“È morto per venirci a trovare”. Teresina Caffi, missionaria saveriana, dal 1984 trascorre sei mesi dell’anno a Bukavu, nell’estremo est della repubblica democratica del Congo, la zona dove è stato ucciso in un agguato l’ambasciatore italiano Luca Attanasio. “Lo amavamo per il suo essere vicino a noi suoi connazionali. Ci aveva reso visita a Bukavu l’anno scorso e lo aveva fatto di nuovo anche in questi giorni”, dice suor Teresina, che del 44enne diplomatico ricorda un progetto a cui stava lavorando: “Voleva chiedere a tutti gli italiani e italiane presenti in Congo di raccontare la loro presenza nel Paese, non solo per rendere onore all’Italia, ma per restituire al popolo congolese pezzi della loro storia di cui essi erano stati testimoni”. Cresciuto a Limbiate (Monza e Brianza), laureatosi in Economia all’università Bocconi, Attanasio era arrivato a Kinshasa nel 2017 dopo sette anni trascorsi in Marocco come console e altre esperienza da diplomatico in Nigeria e Svizzera. Si era sposato a Casablanca con Zakia Seddiki, madre delle sue tre piccole figlie e fondatrice di Mama Sofia, un’Ong che aiuta i bambini di strada congolesi. “L’ambasciatore Luca”, così lo chiama suor Teresina, “amava il popolo congolese. Era una persona semplice, fraterna, attiva, concreta, accessibile, che non contava i minuti”. Attanasio è stato ferito a morte lunedì mattina, mentre percorreva la strada che porta da Bukavu a Goma. Una delle zone più pericolose del Paese, al confine tra Congo, Burundi, Ruanda e Uganda: crocevia del traffico di minerali di cui la zona è ricchissima.
Goma, genocidio e gorilla: l’eterno “cuore di tenebra”
A Goma c’è il lago, ci sono le milizie, c’è il coltan che ognuno di noi porta con sé nei propri cellulari, ci sono i gorilla silverback del parco Virunga, ci sono i vulcani, ci sono i signori della guerra e c’è, quotidiana, la morte. La morte portata dai guerriglieri che combattono da decenni senza quartiere e senza timori nemmeno per la più grande, costosa e fallimentare missione della storia dell’Onu.
Qui, il catalogo delle piaghe a uso mediatico dell’Africa è completo: ci sono le razzie di cibo, ci sono gli stupri come arma di guerra, l’arruolamento di bambini come soldati (si chiamano kadoga) e il premio Nobel per la Pace nel 2018 fu assegnato a Denis Mukwege che quelle piaghe cerca di rimarginare. E ci sono i guardacaccia che devono star più attenti alle loro vite che a quelle dei gorilla di montagna che Dian Fossey (uccisa nel 1985, forse da un bracconiere) fece conoscere al mondo. Le grandi scimmie prede e cibo dei profughi hutu fuggiti dal Ruanda, braccati dalla vendetta dei tutsi dopo il genocidio del ’94.
Qui, alle pendici dei vulcani attivi dell’altopiano che si affaccia sull’immensa foresta del Congo – il “cuore di tenebra” dell’Africa raccontata da Conrad – sì uccide senza ritegno e condanna: si può finire la propria vita per mano di irregolari che vessano le popolazioni locali, ma non disdegnano di sequestrare Caschi blu (in gran parte asiatici o africani) della missione Monurso (già Monuc): carrozzone dai costi miliardari che trascina la sua esistenza senza risolvere la cancrena della crisi umanitaria.
Qui, nelle fosse scavate nella foresta pluviale tagliata dalle acque marroni del fiume Congo, bambini e giovinetti estraggono il materiale di cui son fatti i telefoni con i quali il mondo segue le notizie del mondo. E non c’è solo il coltan nelle miniere del Kivu e dell’area frontaliera con Burundi, Ruanda e Uganda: oro, uranio, e altre sostanze preziose. Sfruttamento occidentale appaltato a società, locali o spesso cinesi, che devono sottostare al pizzo delle bande armate che con più o meno vaghe motivazioni etniche si combattono per il controllo delle ricchezze nascoste: a meridione del lago di Goma ci sono le miniere di diamanti (le pietre di sangue che, tagliate in Asia, finiscono sul mercato mondiale di Anversa).
Qui da decenni si combatte una guerra “a bassa intensità” secondo la dizione dell’Onu che ha già provocato milioni di vittime civili (la più sanguinosa dalla Seconda guerra mondiale), un conflitto a singhiozzo che non risparmia nessuno nella scala sociale che va dai “vermi della terra” che portano alla luce le materie preziose ai responsabili sella missione Onu che si dibatte tra inefficienza e scandali per sprechi e reati assai più vili.
Qui, sulle strade dissestate che scorrono spesso sulla lava nera del vulcano Nyriagongo, si è spento Luca Attanasio – in missione con il Pam (il World food program, vincitore del Nobel per la Pace l’anno scorso, ndr) non il primo né l’ultimo dei funzionari occidentali che tentano di portare gocce di umanità in un’area dove le condizioni di vita sarebbero già dure di per sé, senza l’aggravante delle milizie controllate dai Paesi confinanti – Ruanda e Uganda per primi – che si sostentano rapinando i locali.
Qui ci sono i “buoni” e i “cattivi”: i primi sono Ong (anche italiane: come Sant’Egidio) con progetti soprattutto per i minori (che in Paesi come il Congo rappresentano quasi metà della popolazione); i secondi sono milizie etniche che ostentano la passione per gli acronimi, retaggio marcio della cultura occidentale: a Goma spadroneggiano tra gli altri quelli quelle hutu dell’Fdlr; ma possono cambiare di continuo, a seconda delle alleanze di comodo necessarie a mantenere la presa sul territorio, per vendicare massacri nei villaggi che sono pulizie etniche del momento, eco più o meno dirette del grande genocidio ruandese che nella primavera-estate di 27 anni fa, in 100 giorni, provocò la morte di 800 mila abitanti del Ruanda.
Senza la scorta nel regno dei ribelli: assassinato l’ambasciatore Attanasio
L’attacco è stato improvviso in pieno parco nazionale del Virunga ed è sembrato un’esecuzione in piena regola. L’auto su cui viaggiava l’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, è caduta in un’imboscata tesa dai ribelli dell’Fdrl (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda) sulla strada che collega Goma – città rivierasca sulla sponda nord del lago Kivu – a Ritshuru, in direzione del Lago Alberto, zona ricca di petrolio ancora non del tutto sfruttato. La dinamica dell’aggressione non è ancora chiara, ma dai primi riscontri ci sono due versioni: quella di un attentato e quella di un sequestro finito in tragedia. Stando alla prima – come ha raccontato lo stringer del Fatto Quotidiano a Goma – non sembra ci siano dubbi che l’obiettivo fosse l’ambasciatore. Un commando di miliziani armato ha assalito il convoglio sparando contro l’auto. Il nostro rappresentante diplomatico e il carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, sono rimasti gravemente feriti. Morto sul colpo, l’autista congolese, dipendente Onu.
Via walkie-talkie i passeggeri delle altre auto del piccolo convoglio hanno avvisato sia i ranger del parco, sia i militari del contingente Monusco. Intanto i due italiani sono stati caricati su un pick-up e trasferiti all’ospedale da campo delle Nazioni Unite ma sono spirati durante il tragitto. “È come se gli aggressori sapessero già chi viaggiasse in quell’auto”, sostiene lo stringer. La seconda versione invece parla del sequestro dell’ambasciatore italiano e del carabiniere costretti a seguire gli aggressori nella foresta: durante la sparatoria con i ranger, nel frattempo intervenuti, i rapitori avrebbero ucciso gli italiani. Altri quattro uomini del convoglio sono stati rapiti: tre sono rimasti nelle mani della banda, il quarto invece è stato ritrovato. Sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per attentato per finalità terroristiche.
Attanasio il giorno prima era stato a Bukavu e aveva incontrato i maggiorenti e i leader della zona. Era un uomo cordiale e molto alla mano. Anche a Ritshuru, dove era diretto, avrebbe dovuto vedere i capi locali e inaugurare alcune strutture donate dall’Onu, tra cui una scuola. Ma tra la popolazione qualcuno ce l’aveva con gli italiani. “Molta gente è convinta che siano stati firmati dei contratti di estrazione petrolifera tra Eni e governo centrale di Kinshasa. E i notabili del posto, rimasti a bocca asciutta, hanno minacciato ritorsioni e vendette”. L’ambasciatore Attanasio, originario di Saronno e laureato in Bocconi, viaggiava su una 4×4 del World Food Programme, l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di combattere la fame, sulla pista che da Goma porta a Ritshuru, attraverso il parco nazionale del Virunga, zona incantevole e surreale, circondata da vulcani attivi, come l’imponente e spettacolare Nyiragongo. Nell’agosto scorso Attanasio aveva richiesto un’auto blindata: come spiega l’agenzia Dire la procedura per l’assegnazione non era ancora stata completata.
L’area è pattugliata dalle forze del contingente internazionale della Monusco, ma non è per niente sicura. La foresta tropicale pullula di gruppi di ribelli, per lo più criminali senza scrupoli, il cui compito principale è taglieggiare le popolazioni assalendo i poveri villaggi, ammazzando gli uomini, stuprando le donne e rapendo i bambini che vengono arruolati a forza nelle milizie. “Sembra un attentato ben pianificato – è stato il commento di un italiano raggiunto per telefono a Goma –. Chi sapeva che l’ambasciatore sarebbe passato di lì questa mattina? È vero che quella strada è pericolosa e non si capisce bene perché l’ambasciatore l’ha percorsa senza scorta”. Secondo il ministero dell’Interno congolese “le autorità provinciali non erano a conoscenza della presenza dell’ambasciatore italiano nella zona”, motivo per cui non gli hanno fornito misure di sicurezza. Un documento diffuso dal Wfp chiarisce invece che “l’attacco è avvenuto su un percorso dove era stata concessa l’autorizzazione di viaggiare senza scorta di sicurezza”. Quel tratto di strada è battuto dalle milizie ruandesi dell’ Fdlr, i resti dell’esercito ruandese, formato da hutu, responsabile del genocidio del 1994. Sconfitti allora dai ribelli del Fronte Patriottico Ruandese a maggioranza tutsi, si erano rifugiati in Congo e da lì hanno lanciato attacchi verso il loro Paese.
Disabile chiede suicidio assistito: “Voglio morire in Italia, è legale”
Si chiama Mario, ma il nome è di fantasia. Ha 42 anni, è tetraplegico da 10 a causa di un incidente stradale che gli ha procurato anche altre patologie. Non ce la fa più. “Chiedo di morire in Italia, in piena legalità”, dice dopo essersi rivolto alla sua Area Vasta dell’Asur (Azienda Sanitaria Unica Regionale) delle Marche. Ma dall’azienda ha ricevuto un diniego, “senza che neppure fossero state effettuate le verifiche sulle sue condizioni come previsto dalla Corte costituzionale”. E ora, assistito dall’associazione Luca Coscioni, ha fatto ricorso contro l’azienda che non ha applicato la sentenza della Corte Costituzionale n.242 del 2019 (quella sul cosiddetto “caso Cappato”), per vedere riconosciuto il diritto a ottenere aiuto al suicidio senza che lo stesso costituisca reato ai sensi dell’articolo 580 del codice penale.
Mario è tra i primi in Italia, se non il primo, a rivolgersi a un tribunale per chiedere l’applicazione della sentenza della Consulta che, dopo la morte di Dj Fabo, “con valore di legge, stabilisce dei passaggi specifici per tutti quei pazienti affetti da patologie irreversibili che in determinate condizioni, possono far richiesta di porre fine alle proprie sofferenze, attraverso un iter tramite Servizio Sanitario Nazionale”, spiega l’Associazione Luca Coscioni. “Non ho più niente della mia vita precedente – ha scritto Mario all’associazione – per me questa non è più vita, ma pura sopravvivenza. Per questo ho fatto la richiesta di accesso al suicidio assistito. E ho scelto di farlo in Italia, per poter essere circondato dai miei affetti, fino alla fine”.
La sentenza, spiega Filomena Gallo, segretario della Coscioni, va incontro alle “persone affette da patologie irreversibili che, alla presenza di determinati requisiti, possono far richiesta di verifica delle condizioni stabilite dalla Corte per ottenere aiuto a porre fine alle proprie sofferenze mediante l’assunzione un farmaco letale, dopo un iter da intraprendere tramite il Servizio Sanitario Nazionale”.
Il contabile di Parnasi smentisce Centemero: “I soldi all’associazione Più voci? Per la Lega”
È stata fissata per il 25 marzo l’udienza preliminare per Giulio Centemero: il tesoriere della Lega è accusato dalla procura capitolina di finanziamento illecito. Tra poco più di un mese il gup del tribunale di Roma dovrà dunque decidere se rinviare a giudizio Centemero oppure archiviare il caso. La faccenda riguarda l’associazione “Più Voci”, fondata nel 2015 da Centemero insieme ai commercialisti del partito, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, al deputato Alessandro Morelli e all’europarlamentare Alessandro Panza. Secondo il pm Barbara Zuin e l’aggiunto Paolo Ielo, “Più Voci” è stata usata dalla Lega per incassare finanziamenti privati senza farli passare dalle casse del partito. Il principale donatore è stato Luca Parnasi. Attraverso l’Immobiliare Pentapigna, società basata a Roma, l’imprenditore ha donato 250 mila euro alla “Più Voci”. A questi si aggiungono 40mila euro versati dalla catena di supermercati lombarda Esselunga, motivo per cui Centemero è già sotto processo a Milano con l’accusa di finanziamento illecito. “‘Più Voci’ è nata al fine di stimolare la pluralità dell’informazione in un momento di crisi dell’editoria e di cambiamento dei paradigmi della comunicazione. Non un centesimo dei contributi ricevuti ha mai finanziato alcun partito politico”, è stata finora la difesa di Centemero. I documenti bancari dicono che in effetti i soldi ricevuti da Parnasi non sono finiti alla Lega Nord: dai conti della “Più Voci” sono stati trasferiti pochi giorni dopo su quelli di Radio Padania. Che l’operazione fosse finalizzata a finanziare il partito è stato sostenuto da Gianluca Talone, commercialista di Parnasi ai tempi dei bonifici. “Le è mai stato chiesto di fare dei contratti al solo fine di giustificare un’erogazione liberale?”, ha chiesto nel luglio del 2018 a Talone il pm Zuin. “Sicuramente ciò è accaduto con riferimento al contratto con Radio Padania che avrebbe dovuto stipulare la società Immobiliare Pentapigna”, è stata la risposta di Talone, “Ho compreso che il contratto era solo fittizio quando parlando con Parnasi gli ho chiesto se intendesse concordare anche uscite pubblicitarie su Radio Padania, magari in orario notturno, e lui ha categoricamente escluso tale intento, con ciò facendomi capire che il contratto in via di formazione era solo un modo per dare una veste formale alla erogazione da versare alla Lega”.
Figc, Gravina resta al vertice. E punta all’esecutivo Uefa
Il calcio italiano non cambia. Gabriele Gravina resta il n. 1 della Figc. Lo è stato negli ultimi 2 anni, in cui ha lavorato per il pallone (e per la sua rielezione). Lo sarà per i prossimi 4, confermato con percentuali bulgare. Lo hanno votato quasi tutti, calciatori, allenatori, società. Mentre il rivale Cosimo Sibilia, a cui in teoria avrebbe dovuto cedere il testimone secondo un patto non proprio fra gentiluomini, si è fermato al 26%. È stato un trionfo: Gravina può rivendicare di aver fatto ripartire il campionato dopo il lockdown e aver strappato aiuti allo Stato durante la pandemia. Adesso che ha pieno mandato, punterà alla riforma dei campionati, strizzando l’occhio alla svendita della Serie A ai fondi stranieri, cercando nuovi contributi nel Recovery fund dal governo (dove il procuratore federale Chinè è capo di gabinetto del ministero dell’Economia). Continuerà a fare gli interessi del pallone, senza dimenticare la propria elezione nell’esecutivo Uefa. Che poi sia ciò di cui il pallone ha davvero bisogno, è un’altra storia.
Lateranense, il nuovo segretario generale è donna
È una donna il nuovo segretario generale della Pontificia Università Lateranense: in questo ruolo Papa Francesco ha nominato la dottoressa Immacolata Incocciati. Prosegue la progressiva apertura alle quote rosa in seno alla Santa Sede voluta dal Pontefice: suor Nicoletta Vittoria Spezzati, Consultore storico della Congregazione delle Cause dei Santi, entra a far parte del Pontificio Comitato di Scienze Storiche assieme a padre Augustin Laffay, archivista dell’Ordine dei Frati Predicatori, e ad Antal Molnár, Direttore dell’Istituto Storico presso il Centro Ricerca di Studi Umanistici del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Budapest.
Tra le altre nomine disposte e ufficializzate ieri, Papa Bergoglio ha anche indicato i nomi dei nuovi membri dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica: si tratta dei cardinali Peter Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, e Luis Antonio G. Tagle, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
Caserta, gare truccate alla Asl: dodici arresti. Indagato Oliviero, n. 1 in Consiglio regionale
“Gennarino sette bellezze”, “San Gennaro dei poveri si è mosso… e speriamo che fa il miracolo…”. Così nelle intercettazioni Luigi Carrizzone e i suoi sodali parlavano di Gennaro Oliviero, presidente del consiglio regionale in quota Pd nella Campania di De Luca. Carrizzone, ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale Asl di Caserta, è uno dei 12 arrestati dell’indagine della Procura di Nord sugli appalti truccati dell’azienda sanitaria, nella quale Oliviero è indagato per traffico d’influenze. Secondo la ricostruzione dei Nas e del pm Giovanni Corona, Carrizzone avrebbe chiesto a Oliviero, ottenendola, una raccomandazione per ottenere la proroga dell’incarico e qualche incarico legale per il nipote avvocato, Victor Gatto. In cambio, il politico dem sarebbe stato ospite di un pranzo da 90 euro nel ristorante di una villa a Lusciano. Il giorno dopo la proroga, il 25 ottobre 2018, Carrizzone scrisse questo sms a Oliviero: “Grazie infinitamente. Luigi Carizzone”. È lo stesso giorno in cui il manager spiega a un collaboratore che “a me la mia storia l’ha fatta Gennaro, lui ha fatto da trait d’union”. L’interlocutore conferma: “Altrimenti ti stavano facendo fuori”.
Oliviero dichiara di essere “a disposizione dei magistrati”. Il Gip di fatto lo ha quasi prosciolto: le intercettazioni nel suo caso, scrive, “sono inutilizzabili” (per quel reato non sono ammesse). E che il pranzo sia stato il prezzo dell’interessamento “non è dimostrato ne dimostrabile… del resto, si suppone che Oliviero abbia possibilità economiche tali da non doversi “vendere” per un pranzo, per quanto caro”. Dunque siamo ‘solo’ nell’ambito di quella “logica clientelare che ha distorto il sistema di affidamento degli incarichi”… per ottenere credito presso il proprio elettorato”.
La tecnica di Carizzone era quella di spacchettare gli appalti per ridurli sotto ai 40mila euro oltre i quali la gara è obbligatoria. In modo di affidarli ad imprese disposte a pagare tangenti. Tra gli appalti inquinati figura anche quello dei lavori nella villa confiscata a Walter Schiavone, fratello del boss Francesco “Sandokan” Schiavone, edificata in maniera che somigliasse a quella del film Scarface con Al Pacino. Ora ospita un centro diurno di salute mentale dell’Asl.
Mail Box
Credo che Italia Viva debba cambiare nome…
Che ne dite di dare al partito dell’Innominabile il nome Av (Arabia Viva)? Rende l’idea, no?
Valeriano Luzi
Le dichiarazioni di Mieli mi sono parse ambigue
Mi auguro che Paolo Mieli voglia rispondere all’editoriale a proposito delle sibilline sue (non) argomentazioni su magistratura e Fatto Quotidiano a Radio 24. Mieli è un giornalista col piglio dello storiografo. Eloquenti i programmi sulla Rai in cui invita a confrontarsi con i periodi storici più salienti. Ebbene non me lo vedo a travisarsi alimentando le ambiguità della politica. Come osserva Travaglio, se sa qualcosa parli, ma lasci perdere i giochetti.
Lino Baldi
I disagi del Movimento vengono dall’interno
Di primo acchito verrebbe da pensare che il nuovo presidente del Consiglio abbia asfaltato il M5S, io credo che sia stato Grillo a fregare i grillini.
Domenico Moscatelli
Conte è caduto perché è perbene
Caro direttore, si è chiesto perché è caduto Conte e ha fatto una disamina della nullità delle possibili riflessioni di questo caso insoluto. Provo io? Perché una persona perbene in Parlamento, con la carica di presidente del Consiglio, non fa potere, lobbying, corruzione, banca, volgarità, propaganda, non ci tratta da sudditi… non fa draghi né barracuda, né serpenti.
Bruno Navoni
Pure la Corte dei Conti si è espressa sulla crisi
Alla domanda “perché è caduto Conte” (e anche Bonafede), una possibile risposta l’ha data la Corte dei Conti: dal 2010 al 2020 sono state pronunciate, per casi di frode, 1173 sentenze, con un totale di 730 milioni di euro di condanne. In una nazione con questo tasso di devianza, quei due non potevano durare.
Stefano Tolomelli
Se i 5S non si riuniscono perderanno voti
Dopo il crollo dei due governi Conte a opera dei due Matteo, il fondatore del Movimento ha fatto un grosso autogol dando parere favorevole all’ingresso dei 5 Stelle nel governo Draghi in compagnia dei due e di Berlusconi. Suggerisco di ricompattarsi, diversamente alle prossime elezioni riusciranno a prendere la stessa percentuale del prefisso telefonico della mia città, Cagliari: lo 070.
F. Magnetti
Il ritratto di Giavazzi e il libro di Nesi sui cinesi
Cannavò ci rivela che una fonte a cui si abbevera con competenza Mario Draghi è Francesco Giavazzi: professore bocconiano ed editorialista del Corriere della Sera. Quindi: liberismo e globalizzazione. E mi è tornato in mente il ritratto che ne fa Edoardo Nesi nel suo romanzo Storia della mia gente, Premio Strega 2011. Dove si parla della Prato, invasa dai cinesi, alle prese con la globalizzazione.
Giuliano Bollini
A mutare è stato il partito di Grillo, non il sistema
La parola d’ordine del M5S per giustificare e motivare la scelta governativa è modificare dall’interno. Mi ricorda tanto quando il Pci entrò in area governativa con due motivazioni: partito di lotta e di governo e farsi “intellettuali organici paracadutati all’interno” per modificare le vecchie logiche di partito. Come andò a finire? Il Pci si eclissò, mutò, fino a diventare Pd e chissà cos’altro finendo nelle mani del rottamatore. Invece di cambiare il sistema, il sistema ha mutato loro. Anche il M5S ha iniziato la sua dissoluzione.
Maurizio Dickmann
Se la situazione politica è questa, non voterò
Nel 2018 ho votato M5S, in quel caso senza turarmi il naso come diceva il buon Montanelli. Poi con mia sorpresa hanno fatto il governo gialloverde e, con mia rassegnazione, il governo giallorosso (in quanto presenti Innominabile e compagnia). Adesso sono confluiti nel governo Draghi, volendo cacciare quelli che non vogliono stare con Berlusconi, Renzi, ecc. Chiedo: che ci torno a fare a votare se chi voto si allea con questi personaggi?
Paolo Gardini
L’espulsione dei grillini per stare con B. è assurda
Caro Travaglio, l’avresti creduto se un giorno ti avessero detto che un folto gruppo di parlamentari sarebbero stati espulsi dal M5S perché non hanno voluto votare un’alleanza di governo con Berlusconi?
Giorgio Musu
Caro Giorgio, infatti sono quelli che non l’hanno votato che dovrebbero espellere quelli che l’hanno votato.
M. Trav.
Oltre all’Innominabile, in molti volevano la crisi
Come in tutti i crimini, per scoprirne gli esecutori bisogna cercare tra quelli che avevano un movente per commetterli o commissionarli. Credo sia sotto gli occhi di tutti che un movente lo avevano tutti coloro che, sfruttando la bramosia di potere del personaggio che ha scaturito la crisi, ambivano a sedere nella cabina di regia che gestirà i soldi del Recovery ed erano preoccupati dalla nascente coalizione di centrosinistra che vedeva in Conte il punto di sintesi. Questo progetto criminoso è stato reso possibile anche da un’errata valutazione del presidente Mattarella, che avrebbe dovuto rimandare il primo ministro alle Camere facendo lo stesso discorso che ha fatto per il nuovo presidente. Del resto, con il senno di poi, non sembra esserci quella discontinuità, sbandierata gratuitamente e da più parti evocata.
Maurizio Giovannetti
Caro Maurizio, perfettamente d’accordo.
M. Trav.
Sono stufo delle parole vuote dei “talk show”
Non si può sentir parlare certi “giornalisti”. Stiamo ai fatti, sua e nostra stella polare. Inutile parlare di Draghi fino a quando non firmerà un decreto legge o presenterà un ddl. Non sappiamo ancora nulla del vero programma. Aspettiamo che faccia qualcosa. Ce lo vede Salvini, con Forza Italia e Renzi, votare un provvedimento severo contro gli evasori?
Giampiero Brunelli
Credo che ci sarà da divertirsi.
M. Trav.
Vaccini. “Io, ultranovantenne, devo aspettare 13 settimane: grazie Zaia”
Gentile redazione, sono una novantenne di Venezia (esattamente ho 93 anni) esclusa per il momento dalla vaccinazione anti-Covid.
Perché? Ed ecco la motivazione datami quando ho telefonato alla Regione Veneto per chiedere spiegazioni: siccome i più vecchi non escono di casa, è più difficile che si contagino, perciò si comincia con quelli di 80 anni. E seguendo quanto programmato nella mia Regione, dovrebbero passare 13 settimane per arrivare al mio anno di nascita.
Prima ci hanno illusi, dicendo che saremmo stati i primi a essere vaccinati, perché dobbiamo essere protetti, perché siamo importanti, noi che abbiamo fatto la storia, bla… bla… bla… e poi: dimenticati!
Io sono sola, esco per fare la spesa dal momento che, anche se vecchia, devo nutrirmi! Vecchia, ma le tasse le pago come quando ero giovane! E senza sconti data l’età!
Inoltre mi chiedo: perché altre Regioni si comportano in maniera diversa, cominciando le vaccinazioni proprio dai più vecchi? È veramente avvilente la suddetta discriminazione… sembra sia una colpa non essere già morti.
Una nonna di Venezia