Il procuratore di Bibbiano Mescolini, le chat: “Ti porto la maglia Palamara Re di Roma”

Per le chat con Luca Palamara, ma soprattutto per la gestione complessiva dell’ufficio, mercoledì prossimo il procuratore di Reggio Emilia, Marco Mescolini, potrebbe essere trasferito per incompatibilità ambientale.

Nel pomeriggio è previsto il voto del plenum del Csm su proposta dalla Prima commissione, presidente Elisabetta Chinaglia, relatore Nino Di Matteo. “La pubblicazione delle chat ha compromesso la sua credibilità sul territorio”, si legge. Fondamentale per l’istruttoria è stato l’esposto di quattro pm: Maria Rita Pantani, Isabella Chiesi, Valentina Salvi e Giulia Stignani che, si ricorda nella relazione, “a seguito delle pubblicazioni delle chat e dei quotidiani articoli di stampa che riportano le censure mosse a Mescolini da numerosi esponenti politici e altre figure istituzionali, in riferimento a presunte omissioni” in indagini sulla pubblica amministrazione, “non si sentono più nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro con la serenità necessaria giacché la Procura ha perso credibilità e autorevolezza, apparendo all’esterno priva di indipendenza”. Mescolini è il magistrato che, nel 2018, voleva regalare a Palamara una maglia con la scritta “Pal Re di Roma”. È il periodo in cui si affida all’allora potente consigliere del Csm per essere nominato procuratore di Reggio Emilia. Della corrente Unicost come Palamara e un altro suo sponsor, il reggiano Gianluigi Morlini, ex Csm sotto processo disciplinare, Mescolini non può neppure pensare di perdere: “Ti ho fatto mail con alcune idee per il parere plenum – scrive a Palamara – d’ora in poi sto zitto e aspetto. Grazie”. Ma non sta zitto, due giorni dopo: “Su Reggio fai di tutto per chiudere se puoi. È importante per tutto”. E Palamara: “Grande Marco, faremo il possibile, ma tutto sotto controllo”. Ci saranno tanti altri messaggi fino al 4 luglio 2018, giorno della nomina, quando Palamara gli scrive: “Ci siamo, hai vinto!”. L’anno scorso le chat vengono pubblicate, ma Mescolini, raccontano i pm, con loro “giurò anche sui suoi figli di non aver mandato nessuna chat, di non conoscere quasi Palamara”. Quanto all’inchiesta “Angeli e demoni”, il caso di Bibbiano sugli affidi dei bambini , la pm Chiesi ha raccontato che “si dovevano fare le notifiche degli avvisi di fine indagini a gennaio” scorso, ma Mescolini non voleva “perché c’erano le elezioni regionali”, la pm Salvi “si impose, ma poi venne lasciata sola”. Inoltre, accusano le pm, Mescolini non ha difeso l’operato della Procura dagli attacchi politici”. Tanto che la pm Salvi spiega: “La mia riflessione era che d’ora in avanti, qualunque tipo di indagine fosse stata fatta da questa Procura, sicuramente avrebbe suscitato in un senso o nell’altro un sospetto di essere conniventi con qualche parte politica”.

Morte di Sacko: “Fu una caccia, accertata volontà omicida”

Una “caccia continuata con imperturbata determinazione, sino a riservare a ciascuna delle vittime la sua ‘punizione’”. L’agricoltore Antonio Pontoriero non ha avuto “remore ad attentare alla vita altrui per difendere il possesso di un bene abusivamente acquisito alla sua disponibilità, malgrado potesse raggiungere lo stesso effetto solo intimidendo”. In altre parole, Pontoriero voleva uccidere. “La volontà omicida è indiscutibile” scrive la Corte d’Assise di Catanzaro che non gli ha concesso alcuna attenuante generica. Nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui a novembre l’imputato è stato condannato a 22 anni di carcere per l’omicidio di Soumaila Sacko, il bracciante del Mali e sindacalista dell’Usb che viveva nella tendopoli di San Ferdinando. È stato ammazzato con un colpo di fucile in testa il pomeriggio del 2 giugno 2018, in un terreno abbandonato nelle campagne di San Calogero, nel Vibonese. Sacko era insieme ad altri due braccianti agricoli. Si trovavano all’interno dello stabilimento “Fornace Tranquilla” finito al centro di un’inchiesta sui rifiuti tossici. Si trattava di un’area dismessa e sotto sequestro che, però, Pontoriero considerava di sua proprietà. Su quello stabilimento, infatti, “l’imputato, come i suoi familiari, esercitava all’evidenza una abusiva signoria”. Quando è iniziato il “tiro al bersaglio”, Soumaila e gli altri due braccianti volevano prendere alcune lamiere di alluminio con cui costruire una baracca per ripararsi dal freddo.

“Ho sentito pam – ha detto uno dei testimoni oculari – e Soumaila è caduto sul dorso”. Poi Pontoriero ha cercato di colpire anche gli altri due extracomunitari che sono riusciti a salvarsi. “Ove si fosse trattato di errore esecutivo”, per il presidente della Corte d’Assise Alessandro Bravin, l’imputato “avrebbe interrotto l’azione: e invece la ‘caccia’ era continuata”. Non si è fermata “nemmeno dopo che il Soumaila era caduto in terra colpito al capo”.

Da Star Wars a Rocky, una “fabula” per far ridere

 

LA GRAMMATICA NARRATIVA

Come abbiamo visto, il teatro è un’arte semantica: consiste nella trama, nei personaggi e nell’azione. A questo livello astratto, ogni narrazione partecipa degli stessi princìpi strutturali. Greimas (1966) distingue l’intreccio (il plot, cioè le unità narrative secondo l’ordine dato dal testo) e la fabula (la story, cioè le unità narrative secondo i nessi cronologici e causali). La grammatica narrativa studia la fabula. Prendiamo dimestichezza con i suoi termini: indicano luoghi dove la risata è possibile.

Attante. L’attante è una funzione narrativa. “John scopa” è un enunciato a un attante; “John scopa Marilyn” è un enunciato a due attanti; “John permette a Robert di scoparsi Marilyn” è un enunciato a tre attanti.

Enunciati narrativi. Una fabula è composta da enunciati narrativi, ciascuno dei quali riguarda la funzione di un attante. Gli enunciati narrativi sono una serie orientata: ogni enunciato è necessario per passare a quello successivo.

Gli enunciati narrativi sono di due tipi: 1) quelli descrittivi sono trasformativi (descrivono un’azione o un evento: “Tippit uccide Kennedy”) oppure di stato (descrivono uno stato di cose: “Johnson è il nuovo presidente”); 2) quelli modali, invece, applicano un predicato modale (dovere, volere, potere, sapere, fare, essere) a un altro predicato (“La Cia fa uccidere Tippit da Oswald”).

Sintagmi narrativi. Sono le sequenze di enunciati narrativi. Strutturano tutte le storie che ci appassionano (letteratura, cinema, teatro, fumetti, videogiochi). Greimas identificò due tipi principali di sintagmi narrativi: 1) il contratto: il destinatario riceve un oggetto modale (deve o vuole fare una cosa) e diventa il soggetto del Programma Narrativo (PN): congiungersi con l’oggetto di valore; per completare il PN, il destinatario dovrà portare a termine diversi PN secondari (PN d’uso); 2) la prova: per realizzare il PN, il soggetto si scontra con un opponente.

Le prove sono di tre tipi: qualificante (il soggetto acquisisce/non acquisisce il sapere e il potere necessari ad affrontare la prova successiva: Mickey addestra Rocky, Yoda addestra Luke, Miyagi addestra Daniel); decisiva (lo scontro fra il soggetto e l’opponente, dove uno dei due vince l’attribuzione dell’oggetto di valore); glorificante (il soggetto vittorioso viene premiato, l’oppositore punito). Nell’immaginario umano, questo schema narrativo ha un ruolo fondamentale: lo conferma la sua ampia applicazione (è la struttura di Rocky, Star Wars, Karate Kid, Matrix, Una poltrona per due, The Blues Brothers, Luci della città e di tanti altri film di successo); e lo si ritrova, non a caso, nella vicenda del capro espiatorio.

Schema narrativo. A volte, un racconto inizia dalla prova qualificante (competenza) e il contratto è dato come implicito; oppure inizia dalla prova decisiva (performanza), per esempio un supereroe in combattimento; oppure indugia sulle due prove iniziali, senza arrivare mai alla performanza e alla prova glorificante (sanzione), come ne Il deserto dei Tartari. Le opere pittoriche hanno spesso come tema uno dei quattro momenti dello schema. Per esempio, ogni Annunciazione ritrae un contratto: l’angelo annuncia a Maria il messaggio di Dio (il destinante). Ogni Discesa dello Spirito Santo illustra la competenza ricevuta dagli apostoli: parlare tutte le lingue per la performanza di diffondere il Cristianesimo. Anche ogni quadro di battaglia mostra una performanza. Ogni Cacciata dal paradiso terrestre illustra la sanzione (negativa) in seguito alla performanza (mangiare il frutto dell’albero del bene e del male) che era stata proibita (contratto) da Dio, il destinante.

Il contratto. Le figure possibili della manipolazione contrattuale (far fare) che innesca le storie sono quattro: la promessa (“se fai come dico, io…”); la minaccia (“se non fai come dico, io…”); la seduzione (“tu che sei così bravo…”); la provocazione (“scommetto che non sei capace di…”).

Percorso narrativo del Soggetto. All’inizio del racconto, il Soggetto deve o vuole congiungersi con l’Oggetto. Per esempio, Luke Skywalker (S) riceve la planimetria della Morte Nera e deve consegnarla a Obi-Wan Kenobi (O). Si tratta di uno dei tanti PN d’uso del primo episodio storico (episodio IV cronologico) della saga di Star Wars, dove il PN primario è distruggere la Morte Nera. Durante il racconto, il Soggetto acquisisce il poter fare e il saper fare necessari (per esempio, Luke riceve alcuni rudimenti di filosofia Jedi da Obi-Wan Kenobi). Al termine, il Soggetto si congiunge con l’Oggetto: Luke, fidandosi della Forza, distrugge la Morte Nera.

Le coppie di attanti. Greimas individua otto attanti: quattro positivi (Soggetto, Oggetto, Destinante, Destinatario) e i quattro negativi corrispondenti (Anti-soggetto, Oggetto negativo, Anti-destinante, Anti-destinatario).

Il ruolo attanziale è il tratto dialettico specifico di un attante. Per esempio, l’Aiutante è colui che aiuta il Soggetto a realizzare il PN, l’Opponente ostacola il Soggetto nella realizzazione del PN, l’Anti-soggetto ha un PN opposto a quello del Soggetto, l’Anti-aiutante ha un PN opposto a quello dell’Aiutante. Uno stesso personaggio può svolgere diversi ruoli attanziali. Per esempio, Dart Fener è l’Opponente di Luke Skywalker, l’Anti-aiutante di Obi-Wan e l’Anti-destinante della Principessa Leia. Un Soggetto può anche essere destinante di se stesso, oppure (come nel caso di Amleto, che riceve dal fantasma del padre-Destinante il compito di vendicarlo) essere il proprio Anti-soggetto (Amleto vuole vendicare il padre, ma esita, roso da mille dubbi).

Strutture discorsive. Nella struttura grammaticale agiscono gli attanti, entità sintattiche; in quella discorsiva agiscono i personaggi, entità semantiche. A un attante possono corrispondere vari personaggi (per esempio, Obi-Wan, Ian Solo, Chewbecca, C-3PO e R2-D2 sono un unico attante: l’Aiutante di Luke Skywalker). A un personaggio possono corrispondere vari attanti: sia diacronicamente (per esempio un personaggio che all’inizio è Aiutante può diventare Anti-soggetto, come il traditore Cypher in Matrix), sia sincronicamente (per esempio, il personaggio di Amleto è sia Soggetto che Anti-soggetto durante i conflitti interiori). Interessante, eh?

(44. Continua)

Occhi di lago e Cielle: è tornata Mariastella, la neutrina di Silvio

Noi sudditi di poca fede credevamo che il suo sorriso andasse spegnendosi ogni sera nel cielo catodico dei tg, mentre recitava, a metà con l’elettrica Anna Maria Bernini, il fervente mantra dell’identico nulla: “Anche oggi il presidente Berlusconi ha avuto ragione”. Persuasi che quel suo lampo d’occhi lacustri, di denti candidi e di tailleur fucsia, fosse un bagliore al crepuscolo. Non sapevamo che quella permanenza serale della sua cangiante permanente, era l’alba di una nuova stagione lungamente attesa. Quella dei competenti dell’Era Draghi. Eccola, dunque. Mariastella Gelmini è tornata con il suo centesimo paio di occhiali. Sarà di nuovo ministro. E anche stavolta ci darà delle soddisfazioni.

A questo giro, per divertirci, non tormenterà più gli insegnanti, gli studenti e i bidelli della scuola pubblica, facili da strapazzare con tagli, dispetti, gomitate, come nella sua indimenticata stagione al dicastero dell’Istruzione, anni 2008-2011. Ma dovrà vedersela con l’agglomerato balcanico della Regioni, dove ogni giorno si combatte la guerra vera al Covid-19, con il fuoco delle ordinanze, le ritirate in zona rossa, le varianti da inseguire, la trincea dei vaccini da scavare. Oltre ai disastri economici, sociali, esistenziali da fronteggiare, anche al netto degli assembramenti e delle lotte per la sacrosanta libertà di skilift e di aperitivo. Vedremo cosa riuscirà a cavare da quell’abisso di tormenti per trasformarli in colpi di teatro e buon umore, mai come ora utili alla depressa nazione.

Se saprà ripetere quel meraviglioso inciampo del tunnel che credeva scavato tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso, 732 chilometri nientemeno, dove secondo lei, ministra persino della Ricerca scientifica, correvano allegri i neutrini alla velocità della luce. Per vantarsene disse che il suo dicastero aveva contribuito a costruirlo con 45 milioni di euro. E quando il mondo si meravigliò di tanta ingenuità, non rise come tutti, ma licenziò il portavoce.

Erano i tempi in cui tormentava la scuola passeggiandoci dentro con l’esplosivo, accompagnata dalle squadre di pulizia di Giulio Tremonti: 100 mila insegnanti cancellati in un triennio, 8,4 miliardi di euro di tagli. E intanto intasava convegni e giornali con gli elogi alla meritocrazia, le lodi all’impegno formativo, gli encomi alla scuola dei migliori, sebbene allestita nelle classi pollaio e con i grembiulini. Stavano tutti per crederle, quando venne fuori che lei aveva fatto il contrario. E da giovane laureata in Giurisprudenza, era scesa da Brescia fino a Reggio Calabria per sostenere l’esame di Stato. Quando venne scoperta la sua furbata, spiegò: “Al Nord bocciano il 70 per cento dei candidati. In Calabria nove su dieci vengono promossi”. Ma non l’aveva fatto per sé, figuriamoci. Bensì per i suoi genitori che erano poveri e stanchi: “Non potevano permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi. Mio padre era agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare”.

Sommersa di fischi, rimase imperturbabile, come solo le devote alla causa sanno fare. E di cause Mariastella ne ha addirittura due. Una la porta al collo sotto al foulard, nella forma di un piccolo crocifisso di legno, l’altra nel cuore ed è l’immagine grande-grande di Silvio che le sorride. La prima coincide intimamente con la sua infanzia di Bassa bresciana, nata tra le nebbie di Leno, anno 1973, babbo sindaco democristiano, mamma maestra, all’orizzonte la luce malinconica del Lago di Garda. La seconda con il destino alto suo e della Repubblica: “Quando il presidente scese in campo, svegliò in me la passione civile”. Era il 1994. Aveva 21 anni. Racconta: “La mia fu una scelta coraggiosa e trasgressiva. Tutti dicevano che Forza Italia era un partito di plastica. E mia madre era preoccupata da morire”.

Coraggiosamente e trasgressivamente, Mariastella diventa la pupilla dell’ex ministro democristiano Giovanni Prandini, detto a quei tempi “Prendini”, inseguito da numerose Procure, riparato anche lui nel partito di plastica, dove secondo la novizia Mariastella “È alto il profilo etico della politica”. Che è a sua volta “la più alta forma di carità”.

Veloce fu la sua gavetta, da consigliere comunale a Desenzano a coordinatrice lombarda di Forza Italia, passando per il memorabile incontro con il presidente, grazie alla mediazione del giardiniere di Arcore, un tale Giacomo Tiraboschi. Da lì è un attimo sbocciare in Parlamento, nella celebre pattuglie delle devote – Carfagna, Santanchè, Prestigiacomo, Brambilla – titolari di un cospicuo potere nel sultanato di Arcore: “In Forza Italia – disse Mariastella – le quote rosa non servono. Il presidente tiene già tanto a noi”.

Da allora i rotocalchi e gli invidiosi non l’hanno più persa di vista. Compare accanto al presidente nel celebre giorno del Predellino, 18 novembre 2007, piazza San Babila, mentre Silvio sbriga in tre minuti di comizio/congresso la nascita del Popolo delle Libertà. È sulla scalinata del Tribunale di Milano, l’11 marzo 2013, mentre canta l’Inno di Mameli con altri 150 deputati azzurri, per difendere il presidente da altre quote rosa che i giornali chiamano Olgettine, compresa la minorenne Ruby Rubacuori, e i giudici comunisti vogliono “ficcare il naso sotto le lenzuola del presidente”.

Salvo gli inciampi cognitivi, un matrimonio finito male e qualche fanta-intercettazione, la sua avventura in pubblico è tutta d’acqua dolce. Per anni canta la messa quotidiana accanto a Sandro Bondi “umile, timido, immensa cultura”. È a suo agio tra le buie santità dell’Opus Dei e le bianche fatturazioni di Comunione e liberazione. Si addestra alla scienza sociale con Roberto Formigoni e a quella politica con Fabrizio Cicchitto. Per il tempo libero si affida a un altro piduista, Luigi Bisignani. Ma sono solo istanti sottratti al presidente che difende con le unghie da un quarto di secolo: “Chi lo insulta, insulta gli italiani”. Una fedeltà che a suo tempo Dell’Utri elogiò: “È lei il futuro di Forza Italia”. Neanche lui immaginando che sarebbe stato proprio Draghi a bersela.

Povero Riotta: ancora non è sazio

Diavolo di un Gianni Riotta. Dall’alto del suo stipendio che non conosce crisi, ha trascorso più di un lustro a criticare, stroncare e insultare i Cinque Stelle del reddito di cittadinanza e di tante altre cose. Ora però il superdirettore che si divide tra La Stampa degli Agnelli e la Luiss confindustriale ha scoperto che Beppe Grillo è un bravo leader e s’inalbera se qualcuno critica i grillini per il sostegno all’ammucchiata di Mario Draghi. E così, cacchio cacchio tomo tomo, il diabolico Riotta ha vergato su Twitter parole definitive per difendere Grillo anche dal nostro quotidiano: “Giornali e talk show ultras del #Conte II ora investono con i loro soliti insulti @beppe_grillo alleato #Draghi dopo averlo definito ‘statista’. L’amore populista muta presto in odio populista”. Sarebbe decisamente arduo in questo spazio spiegare a Riotta la funzione del giornalismo, piuttosto ci piacerebbe capire meglio i concetti di amore e odio populista (esiste per caso l’amore riformista oppure l’amore draghiano?) e soprattutto chiedere allo stesso “Gianni” una cosa: ma non è sazio abbastanza?

In viale Bruno Buozzi nulla più è come prima

 

• “Il carisma di Draghi, non solo tra i leader europei ma anche presso Joe Biden, è fuori discussione. Ma lo è anche la storica debolezza dell’Italia (…). E dunque se ieri tutti si sono congratulati con Draghi, molti si domandano se l’uomo che ha salvato l’euro riuscirà a salvare anche l’Italia”.

Repubblica

 

• “Politici tutti pazzi per Draghi: ‘Sembra Cr7. No, è come Ibra. È Totti”.

Repubblica.it

 

• “L’omaggio di Merkel e Johnson. Il debutto di Draghi, conteso dai leader. ‘Subito salute e clima’”.

Repubblica

 

• Titolo: “La normalità perduta del signor Draghi a spasso con Buvech”. Catenaccio: “In viale Bruno Buozzi, dove il presidente si vedeva con il cane a fare la spesa. Ma a sette giorni dall’incarico ‘Qui niente è più come prima’”.

Repubblica Roma

 

• Titolo: “Draghi rivoluziona gli statali”. Sommario: “Le parole di SuperMario: aumentare la capacità amministrativa con un’azione per selezionare le migliori competenze e riqualificare le persone”.

Il tempo

Il trucchetto cinese dell’avaro marchese Leandro di Poggibonsi

Dai racconti apocrifi di Luigi Antonelli. Nessun soldo abbandonava le tasche del giovane marchese Leandro di Poggibonsi se non dopo una matura riflessione; e agli amici era arcinota l’arte finissima con cui riusciva a farsi invitare ogni giorno a pranzo e a cena, a rotazione, da loro: una virtuosismo tale che, accettando due inviti, doveva rimandarne tre. Già che c’era, approfittava dell’occasione per scroccare sigarette, fiammiferi e inviti a teatro. Il flirt con la bella marchesa Riccarda di Saluzzo non gravava in modo sensibile sul suo bilancio. Da subito, le aveva confessato che considerava cogliere i fiori un crimine peggiore dell’omicidio: “Bisognerebbe punire coloro che tolgono dal loro ambiente naturale, dalla luce del sole, della carezza dell’aria aperta i fiori, questi meravigliosi sorrisi colorati della natura”. Quindi non gliene regalava. Né la portava a cena, o al cinema. Era un flirt interamente gratuito, insomma, finché non accadde l’inevitabile.

Un giorno, Riccarda gli disse: “Vi proibisco, amico mio, di fare sciocchezze”. Il suo sorriso delizioso non ammetteva interpretazioni equivoche. Significava: “Per il mio compleanno mi aspetto un regalo, ma non esagerate”. Perciò, nell’imminenza del genetliaco, il giovane marchese era penetrato in molti negozi, ritraendo ogni volta la mano dal cartellino del prezzo come se le dita fossero state ustionate dalla cifra. La sera della vigilia era ancora in alto mare, assillato dalla necessità di decidersi. Regalarle dei fiori avrebbe risolto la faccenda, ma era impossibile, a causa della pregressa, avventata dichiarazione di principio. E poi sarebbe stato un precedente pernicioso. Quasi disperava, quando vide, nella vetrina di un emporio cinese, un bell’idolo di porcellana dagli occhi a mandorla. Un regalo perfetto. Costava molto? “1800 lire” rispose il proprietario, un giovialone. “È l’ultimissimo prezzo?” “È un prezzo di favore, proprio perché è lei”. Leandro esitò un minuto, scosse la testa, restituì la statuetta, e s’avviò deluso all’uscita. E a quel punto accadde il miracolo: nel riporlo in vetrina, al proprietario scivolò l’idolo dalle mani. Cadde sul pavimento, frantumandosi in sette pezzi. Leandro e il negoziante contemplarono il disastro. “Si può accomodare?” chiese Leandro. “Macché accomodare! È impossibile!” rispose il cinese, pensando che quell’uomo non poteva essere che uno iettatore. “Una volta rotto non vale più niente. Ci ho rimesso 1800 lire!” “Guardi: glielo compro io, così com’è, per 20 lire” disse Leandro, che aveva già maturato un piano geniale. “Raccolga tutti i pezzi e mi faccia un pacchetto elegante. Con un bel nastro, mi raccomando.” Il cinese non se lo fece ripetere due volte: passò nel retrobottega e confezionò un pacchetto squisito.

Il giorno dopo, il prezioso pacchettino, sostenuto come una reliquia dal marchese, varcava il cancello del palazzo settecentesco della marchesa. Leandro aveva calcolato tutto. E mentre la marchesa faceva un piccolo broncio di rimprovero alla vista del pacchetto, Leandro, con mossa studiata, finse di inciampare, e lo scaraventò al suolo. Lei cacciò un’esclamazione addolorata, ma il grido di lui fu più straziante, nella nota giusta che aveva provato per due ore. Seguì qualche istante di silenzio. “È fragile?” domandò la marchesa con un filo di voce. “Eeh, le porcellane del periodo Tang sono delicatissime, come ben sapete, marchesa”, disse Leandro, sedendosi affranto. Febbrile di speranza, la marchesa raccolse il pacchetto, disfece il nastro, aprì la scatola, poi molte carte, poi altre ancora, e infine estrasse i sette pezzi dell’idolo orientale: ognuno dei quali, in modo accuratissimo, era avvolto in una tenue camiciola di carta velina.

Auguri a Draghi per i suoi alleati

 

“Zona arancione in tutta Italia? Basta con allarmismi e annunci, no a un lockdown generalizzato”.

Matteo Salvini

 

Ieri, sabato radioso e profumato di vacanza, incastrato in una lunga colonna di auto che procedeva da Roma verso le spiagge di Ostia e di Fregene, pensavo a Mario Draghi. Il premier, da poche ore a Palazzo Chigi e per la prima volta alle prese con il principio di realtà, come se la sarebbe cavata? Che stupida domanda, direte, perché mai l’uomo della Bce, del “whatever it takes”, quel tutto ciò che è necessario che ha salvato l’economia globale (e italiana), accolto come l’uomo della Provvidenza dai cittadini (subito il 64% di mi piace), dai mercati e dai grandi della terra dovrebbe temere un normale ingorgo di auto? Certo che no, ma non credete che quell’impeto collettivo di libertà, di evasione, di fuga dalla paura e dalla malattia, moltiplicato per i milioni di italiani in gita (anche oggi sono previste temperature quasi estive) vada inevitabilmente a cozzare con la realtà che sopportiamo da un intero anno? Una condizione inasprita dal rinnovato pessimismo dei virologi, dalla diffusione quasi fuori controllo della variante inglese, dalla risalita di contagi e terapie intensive, il tutto accompagnato da un numero sempre più intollerabile di vittime. Perciò, nelle prossime ore, il governo e chi lo presiede dovrà adottare le nuove misure dell’emergenza senza fine: dall’inevitabile stop agli spostamenti tra Regioni alla possibile estensione della zona arancione a tutta la penisola, e forse molto di più. Una stretta inevitabile, che già deve fare i conti con i raus del leader leghista e con le proteste delle Regioni amministrate dalla destra (la maggior parte), di quella parte politica cioè che ritiene di rappresentare tutto il malumore nazionale, con mascherina o senza. Si dirà, niente di nuovo sotto il sole, sono polemiche che hanno investito anche il precedente governo. Sì, ma con la non piccola differenza che a Palazzo Chigi sedeva Giuseppe Conte, l’ideale piove governo ladro della politica e del giornalismo, bersaglio quotidiano da tre palle e un soldo. Mentre la seconda differenza è che Matteo Salvini, ieri fieramente all’opposizione, oggi fa parte fieramente della maggioranza. Ovviamente la differenza non si nota dal momento che Salvini è sempre il solito Salvini in campagna elettorale permanente. Difatti, il suo contributo all’unità nazionale, per demagogia e vaghezza, è degno di un comizio a Roccacannuccia di sotto: “Se ci sono zone più a rischio si intervenga in modo rapido e circoscritto, ma non si getti nel panico l’intero Paese”. Il tema della pioggia che bagna se lo riserva per il prossimo talk. Nel mio bignamino di pronto intervento, leggo che il principio di realtà ridimensiona il principio di piacere costringendolo a tenere conto di quelle che sono le condizioni reali di azione. Per restare terra terra, suona un po’ come il classico passata la festa gabbato lo santo. Con simili alleati, davvero auguri di cuore, presidente Draghi.

 

Attenti all’educazione sovranista della Meloni

La vivace leader di Fratelli d’Italia (un gruppo a parte, che al momento si è accampato fuori dalle mura di governo, perché dice senza opposizione non c’è democrazia) ha trovato il modo di farsi ascoltare persino da un mondo giornalistico privo di curiosità. Scrive lunghe lettere ai giornali, una volta al Corriere della Sera, una volta a Repubblica, e c’è da credere che continuerà se qualcuno non vorrà decidere di saperne di più. Per esempio, lei cita un suo mito, Roger Scruton, una buona testimonianza di ampie letture. Scruton è importante e noto nella cultura internazionale, soprattutto anglo-americana. L’immagine della Meloni si allarga (quanti citano un filosofo fra i leader in Parlamento?): ma si restringe subito, perché Meloni ci dice che cosa la lega al suo riferimento culturale: “Scruton ci ha insegnato che è sempre giusto mantenere le cose come sono nel caso in cui si propongono cose peggiori per sostituirle. Questo ci porta al cuore dell’attuale dibattito politico” (Il Giornale, 13 gennaio 2021). Strana affermazione in cui l’insegnamento di Scruton si sovrapponeva al Manifesto di El Pasos, un documento del sovranismo americano, legatissimo (erano i tempi di Trump) al sovranismo fermamente avverso all’Unione europea. Il manifesto spiegava perché era stata necessaria una strage (58 persone abbattute a raffiche di fucile da “un patriota”) perché erano o sembravano messicani. Qui entrano in scena, nelle lettere-articolo e anche nei discorsi allarmanti, ma mai banali, di Giorgia Meloni, i due punti fondamentali sia di Scruton sia di Fratelli d’Italia e dei 44 partiti europei che hanno voluto la Meloni come presidente: cessione di sovranità e immigrazione clandestina (o “sostituzione”). L’immigrazione si presta, persino in narrazioni che cercano di essere ripulite e corrette, a due versioni: quella del complotto (i poveretti vengono sradicati da case e territori perché vengano a invadere, con costumi, tradizioni, religioni, lavoro, la casa e la nazione degli altri) e quella della sostituzione dei popoli. Non si conoscono le argomentazioni, ma si sostiene che l’Italia sarà nera per imposizione dell’Europa. La “cessione di sovranità” come frase suona bene e spaventa, ma non si sa che cosa sia. Come è possibile che ci sia cessione di sovranità in una unione di Paesi che condividono una moneta unica? Le prove della cessione di sovranità sono due, opposte. Nella prima si dice che non si può accettare una equazione fra europeismo e super-Stato Ue. In tal modo, l’Italia soggiace a una dittatura della burocrazia di Bruxelles (in parte non piccola, composta da figure chiave della vita politica italiana). Nella seconda, Meloni afferma (lettera a Repubblica) che “l’onnipotente Ue non ha una strategia in tema sanitario. E così via, dalla politica estera alla difesa, passando per la ricerca”. Dunque che cosa manca, le troppe o le troppe poco direttive che vincolano la presenza attiva dell’Italia all’Unione europea e dell’Europa sulle decisioni del governo italiano? Ma il dualismo degli argomenti (forse col desiderio di allargare gli orizzonti di un partito che si fonda su una sola persona pensante) continua quando Meloni definisce “democrazia spezzata” l’Italia per il fatto che Draghi governi senza essere stato eletto. E cita come esempio e modello a contrasto il generale De Gaulle, dimenticando che De Gaulle ha governato come presidente del Consiglio nominato (quando ha lavorato al cambio della Costituzione) prima delle sue molte elezioni, fortunate e sfortunate, nei decenni della storia francese. Nonostante ciò, la Meloni afferma che l’Italia è una democrazia dimezzata. Lo sa anche lei che la frase non è vera, è solo polemica, e che in un Paese in cui i pezzi sono accostati e sovrapposti senza un collante che faccia presa per tutti, mostrare svalutazione e disprezzo è un rischio per tutti.

Ma nella famiglia dei conservatori che la Meloni è orgogliosa di presiedere, è proibito ai giudici di dissentire dal governo (Ungheria), è proibito alle donne ogni ricorso all’aborto (Polonia), i migranti sono bloccati fra le frontiere chiuse di Bosnia, Serbia, Slovenia e Italia, trasformati, come in una tetra fiaba, in statue di ghiaccio (ovvero vengono lasciati morire, anche donne e bambini, di freddo e di stenti). Nel frattempo, tutti insieme stanno cercando la felicità, che è la nazione, la mia nazione, che tiene a distanza la tua. Bisogna disseppellirla di nuovo, come ai vecchi tempi delle trincee e dei confini segnati da baionette. La nazione è pronta a combattere con ogni crudeltà necessaria per mostrare di esistere e lasciare, come segno di gloria e base del monumento, tracce di sangue e onore ai caduti. Tutto il resto, ci ammonisce il profeta della Meloni, Roger Scruton, è brutto, mal fatto, mal pensato e va rifiutato, ma imbruttito e devastato da chi? Il passato, comunque, ci aspetta.

 

In Texas si congela perché nell’Artico gli inverni si scaldano

In Italia – Il freddo di metà febbraio è stato breve e ordinario. Per quattro giorni le temperature sono scese a 2-5 °C sotto media, ma senza neanche toccare i -10 °C di minima sulle pianure del Nord, lasciando ampiamente insuperati i casi di febbraio 2012, gennaio 2017 e febbraio 2018. Peraltro da quest’ultimo episodio non c’erano state altre ondate di gelo significativo, e questa è la vera anomalia: a Trieste in due secoli di osservazioni non si era mai visto un intervallo di tre anni senza nemmeno un valore sottozero (stavolta si è arrivati a -4 °C), ma in questi tempi di riscaldamento globale gli episodi freddi, quando avvengono, ci stupiscono sempre di più. Localmente però qualche elemento inusuale c’è stato, come le nevicate che hanno imbiancato le coste ioniche in Salento e Calabria, e le temperature glaciali intorno al

Brennero, -28,3 °C domenica scorsa a 1440 metri in Val di Vizze, record in 40 anni di misure. In settimana da Ovest è giunta di colpo aria tiepida, già martedì c’erano 13 °C a 1600 m sulle Alpi occidentali e, mentre il maestrale spingeva ceneri e lapilli eruttati dall’Etna su Catania e dintorni, un libeccio umido ingrigiva i cieli liguri-tirrenici scaricando fino a 80 mm d’acqua in tre giorni alle spalle di Pegli e Sestri Levante. L’ambiente ha occupato un posto centrale nel discorso di Draghi al Senato, e speriamo che le dichiarazioni si traducano presto in tonnellate di CO2 e di rifiuti risparmiate, gigawattora di energia rinnovabile, ed ettari di suolo sottratti a nuova cementificazione.

Nel mondo – Anche su gran parte d’Europa il gelo è stato presto rimpiazzato da aria più calda: -17 °C domenica mattina all’aeroporto franco-svizzero di Basilea-Mulhouse (valore più basso dal 2012 sulle pianure francesi), e ben 24 °C già mercoledì ai piedi dei Pirenei (foehn). Intanto il freddo si ritirava tra Grecia e Turchia, coprendo Atene con 20 cm di neve come non era più accaduto dal 2008. Ben più raro e dannoso l’episodio invernale che ha investito gli Stati Uniti – rientrati ufficialmente venerdì nell’Accordo di Parigi – penetrando dal Midwest al Texas e fin sul Messico con temperature quasi 30 °C sotto norma. Minime di -25,6 °C a Oklahoma City e -18,9 °C a Dallas, seconde solo ai record del 1899 (rispettivamente -30 °C e -22 °C), traffico paralizzato da ghiaccio e neve che ha coperto il 73% del suolo statunitense – mai accaduto dall’inizio di questa statistica nel 2003 – imbiancando tra tuoni e fulmini perfino le spiagge di Galveston, sul Golfo del Messico; centinaia di incidenti stradali e black-out che hanno lasciato al buio e al freddo oltre quattro milioni di texani. Come non bastasse, due tornado hanno colpito Georgia e North Carolina (3 vittime). Mentre a lungo termine gli inverni boreali divengono in media sempre più miti (1,2 °C di aumento termico in mezzo secolo), come ricorda il climatologo Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research un episodio freddo così sorprendente potrebbe inquadrarsi nell’alterazione delle correnti atmosferiche dovuta al rapido riscaldamento dell’Artico e alla riduzione della banchisa, elementi che disturbano la depressione colma d’aria fredda che ruota intorno al Polo Nord, ovvero il vortice polare: questa sorta di anello gelido, indebolito, lascia più facilmente “straripare” verso Sud il freddo che però – per quanto estremo a livello locale – non riesce a controbilanciare la tendenza complessiva all’intiepidirsi degli inverni. Anche perché, parallelamente a queste vigorose incursioni artiche, dai tropici risalgono verso Nord onde calde fin più eccezionali, come quella che nei giorni scorsi ha fatto registrare nuovi record di calore per febbraio in Iraq (34 °C) e Uzbekistan (32 °C). Estremi dei quali si parla meno.