Appena oltre il confine c’è il più grande focolaio Covid d’Europa. E il governatore della Liguria, Giovanni Toti, corre ai ripari: zona rossa per Ventimiglia, Sanremo e Comuni limitrofi, dove i casi sono tornati a crescere in modo preoccupante: “La situazione desta qualche preoccupazione – ha spiegato ieri sera Toti –. Per evitare l’arrivo di un’ondata dalla Francia saranno vietati l’asporto, gli assembramenti, l’attraversamento del Comune di residenza”. E saranno chiuse le scuole . Un paradosso, visto che nel periodo di entrata in vigore, tra il 24 febbraio al 5 marzo, si terrà il Festival di Sanremo, (tra il 2 e il 6 marzo). A preoccupare è soprattutto Nizza, dove i contagi aumentano del triplo rispetto al resto della Francia. Numeri che hanno portato le autorità a varare un lockdown parziale. Mentre tra scaricabarile e rimpalli tra Italia, Francia e Monaco, se ne è andato però un altro fine settimana in cui migliaia di persone hanno varcato il confine di Ventimiglia (nelle due direzioni), senza che nessun vero provvedimento fosse ancora preso. Le polemiche vanno avanti già dai primi di febbraio. I francesi hanno sconfinato spesso, perché sulla riviera ligure, in zona gialla, ristoranti e bar erano aperti. Pochi giorni fa, Toti aveva chiesto più controlli alle frontiere al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e annunciato una campagna di vaccinazione per i frontalieri.
Miracolo Draghi: non c’è più la “dittatura sanitaria”
Sulle misure anti-Covid il governo Draghi agisce in piena continuità con quello di Giuseppe Conte. Linea del rigore sugli spostamenti tra regioni e chiusure dove necessario. Un decreto, quello licenziato ieri in Consiglio dei ministri, approvato anche grazie a ministri del centrodestra e a quelli della Lega (Giancarlo Giorgetti, Erika Stefani e Massimo Garavaglia), partito che dall’inizio della pandemia predica un solo verbo: “Riaprire, riaprire, riaprire”. E così la decisione di ieri – che ha il volto anche della ministra degli Affari Regionali di Forza Italia, Mariastella Gelmini – non va giù a Matteo Salvini, che però si deve limitare a chiedere “un cambio di passo” e di “riaprire piscine, palestre e i ristoranti la sera”. Ma non oltre, perché stavolta al governo non ci sono più Conte e i giallorosa, ma anche la Lega e Forza Italia.
E allora è utile ricordare quando sia Salvini che Renzi negli ultimi mesi si siano affiancati ai teorici della dittatura sanitaria chiedendo di riaprire tutto e subito. Il leader della Lega, a una settimana dalla scoperta del paziente zero a Codogno, già twittava: “Chiediamo al governo di accelerare, riaprire, aiutare, sostenere. Accelerare, riaprire, ripartire”. Due mesi dopo, il 28 aprile, nel pieno della fase 2, Salvini annunciava una mobilitazione del partito anti-Conte (poi rimangiata): “Torniamo liberi, torniamo a produrre, torniamo italiani, basta reclusione alla faccia di ogni vincolo e di ogni legge, c’è la scelta di qualcuno di tenere chiuso, di tenere gli italiani al guinzaglio”. In estate, al grido di liberi tutti, Salvini prima andava in piazza il 2 giugno e scattava selfie con la mascherina abbassata e poi, il 27 luglio, si presentava a un convegno di negazionisti in Senato senza la protezione: “La mascherina non ce l’ho e non la metto” diceva. E il saluto col gomito? “È la fine della specie umana”. Poi, in autunno, è arrivata la seconda ondata, ma il leader della Lega proprio non voleva accettarlo: “Spero che al governo non ci sia nessuno che pensi di tornare a richiudere ancora locali, negozi, bar, uffici, fabbriche e scuole perché si rischia di morire” diceva l’11 ottobre mentre i contagi iniziavano a risalire pericolosamente. A dicembre Salvini chiedeva al governo di “non negare il Natale ai bambini” e si autodenunciava contro i divieti del 25 dicembre: “Io uscirò e pranzerò insieme ai clochard”. Infine, da inizio febbraio la richiesta di riaprire i ristoranti anche la sera.
Chi tifava per l’apertura era anche Matteo Renzi, leader di Italia Viva che per mesi ha bombardato il governo Conte-2 prima di buttarlo giù: il 12 marzo alla Cnn chiedeva agli altri Paesi di “non fare lo stesso errore dell’Italia” (ovvero chiudere tutto) e il 28 marzo, nel momento più duro della pandemia, all’Avvenire di far ripartire le fabbriche “prima di Pasqua” e le scuole “il 4 maggio”. Un mese dopo, 30 aprile, la boutade in Senato: “Se i morti di Bergamo e Brescia potessero parlare ci direbbero di ripartire anche per noi”. A gennaio, nel pieno della crisi politica, la nuova richiesta: “Vacciniamo tutti gli insegnanti e riapriamo le scuole”. Oggi cosa dicono i due Matteo?
Modello Lombardia: doppia dose over 80 al di sotto del 10%
La solenne promessa del commissario Guido Bertolaso dei vaccini 7 giorni su 7, 24 su 24, in Lombardia è già naufragata. A una settimana dalla partenza della cosiddetta Fase 1ter, che dovrebbe vaccinare entro marzo oltre 720 mila over 80, la campagna lombarda arranca. Tra il 18 febbraio (data di avvio della Fase 1ter) e il 21, i vaccinati sono stati 40.401, 14.929 over 80 e 25.472 under. L’assessore Letizia Moratti prevedeva di vaccinare 15 mila anziani nella prima settimana, 50 mila nella seconda, 100 mila nella prima di marzo. Previsioni che si scontrano con la penuria di vaccini. Così, molti dei 473.212 ultraottantenni che si sono già prenotati non hanno ancora un appuntamento. Non c’è certezza sulla disponibilità delle dosi, si è giustificata Regione. Per capire che non va tutto liscio, basta uno sguardo ai dati elaborati dal ricercatore Francesco Ruffino (Youtrend), secondo i quali ha ricevuto la seconda dose meno del 10% dei circa 3.369 over 80 vaccinati prima dell’inizio della Fase 1ter. E non va meglio per le altre fasce di età, tutte sotto il 10%. Tra il 18 e il 21 febbraio, a ricevere la seconda dose sono stati solo 1.626 lombardi. Dati che hanno avuto una caduta verticale domenica scorsa, quando alcuni centri vaccinali, come la Ats di Pavia, erano chiusi. Così, domenica sono state vaccinate solo 4.985 persone, 2.283 over 80 e 2.703 under 80. Le seconde dosi: 15 in tutta la regione.
“Ieri (domenica, ndr) hanno ricevuto la prima dose poco più di 2.000 over 80. Se si considera che in attesa ci sono circa 500 mila persone, di questo ritmo la loro salute sarà a rischio per molto tempo”, accusa l’M5S Massimo De Rosa, che aggiunge: “Da inizio campagna hanno ricevuto la prima dose 14.000 over 80 su 500 mila”. Inoltre, le performance peggiori si registrano in quei territori dove il virus sta galoppando, soprattutto a causa della variante inglese, come a Brescia, dove domenica sono state vaccinate solo 584 persone, 59 over 80 e 525 under. E nei tre giorni precedenti il totale delle dosi iniettate era stato di 4.334.
Più che comprensibile quindi l’allarme lanciato ieri dal sindaco di Brescia Emilio Del Bono, che ha lasciato presagire come un’eventuale stretta potrebbe essere alle porte: “Il numero dei contagi nella provincia di Brescia è in crescita ormai da parecchi giorni. Ho sentito il presidente della Regione che mi ha informato che il Cts nazionale farà le sue valutazioni in base agli ultimi dati trasmessi”. Per Del Bono, Attilio Fontana avrebbe “confermato che l’aumento dei positivi inizia ad avere un impatto anche sulle strutture sanitarie”. E i dati di ieri della città non sono incoraggianti: i nuovi positivi sono stati 427 e l’incidenza settimanale dei contagi in rapporto alla popolazione ha superato la soglia critica di 250 ogni 100 mila abitanti. Valore che farebbe scattare la zona rossa. “Da inizio anno molto lentamente abbiamo visto una ripresa e siamo arrivati a oltre 280 ospedalizzati, con una proporzione del 10% in Ti. Il lento e costante aumento sul fronte ospedaliero ha coinciso anche con un gran numero di asintomatici intercettati, che abbiamo visto crescere giorno per giorno. Noi stiamo vaccinando il più possibile, tutto quel che arriva lo somministriamo”, dice il dg dell’Asst Spedali Civili, Massimo Lombardo. Così gli ospedali sono in difficoltà: il 16 gennaio i ricoverati erano 556, il 19 febbraio sono diventati 740 e ieri sono stati 780. Per cercare di moltiplicare i centri vaccinali, ieri il Pirellone ha chiuso l’accordo con la sanità privata, che inizierà a vaccinare dal 1° marzo e con le farmacie. Si potrà ricevere la dose in negozio, alla presenza di un medico. E, nella delibera, Regione Lombardia ha previsto anche la possibilità per il farmacista di somministrare il vaccino antinfluenzale. Il Pirellone infatti ha ancora circa 10 milioni di euro di vaccini inutilizzati che ora tenta di smerciare. Peccato che la stagione dell’influenza sia quasi finita e quei vaccini siano inutili.
Confermato il decreto Conte e regole più dure in zona rossa
Due domeniche fa, appena insediato, Mario Draghi ha dato via libera al riconfermato ministro Roberto Speranza per prorogare la chiusura degli impianti sciistici, che ha suscitato polemiche perché arrivava all’ultimo momento nella settimana della crisi politica. Ieri il governo ha prolungato il divieto di spostamenti da una Regione all’altra non fino al 5 marzo, ma fino al 27, naturalmente salvo motivi di lavoro, salute, “comprovate necessità” e rientro alla propria “residenza, domicilio o abitazione”, che dovrebbe continuare a comprendere le seconde case ma non in zona “rossa”. Lì, altra novità, non si potrà più andare a trovare amici e parenti due volte al giorno, come invece resta consentito altrove.
Questo il decreto legge che sarà emanato dopo la prima riunione del Consiglio dei ministri, tenuta ieri, sull’emergenza Covid. Resta un po’ deluso il fronte aperturista, da Matteo Salvini al presidente della Liguria Giovanni Toti. Chi si attendeva chissà quale cambio di passo deve attendere il nuovo piano vaccinale e le decisioni sul ruolo del commissario Domenico Arcuri e sul Comitato tecnico scientifico, che potrebbe essere ridotto dagli attuali 26 membri e dotato di un “portavoce”. Senz’altro sarà introdotto, come richiesto dalle Regioni e dalla neo ministra forzista degli Affari regionali Mariastella Gelmini, il principio di contestualità dei ristori rispetto alle restrizioni, comprese quelle disposte dalle Regioni stesse.
Agenas: in undici Regioni contagi destinati a salire
Ai colleghi del nuovo governo ieri Speranza ha spiegato la situazione, la forte preoccupazione dei tecnici per le varianti, i numeri in crescita dei contagi e dei ricoveri in diverse Regioni: ieri a livello nazionale i pazienti nei reparti ordinari sono aumentati di 351 unità, quelli nelle terapie intensive di 24. Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionale, prevede l’aumento dei casi in Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Trentino e Alto Adige, Toscana e Umbria. Si moltiplicano in gran parte del Paese le zone rosse o arancioni: ieri il Comitato tecnico scientifico ha dato luce verde alla Lombardia (che è gialla) per chiudere la provincia di Brescia, dove si diffonde la variante inglese più contagiosa e si registrano 310 nuovi casi ogni 100 mila abitanti in 7 giorni contro i 166 della Lombardia e i 159 della media nazionale; 20 Comuni dell’Anconetano sono da oggi in arancione (anche qui la Regione è gialla); c’è grande allarme anche a Napoli dove Vincenzo De Luca parla di “zona rossa” ma come al solito attende che ci pensi qualcun altro; la variante inglese è spuntata anche in Val d’Aosta, chiusure a Merano (Bolzano) dove il problema è la variante sudafricana mentre quella inglese in Puglia è al 38% dei casi nell’indagine fatta sui tamponi positivi del 12 febbraio, più del doppio del dato rilevato dall’Iss nella Regione su quelli del 4 e 5 febbraio. Chiuse le scuole in Puglia come a Ventimiglia e Sanremo (Imperia). Gran parte dell’Umbria e dell’Abruzzo, in particolare Perugia, Chieti e Pescara, sono già “rosse”. Tutti attendono il nuovo studio dell’Iss, le stime dicono che la prevalenza della variante dovrebbe attestarsi al 30/35%, la sua maggior trasmissibilità è nell’ordine del 39%: un primo studio, presentato il 26 gennaio al Cts, aveva ipotizzato a fine gennaio una moltiplicazione per sei dei contagi entro marzo, assumendo una maggior tramissibilità del 50% come nel Regno Unito; ne stanno preparando un altro che abbasserebbe un po’ le previsioni.
I tecnici di Palazzo Chigi stanno già lavorando al decreto che sarà in vigore dal 5 marzo, quando scadrà il Dpcm di Giuseppe Conte che dispone il divieto di circolazione dalle 22 alle 5 del mattino, detta le regole per l’Italia “a colori” a seconda del livello di rischio individuato dalla Cabina di regia ministero della Salute/Istituto superiore di sanità ed elenca le attività vietate. Tutti hanno insistito sull’esigenza di maggiore collegialità, le stesse Regioni hanno avanzato proposte (fin qui un po’ fumose) sulla revisione dei parametri epidemiologici per le chiusure. La discussione è appena iniziata.
Mario Transformer
All’Ottavo nano, il mitico programma della Rai2 di Freccero, partiva ogni tanto lo spot del Berlusconi Transformer, il simpatico pupazzo di B. nei suoi più riusciti travestimenti: “Lo vuoi operaio? Lo preferisci imprenditore? È il tuo nuovo amico. Cercalo nei migliori negozi. Cardinale, comunista, extracomunitario, dottore, giudice… Basta che lo voti e diventa quello che vuoi!”. Nella sua incontinenza verbale, il Cainano si dipingeva ogni giorno per una cosa diversa, inventandosi un’autobiografia prêt-à-porter per piacere a tutti. Mario Draghi ottiene lo stesso risultato senza neppure lo sforzo di aprire bocca e, le rare volte che la apre, senza dire assolutamente nulla di preciso: provvedono poi i giornalisti al seguito ad attribuirgli pensieri, parole e opere buoni per tutti gli stomaci e i palati. Mario Transformer è descritto come l’antitesi di Conte e “tutto il contrario dei giallorossi” (Libero), anche se ha tutti i giallorossi in maggioranza e 11 ministri su 22 che lavoravano con Conte, elogia Conte per aver “affrontato l’emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia”, conferma il Recovery di “alto livello” di Conte, non prende il Mes come Conte… Tutto ciò che fa è già stato fatto. Il resto lo rinvia, perché nell’ammucchiata nessuno è d’accordo con niente. Oppure non ne parla proprio, per non scontentare nessuno, copiando un po’ da Giavazzi, un po’ da Chance giardiniere, un po’ da Massimo Catalano. Ambiguità politichese? Vuotezza forlaniana? Vaghezza andreottiana? No: “pensiero e azione” alla “Giuseppe Mazzini (Molinari, Repubblica). “La potenza di un’analisi” (Ajello, Messaggero). “Il grande gioco delle idee dietro il discorso fatale” (De Monticelli, Domani). “Il cambio di passo per la politica” (Fontana, Corriere). “La formidabile lezione del professore” (rag. Cerasa, Foglio). “Competenza e visione” (De Romanis, Stampa). Volete mettere la nobiltà del non dire? “Silenzi istituzionali”, “ritorno a una comunicazione autorevole” che “rivoluziona le parole del potere” (Panarari, Stampa). Del resto, non so se l’avete notato, ma Lui “è il solo che parla come i ragazzi del clima” (Domani): lui e Greta, due gocce d’acqua.
Sbianchettata mezza sua biografia dalle asprezze liberiste, privatizzazioni, Goldman Sachs e Grecia, ora Draghi è un “keynesiano pragmatico” (Giampaolo Galli). “Un socialista liberale” (Valdo Spini), “come Craxi” (Martelli). “È contro la patrimoniale e per il taglio delle tasse” un po’ “come Ferruccio Parri” (Salvini). “Un grillino, uno di noi” (Grillo). “Riaccende l’amor patrio” (QN). “Antisovranista come noi” (Zingaretti), un brutto “colpo al sovranismo” (Franco, Corriere).
“Segue il modello Johnson” (Verità). È “la scelta più sovranista che potessimo fare” (Claudio Borghi). “Il mio capolavoro” (Renzi). “Un grande italiano come me” (B.) sebbene incensurato, infatti “combatterà la corruzione e le mafie” (Rep). Tutto e il suo contrario, ma Lui lascia dire: finché gli altri se la bevono. Mario Transformer, e pure trasformista. Ma se Conte cercava 4 o 5 responsabili per neutralizzare i voltagabbana renziani, era “mercato delle vacche”; se Lui inventa un’ammucchiata di interi partiti cambiacasacca che giuravano di non appoggiarlo mai e di non governare mai insieme, si chiama “trasformismo buono” (Foglio), anzi “dimensione repubblicana” e “spirito repubblicano” (Rep-Espresso: mica come quel monarchico di Conte), e non ricorda Mastella, Ciampolillo, Razzi o Scilipoti, ma “De Gasperi, Berlinguer e Monti: quando gli ‘incompatibili’ riescono a fare squadra” (Ceccarelli, Rep).
I giornaloni si sbracciano fra “svolta”, “novità”, “agenda Draghi”, “effetto Draghi”, “modello Draghi”, “metodo Draghi”, “stile Draghi”, “rivoluzione Draghi”. L’Espresso esulta per la Resurrezione dell’Italia dal “mucchio di macerie lasciato dai governi Conte”, “la crisi di sistema”, “il fallimento degli uomini nuovi”. Veneziani tripudia per “la fine della farsa giallorosa e il ritorno alla normalità”. Francesco Merlo orienta la lingua sul nuovo destinatario che “ridicolizza la comunicazione truccata e sbracata di Conte&Casalino” e “la Cretinocrazia” che “sbaglia i congiuntivi e geografia (Di Maio)”: poi si ritrova Di Maio agli Esteri. Aldo Grasso, altro scalatore di discese, non sta più nella pelle: “È come se in questi ultimi anni avessimo vissuto un incubo… se ci stessimo risvegliando dall’invenzione di una situazione intollerabile. Com’è potuto succedere? Perché così tanti incompetenti a guidarci?” Poi si sveglia e Draghi “congela i licenziamenti di massa” (Domani), come Conte. “Coinvolge nei vaccini i medici di base” (Sole 24 Ore), come Conte. “Tiene per sé la delega ai Servizi” (Stampa), come quel dittatore di Conte. E sull’Ilva “va avanti con Invitalia” (Stampa e Corriere), cioè con quella ciofeca di Arcuri. Vuole “più pagamenti digitali” (Rep), come Conte. C’è, è vero, qualche bella svolta rivoluzionaria. Tipo questa: “Con Draghi l’Italia ha scelto l’Europa” (Sassoli), mica come Conte che aveva scelto l’Oceania. Senza contare che Draghi vuole “l’alleggerimento dei divieti” (Libero) e “basta Dpcm” (Giornale): infatti proroga tutti i divieti di Conte, ne aggiunge qualcuno e lo fa con un decreto e un Dpcm, come Conte. Però c’è modo e modo, anzi moda. Repubblica: “Il Dpcm alla moda di Draghi”. Il primo Dpcm in minigonna della storia.
Ma mi faccia il piacere
Slurp/1. “Tra gli aspetti che mi hanno colpito del discorso di #Draghi c’è un dettaglio che probabilmente non tutti hanno notato. Quando veniva interrotto da applausi ricominciava il periodo dall’inizio per rispettare il rigore del ragionamento. #questionedistile” (Raffaella Paita, deputata Iv, Twitter, 17.2). Dopo le quote rosa, le quota bava.
Slurp/2. “Il debutto di Draghi conteso dai leader. L’omaggio di Merkel e Johnson” (Repubblica, 20.2). Se lo strappavano di mano, via Zoom.
Slurp/3. “Draghi ha elencato i suoi prescelti secondo il loro titolo di Dottore, Professore, Onorevole con una voce sicura, senza sbalzi né pause di preferenza o dubbio. Non una parola in più, non una fuga ma una subitanea scomparsa da Uomo Invisibile, lasciando con un palmo di naso il paziente drappello di reporter. Un Cary Grant, un Daniel Day-Lewis, un Mahershala Ali però bianco” (Natalia Aspesi, Repubblica, 14.2). Non una parola in più.
Vescica di ghisa. “Draghi non molla mai, neanche per andare in bagno” (Tempo, 19.2). Un premier degno di minzione.
DragaZeneca. “Draghi non perde tempo: vaccini made in Italy” (Claudia Fusani, Riformista, 17.2). Gliel’ha detto Pio Pompa.
Il guardiano del faro. “Mattarella resta faro imprescindibile del paese” (Emiliano Fittipaldi, Domani, 20.2). Duce, tu sei la luce.
Lesa linguità. “Giornali e talk show ultras del #Conte II ora investono con i loro soliti insulti Beppe Grillo alleato di Draghi dopo averlo definito ‘statista’. L’amore populista muta presto in odio populista” (Gianni Riotta, Twitter, 19.2). Giusto: come osiamo non leccare i suoi stessi culi?
Il Segretario Casertano. “Funiciello, torna dopo Gentiloni l’intellettuale machiavelliano” (Stampa, 16.2). L’arte della lingua.
Chance il giardiniere. “Draghi: salute bene pubblico”, “Draghi: tasso di crescita decisivo’” (Sole 24 ore, 20.2). Ma va? E s’è dimenticato la migliore: quando c’è la salute c’è tutto.
Massimo Catalano. “Alla Corte dei conti la rivoluzione di Draghi: ‘Fiducia e trasparenza’” (Dubbio, 20.2). Mica come quelli di prima, che predicavano la sfiducia e l’opacità.
La faccia come la Boschi. “Conte candidato a Siena? Penso sia prematuro parlarne ora, sentiremo i nostri rappresentanti sul territorio” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, 9.2). Quelli di Bolzano.
Compagno banchiere. “Credo che questa volta le riforme arriveranno. Sarà svolta all’insegna del garantismo. Diciamo pure che Draghi risponde a queste attese ed è l’espressione di un momento storico unico e irripetibile” (Giuliano Pisapia, ex Rifondazione comunista, ora eurodeputato Pd, Giornale, 20.2). Torna finalmente a rifulgere il sol dell’avvenire sui colli fatali di Roma.
Prima e dopo la cura. “Sul tavolo abbiamo due bozze di contratto per l’acquisto di 27 milioni di dosi del vaccino Pfizer” (Luca Zaia, Lega, presidente Veneto, Radio24, 17.2). “Nessuna trattativa è in corso sui vaccini” (Luciano Flor, segretario generale Sanità Veneto, interrogato dai pm di Perugia, Stampa, 20.2). Prima e dopo l’inchiesta.
C’è tempo. “Vaccini? Per gli over 80 non c’è da avere fretta” Letizia Moratti, FI, assessore Sanità Lombardia, 16.1). Tanto li hanno già sterminati quasi tutti.
Come passa il tempo/1. “Questo nanetto dice che sono cattivo. Hai ragione, Berlusconi, sono cattivo! Ma ti prometto che nel primo giorno in cui governeremo o vai in Libano o ti prendi vent’anni di galera” (Beppe Grillo, beccato da @nonleggerlo, 15.5.2014). O ci alleiamo con te.
Come passa il tempo/2. “Salvini: ‘Governo ammucchiata col Pd? Con chi apre i porti, taglia le pensioni, sbaglia su scuole e vaccini, mi vuole in galera? Fantasie di qualche giornalista, editore, banchiere o faccendiere fantasioso’” (Matteo Salvini, segretario Lega, 24.1).
Peli superflui/1. “Faremo come Macron, una casa del buon senso” (Matteo Renzi, segretario Iv, 20.2). La casetta di Barbie.
Peli superflui/2. “Il Pd deve uscire dal lockdown e dalla subalternità al M5S” (Matteo Orfini, deputato Pd, Foglio, 19.2). Ha già prenotato il notaio.
Peli superflui/3. “Serve un lockdown vero, questo governo ci ascolti” (Walter Ricciardi, consulente di Speranza, Messaggero, 15.2). Perchè, in quanti siete?
Peli superflui/4. “Più che il curriculum formidabile di Marta Cartabia, spinge a un allegro ottimismo il livore che le riservano gli sfrattati di via Arenula guidati dal Travaglio” (Adriano Sofri, Foglio, 16.2). Un mandante è per sempre.
I titoli della settimana/1. “Un’Italia per i nostri figli” (Repubblica, 18.2). “Draghi: ‘Ricostruire per i nostri nipoti’” (Sole 24 ore, 18.2). E gli zii e i cognati, niente?
I titoli della settimana/2. “Urgenza n.1: prescrizione per ristabilire lo stato di diritto” (Piero Sansonetti, Riformista, 16.2). Il padrone fa la collezione.
“Rifondare il M5S con Conte e difendere il patto giallorosa”
Due governi caduti nel giro di un anno e mezzo, con la giustizia a fare sempre da miccia dell’incendio finale. E in mezzo al fuoco sempre lui, l’ormai ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, che ora può dirlo a mente moderatamente fredda: “Sapevamo che portare avanti le battaglie del M5S su certi argomenti non sarebbe stato per nulla facile ma, premesso che le rifarei tutte, la giustizia è stata davvero un pretesto. C’era l’intenzione di aprire una crisi, e chi è stato ai tavoli della trattativa nell’ex maggioranza sa che i temi non erano il vero punto”. Il punto era qualcosa d’altro, ma ora Bonafede ha un’altra urgenza: “Bisogna guardare al futuro e a ciò che c’è da fare con responsabilità, quella che non ha avuto chi ha provocato tutto questo in piena pandemia”
Tutto questo secondo alcuni è successo anche perché Bonafede era inamovibile dal suo ministero, e l’ha teorizzato anche qualche 5Stelle. Lei ha rappresentato un problema durante la crisi?
Io non ho mai posto la mia questione personale, ma quella dei nostri valori e dei nostri risultati da preservare, come la riforma della prescrizione, che era una delle promesse principali del programma del M5S. Ho chiarito subito che la mia permanenza come ministro non doveva essere un problema, e che comunque non mi interessava essere promosso o destinato ad altro ministero.
Le hanno offerto un altro ruolo?
C’erano delle voci su un mio spostamento al Viminale. E prima che mi facessero proposte ho detto cosa pensavo.
Matteo Renzi invocava “discontinuità” sulla giustizia.
Io per tre mesi non ho reagito alle tante provocazioni, perché bisognava lasciare al centro il lavoro sulla giustizia. Ricordo però che quando Conte è andato difendere gli interessi italiani in Europa qualcuno ha rilasciato interviste a giornali stranieri evocando la crisi.
Perché?
Perché c’era una forza politica che non voleva la compattezza della coalizione giallorosa.
Questa coalizione va conservata e difesa, come sostiene Giuseppe Conte?
Sono assolutamente d’accordo con lui. L’esperienza del governo giallorosa è stata positiva, e penso che questa coalizione debba lavorare per guidare il Paese anche in futuro.
Con Conte federatore dell’alleanza o leader del Movimento?
Questa ovviamente sarà una sua scelta. Ma io penso che il futuro del M5S non possa che essere intrecciato a quello di Conte.
Intanto però c’è un nuovo governo, con dentro Forza Italia, Renzi e la Lega. Come potete deglutire tutto questo?
Siamo in una situazione eccezionale, con la pandemia, e il presidente della Repubblica ha rivolto un appello a tutte le forze politiche. I cittadini ci chiedono di difendere gli interessi Paese nel segno della legalità e della transizione ecologica, e di completare il Recovery Plan. Il M5S deve dimostrare lealtà e responsabilità, come abbiamo sempre fatto.
Ma il Movimento è lacerato e le espulsioni vi stanno decimando.
La nostra non è una fiducia in bianco. Sarà essenziale stare in questo governo difendendo i valori che sono il nostro Dna, perché il principale rischio ora è smarrirli. Ma la Rete ha detto che dovevamo votare la fiducia, e quel responso per noi è vincolante.
Vi chiederanno di accettare di tutto, di normalizzarvi…
Essere responsabili non significa essere democristiani. Siamo il partito con la maggioranza relativa in Parlamento, e dobbiamo essere protagonisti.
Hanno congelato gli emendamenti sulla prescrizione, che non significa averli cancellati. La sua riforma è intoccabile?
Sulla prescrizione sono arrivati segnali positivi. Detto questo, per noi deve restare il punto di caduta citato nel post che ha lanciato il voto su Rousseau, ossia il cosiddetto lodo Conte-bis, che introduce una distinzione tra condannati e assolti. Siamo disposti a muoverci esclusivamente nel perimetro del lodo.
Lei è davvero convinto di aver fatto un buon lavoro?
Guardi, io ho realizzato la riforma della prescrizione, la legge spazzacorrotti, la legge sulle intercettazioni e quella sul codice rosso, contro la violenza sulle donne. E ho varato un piano di assunzioni che non ha precedenti: solo nel 2021 nel comparto giustizia verranno assunte 7mila persone. Solo con il personale e la digitalizzazione, che abbiamo avviato, si può velocizzare la giustizia.
Ma i processi andavano riformati.
La riforma del processo civile è alla Camera da più di un anno. Io avevo proposto anche un decreto per anticipare alcune misure. Dopodiché siamo pronti a dare la massima collaborazione sulla riforma dei processi alla ministra Cartabia, che ho incontrato per il passaggio di consegne.
C’è tanto da fare. Ma nel frattempo il Movimento rischia di implodere, non crede?
Io penso che il M5S vada rifondato, ossia che debba essere completamente riorganizzato.
Eleggere una segreteria collegiale non basterà?
Non è sufficiente sostituire un capo. Dobbiamo darci una struttura, e coinvolgere i territori. Vito Crimi ha fatto il massimo come reggente, ma l’errore che tutti noi abbiamo commesso in questo ultimo anno è stato pensare che al Movimento, per reggere, bastasse stare al governo. E invece non può essere così.
A proposito di segreteria: lei potrebbe candidarsi?
In questo momento non è nei miei pensieri. La mia principale preoccupazione è il lavoro in Parlamento, che sarà fondamentale. E per questo sarà fondamentale che il Movimento resti compatto.
Via Twitter Beppe Grillo ha manifestato il sostegno alla ricandidatura a Roma di Virginia Raggi
Non so quali saranno le valutazioni del M5S. Di certo Virginia ha lavorato molto bene.
Sottosegretari, l’ora X. Guerra Pd-Salvini su nomi e posti chiave
L’ora X scatta questa mattina alle 9:30 quando a Palazzo Chigi è convocato il primo vero consiglio dei ministri dell’èra Draghi. All’ordine del giorno il decreto Covid che dovrà essere licenziato e su cui a Palazzo Chigi hanno lavorato per tutto il fine settimana, ma è probabile che il governo proceda anche con la nomina dei 43 sottosegretari: d’altronde l’obiettivo del presidente del Consiglio Mario Draghi è quello di completare la squadra entro oggi per iniziare a lavorare a pieno regime. Altra condizione: che il 60% dei sottosegretari sia composto da donne.Dalla maggioranza fanno sapere che ieri il sottosegretario a Palazzo Chigi Roberto Garofoli, che ha in mano tabelle e caselle da riempire, ha avuto diversi contatti con i partiti e che al massimo la partita slitterà a martedì. Ma c’è chi è più ottimista: “Nel cdm chiudiamo tutto” dice chi nelle ultime ore ha parlato col premier. In questo caso già domani i nuovi sottosegretari potrebbero giurare a Palazzo Chigi.
A complicare il lavoro di Garofoli ci sono le lotte intestine tra i partiti di maggioranza: soprattutto tra la Lega di Matteo Salvini, che vorrebbe piazzare uno dei propri uomini nei ministeri più “autonomi”, e il Pd che non vuole consegnare al Carroccio la golden share dell’esecutivo.
Eppure Salvini, che nella formazione della squadra di governo era rimasto a mani vuote visto che nessuno dei tre ministri leghisti (Giorgetti, Stefani e Garavaglia) è un suo fedelissimo, stavolta spinge per piazzare un suo “guardiano” nei dicasteri più pesanti controllati da Pd o tecnici. E la richiesta è esplicita: fonti della Lega fanno sapere che oltre al Viminale, il Carroccio “ha chiesto di essere coinvolta all’Ambiente, Infrastrutture, Agricoltura e Scuola”. E allora Salvini spinge per far tornare all’Interno Nicola Molteni, già sottosegretario nel governo gialloverde su cui però c’è il veto del Pd, o in alternativa il meno divisivo Stefano Candiani. Ma in questo caso i dem non potrebbero prescindere da Matteo Mauri, il viceministro che più ha spinto per cancellare i “decreti Sicurezza” durante il Conte II. Stesso discorso per la Salute dove il leader della Lega vuole mettere l’assessore umbro Luca Coletto a fare il guardiano di Roberto Speranza sulla gestione del Covid. Alle Infrastrutture invece, per “controllare” l’operato di Enrico Giovannini sulle grandi opere (Tav, Ponte sullo Stretto), è in pole position Edoardo Rixi, che nel 2019 fu costretto a dimettersi da viceministro al Mit dopo la condanna del Tribunale di Genova per le spese pazze in Regione Liguria. Per questo motivo, il suo ritorno fa storcere la bocca a Pd e M5S. All’Agricoltura Salvini vorrebbe Massimiliano Romeo, Lucia Borgonzoni all’Istruzione, Giulia Bongiorno alla Giustizia, Massimo Bitonci al Mef, mentre sembra complicato che riesca l’operazione Massimo Durigon al Lavoro visto il “no” del ministro Andrea Orlando. Con i suoi fedelissimi, Salvini si sfoga: “Mi hanno tenuto all’oscuro dei ministri, adesso ci devono coinvolgere”. Stesso concetto ripetuto dal capogruppo Riccardo Molinari al Corriere: “Draghi ha avuto le mani libere, adesso serve una compensazione”. Lo schema finale dovrebbe essere questo: 11 sottosegretari al M5S, 8 alla Lega, 7 a Pd e Forza Italia, 2 a Italia Viva e uno ai partiti minori. Le segreterie hanno mandato una lista a Garofoli indicando due opzioni per ogni dicastero e sarà lui, insieme a Draghi, a scegliere.
Se nel M5S è tutti contro tutti, il Pd dovrebbe confermare due uomini (Antonio Misiani al Mef e Mauri all’Interno) e inserire cinque donne, mentre in FI saranno premiati i senatori rimasti tagliati fuori dai ministeri: quasi certi Gilberto Pichetto Fratin al Tesoro, Francesco Battistoni all’Agricoltura mentre i deputati Valentino Valentini e Francesco Paolo Sisto dovrebbero andare agli Esteri e alla Giustizia. In via Arenula è ballottaggio anche tra i renziani Lucia Anninabli e Gennaro Migliore. A Draghi restano due nodi da sciogliere: il sottosegretario all’Editoria (dovrebbe essere riconfermato il dem Andrea Martella) e qualche tecnico di sua fedeltà da piazzare al Mef (come il renziano Ernesto Maria Ruffini) e al Digitale.
Draghi copia Giavazzi: “È colpa di uno staff ancora un po’ debole”
Una ricostruzione ufficiale di che cosa sia successo non c’è. La struttura di comunicazione del premier Mario Draghi ipotizza un errore – “debolezza” – dello staff che ha lavorato al discorso per la fiducia: qualcuno avrebbe dimenticato di virgolettare e citare la fonte di molti passaggi su come andrà scritta la riforma fiscale prossima ventura. Il risultato, come ha rilevato per primo Carlo Clericetti nel blog Soldi e Potere su repubblica.it, è che nel testo letto in Senato dal presidente del Consiglio sono stati copiati e incollati – senza citazione – ampi stralci di un editoriale dell’economista Francesco Giavazzi uscito a maggio sul Corriere della Sera. È tratto da lì anche il lungo esempio della Danimarca che nel 2008 affidò il compito di ridisegnare il fisco a una commissione di esperti.
Peccato veniale, minimizza chi segue la comunicazione del neo presidente del Consiglio: quei concetti sulle riforme fiscali da affidare a “esperti” e sull’inopportunità di “cambiare le tasse una alla volta” (Giavazzi si riferiva all’ipotesi di riduzione dell’Iva lanciata pochi giorni prima da Giuseppe Conte) sono ampiamente condivisi. O almeno li condividono l’ex presidente della Bce e il docente della Bocconi ed ex commissario alla spending review, che negli Anni Settanta hanno studiato insieme al Mit di Boston con il premio Nobel Franco Modigliani. E nel 2003, quando Draghi lavorava in Goldman Sachs, hanno firmato insieme un paper sui rischi finanziari legati ai derivati e le possibili ripercussioni per i conti pubblici.
Resta il fatto che, partendo da quelle considerazioni di metodo ma anche di merito, i giornali si sono poi esercitati in analisi filologiche sulla forma che potrebbe prendere la grande revisione del sistema fiscale annunciata dal premier. Senza sapere che era tutto già scritto. Anche alcuni particolari che il premier non ha pronunciato, ma si ritrovano nel testo di Giavazzi: la commissione danese ci mise un anno a partorire la sua relazione e alla fine propose un taglio del 5,5% dell’aliquota applicata ai redditi più alti e, tra il resto, un tetto molto basso alle detrazioni per gli interessi.
“Sottosegretaria mai”. Chiara, la sfida finale: “Deputata, ancella no”
Sarà annoverata tra i casi di studio per via dell’eccentricità della sua posizione. Chiara Gribaudo, giovane deputata piemontese del Pd, diffida per iscritto Zingaretti a promuoverla di rango, caso mai avesse intenzione.
“Non lo faranno mai. Ma se lo facessero, contro la mia volontà, li manderei all’altro capo del mondo”.
Tignosa, testarda, secchiona, ma soprattutto libera. Chiara, trentanove anni di cui venti passati a fare politica militante con quel che comporta il porta a porta (“ti fa ascoltare di più la gente, ti fa incazzare di più), ha chiesto di non essere proprio considerata nel ruolo di sottosegretaria.
Essendo di fascia b, come si dice, livello due, tipo aspirante a…, e considerando che sono donna, è iniziato a circolare anche il mio nome nell’infornata riparatrice di donne come sottosegretarie.
Sotto-segretarie o anche vice-segretarie. Segnalo “sotto” e “vice”.
Dieci donne come vice per riequilibrare il peso dei tre maschi fatti ministri come capi? Ma hanno capito bene di cosa parliamo?
Hanno capito che anche voi donne, anche per colpa di voi donne, si può risolvere la faccenda in questo modo.
Io sono fatta in un altro modo. Aggiungo: c’è un motivo perché il Pd non funziona più.
Perché il Pd non funziona più?
Perché vive su una nuvola. Accucciato tra i soffici cuscini del potere affluente, dell’establishment perpetuo. Non libera le energie che ha, le soffoca. Non fa seguire i fatti alle sue parole. Semplicemente ignora. E così facendo tributa al voltafaccia un inchino rispettoso.
Il voltafaccia sarebbe la questione femminile mandata in soffitta?
Una come me che promuove la campagna del giusto mezzo (metà risorse del Recovery indirizzate a garantire la questione di genere), che in commissione lavoro fa battaglie per dare dignità alle non garantite, può accettare per sé una ricompensa di questo tipo? Mai e poi mai.
Oggi il Consiglio dei ministri potrebbe completare gli assetti di governo.
Non so. So solo che la nostra direzione è convocata per giovedì. Molto bene.
Molto male.
Io voglio discutere sul perché Andrea Orlando sia ministro e vicesegretario. Voglio capire perché tre capi corrente hanno goduto di questa promozione a ministri. Devo sapere se sono contendibili i ruoli di capigruppo.
Le quote rosa sono inguardabili però.
Ma quali quote rosa? Puoi essere donna imbecille e di potere. Liberare il campo dallo stereotipo: nessuno deve aprirmi la porta ma nessuno deve permettersi di chiuderla a chiave pur di non farmi entrare.
Gribaudo è una deputata atletica, piuttosto effervescente. Non la si vede in tv, peccato.
La tv è un grande effetto ottico. Noi dobbiamo imparare a vivere tra la gente, a capirla. E se il Pd vivesse di più dove c’è vita saprebbe che un mondo, anche quello delle donne, è pronto a darsi da fare. Invece la sinistra è più indietro di tutti. E poi, se mi è consentito, questa vera effrazione dell’intelligenza per cui a noi si affidano compiti da nutrici, ministre che stanno in cambusa: pari opportunità, politiche sociali, famiglia. Ma va là! Io voglio il Lavoro, la Giustizia, l’Interno. E lo chiedo in virtù dei miei meriti, se mostro di averli, del mio talento, se lo impiego bene e se esiste. Ma non deve essere “il maschio” a valutarlo. Deve farlo chi ha dato prova di leadership, maschio o femmina che sia. Dobbiamo vedere solo ministre “tecniche” nei ruoli fondamentali? La società viaggia a un numero di giri enormemente superiore a quello della politica.
Lei Gribaudo è veramente sorprendente. Ma ha capito in che partito milita?
Bisogna ritrovare un nuovo alfabeto, un lessico disvelatore, parole anche cruente nella loro franchezza, usare la sciabola.
Lei è alla seconda legislatura, quindi già un po’ attempata.
Mi bastava la prima. Poi grazie a Renzi sono qui. Dico grazie nel senso che la sua scelta, una sua fedelissima al mio posto, provocò un qualche mal di pancia e i miei compagni mi chiesero di ritornare. Rifeci le primarie e rivinsi. E rieccomi.
La sinistra maschilista.
Inaccettabile vizio del circuito selettivo. Bisogna ora rendersi indisponibili ai giochi di riparazione.
Brava!
Brava un corno!