettera in cui risponde ad alcune sollecitazioni dell’ufficio di presidenza del Senato rispondendo, per esempio, a chi gli chiede come abbia fatto lo scorso anno suo padre a firmare la dichiarazione dei redditi e, addirittura, la richiesta di divorzio da sua moglie, pur essendo tanto malato. Allo stesso modo, sempre Guido Del Turco ha vergato una nota difensiva in cui già a dicembre 2020 compare come procuratore speciale di suo padre quantificando le necessità economiche dell’ex senatore in “almeno 3.500 euro al mese”. Intanto l’Isee di Ottaviano Del Turco ammonta a oltre 137mila euro. Può contare su un reddito di 92mila euro, ma anche su un discreto conto in banca (circa 65mila euro) e un patrimonio immobiliare personale da oltre 254mila euro.

Aspi, Cdp invia offerta vincolante Il nodo è il prezzo

Conclusi gli ultimi passaggi formali, l’offerta vincolante del consorzio formato da Cdp e dai fondi Blackstone e Macquarie per Aspi si prepara al giudizio di Atlantia. La holding controllata dai Benetton ha tre giorni di tempo per esaminarla in tutti i suoi aspetti, a partire dal delicato nodo del prezzo, e decidere come procedere. L’esito arriverà dal cda in programma venerdì. Ma non è escluso che si decida di affidare la decisione finale agli azionisti. Intanto il titolo di Atlantia prosegue la sua corsa in Borsa, dove chiude in rialzo del 3,18%.

L’offerta definitiva di Cassa e soci per l’88,06% di Aspi è stata oggetto di un board di Cdp. La proposta – vincolata all’approvazione del Piano economico finanziario (ancora fermo al Mit dal 19 novembre) – fisserebbe il valore del concessionario intorno ai 9 miliardi al netto della manleva. La palla è ora nelle mani di Atlantia, che dovrà decidere il da farsi. Il vero scoglio è il prezzo. La holding finora ha già respinto un’offerta (non vincolante) di Cdp sulla base delle stesse cifre.