Fermi tutti, e da un anno, a parte timide e sporadiche riprese estive: è dal 23 febbraio 2020 che le sale di cinema, musica e teatro sono chiuse a causa della pandemia. Un bilancio impietoso: un miliardo e mezzo di euro in fumo, di cui quasi uno per palco e maxischermo.
Piange il botteghino. Gli ultimi dati Siae certificano che il settore (tutto: dal cinema al circo, dallo sport alle mostre) è in crisi nera: nel 2020 sono stati bruciati 4,1 miliardi. Gli ingressi degli spettacoli di lirica e prosa sono stati appena 6,8 milioni, il 70 per cento in meno del 2019 (23,3 milioni). Calano un po’ meno gli eventi, 46 mila, ovvero -65 per cento rispetto all’anno precedente Covid-free. La spesa al botteghino è crollata a 92 milioni: persi 334 milioni, -78,45 per cento (erano 426 milioni e passa nel 2019). L’Agis, conteggiando anche gli eventi di musica leggera e danza, stima che gli incassi sono stati solo 177 milioni di euro, mentre le perdite si aggirano sui 582 milioni.
Questi fantasmi. Sempre secondo l’Agis, la platea dei lavoratori dello spettacolo è di circa 140 mila persone, la cui retribuzione mediana annua è di circa 4.328 euro per i dipendenti e 194 giorni di lavoro, benché il 77 per cento della categoria non arrivi a 90 giornate (dati Istat). La platea, tuttavia, è vastissima: se si considerano – come fa l’Inps – tutti i lavoratori con almeno una giornata pagata all’anno si arriva a 330 mila persone, con una retribuzione media di 10.664 euro.
Ristori e ristorati. Dei 140 mila lavoratori “ufficiali”, l’Inps ne ha “aiutati” 48.705 con almeno un assegno, tra i vari bonus: quelli mensili da 600 euro, le indennità onnicomprensive di 1.000 euro e le ultime previste dai decreti Ristori. In totale sono stati erogati in sussidi 192 milioni di euro. Il Mibact (da poco tornato Mibac, senza Turismo, ndr) ha elargito 11 miliardi di euro a sostegno di cultura e turismo, da marzo a dicembre 2020, tra cui dieci milioni – con Cassa Depositi e Prestiti – per la discussa “Netflix della cultura”: ItsArt, una piattaforma digitale con contenuti teatrali e cinematografici. Aggiornando i dati ai primi due mesi del 2021, 318 milioni di euro sono andati ad assegni e iniziative per i lavoratori dello spettacolo e 571,7 milioni di euro per tutto il comparto dal vivo: di questi, 500 milioni sono destinati ai soggetti foraggiati dal Fus in deroga agli obblighi di produzione (!), mentre 14 milioni vanno ai teatri privati e alle piccole sale e appena 53,6 milioni alle tante piccole realtà “extra Fus”.
Gli invisibili. Li chiamano “extra Fus”: sono quel mondo di compagnie piccole e grandi, sale cinematografiche, associazioni, intermittenti, liberi professionisti, ovvero tutte quelle realtà che sono escluse, storicamente, dai contributi che il Ministero versa a Stabili, Tric e compagnie attraverso il Fondo unico dello spettacolo. È da un anno che questo piccolo, ma vasto, mondo lotta per farsi almeno notare, se non aiutare. Il ministero finora ha erogato per loro solo 53,6 milioni di euro, e quel mondo rischia di essere spazzato via. Lo racconta Filippo Tognazzo di Rete Spettacolo dal vivo, uno dei tantissimi gruppi nati nel periodo del lockdown: “Per noi è comunque qualcosa: è la prima volta che vengono stanziati fondi per le realtà come la nostra; prima per il Mibac non esistevamo”. Il paradosso è che i soggetti Fus, in molti casi, escono economicamente più forti di prima, ricevendo a porte chiuse le stesse risorse di quando erano in attività. “Ciò che manca è una strategia, non solo per noi ‘piccoli’”, prosegue Tognazzo. “In attesa di riaprire al pubblico, si potrebbero fare adeguamenti, lavori di restauro, progetti per ripensare il teatro…”. Il governo, in questo intricato mondo di lavoro povero e precario, quando non in nero, sta cercando di raggiungere una platea di oltre 80 mila soggetti, calcolata sulla base delle giornate “ex Enpals” (oggi Inps, ndr), ovvero i giorni di lavoro “direttamente connessi con la produzione e la realizzazione di spettacoli”. Eppure non mancano gli esclusi, come le migliaia di artisti che campano soprattutto di corsi e insegnamento, che non sono riconosciuti: questi ultimi hanno ricevuto solo i bonus generici per le partite Iva, o risibili assegni dalle Regioni.
Che Cinema. Anche il grande schermo è listato a lutto, al netto dei ristori: 1,1 miliardi dal Mibac tra fondi e contributi. A dar retta ai dati Siae, l’attività cinematografica nel 2020 ha registrato una diminuzione del 70,86 per cento degli ingressi e, parallelamente, un calo della spesa al botteghino del 71,55 per cento: il responsabile, ovviamente, è il Covid, che ha bruciato 74 milioni di spettatori e 478 milioni di euro. Differiscono di pochi decimali i computi del box office diffusi da Cinetel: 182,5 milioni di incassi per un numero di presenze in sala pari a 28 milioni, che segnano sul 2019 una diminuzione rispettivamente del 71,30 per cento e del 71,18. Decisiva la chiusura dei cinema per mesi a causa dell’emergenza sanitaria; prima del lockdown, i segnali erano invero lusinghieri: gennaio aveva registrato il terzo miglior incasso degli ultimi dieci anni e il quarto in assoluto, superiore ai 100 milioni di euro, dal 1995; a febbraio il mercato cresceva di oltre il 20 per cento rispetto al 2019, e tutto lasciava ben sperare per il prosieguo della stagione. Invece no, dall’8 marzo al 31 dicembre abbiamo contabilizzato un calo del 93,2 per cento degli incassi e del 92,96 per cento delle presenze. Tolo Tolo di Checco Zalone ha fatto il pieno con 46,2 milioni di euro, poi altri due titoli sempre italiani, Me contro Te – il film (9,5 milioni) e Odio l’estate (7,5 milioni), per una quota nazionale passata al 50,4 per cento dal 41,5 del 2019, ma sono magre, anzi, inesistenti consolazioni: oltre che sull’aspetto occupazionale, allo scadere del blocco dei licenziamenti, c’è da interrogarsi su quanti dei 1.309 cinema per 3.367 sale (ivi comprese le arene estive) censiti riapriranno. Se distribuzione theatrical ed esercizio riscrivono l’epitaffio di papà Lumière: “Il futuro è un’invenzione senza cinema”, l’ottimismo è della produzione, e con più di qualche buona ragione: un tot a uso piattaforme streaming, un po’ aspettando tempi migliori, film e serialità fanno dell’Italia un set a cielo aperto. Basterà?