Cuomo&Cruz, gemelli diversi della figuraccia

Uno, il governatore, è stato un’icona democratica nei primi mesi della pandemia, quando sfidava Donald Trump da una New York epicentro del morbo, con decine di bare allineate in fosse scavate con i bulldozer: c’era chi ne invocava la discesa in campo alle Presidenziali, quasi fosse l’unico campione democratico capace di sconfiggere il magnate negazionista. L’altro, il senatore, è divenuto un alleato di Trump, dopo aver invano cercato nel 2016 di contendergli la nomination: il 6 gennaio, mentre i facinorosi sobillati dal presidente davano l’assalto al Campidoglio, lui sosteneva in Senato che la vittoria di Joe Biden era frutto di brogli e truffe.

Fino a ieri, Andrew Cuomo, figlio d’arte – il padre, Mario, fu governatore dello Stato di New York come lui – e Ted Cruz erano citati in tutte le short lists di Usa 2024, come due potenziali aspiranti alla nomination democratica e repubblicana. Oggi, le loro chance sono ridotte al lumicino, anche se c’è tempo, di qui ad allora, e molte cose si possono dimenticare. Per Cuomo, quello che pareva un successo, cioè il modo di condurre la lotta alla pandemia, gli si ritorce contro: un boomerang che, tra bugie e faide di partito, potrebbe condurlo all’impeachment. Cruz, invece, ha fatto uno scivolone sulla neve che tiene il Texas sepolto sotto un manto di gelo, con cinque milioni di persone senza luce e senza riscaldamento. Sul Covidgate, a New York, indagano anche la Procura federale di Brooklyn e l’Fbi. Innervosito dalla vicenda che può segnare la fine della sua carriera, Cuomo ha minacciato un parlamentare – “Ti distruggo!”, gli ha detto al telefono – e avrebbe giurato vendetta a quanti nel partito non l’hanno adeguatamente sostenuto. È emerso che alcuni dei dati snocciolati da Cuomo in mesi di conferenze stampa quotidiane erano falsi, in particolare quello del numero delle vittime tra i pazienti delle case di riposo newyorchesi, quasi dimezzato nell’intento di evitare critiche mentre l’Amministrazione Trump indagava. Cuomo non contava i decessi degli ospiti delle case di riposo morti in ospedale; 14 senatori democratici dello Stato di New York hanno giudicato “eccessiva”, in un documento, l’autorità attribuita a Cuomo nella lotta alla pandemia.

Si va verso la revoca dei poteri speciali conferiti al governatore, che può ancora decidere da solo sui lockdown e su altre restrizioni e ha l’ultima parola sulla distribuzione dei vaccini: ci sarà un voto la prossima settimana. I ‘super-poteri’ di Cuomo hanno creato frizioni con amministratori locali. Bill de Blasio, il sindaco di New York, che non lo ama, dice: “Abbiamo bisogno di sapere la verità”. Meno grave, ma ugualmente rovinosa, almeno per l’immagine, la colpa di Cruz, partito mercoledì per una vacanza a Cancun in Messico con la famiglia, nel pieno di una delle peggiori bufere in Texas: milioni di cittadini senza luce, gas, acqua. Il senatore, resosi conto della gaffe, è tornato a casa il giorno dopo, ma le sue foto in maniche corte e jeans mentre i suoi elettori battevano i denti, continuano a suscitare indignazione e richieste di dimissioni.

Cruz si giustifica spiegando di avere solo accompagnato la famiglia. Ma un sms inviato dalla moglie Heidi ad alcuni conoscenti indica che la gita in un resort di lusso dove una notte costa 309 dollari era stata accuratamente programmata. Negli Usa, ci si chiede pure perché il Texas fosse così impreparato all’emergenza: Greg Abbott, governatore ‘trumpiano’, dà la colpa alle centrali elettriche alimentate da fonti rinnovabili, che però producono solo il 10% dell’energia dello Stato; degli esperti, invece, mettono sotto accusa impianti a carbone e gas naturale.

L’Isis uccide ancora, il campo di Al Hol è la sua nuova palestra

Come prevedibile, i membri e sostenitori dello Stato Islamico non sono rimasti tutti sepolti nel 2017 sotto le macerie della città siriana di Raqqa, l’autoproclamata capitale dell’Isis, né sotto quelle di Mosul, la città irachena dove il defunto Califfo nero al-Baghdadi iniziò la propria folle e macabra “guerra mondiale” contro gli infedeli. E infatti l’Isis è risorto sui monti di Kirkuk, nel nord dell’Iraq abitato prevalentemente da curdi, e in Siria, sempre nella regione nord-orientale governata dai curdi e dagli arabi delle forze democratiche siriane (Sdf). I combattenti curdo-siriani però sono più esposti rispetto ai commilitoni arabo-siriani agli attacchi dei superstiti e dei neo adepti dell’Isis essendo tuttora i custodi del grande campo profughi di al-Hol dove vivono ben 62 mila persone.

Si tratta del luogo dove sono state portate soprattutto le famiglie sopravvissute dello Stato islamico: soprattutto vedove e madri con i propri bambini, anche europei, che hanno perso in battaglia quei mariti e padri che li avevano portati nell’infernale auto proclamata “nazione” battente bandiera nera. I dati aggiornati riportano che l’80% dei profughi è costituito infatti da donne e bambini, la maggior parte iracheni e siriani ma almeno 10 mila persone provengono da altri 57 paesi. La maggior parte di coloro che sono rinchiusi nell’area speciale è irriducibile del Califfato islamico. Da gennaio gli omicidi nel campo di al-Hol sono triplicati rispetto ai mesi precedenti. Secondo numerose fonti accreditate e riportate dalle più autorevoli agenzie di stampa internazionali e dalle associazioni umanitarie, questi omicidi sono stati perpetrati dai militanti dell’Isis allo scopo di punire sia i custodi del campo sia i profughi ritenuti collaborazionisti e dunque traditori.

I membri dell’Isis inoltre intimidiscono chiunque esiti a seguire la loro linea estremista. Del resto per i curdi, senza più aiuti internazionali sia economici sia militari, tenere in sicurezza dalle infiltrazioni dell’Isis la “città” di al-Hol non è un’impresa semplice.

L’aumento esponenziale della violenza nel campo profughi ha pertanto indotto i curdi delle Sdf a chiedere con maggior insistenza ai paesi di origine delle vedove e degli orfani di rimpatriare i propri cittadini. Ma i rimpatri, già lenti, si sono di fatto bloccati a causa della pandemia. Il problema che ne consegue è drammatico: “Se continueranno a vivere ad al-Hol, migliaia di bambini rischiano di venire radicalizzati”, hanno denunciato i funzionari locali delle Nazioni Unite. “Al-Hol sarà si sta trasformando nell’utero che darà vita a nuove generazioni di estremisti islamici”, ha detto Abdullah Suleiman Ali, analista siriano specializzato nel monitoraggio dei gruppi jihadisti. In tutto nel campo ci sono 27 mila minori. Il campo è praticamente nel caos dato che i militanti irriducibili impongono la propria volontà a tutti gli altri profughi, cercando di impedire loro di cooperare con le autorità curde. “Le cellule dell’Isis in Siria sono in contatto con i residenti del campo e li sostengono”, ha detto un alto funzionario curdo.

La scorsa settimana le Sdf hanno twittato che, sostenute dalla sorveglianza aerea della coalizione, hanno arrestato un contrabbandiere di famiglie dell’Isis nella zona di Hadadia vicino al campo. Tra le 20 persone uccise ad al-Hol nel mese di gennaio, almeno cinque erano donne residenti nel campo, secondo il Rojava Information Center, un collettivo di attivisti che segue le notizie nelle aree controllate dalle Sdf. Tutte le vittime erano cittadini siriani o iracheni, compreso un membro delle forze di polizia locali, e la maggior parte sono stati uccisi nelle loro tende durante la notte. La maggior parte delle vittime è stata colpita alla nuca a distanza ravvicinata.

Il 9 gennaio, un uomo armato ha ucciso un poliziotto nel campo usando una pistola dotata di silenziatore, poi, mentre altri poliziotti lo inseguivano, ha lanciato una bomba a mano che ha ferito gravemente il comandante della pattuglia. Lo stesso giorno, un funzionario di un consiglio locale che si occupava dei civili siriani nel campo è stato colpito a morte e suo figlio è stato gravemente ferito. In un altro caso, un residente del campo iracheno è stato decapitato, la sua testa è stata trovata lontana dal corpo. A novembre, le autorità curde hanno avviato un programma di amnistia per i 25 mila cittadini siriani nel campo, consentendo loro di andarsene. Alcuni ipotizzano che, poiché coloro che prendono l’amnistia devono registrarsi e collaborare con le autorità, il programma potrebbe aver provocato nuovi omicidi per tenere in riga i residenti. Molti siriani temono di lasciare il campo perché potrebbero subire attacchi di vendetta nelle loro città natale da parte di coloro che hanno sofferto sotto il dominio dell’Isis.

I sostenitori dell’Isis nel campo conducono processi contro i residenti sospettati di opporsi a loro e uccidono gli imputati. Secondo Save the Children, il rimpatrio da altri Paesi è sceso nel 2020 a soli 200 bambini, dai 685 del 2019.

Il lockdown uccide i “fragili”

Onorevole Roberto Speranza, nel governo del Re Taumaturgo, che dovrebbe salvarci dal Covid, dalle varianti inglese, sudafricana, brasiliana, accelerare le vaccinazioni, guarirci dalle scrofole e dalla scabbia, lei ha conservato il suo posto come ministro della Salute.

È comprensibile perché sarebbe stato davvero imperdonabile buttar via l’esperienza che lei e i suoi tecnici avete fatto durante l’ultimo, difficile, anno. Ma devo farle una domanda. Lei crede davvero che la popolazione possa reggere, dal punto di vista nervoso e proprio della salute, il logorante stop and go dei lockdown fino al 31 luglio, come ha dichiarato un paio di mesi fa? Voi dite che queste misure di reclusione sono state prese soprattutto per salvaguardare i soggetti più “fragili”, in particolare noi vecchi. Invece, con la bontà sanguinaria delle buone intenzioni, ci state uccidendo. Lei sa bene che l’attività motoria non è semplicemente indispensabile, ma vitale nel senso letterale del termine, per un vecchio. State, si dice, facendo qualche apertura sulle visite ai musei, che hanno poco a che fare con la cultura ma piuttosto con il consumo della cultura che è un’altra cosa, mentre siete inflessibili sulle palestre e sulle piscine. Ora il nuoto è l’esercizio fisico più adatto a un vecchio, perché mette in azione tutte le parti dell’organismo senza sforzo dato che, galleggiando, è come se si muova in assenza di gravità. Inoltre, a sentire gli esperti, il cloro uccide il Covid. Correre è tutt’altra faccenda, perché pesa sulle ginocchia e sulle anche che sono, tra le altre, parti molto fragili del corpo dei vecchi.

Ci avete impedito, come al resto della popolazione, ogni sorta di socialità. Non possiamo vedere figli e nipoti per il timore che ci infettino e neanche avere fra di noi un minimo di convivialità, quella di cui canta Fabrizio De André: “Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino, quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino, li troverai là col tempo che fa estate e inverno, a stratracannare a stramaledire le donne il tempo ed il governo. Loro cercan là la felicità dentro un bicchiere, per dimenticare d’esser stati presi per il sedere”. Quella della socialità è una perdita grave per tutti, ma lo è in particolare per un vecchio che in genere è un uomo solo (coniuge o gli amici di un tempo sono morti o sparsi per il mondo). E, anche se lei non è un medico, sa che le statistiche dicono che la solitudine uccide più del fumo. Inoltre è estremamente pericoloso, per la salute, sottrarre un vecchio alle sue abitudini. Lo si vede bene, è esperienza comune, quando dalla propria casa viene trasferito in una Rsa. Muore nel giro di pochi mesi, il Covid può dare solo l’ultimo colpo. Il combinato disposto della mancanza di movimento e di socialità è micidiale, mortale. Il vecchio viene preso da una furia incontenibile perché, se non è un essere irrazionale, capisce bene che gli si sta impedendo di vivere quelli che, ragionevolmente, sono gli ultimi spiccioli della sua vita. Ma è vecchio, non ha più le energie per ribellarsi, anche se ha capito benissimo di esser preso, ancora una volta, “per il sedere”. Che cosa resta a un vecchio single? Vedere su Sky, se ha i soldi per permetterselo, partite che non sono partite di calcio perché il calcio senza pubblico non è calcio, ma una sorta di Playstation? O i soliti talk politici con la solita, insopportabile, stravedutissima, compagnia di giro? Può leggere, certo. Peccato che più di un milione di italiani, in genere per fortuna vecchi, abbia malattie agli occhi che gli impediscono la vista. Gli resta, come tutta compagnia, il latrare del cane del vicino e persino lo sciacquone che vuol dire che un essere vivente c’è pure da qualche parte.

E veniamo agli “effetti collaterali” dei lockdown stop and go anche nei soggetti che vecchi non sono. Le statistiche ci dicono che è aumentato di un terzo l’uso di psicofarmaci, di droghe leggere e pesanti, di alcol, di fumo. L’immobilità porta fatalmente all’obesità, che è la madre, o una delle madri, di molte patologie, diabete, disturbi cardiovascolari, infarto, ictus, sul cui aumento nel periodo Covid ci piacerebbe avere delle statistiche precise.

Sorprende anche un altro dato. Nel periodo del lockdown sono diminuite le nascite. Ma come, pensa uno, se non hanno null’altro da fare almeno scoperanno? Evidentemente non è così o forse, più probabilmente, il distanziamento sociale impedisce ai ragazzi e alle ragazze single di incontrarsi, di intrecciare nuovi amori e, se del caso, di fare figli.

Particolarmente difficile è la situazione degli adolescenti e dei preadolescenti, il cui profondo malessere viene da lontano, ma che il Covid ha fortemente accentuato. I dati sono impressionanti. Nel Reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Regina Margherita di Torino i ricoveri per tentativi di suicidio sono passati da 7 nel 2009 a 35 nel 2020. Nel Reparto di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambin Gesù di Roma, i ricoveri per attività autolesive e tentativi di suicidio sono passati da 12 nel 2011 a più di 300 nel 2020. Siamo arrivati al suicidio o al tentativo di suicidio dei bambini propriamente detti, un fatto del tutto nuovo nella storia della medicina mondiale. La solitudine sociale degli adolescenti o dei preadolescenti (Dad, no a ogni sport collettivo) ha aumentato a dismisura quello che era già un problema gravissimo: un ulteriore uso e abuso degli smartphone e della Playstation. Che cosa verrà fuori da questi giovani dissociati lo vedremo nel tempo. Insomma, a noi vecchi avete rubato gli ultimi spiccioli dell’esistenza, ai ragazzi qualche anno di quella che, Paul Nisan permettendo, è la migliore età della vita (“Ragazzo. Che meravigliosa parola. Essere un ragazzo. Avere vent’anni”. Ragazzo, Storia di una vecchiaia).

Ci sono infine altri danni “collaterali”. Il terrorismo della pandemia, con i conseguenti lockdown stop and go, ha reso molto difficile e a volte impossibile la cura di patologie ben più gravi del Covid. In Italia muoiono per tumore 193.000 persone l’anno (quelli per Covid sono per ora 93.000). Anche qui piacerebbe sapere se nel 2020 sono aumentati i morti per tumore e ancor più le diagnosi per tumore che viaggiavano intorno ai 370.000.

La Svezia è stata molto criticata perché praticamente non ha fatto i lockdown. I morti per Covid sono, per ora, poco più di 12.000. Certo c’è da tener conto che la Svezia ha 10 milioni di abitanti, in spazi larghissimi, ed è molto lontana dalla micidiale urbanizzazione che è la caratteristica dell’Europa continentale e di tanti altri Paesi del mondo (urbanizzazione che è uno dei tanti effetti perversi della modernità che ha spopolato le campagne a favore delle città). Ma la questione è un’altra. Bisognerebbe sommare le morti per Covid a quelle provocate direttamente o indirettamente dai lockdown, insieme all’aumento dell’obesità, delle depressioni, dei disturbi cardiocircolatori, degli infarti, degli ictus, che morte non sono ma molto le assomigliano o comunque la preparano.

Di fronte alle critiche che le venivano mosse, la ministra svedese della Salute Lena Hallengren ha detto: “I conti seri li faremo fra due o tre anni”.

 

E l’effetto Draghi? Dice che è in pausa

Certo che gli effetti Draghi di una volta non ci sono più: la roba ormai non dura niente, si sa. Lo diciamo perché – dopo giorni di titoloni attorno ai miracolosi effetti dell’apparizione di San Mario da Città della Pieve (qualche giorno fa migliorò persino le performance dei Bonos spagnoli) – ieri lo sguardo ci è caduto su un tassellino infilato in basso a destra di pagina 15 del Sole 24 Ore. Titolo: “Anche l’effetto Draghi si prende una pausa”. Dice: Piazza Affari è stata negativa da tre giorni e soprattutto aumenta il rendimento dei Btp e lo spread coi bund tedeschi. Curiosamente, nonostante secondo Il Sole fosse in pausa da tre giorni, l’altroieri sullo stesso giornale si spiegava che “l’effetto Draghi riduce il vantaggio competitivo dei prestiti comunitari”. Un miracolo anche questo, a pensarci bene, e in realtà la versione sapiens sapiens dell’ormai celebre graffito rupestre illustrato vocalmente dal renziano Davide Faraone in Senato: “È lei il nostro Mes, presidente Draghi. Per questo noi di Italia Viva non lo chiediamo più”. Come si vede, un classico dell’uomo pre-civilizzato, che tende a deificare quel che non capisce. Il Fatto, però, non recede e continua la sua campagna a favore dei prestiti del noto istituto benefico lussemburghese basandosi sui numeri. Gli interessi teorici sui rendimenti del decennale italiano, dai minimi del 12 febbraio, sono ormai tornati sopra i livelli dell’ultimo Conte: l’effetto Draghi, insomma, non c’è più da una buona settimana. Ieri, per dire, il Btp a dieci anni pagava circa lo 0,65%, cioè più che a dicembre e soprattutto più dell’8 gennaio, quando la crisi politica iniziò anche sul Mes (lo spread coi titoli tedeschi allora era 102, oggi 96). Le ragioni, diciamo, ragionieristiche – o da bottegai, se preferite – per pretendere il Mes sanitario pena il ritiro della fiducia sono ancora tutte lì: siamo sicuri che Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luigi Marattin, Forza Italia, il giornale di Confindustria, i meglio editorialisti democratici e i commentatori un tanto al chilo dei talk show – appositamente dotati di pallottoliere – potranno spiegare a Draghi quanti risparmi questo porterà al bilancio pubblico. Dai, basta fare i timidi, non sentitevi inadeguati: Mario è buono, ha pure studiato dai preti…

MailBox

 

Gad Lerner commenta la figura di Terracini

La straordinaria biografia del comunista eretico Umberto Terracini è stata ieri affettuosamente sintetizzata su queste pagine da Vittorio Emiliani, per concluderne che egli “può ben essere annoverato fra i grandi riformatori laici del Novecento italiano”. D’accordo, purché non si dimentichi come preferiva autodefinirsi, anche negli ultimi suoi anni, lo stesso Terracini: “Rivoluzionario professionale”.

Gad Lerner

 

Chi dà il M5S per finito non ricorda quanto fatto

In questi giorni, tutti gli esperti, ovvero quelli che da dieci anni scrivono che il M5S è finito (e poi prende il 33%), stanno rievocando sarcasticamente lo slogan del 2013 “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, nell’intento di dimostrare la presunta incoerenza dei pentastellati. A prescindere dai problemi evidenti che sta attraversando movimento, vorrei ricordare che in otto anni, i 5 stelle hanno abolito i vitalizi, tagliato le pensioni d’oro, dimezzato il numero dei parlamentari e limitato il numero dei senatori a vita con una riforma costituzionale.

Valentina Felici

 

La dolce dedica di Iv sull’amato Mes (a destra)

Sarebbe interessate lanciare tramite il Fatto una proposta al fine attivare una sorta di “cessione del quinto” degli stipendi di tutti parlamentare di Iv (Industriali voraci) fino al raggiungimento dell’importo del Mes.

Asli

 

I grillini “dissidenti” sono duri da digerire

Caro Marco, mi trovo in disaccordo sulla tua posizione per quanto riguarda le valutazioni sul M5S. La regola che bisogna rispettare la volontà della base deve essere sacrosanta. Ho valutato che era meglio stare dentro a questo governo “strampalato” per difendere le conquiste fatte piuttosto che stare fuori a sbraitare. Noi 60% che ci siamo fidati di Beppe, facendo le nostre valutazioni, magari abbiamo sbagliato ma abbiamo deciso, per cui se andiamo a sbattere si va a sbattere, e gli “eletti” si devono adeguare visto che, fino a prova contraria, hanno firmato un patto e ne sono dei “portavoce”.

GIampaolo

 

L’imbarazzante serie di errori che i vertici del Movimento stanno accumulando nelle ultime settimane è evidente a tutti eccetto a chi dell’appartenenza ne fa una fede. Trovo però ingiusto santificare gli espulsi che non hanno votato la fiducia al governo Draghi: una parte consistente dei ribelli è arrivata a questo voto dopo mesi di dissensi e scontri che hanno minato la stabilità del Movimento dall’interno e la loro espulsione è il probabile epilogo di questo percorso. L’esempio eclatante è Barbara Lezzi che da quando ha perso la poltrona di ministro non ha mancato di evidenziare quotidianamente la distanza con il gruppo dirigente.

Marco Corbellari

Cari Giampaolo e Marco, quando si va con Berlusconi sono quelli che non ci vanno che dovrebbero espellere quelli che ci vanno, e non viceversa.

M. Trav.

 

Il mio disappunto per le parole di Cassese

Leggo per verificare fino a che punto può spingersi la tracotante saccenza di un uomo di 85 anni che pensa di manipolare le coscienze e i cervelli (dei cretini!). Nell’articolo sul Corriere della Sera, dopo lo stucchevole e consueto pistolotto introduttivo sulla sua personale interpretazione del dettato costituzionale in materia di ruolo del Parlamento e del governo, è andato dritto al vero succo del suo unico e subdolo scopo. Definire “rotta sbagliata” quella seguita dal governo Conte in materia di sanità, auspicando una vera “autentica collaborazione Stato-Regioni”. Dar corso “speditamente alle vaccinazioni procedendo giorno e notte”. Auspica “che il governo (Draghi) completi il biennio” e paragona il neo esecutivo alla grosse koalition dei governi Merkel. Sono senza parole e mi vergogno per la sua spudoratezza.

Lorenzo Fiore

Caro Lorenzo, vedo che anche lei è un grande fan del professor Cassese.

M. Trav.

 

Rousseau si è espresso e i “sì” vanno rispettati

Caro Marco, hai dichiarato che il M5S fa male a espellere i ribelli del “no” a Draghi. Non sono assolutamente d’accordo con te: le regole si rispettano e anche l’indicazione di 45.000 iscritti che hanno votato “sì”, molti dei quali turandosi il naso. Oppure preferisci che il M5S diventi un covo di serpi, fazioni e correnti come il Pd?

Alessandro Carminati

Caro Alessandro, se le regole si rispettassero, i 5Stelle dovrebbero ripetere la votazione su Rousseau alla luce dei cambiamenti emersi rispetto alla premessa: il famoso “superministero della Transizione ecologica” comprensivo del Mise non esiste.

M. Trav.

Fisco. Senza vera lotta all’evasione a nuova Irpef avrebbe poco senso

Lungi da me ogni pregiudizio sul governo che si va formando in questi giorni, ma sono perplesso sulle notizie di un programma che includa una incisiva riforma del Fisco. Come in tutti i programmi di governo, ci sarà sicuramente la promessa di un impegno per una lotta senza tregua all’evasione e all’elusione, senza un seguito concreto.

Nel lontano 1974 fu necessario, per la prima crisi petrolifera, ricorrere a una manovra restrittiva. Il governatore della Banca d’Italia (Carli) si rivolse al Servizio Studi, di cui facevo parte, per valutare, tra l’altro, la possibilità di un’addizionale alla nuova imposta sui redditi (Irpef), appena entrata in vigore il cui gettito era ignoto. Il sottoscritto e colleghi “ricostruimmo” l’imponibile Irpef e fu necessario valutare l’evasione. Stimammo il 10 per cento di evasione dell’imponibile retribuzioni e il 48 per cento per i redditi di lavoro autonomo e di impresa individuale. La stima si mostrò “corretta”, e il gettito Irpef effettivo fu pressoché identico a quello da noi stimato. Quasi mezzo secolo dopo, la Commissione del Mef incaricata della valutazione dell’evasione ha stimato un “Tax Gap” del 3 per cento per il reddito di lavoro dipendente e del 67 per cento per redditi da lavoro autonomo e di impresa. Ho ragione a essere pessimista sugli impegni a eliminare un’evasione di diffusione sconosciuta negli altri Paesi sviluppati e non generalizzata tra tutti i tipi di contribuenti, oltreché a una limitazione nell’estensione (legale) dell’elusione ?

Antonio Di Majo, Prof. Emerito di Scienza delle finanze

 

Gentile prof. Di Majo le va dato atto, innanzitutto, di averci inviato questa lettera prima di ascoltare il discorso di Mario Draghi in Parlamento e di aver immaginato in anticipo quello che avremmo ascoltato.

La lotta all’evasione è un refrain ricorrente in tutte le dichiarazioni programmatiche, da almeno vent’anni in qua, ma si traduce poi in un nulla di fatto anche perché si rimuovono i dati che lei puntualmente ci sottopone.

Dopo la pandemia, inoltre, sembra arduo prevedere un’azione incisiva su quei settori, autonomi e di impresa, che hanno i più alti “tax gap”.

Eppure, fermo restando il nostro pessimismo, siamo senz’altro d’accordo che una riforma del fisco seria dovrebbe necessariamente partire da qui.

Salvatore Cannavò

Rai, una riforma che “Mister Bce” non riuscirà a fare

 

“L’uomo può ciò che deve e se dice non posso allora non vuole”

(Johann Fichte, filosofo tedesco)

 

Fra le varie riforme epocali che Mario Draghi ha annunciato e quelle che riuscirà a realizzare, ce n’è una che il premier verosimilmente non potrà fare. La riforma promessa da tutti o quasi i governi della Repubblica e rimasta finora lettera morta: quella della Rai. A dispetto della sua proclamata indipendenza, il nuovo presidente del Consiglio non la farà non per incapacità o cattiva volontà, bensì perché non gliela lasceranno fare i partiti che formano la sua variegata maggioranza e sostengono il suo esecutivo: per “Mister Bce” sarà una cartina di tornasole. E in caso contrario, sarebbe una grande soddisfazione essere smentiti.

Proprio questa, invece, potrebbe essere teoricamente la condizione propizia per promuovere una “larga intesa” sulla riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, perno dell’intero sistema dell’informazione. Una riforma che a parole tutti dicono di volere, ma che in realtà nessuno vuole. Né il centrodestra imperniato sul partito-azienda di Silvio Berlusconi che pure – conflitto d’interessi a parte – potrebbe avere qualcosa da guadagnarne. Né il centrosinistra, inteso come schieramento giallorosso, che ha già intasato di proposte gli archivi parlamentari. La partitocrazia preferisce mantenere lo status quo, cioè l’occupazione dell’azienda e la sua lottizzazione fra reti e testate giornalistiche, direzioni e vicedirezioni, poltrone e poltroncine, piuttosto che affrancarla dalla doppia sudditanza alla politica e alla pubblicità.

Eppure, fu proprio Carlo Azeglio Ciampi, mentore e predecessore di Draghi, a indirizzare nel 2003 un messaggio alle Camere respingendo la famigerata (nel senso di controversa) “legge Gasparri” sul riassetto del sistema televisivo, per richiamare i principi fondamentali del pluralismo e della libera concorrenza. Da allora, sono passati quasi vent’anni e non c’è stato praticamente presidente del Consiglio che non abbia annunciato urbi et orbi la riforma della Rai: da ultimo Giuseppe Conte, affiancato per l’occasione dal presidente della Camera, Roberto Fico, già presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza. Per la verità, uno solo vi ha messo mano, spostando il controllo del servizio pubblico dal Parlamento al governo e peggiorando così la situazione: l’innominabile Matteo Renzi. Ma sarebbe stato certamente meglio se quella “riformicchia” – come l’abbiamo sempre definita – non fosse stata mai concepita.

Sulla strada di Draghi, c’è tuttavia una scadenza che il suo governo non potrà eludere, ammesso che l’altro Matteo – quello pentito e convertito al neo-europeismo – non stacchi prima la spina per andare alle elezioni anticipate, come aveva ripetutamente proclamato negli ultimi tempi. La data è quella del 19 luglio prossimo, quando decadrà l’attuale consiglio di amministrazione della Rai. E a meno di ingiustificabili proroghe, magari motivate dalla necessità di riforme più urgenti, “Mister Bce” sarà costretto a fare i conti con le richieste e le pretese della partitocrazia.

Da qui ad allora, forse il professor Draghi non avrà tempo per rileggere il testo del messaggio di Ciampi. Ma, da ex Direttore generale del Tesoro, ricorderà sicuramente che il “pacchetto” azionario dell’azienda pubblica è ancora in mano al ministero dell’Economia e quindi del governo. Basterebbe, allora, che decidesse di trasferirlo a una Fondazione autonoma e indipendente, rappresentativa della società italiana nelle sue varie componenti, attribuendo a questo organismo il compito di nominare un nuovo Cda non più subalterno alla politica. Draghi ha tutta l’autorità per farlo. E non avrebbe bisogno di chiedere il permesso a nessuno.

 

Il doppio cognome per i figli è un diritto fondamentale

Il Tribunale di Bolzano ha sollevato incidente di legittimità costituzionale della norma che preclude ai genitori di dare al figlio nato fuori dal matrimonio il solo cognome della madre. In quel contesto la Corte costituzionale ha posto d’ufficio, con ordinanza n. 18/21, la questione se sia legittimo imporre ai figli nati fuori dal matrimonio, in mancanza di diverso accordo dei genitori, il solo cognome paterno anzi che quello di entrambi. Il provvedimento s’inserisce nel filone giurisprudenziale approdato alla sentenza n. 286/2016, che consente ai coniugi di trasmettere ai figli, alla nascita, anche il cognome materno.

L’ordinanza muove dalla necessità: a) di superare la concezione patriarcale della famiglia, propria del diritto romano, sulla base del valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna, come proclamata da Costituzione, Cedu e Carta dei diritti fondamentali Ue; b) di garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio e la salvaguardia dell’unità familiare. L’elemento valoriale preponderante, tuttavia, è il diritto fondamentale all’identità personale, riconosciuto come inviolabile dall’art. 2 Cost. in quanto proiettato nel sociale e che costituisce pietra angolare dell’intero sistema. In quel diritto convergono quali elementi identificativi imprescindibili entrambi i genitori. La loro compresenza garantisce sia l’integrale profilo identitario del figlio sia l’effettiva parità dei genitori. Se è così, non si vede come padre e madre possano, attraverso accordi, limitare il diritto inviolabile del figlio alla pienezza dell’identità personale. Se l’obbligatorietà del patronimico viola la parità di genere, la facoltà dei genitori di limitare l’identità del figlio con un solo cognome collide con un diritto inviolabile ex art. 2 e 3 Cost. L’inviolabilità vale anche nei confronti degli autori della vita, investiti dall’art. 30 Cost. di una serie di doveri, tramite il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole, preordinati all’integrale rispetto della personalità del figlio e del profilo identitario.

Ne deriva che consentire accordi dei genitori per limitare a uno di loro la trasmissione del cognome si rivela manipolativo del diritto fondamentale del figlio, in sostanziale continuazione con la logica romanistica: il passaggio dalla centralità della gens e del suo vertice (il pater familias) alla centralità della persona non è assicurato, come la Corte auspica, se si ammettono accordi tra padre e madre che incidono sulla sfera intima e primaria del figlio e del suo diritto a riconoscersi anche socialmente in entrambi. Si dovranno superare tutte le disposizioni in contrasto con quel preponderante parametro di tutela della persona e ciò si ottiene solo sancendo l’obbligo generale d’iscrivere all’anagrafe tutti i cittadini coi cognomi di entrambi i genitori. Sarà utile rivolgersi a legislazioni come la spagnola che già contemplano l’obbligo del doppio cognome. Anche in quel caso si porranno almeno due seri problemi. Il primo: quid iuris, se alla nascita un genitore non intende essere nominato? Si dovrà usare il cognome del genitore che riconosce il figlio, magari unito a un altro della stessa famiglia? Il secondo: l’individuazione dei due dei quattro cognomi con i quali iscrivere il figlio all’anagrafe. Per l’uguaglianza di genere la legge spagnola 40/1999 consente ai genitori di decidere l’ordine del loro primer appellido (cioè il cognome, non più esclusivamente patronimico dal 2017) da trasmettere al figlio. In questo caso, tuttavia, l’accordo parentale non viola il profilo identitario: al figlio è assicurata la compresenza, coi cognomi dei due genitori, dell’integrale nucleo di riferimento generazionale e sociale della sua soggettività. Permane nel figlio, divenuto maggiorenne, la facoltà di richiedere la trasposizione degli appellidos, a conferma del suo diritto fondamentale all’identità personale (art. 109 c. 4 codice civile spagnolo).

 

È anche la prescrizione ad allungare i processi

Il lettore Salvatore Griffo domanda: “Per quale ragione la riforma della prescrizione del ministro Bonafede determinerebbe processi ‘infiniti’ come sostenuto dai politici che vorrebbero abolirla per tornare al sistema precedente? Ma, prima della sciagurata riforma del governo Berlusconi, la durata dei processi era così lunga?”. È necessario chiarire bene che cos’è la prescrizione penale in Italia. L’art. 157 del codice penale (come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, detta “ex Cirielli” perché l’on. Cirielli, che l’aveva proposta, chiese di non chiamarla più con il suo nome) stabilisce: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”.

La prescrizione decorre dalla consumazione del reato e non da quando la notizia di questo reato perviene all’autorità giudiziaria. Per esempio, in materia di reati fiscali, poiché di frequente gli accertamenti vengono fatti dagli uffici finanziari dopo cinque anni dalla commissione, le notizie di reato pervengono quando gran parte del termine è decorso, anche se i termini sono prolungati di un terzo. Il compimento di determinati atti (sentenza di condanna, ordinanza cautelare personale, interrogatorio e altri) interrompe il decorso della prescrizione, che poi ricomincia a decorrere, ma il termine complessivo non può superare quello iniziale aumentato di un quarto. Questa, insieme ai criteri di priorità, spiega perché molte prescrizioni maturano in fase di indagini preliminari. In quasi tutti gli Stati la prescrizione è un istituto di natura processuale e non sostanziale e smette di decorrere con l’inizio del processo. Anche in Italia, nel processo civile la prescrizione cessa di decorrere con l’inizio del processo. La Corte di giustizia dell’Ue ha ritenuto che il precedente sistema di prescrizione penale italiano contrasti col diritto comunitario e consentito solo per il tempo anteriore alla direttiva 2017/ 1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, perché impedisce l’adozione di sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate su gravi frodi dell’Iva. I fautori del ritorno alla prescrizione che decorre durante le impugnazioni sostengono che il suo blocco farebbe durare all’infinito i processi. È vero il contrario. Anzitutto esistono reati imprescrittibili: quelli puniti con la pena dell’ergastolo anche per effetto di circostanze aggravanti. Se fosse fondata la tesi che la prescrizione accelera i processi quelli per reati imprescrittibili non si farebbero mai. Quali sono le ragioni della durata dei processi? La causa principale deriva dal loro numero. Semplificando: se un giudice ha un processo da fare e questo richiede quattro udienze durerà quattro giorni. Se sono necessari adempimenti fra un’udienza e l’altra (disporre perizia, acquisire documenti, citare testi) che richiedono, ad esempio, un mese, il processo durerà quattro mesi. Ma se il giudice ha duemila processi sul ruolo e la prima udienza libera è dopo un anno, un processo di quattro udienze durerà quattro anni. L’idea che i giudici italiani non facciano nulla e che solo la prescrizione imminente li induca a trattare i processi è falsa. La loro produttività è una delle più alte d’Europa.

La vera anomalia italiana è la dimensione del contenzioso: le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice in Italia sono 438,06; in Francia 224,15; in Germania 54,86. Le sopravvenienze penali annue di reati gravi per ogni giudice, in Italia sono 190,71; in Francia 80,92; in Germania 42,11 (dati Cepej 2008; per il 2010 non sono disponibili i dati della Germania). La diminuzione del numero dei procedimenti si può ottenere in sede penale riducendo drasticamente le fattispecie di reato con un’ampia depenalizzazione, riduzione della perseguibilità d’ufficio e introducendo apprezzabili margini di rischio per chi propone impugnazioni infondate e dilatorie.

Neppure è vero che il numero dei giudici di professione in Italia sia insufficiente. Tale numero, come indicano i rapporti della Commissione europea per l’efficienza della giustizia, è in linea con quello di uno Stato per certi versi simile come la Francia. La strada percorribile per fronteggiare i tempi inaccettabili della durata dei procedimenti non sembra quindi quella di aumentare il numero di giudici (e quindi in generale dei magistrati, dovendo coerentemente in tale ipotesi incrementare il numero degli addetti al pubblico ministero), anche perché gli esiti degli ultimi concorsi non consentono illusioni in proposito, salvo che si ritenga di abbassare la soglia qualitativa oggi richiesta per superare la giustamente rigorosa selezione (un recente concorso a 500 posti di magistrato ordinario in tirocinio ha prodotto 253 idonei su decine di migliaia di domande).

In Italia vengono proposte impugnazioni in un numero che non ha eguali in altri Paesi: la Cassazione italiana tratta quasi 90.000 processi ogni anno (di cui quasi 60.000 penali), quella francese 1.000. La Corte suprema degli Stati Uniti d’America ne tratta 80! Le ragioni delle impugnazioni così numerose stanno nell’assenza di deterrenze a proporre appelli e ricorsi solo dilatori (confidando nell’arrivo della prescrizione e comunque per differire l’esecuzione della pena). Nel caso di ricorso inammissibile viene inflitta una sanzione amministrativa di circa 2.000 euro, ma di queste sanzioni viene incassato solo il 4%. Il resto sono chiacchiere.

 

Squartatori seriosi, astronomi guardoni e premi alla carriera

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Canale 5, 16.00: Verissimo, talk show. Pier Silvio Berlusconi, intervistato da Silvia Toffanin, spiega come farcela da soli.

Tv8, 8.00: Il cavallo nero, film-drammatico.

Un bambino e un grande cavallo nero formano un’amicizia che insospettisce tutti quanti.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Horror di serie B con tutti i crismi del genere: sangue, misteriose forze sovrannaturali, e un giovane ignaro.

Rai 1, 15.55. Il paradiso delle signore, soap. A Parigi, Nicoletta litiga col marito. RICCARDO: “Senti, non mi piace rivangare il passato, ma ricordo almeno altre due circostanze in cui dicevi ‘Impossibile!’, e io sono andato avanti lo stesso”. NICOLETTA: “Per poi scoprire che avevo ragione”. RICCARDO: “Per questo non mi piace rivangare il passato”.

Sky Cinema Suspense, 4.35: Il silenzio degli innocenti, film-thriller. Uno psicopatico che uccide donne grasse per indossare la loro pelle a me fa ridere. A terrorizzarmi sono i film di Boldi e De Sica. Mi aggrappo alla poltrona finché le mie nocche diventano bianche, poi non riesco a dormire, mi rigiro nel letto, cammino per la stanza in preda al tormento. “Ne faranno un altro, di ’sti film? Hanno fatto un patto col diavolo?” Sono delle cagate vergognose. Forse dovrebbero scuoiare Boldi e De Sica e mettere la loro pelle addosso a persone divertenti. De Sica si permette pure affermazioni strafottenti tipo questa: “Oggi i ragazzi se ne fregano, ma non è colpa loro se sono maleducati e ignoranti. La colpa è della tv, dove basta mostrare le chiappe per avere successo” (Il Messaggero, 5 gennaio 2020). È lo stesso De Sica che altrove dice: “Sono tanto solo. Tanto. Ho bisogno di affetto. Di una voce amica. Di una compagna per la vita. Iside: famme ’na pompa!” (forzandole la testa verso il basso) (S.P.Q.R. 2000 e ½ anni fa, sceneggiatura di Enrico e Carlo Vanzina, 1994). Di puttanate simili riesco a ridere solo se penso che lo zio materno di De Sica, Ramon Mercader, uccise Trotszky con una piccozza. Anzi, mi chiedo cosa aspettino a farne un cinepanettone. Con Boldi nella parte di Trotszky. Lo vedete che si ride già?

Rai 1, 20.00: Tg1. Difficoltà tecniche.

Iris, 0.15: Gli uccelli, film-thriller. Un capolavoro di Alfred Hitchcock. Ma non lo farò vedere al mio pappagallo.

Rai 1, 22.20: Porta a Porta, attualità. Il programma di Bruno Vespa festeggia i 25 anni. Lo celebriamo con un trafiletto Adnkronos del 15 febbraio 2001: “Su Rai1 la trasmissione di Bruno Vespa Porta a Porta ha ottenuto lo share più alto (23.76 con 1 milione 852 mila telespettatori). In valori assoluti, invece, il programma con il maggiore ascolto è risultato Satyricon di Daniele Luttazzi, in onda su Rai2, che è stato visto in media da 2 milioni 515 mila telespettatori con il 14.55 di share, con punte superiori ai 3 milioni 800 mila telespettatori e ai 20 punti di share”. Era appena la sesta puntata. Il mese dopo intervistai un giornalista sconosciuto, un certo Marco Travaglio, sbancando l’Auditel. Poi arrivò l’editto bulgaro e fece contenti tutti.

Cielo, 23.15: Solar Crisis, film-fantascienza. Jack Palance è un astronomo timido con le donne che abusa del telescopio di Monte Palomar.

Rai 3, 11.00: Elisir, medicina. Dopo 21 edizioni, Michele Mirabella non sa più cosa inventarsi per rendere interessante il programma. Per esempio, la puntata di questa settimana si intitola: “Il singhiozzo fastidioso: lo si può fermare con un Rusty Trombone?”