Mario ha la “vescica di ferro”, è “biologo” e anche “sacerdote”

Verrà il giorno, forse, in cui il coro di osanna della libera stampa italiana per l’immenso presidente Draghi perderà un po’ della sua impressionante potenza vocale. Verrà il momento, forse, in cui bisognerà raccontare fatti e scelte – mai neutrali – e qualcuno potrebbe persino rimanere scontento di qualche decisione, come succede in democrazia. Ma ora no: è ancora il momento dell’idillio. I giornali, i commentatori, i dirigenti di partito, l’opinione pubblica tutta saluta Mario Draghi, il premier che beve acqua come tutti noi, perché “non è un marziano”, ma che “non molla mai nemmeno per andare in bagno”, perché è pure un po’ divino.

Corriere.it – cronaca live dalla Camera “Ore 18.35 – Al presidente Draghi portano un bicchiere d’acqua, la prova che non è un marziano”.

iltempo.it Titolo: “Mario Draghi non molla mai. Neanche per andare in bagno”. Svolgimento: “Mario Draghi non lo sa, ma alla Camera dei deputati la sua resistenza in aula è stata lodata da tutti, tanto che alcuni hanno proposto di conferirgli l’ambitissimo premio ‘vescica di ferro’, quello dedicato a chi rimane al proprio posto per ore e ore senza andare al gabinetto. Ha ascoltato tutti, però l’ex governatore della Bce a un certo punto si è deciso a cambiare la mascherina”.

Repubblica, pag. 6 “Draghi ha chiaro che ‘la velocità è essenziale anche per ridurre la possibilità che sorgano altre varianti del virus’. Finalmente un presidente che riparte dalla biologia”.

Il Secolo XiX, pag. 1 Titolo: “SuperMario antidoto contro il populismo”. Svolgimento: “Draghi non ha account social, si scrive da solo i propri discorsi e s’è scelto come capo della comunicazione Paola Ansuini, una vita in Bankitalia. Con quest’ultima condivide la linea che ha cercato di dettare al proprio esecutivo: si parla solo quando si ha qualcosa da dire”.

Repubblica, pag. 26 Titolo: “Molto più che un banchiere”. Svolgimento: “Era molto tempo che non si sentiva un discorso così concreto e di così alto respiro (…). Draghi ha dimostrato che il suo non è un governo tecnico, che la sua forza, prima ancora della competenza economica, è la sua idea di politica”.

Anna Maria Bernini (Fi), intervento al Senato “Noi di Forza Italia ci sentiamo un po’ nutrici del vostro governo (…). Lei deve essere il sacerdote del Next generation Eu, che è il booster della crescita e del futuro buono. Esistono un debito cattivo e un debito buono, ed esistono un futuro cattivo e uno buono. Noi vogliamo il futuro buono di Next generation Eu, e saremo i custodi del culto. Lei sarà il sacerdote e noi saremo i custodi del culto”.

Con la scissione. L’ammucchiata va verso destra

Dopo la fiducia del Senato al gabinetto Draghi, forse a qualcuno è sfuggito che se le defezioni 5Stelle fossero definitive (15 voti contrari e 8 assenti) la coalizione uscente del governo Conte-2 (Pd-M5S-LeU) avrebbe meno voti di Lega-Forza Italia a Palazzo Madama (110 contro 115). Ragion per cui le lacerazioni dei grillini rischiano di spostare decisamente a destra l’asse della maggioranza. Ragion per cui, se si vuole evitare che Matteo Salvini conquisti la golden share

della presunta unità nazionale, sembrano urgenti almeno tre interventi. 1. È del tutto evidente che perseguendo la via della espulsione in blocco dei parlamentari che dicono di no a Draghi (a Montecitorio se ne contano 20) i vertici del Movimento, Beppe Grillo in testa, non faranno altro che radicalizzare lo scontro, spingendo i dissidenti prima nella terra di nessuno del Misto e quindi verso lidi più accoglienti, a cominciare proprio dalla Lega.

Senza l’avvio di una ricomposizione interna, o almeno di una tregua armata, aumenterebbe la pressione sull’ala “governista” da parte di quel 40% di iscritti che sulla piattaforma Rousseau si è pronunciato contro l’ammucchiata con Berlusconi, Salvini e Renzi. Quando il governo si troverà, prima o poi, a decidere su temi altamente sensibili per i 5Stelle – uno per tutti, la rottamazione della riforma Bonafede che blocca la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche se la ministra Cartabia sostiene che non c’è fretta –, nei gruppi potrebbe crescere lo smottamento per togliere l’appoggio al gabinetto Draghi, e sarebbero guai seri. 2. A proposito di Mario Draghi, assistiamo a dotte disquisizioni (a sua insaputa) sulla cultura politica liberalsocialista di cui egli sarebbe portatore. A maggior ragione, potrebbe un Draghi sensibile alle idee della sinistra riformista accettare che il sovranismo antieuropeo cacciato dalla porta (dal suo predecessore) ricicci sotto mentite spoglie? Rafforzare e non indebolire il contrappeso Pd-5S-LeU è anche nel suo interesse. 3. Chi può utilmente strutturare l’intesa giallorosa è proprio Giuseppe Conte, soprattutto in vista del voto di giugno nelle più importanti città. Anche se a mettergli i bastoni tra le ruote è già in azione, al Nazareno, l’insaziabile quinta colonna renziana. Memore del fatto che, numeri alla mano, al Senato il tanto bistrattato Conte-2, sia pure di poco, la destra l’aveva messa sotto. E infatti lo hanno mandato a casa.

Ilva, primo no del Consiglio di Stato a Mittal. Ma è a maggio che il Tar decide se spegnerla

Bisognerà attendere l’11 marzo per sapere se il Consiglio di Stato concederà o meno la sospensiva ad ArcelorMittal costretta, dopo la sentenza del Tar di Lecce, a spegnere gli impianti inquinanti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto entro 60 giorni. Il giudice Luigi Maruotti, presidente della IV sezione del Consiglio, ha rigettato la richiesta urgente presentata dall’azienda spiegando che “non risulta e non è stata comprovata la circostanza che, in assenza di immediate misure cautelari, per l’appellante si produrrebbe uno specifico pregiudizio irreparabile”. Arcelor, insomma, può aspettare. Per il giudice la richiesta di sospensiva, in attesa del giudizio di merito, dovrà essere valutata in maniera collegiale l’11 marzo proprio per le “delicate questioni controverse”. Inoltre una sospensiva emessa l’11 marzo, secondo il presidente Maruotti non creerebbe alcun danno all’azienda perché “non sarà decorso” il termine imposto dal sindaco per la conclusione delle “operazioni di fermata dell’area a caldo e degli impianti connessi”. La vera notizia, tuttavia, arriverà il 13 maggio, giorno in cui i magistrati amministrativi dovranno stabilire se confermare o meno la sentenza del Tar. Tra l’11 marzo e il 13 maggio, ci sono oltre 60 giorni ed è quindi altamente probabile che la sospensiva chiesta da Arcelor venga infine concessa. Ma restando sulle date, emerge con altrettanta chiarezza che maggio sarà un mese particolarmente caldo sul fronte “salute-lavoro” a Taranto.

Anche la sentenza di primo grado del processo penale “Ambiente svenduto” è attesa per quelle settimane. Chiusa la requisitoria dei pm che hanno chiesto 35 condanne per quasi 4 secoli di carcere nei confronti dei Riva e degli altri imputati, il calendario stilato dalla Corte d’assise prevede la discussione degli avvocati delle oltre 800 parti civili fino al 24 febbraio. La parola, poi passerà al collegio degli imputati: le difese discuteranno fino al 12 aprile. Aggiungendo alcune udienze per le repliche dell’accusa e le controrepliche della difesa, il calendario processuale prevede come ultimo giorno il 21 aprile: al termine di quell’udienza, salvo cambiamenti, la corte d’Assise – presieduta dal giudice Stefania D’errico e a latere Fulvia Misserini – dovrebbe ritirarsi in camera di consiglio per emettere il verdetto. Per un processo durato quattro anni, con centinaia di udienze, testimoni e consulenti, la decisione potrebbe arrivare a distanza di giorni, proprio nel mese di maggio. Giustizia penale e giustizia amministrativa si esprimeranno sullo stesso argomento: la prima su ciò che è avvenuto in passato, la seconda su ciò che avviene nel presente. E la somma delle due decisioni deciderà il futuro della città.

Deviarono il fiume per costruire il Crescent: 12 a giudizio. Anche la compagna di De Luca

Il processo inizierà il 12 luglio a Salerno. Tra i dodici rinviati a giudizio per i pasticci sui progetti di deviazione del torrente Fusandola c’è anche la dirigente comunale Trasformazioni Edili, Marilena Cantisani, firmataria dell’autorizzazione paesaggistica 89/2014 che la Procura di Salerno ritiene illegittima. Falso e violazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, le accuse. L’architetto Cantisani è la compagna del presidente Pd della Campania Vincenzo De Luca (si conobbero quando lui era sindaco di Salerno), a sua volta uno degli imputati in Appello, dopo un’assoluzione in primo grado, nel maxi-processo Crescent, il mastodontico edificio che sovrasta piazza della Libertà e la sottostante foce del Fusandola, deviato proprio per consentirne la realizzazione. Coincidenza ha voluto che ieri si celebrassero in contemporanea sia l’udienza preliminare ‘Fusandola’ sia la decima udienza d’appello del Crescent. L’unico imputato del ‘Fusandola’ che ha chiesto il rito abbreviato è stato condannato a un anno e 8 mesi.

“L’aria è inquinata” Cirio e Appendino sotto inchiesta

Cinque anni di aria inquinata, valori di PM10 oltre la norma e nessun provvedimento efficace intrapreso per preservare la salute pubblica. L’inquinamento, come il Covid, è “un’emergenza sanitaria”. È la tesi della procura di Torino, che ha iscritto sul registro degli indagati gli amministratori di Comune e Regione che, dal 2015 ad oggi, avrebbero dovuto occuparsi di politiche per l’ambiente. Torna a essere indagata, dopo Ream e piazza San Carlo, la sindaca Chiara Appendino, seguita dal predecessore Piero Fassino e dagli assessori all’Ambiente del Comune Alberto Unia, Stefania Giannuzzi (assessora per la giunta Appendino nei primi mesi del suo mandato), ed Enzo Lavolta (giunta Fassino).

Avvisi di garanzia sono stati consegnati anche a Sergio Chiamparino, all’ex presidente della Regione, Alberto Valmaggia, ex assessore regionale all’Ambiente, all’attuale governatore Alberto Cirio e all’assessore Matteo Marnati. Secondo l’accusa, gli indagati “avevano l’obbligo di adottare un piano con le misure necessarie ad agire sulle principali sorgenti di emissione di inquinanti nell’aria” e avrebbero dovuto attuare politiche per il “superamento dei valori limite dei PM10”. Invece, nulla o poco sarebbe stato fatto, secondo il pm Gianfranco Colace e l’aggiunto Vincenzo Pacileo, che contestano il reato di “inquinamento ambientale”. I nove indagati avrebbero, secondo l’accusa, cagionato “una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile dell’aria”.

L’inchiesta nasce da un esposto di Roberto Mezzalama, presidente del “Comitato Torino Respira”, in cui si fa riferimento ai dati dell’Arpa Piemonte, che confermano che gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico a Torino avrebbero “provocato 900 morti all’anno e ridotto la speranza di vita dei cittadini di 22,4 mesi”. Dalle consulenze era emerso un nesso causale tra tra gli alti livelli di PM10 e di biossido di ozono e alcune patologie.

Caso Gregoretti “Va interrogato anche Palamara”

Colpo di scena: anche Luca Palamara potrebbe essere chiamato a testimoniare a Catania sul caso di Matteo Salvini, imputato con l’accusa di sequestro di persona per la gestione dei migranti della Nave Gregoretti. A farne richiesta, gli avvocati di parte civile dopo che la difesa dell’ex ministro dell’Interno ha fatto riferimento a una chat del cosiddetto “Palamaragate”. Quella in cui l’ex consigliere del Csm (che ieri ha presentato ricorso contro la radiazione dalla magistratura), di fronte alle perplessità del procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma, sulle iniziative giudiziarie intraprese nei confronti di Salvini per la gestione dei migranti, aveva risposto: “Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo”.

L’avvocato di Salvini, Giulia Bongiorno a settembre aveva chiesto alla Procura di Perugia di acquisire le chat per poterle produrre in udienza a Catania, ma ora teme che il coinvolgimento di Palamara possa essere un boomerang. Perché a decidere se sentirlo dovrà essere il gup, Nunzio Sarpietro, entrato nel mirino dei legali di parte civile che hanno ventilato una richiesta di ricusazione nei suoi confronti. In particolare per le dichiarazioni rilasciate dal magistrato a margine dell’audizione di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi a fine gennaio, in cui aveva tranquillizzato Salvini assicurandogli la sua “diversità” rispetto a Palamara. Con cui Sarpietro ha il dente avvelenato: l’ex capo dell’Anm in passato lo avrebbe danneggiato favorendo al suo posto altri candidati alla guida degli uffici giudiziari per i quali aveva fatto domanda. La decisione è attesa dopo l’audizione del 5 marzo a Catania dell’ambasciatore a Bruxelles, Maurizio Massari. Ieri è stata la volta del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dell’Interno Luciana Lamorgese. Che, per l’avvocato Bongiorno avrebbe confermato le tesi della difesa: “Ha dato atto che spesso venivano date indicazioni per ottenere prima la redistribuzione e poi lo sbarco”.

20 febbraio 2021, il G7 sui vaccini si dà una mossa

Sarà che non c’è più Donald Trump e che il nuovo presidente Usa, Joe Biden, vuole rilanciare il multilateralismo. Sarà l’effetto delle spinte di Boris Johnson e di Emmanuel Macron (il primo molto più deciso del secondo) a occuparsi della vaccinazione nei Paesi terzi. Sarà che alla fine tutti capiscono che se non si vaccinano anche i poveri, gli stessi ricchi rischiano la pelle.

Sta di fatto che il G7 di ieri – tenutosi in videoconferenza sotto la presidenza inglese di Johnson e il primo a cui ha partecipato anche Mario Draghi – ha deciso, in nome dalla “svolta per il multilateralismo” di “intensificare la cooperazione sulla risposta sanitaria al Covid-19”.

La notizia più concreta è lo stanziamento di 4 miliardi di dollari per il programma Covax dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Unicef, che deve portare i vaccini nei Paesi più poveri. “Riaffermiamo – si legge nella dichiarazione finale – il nostro sostegno a tutti i pilastri dell’Act-A (struttura operativa del Covax, ndr) e all’accesso equo ed economico a vaccini, terapie e diagnostica”. Con i 4 miliardi stanziati, l’impegno complessivo sale a 7 miliardi e mezzo di dollari (il progetto Covax stima però in 11 miliardi il fabbisogno complessivo): “Invitiamo tutti i partner, incluso il G20 – aggiungono i 7 Grandi – e le istituzioni finanziarie internazionali, a unirsi a noi per aumentare il sostegno all’Act-A, incluso l’aumento dell’accesso dei Paesi in via di sviluppo ai vaccini approvati dall’Oms attraverso la struttura Covax”.

Il vertice si è occupato anche del nodo più delicato della situazione attuale: la produzione. “Accelereremo lo sviluppo e la diffusione di vaccini globali; collaborare con l’industria per aumentare la capacità di produzione, anche attraverso licenze volontarie; migliorare la condivisione delle informazioni, come il sequenziamento di nuove varianti”.

Il problema però è più serio di una semplice dichiarazione, perché a oggi sono le grandi multinazionali a monopolizzare la produzione, rendendo impossibile per i Paesi pianificare piani di vaccinazione efficaci. Il caso italiano, ed europeo in generale, è sintomatico (altro che responsabilità di Domenico Arcuri). Ieri Pzifer, come riporta il New York Times, ha annunciato di avere evidenze che il suo vaccino ha già positivi effetti dopo la prima dose e può essere conservato più facilmente. Nessuna certificazione ufficiale, ma se fosse davvero così la situazione migliorerebbe non poco.

Il vertice G7 ha poi rilanciato l’impegno al sostegno delle economie. “Finora abbiamo stanziato globalmente 6.000 miliardi di dollari e “continueremo a sostenere le nostre economie per proteggere i posti di lavoro e sostenere una ripresa forte, sostenibile, equilibrata e inclusiva”. Anche questo è un segno importante che non sembra far riaffiorare, almeno al momento, ipotesi di politiche di austerità. Anzi nella dichiarazione fa la sua comparsa un obiettivo davvero impegnativo nei confronti dell’Africa da sostenere “anche attraverso l’implementazione piena e trasparente dell’Iniziativa per la sospensione del servizio del debito e del Quadro comune”. Sospensione, non annullamento, ma è già qualcosa.

La dichiarazione finale fa riferimento poi al cambiamento climatico e agli accordi di Parigi (si nota anche qui l’uscita di scena di Trump) per una “trasformazione verde e transizioni energetiche pulite fino a ribadire una cooperazione internazionale “in particolare i Paesi del G20, comprese le grandi economie come la Cina”. Le azioni concrete su queste priorità saranno assunte al vertice del G7 di giugno. Infine, i sette leader hanno sostenuto l’impegno del Giappone a tenere i Giochi olimpici e paralimpici a Tokyo “in modo sicuro e protetto”.

20 febbraio 2020, ore 20: “Il tampone è positivo”

Venti febbraio 2020, ore 20. Mi lascio cadere sul divano. Con una certa soddisfazione assaporo la serata tutta mia che sto per trascorrere: un panino, un bicchiere d’acqua. Malgrado ami cucinare, sono troppo stanca anche solo per una frittata. Qualche minuto di zapping e poi alla ricerca di un film, uno di quelli che strappano le lacrime e che fanno “cariare i denti” e che guardo più volte, certo non per la trama, ma per l’effetto emotivo.

Non faccio in tempo a scorrere le prime immagini di Albergo a 5 stelle che squilla il telefono. Rispondo, ignara che quella telefonata avrebbe suggellato la fine di un’epoca. Una porta, silenziosa ma impenetrabile si stava chiudendo alle spalle dell’umanità. Era Valeria Micheli, biologa del mio staff, di turno presso il laboratorio di Microbiologia Clinica, Virologia e Bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, che dirigo. È, tra le mie collaboratrici, fra le più ponderate, che non cedono mai all’ansia. Stranamente la sua voce è diversa dal solito.

“Cosa c’è, Valeria?”. “Prof, è arrivato un campione da Codogno, credevo fosse negativo come gli altri di questi ultimi giorni. È positivo!” “Arrivo”. Da casa mia al Sacco impiego normalmente 45 minuti. Quella sera, meno di trenta.

La tempesta perfetta era cominciata. Tutto sarebbe stato travolto, l’organizzazione del nostro laboratorio, la nostra vita personale. In un unico vortice, il meglio e il peggio di tutto. Il meglio, che amo ricordare, è stato soprattutto la solidarietà da parte della gente comune e tra di noi. Non più turni, ma sempre al lavoro, al massimo delle nostre energie. I miei meravigliosi collaboratori, “miei angeli”, come non finirò mai di chiamarli. I più anziani o quelli più liberi da impegni familiari costringevano a tornare a casa i colleghi che avevano bimbi da accudire ma che, malgrado tutto, non volevano far venir meno il loro aiuto. Alla porta del laboratorio, infermieri che continuavano a portare tamponi da analizzare, ma anche corrieri che consegnavano ogni ben di dio: dolci, pizze, torte. Erano inviati da anonimi generosi o da aziende milanesi. Siamo tutti ingrassati di almeno cinque o sei chili! Non c’era tempo per andare in mensa o a casa e allora si continuava a cibarsi involontariamente di quelle caloriche leccornie.

È arrivato anche tanto sostegno economico da banche, aziende private che hanno anche permesso interventi strutturali migliorativi nel nostro ospedale. Malgrado fossimo stati sommersi dalla diagnostica, non abbiamo mai trascurato la ricerca che è nel nostro Dna. A oggi ci vantiamo di aver pubblicato ben 30 lavori su riviste scientifiche internazionali, consolidando anche collaborazioni importanti con gruppi di ricerca europei e americani. Siamo fieri di aver scoperto, in collaborazione con il Cnr e l’Iss, che il virus era presente a Milano almeno dal novembre del 2019. L’emergenza ha dato l’opportunità di lavoro, seppur ancora precario, a giovani biologi e medici che già rivestivano il ruolo di volontari presso il mio laboratorio. Nella tragedia che si consumava a pochi metri da noi, in un ospedale che sprofondava in un silenzio abissale, si rinsaldava la collaborazione con la maggior parte dei colleghi. Ci siamo sentiti un’unica famiglia unita, con qualche figlio, come accade nella realtà, dal comportamento non sempre in linea.

Intorno all’ospedale, nelle strade, mentre si tornava a casa, ancora silenzio. Era l’effetto del lockdown. I miei familiari mi reputavano fortunata per il fatto che potessi almeno andare al lavoro. Loro erano in casa, prigionieri. Non tutto però è da salvare. Accanto al senso di impotenza e di sconfitta davanti al numero dei morti che la tenacia e il lavoro di noi tutti non sono mai riusciti ad azzerare, anche la tristezza generata dal comportamento di una parte di stampa che scrive più per far scoop e creare panico che per informare. E il panico dai media ha raggiunto tutti.

Mia nipote, Giulia, scuole elementari, mi telefona e mi dice “Non posso venire da te, se no ti ammazzo!”. La maestra l’aveva messa in guardia. I bambini, frequentando gli adulti, avrebbero potuto contagiarli e provocarne la morte. Panico, panico in tutte le trasmissioni, persino in quelle di cucina. Chi, come me, ha cercato di tranquillizzare, è stato criticato, persino minacciato. Se si dovesse descrivere questa pandemia con poche parole chiave, potremmo mettere al primo posto proprio panico e confusione.

Bisognerebbe obbligare chi fa comunicazione a frequentare corsi di crisis communication (comunicazione durante la crisi). La prima regola è non disseminare panico tra la gente, ancor più quando la situazione è grave. È avvenuto e avviene il contrario, non senza la collaborazione di qualche “tristo” collega dalla visione sempre pessimista. E sull’interpretazione dei dati e dei numeri si sono persino creati schieramenti anche tra noi esperti.

È a tutti noto il “partito” Galli-Crisanti e quello Bassetti-Vaia-Gismondo. Nessuno di noi si è sognato di costituirlo ma, di fatto, è stato così. Anche questo fa provare amarezza. Siamo stati tutti responsabili per aver creato una certa confusione e incertezza nella gente. Purtroppo è difficile spiegare che, soprattutto in un fenomeno di tale portata, non si possa essere tutti con lo stesso pensiero.

La scienza non è esatta, come si vorrebbe, ma è in continua evoluzione, alimentata dal confronto tra ricercatori. Forse questo confronto avremmo dovuto farlo fra di noi e non sui media. Dobbiamo tutti chiedere scusa al pubblico.

Non abbiamo avuto paura? Sì, certo. Per noi stessi e per i nostri cari. Una notte, mi sento male alle ossa, mal di gola, sintomi simil influenzali. Scappo in ospedale per fare un tampone. Temevo per me, ma sentivo anche una grande responsabilità verso i miei familiari. Il tampone è di esito incerto. Non nascondo di aver sentito un pugno allo stomaco. Ho capito cosa stesse provando tanta gente che vedeva nell’esito “positivo” una sentenza di morte. Fortunatamente, dopo qualche ora, il mio esito si confermava negativo.

Paura ne ho provata anche quando mia figlia mi ha comunicato, in piena pandemia, di essere incinta. In laboratorio stavamo conducendo ricerche sulla possibile trasmissione transplacentare del virus. Mentre Davide e Alessandro, miei bravissimi ricercatori, mostravano entusiasmo per aver forse dimostrato tale passaggio, mi sentii più volte tremare le vene. E se fosse successo a mia figlia? Mia, il nome della piccola, nasceva a settembre, bella, in salute, covid free, lei e la mamma. A tutt’oggi il suo mondo è popolato da esseri con la mascherina. Ha imparato a sorridere, per il tono di voce con il quale ci si rivolge. Non le è concesso vedere i nostri sorrisi.

È trascorso un anno. Siamo fieri del nostro lavoro, perché siamo consapevoli di aver dato tutti il massimo, ma siamo stanchi e tristi. Il virus continua a girare e a mietere vittime, malgrado oggi abbiamo imparato anche a curare e a mitigare la gravità della malattia. Siamo ancora nella condizione di affrontare temuti lockdown. Stanno arrivando le varianti, delle quali molti parlano senza alcun fondamento scientifico. Di fatto sappiamo solo che la variante “inglese” è più contagiosa. Nulla di certo sulle altre.

È un virus mutevole. Ce lo aspettavamo. Sono arrivati i vaccini. Al ritmo attuale non serviranno a molto. Ci chiediamo se e cosa sia stato non fatto o fatto erroneamente. Oggi ci accorgiamo che la lotta contro il virus sta mietendo troppe vittime al di fuori del Covid. Sono i depressi, i disoccupati, sono i pazienti a cui viene ancora negata una sanità ordinaria, sono i suicidi. Forse dovremmo prendere in considerazione che questo virus potrebbe restare nella specie umana e che non sarà possibile vivere per eliminarlo, ma di organizzarci per conviverci. Sembriamo ignorarlo. Ricordiamo la definizione di “benessere” fatta dall’Oms qualche anno fa: “Uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”. È tempo per mettere in primo piano il ripristino di tale equilibrio.

 

Governatori al palo, corrono davvero solo Lazio e Campania

Tutte le Regioni devono fare i conti con i ritardi nelle consegne e i tagli alle forniture. Resta il fatto che c’è chi corre e chi va più a rilento, ognuna con la propria road map. C’è per esempio chi ha già attivato tutti i punti vaccinali e chi ha optato per una politica a fisarmonica. Ma tutte insieme le Regioni, con il piano delle vaccinazioni anti-Covid, disegnano un’Italia che procede a due velocità.

Solo Campania e Lazio hanno completato la prima parte della fase uno, quella che riguarda gli operatori sanitari e sociosanitari e gli ospiti delle case di riposo, concludendo la somministrazione della seconda dose. Tante devono ancora partire con la vaccinazione degli over 80. Le Marche e il Molise inizieranno oggi, la Puglia da lunedì, la Sardegna deve ancora stabilire una data, il Piemonte partirà domani. E sono poche le Regioni che sono riuscite già a raggiungere percentuali a due cifre con gli ultraottantenni sul totale delle somministrazioni fatte finora. Svetta la provincia di Bolzano, con quasi il 29%. Svettano anche il Trentino (con il 17,59%), il Lazio (15,71), il Veneto (11%) e la Valle d’Aosta (15,4).

Tutte più indietro le altre. Mentre la Calabria è ferma. Certo, molto dipende dalla disponibilità dei vaccini finora autorizzati, vale a dire gli statunitensi Pfizer e Moderna e l’europeo Astrazeneca (quest’ultimo però può essere usato solo sulle persone fino a 65 anni). Ma di mezzo c’è anche l’efficienza. Così ci sono le Regioni che operano su più fronti (sanitari, over 80, insegnanti); chi – ed è sempre la Calabria – ha invece dato il via libera alle vaccinazioni di forze dell’ordine e personale scolastico con il vaccino Astrazeneca prima ancora di procedere con i grandi anziani. Finora, da quando alla fine di dicembre è iniziata la campagna, sono state vaccinate 1,3 milioni di persone. E secondo tanti operatori sanitari solo una svolta immediata potrebbe consentire di raggiungere l’obiettivo che si è prefissato il governo: 25 milioni di persone immunizzate entro luglio, a un ritmo di circa 4,1 milioni al mese. Svolta che dovrebbe arrivare però solo l’11 marzo, giorno in cui è attesa l’approvazione da parte dell’Ema, l’agenzia del farmaco europea, del vaccino sviluppato da Johnson& Johnson. Vaccino che ha il vantaggio di essere monodose e che quindi potrebbe essere affidato per le somministrazioni ai medici di famiglia.

Molte Regioni sono pronte, almeno sulla carta. Lo è il Lazio, con 100 punti di somministrazione, dei quali 50 attivati, ai quali si aggiungono hub come il centro congressi la Nuvola, il parcheggio per le lunghe soste dell’aeroporto Fiumicino, l’Auditorium del Parco della Musica: “Possiamo fare 30mila somministrazioni al giorno – spiegano dalla Regione – ma per ora siamo fermi a circa 7-8mila”. È in grado di arrivare fino a 45mila inoculazioni quotidiane l’Emilia-Romagna – il suo piano prevede 70 punti di somministrazione, dei quali ne sono attivi per ora 14 – che ha iniziato a vaccinare gli over 85 ma anche gli over 80, purché assistiti a domicilio. Gli anziani di età compresa tra gli 80 e gli 85 anni che sono autosufficienti dovranno aspettare invece il primo marzo.

In Campania sono operativi 27 punti di somministrazione, oltre a tre extra che non si trovano in strutture sanitarie. Obiettivo: portarli a regime con la fase della vaccinazione di massa, a dieci per ogni provincia. “Intanto – dicono dallo staff del governatore Vincenzo De Luca –, sono partite le vaccinazioni del personale scolastico”.

Dopo le mascherine, i vaccini: spacciatori indagati in 3 Procure

Prima le mascherine, poi i tamponi rapidi. Ora il business di chi lucra sull’epidemia si sposta sui vaccini anti-Covid. Sono almeno tre le Procure al lavoro e decine le segnalazioni giunte ai carabinieri del Nas di tutta Italia. Tanto da far ipotizzare l’esistenza di una sorta di mercato parallelo del prezioso siero. I soggetti all’attenzione degli inquirenti sono sempre gli stessi: rampanti broker farmaceutici e intermediari improvvisati che promettono alle istituzioni nazionali e locali di far arrivare “milioni di dosi” di vaccino. Ma come ribadito dall’entourage del Commissario governativo per l’emergenza, Domenico Arcuri, in questa partita esistono solo due soggetti: lo Stato e le case produttrici. Tutto il resto “potrebbe essere una truffa”.

Da ieri, il fascicolo principale è quello aperto dalla Procura di Roma, che indaga per ricettazione sulla base di una segnalazione che i Nas di Roma hanno ricevuto proprio dalla Struttura commissariale. Fra l’8 e il 13 febbraio sono arrivate a Palazzo Chigi tre email di altrettanti mediatori, due uomini che si dicevano in grado di far arrivare “un paio di milioni di dosi” del siero di Astrazeneca e una donna che prometteva di procurare il russo Sputnik, non ancora validato dall’Ue e non commercializzabile. Nelle email non erano indicati prezzi o tempi di consegna. Il primo reato iscritto è la ricettazione, ma gli inquirenti non escludono di poter contestare anche la truffa. Per ricettazione indaga anche la Procura di Milano, dopo un esposto contro ignoti presentato da Astrazeneca.

Il primo fascicolo, in ordine di tempo, è stato aperto a inizio mese a Perugia, dopo l’email del 28 gennaio ricevuta dalla Regione Umbria da parte di un presunto broker Astrazeneca (il vaccino di Oxford sarebbe stato approvato dall’Aifa solo il giorno dopo). Il messaggio è stato subito girato ai Nas di Perugia, che il 6 febbraio hanno perquisito l’abitazione dell’uomo e raccolto la denuncia della multinazionale. Le indagini dei pm perugini hanno poi reso necessaria un’acquisizione documentale, avvenuta giovedì, presso le sedi della Struttura commissariale governativa e dell’Aifa, per valutare la normativa. Da qui nasce l’ipotesi del “mercato parallelo”.

E sempre su delega della Procura di Perugia, i Nas di Treviso ieri hanno ascoltato per quattro ore, come persona informata sui fatti, il direttore generale della Sanità del Veneto, Luciano Flor. Alla Regione guidata da Luca Zaia sono arrivate ben 20 offerte di vaccini da altrettanti broker. A sei di queste, gli uffici regionali rispondono chiedendo maggiori informazioni. Tanto che il 2 febbraio il governatore afferma: “Ci stiamo muovendo per vedere se sul mercato possiamo trovare altri vaccini” e intanto si muove per ottenere l’autorizzazione dall’Aifa e dalla struttura di Arcuri. Il 15 parla di 27 milioni di dosi.

Ma qualcosa non torna. Il 12 febbraio, Zaia informa i Nas di Treviso, che il 18 febbraio entrano in azione. Ieri il governatore ha dichiarato: “Ora capiremo se ci troviamo di fronte a millantatori o truffatori…”. Per poi rivendicare: “La nostra intraprendenza è gradita dai veneti. In Italia, qualsiasi cosa si fa, si sbaglia”.

Ma chi sono questi mediatori? Gli stessi, letteralmente, che a marzo 2020 si sono lanciati a capofitto nell’importazione delle mascherine dalla Cina. Il Fatto ha incontrato il broker che un anno fa si era visto respingere dalla Regione Lazio un preventivo da 10 milioni di euro per 2 milioni di Ffp2 e Ffp3. Oggi dice di commerciare il vaccino Pfizer e di essersi proposto a “diverse istituzioni”. Poi assicura, “sarei stato in grado di soddisfare in pochi giorni il fabbisogno di vaccini della Lombardia, invece sto trattando le stesse dosi con la Giordania”.

Alla domanda se si tratta del farmaco originale, senza artifizi, lui risponde: “Certo, ma viene acquistato dai rivenditori ufficiali delle case farmaceutiche. Il vaccino è sempre lo stesso”. Obiettiamo che non si può fare, che è illegale. Lui replica: “Non è vero. Ho un’autorizzazione ministeriale a commerciare farmaci. Il vaccino anti-Covid è un farmaco. C’è il libero mercato”. Contattato l’ufficio stampa di Pfizer Italia, non abbiamo ricevuto risposta.