Dalle prime valutazioni dei tecnici di ministero della Salute e Istituto superiore di Sanità sembrava che più di mezza Italia, compresi Lombardia e Lazio, dovesse passare in zona arancione. Non è andata così, il ministro Roberto Speranza ha preferito rimandare le inevitabili tensioni con i presidenti delle Regioni alla prossima settimana, quando si discuterà del nuovo dispositivo anti Covid-19: il 5 marzo scade infatti il Dpcm sull’Italia “a colori”. In quella data sarà prorogato anche il decreto che vieta gli spostamenti interregionali, in scadenza giovedì 25 febbraio. Al ministero della Salute ritengono necessaria un’ulteriore stretta, non un lockdown generalizzato ma, ad esempio, un paio di settimane in arancione per tutta Italia, con i giorni festivi in rosso come a Natale. Deciderà Mario Draghi.
Così, alla prova del monitoraggio settimanale, ieri Speranza ha disposto la zona arancione solo per tre Regioni che hanno l’indice di riproduzione del virus, nel valore puntuale calcolato al 3 febbraio, superiore a 1: Campania (1,16), Emilia-Romagna (1,06) e Molise (1,4). Si aggiungono ad Abruzzo (1,17), Liguria (1,08), Trentino (1,23), Alto Adige (1,16), Toscana (1,2) e Umbria (1,17), che erano già arancioni. L’Umbria, per circa due terzi rossa in base ai provvedimenti regionali anti-varianti, è l’unica Regione classificata a rischio alto. Naturalmente le zone rosse locali rimangono anche altrove, dalla Lombardia al Piemonte, dalle Marche all’Abruzzo e al Molise dove si sono verificati focolai connessi alla variante inglese e (a Perugia) a quella brasiliana, mentre l’elevatissima incidenza in Alto Adige, ragionevolmente connessa alla variante sudafricana che dilaga nel confinante Tirolo consiglia alla Provincia autonoma di mantenere un sostanziale lockdown.
A livello nazionale Rt è a 0,99: “Si confermano, per la terza settimana, segnali di tendenza a un graduale incremento nell’evoluzione epidemiologica”, scrive la Cabina di regia Salute/Iss. Aumenta lievemente l’incidenza (da 133,13 a 135,46 nuovi casi a settimana ogni 100 mila abitanti) con punte di 223,5 in Abruzzo, 254,66 a Trento, 277,07 in Umbria e ben 738,2 a Bolzano. Continuano a diminuire i ricoverati (da 2.143 a 2.074 nelle terapie intensive, da 19.512 a 18.463 nei reparti ordinari tra il 9 e il 16 febbraio) che restano sotto le soglie d’allerta, ma ogni giorno nelle rianimazioni entrano da 120 a 170 persone (ieri 151) e l’occupazione dei letti cresce in Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Trento, Bolzano, Molise e Umbria. I decessi, ieri 353, calano molto lentamente.
Brusaferro: “No allarmismo ma la fase è delicata”
L’attenzione degli esperti si concentra sulle varianti contro le quali occorre “agire in maniera aggressiva, fare contenimento”, ha detto Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al ministero. Quella inglese, ha spiegato ieri il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, dimostra in Italia una trasmissibilità media superiore al ceppo ordinario del 39%, dunque non si arriva al 50% stimato in Gran Bretagna “anche per effetto delle misure in vigore”. La sua prevalenza, valutata al 17,8% dei casi in Italia nella prima indagine realizzata tra il 4 e il 5 febbraio, potrebbe essere salita fino al 30/35% in appena 15 giorni. Corre veloce, tutti si attendono che divenga prevalente in qualche settimana come accade in altri Paesi. Non crea problemi ai vaccini, ma forse è responsabile dell’aumento dell’incidenza rilevato nei giovani fino a 19 anni, fra i quali tuttavia “non c’è evidenza di un peggioramento dei quadri clinici”, ha osservato il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità. Diminuiscono invece i nuovi casi tra gli over 80 “e questo – ha sottolineato Brusaferro – è un primo segnale importante che ci mostra l’importanza della campagna vaccinale” appena iniziata. La nuova indagine di ministero e Iss riguarda anche la brasiliana e la sudafricana, che invece mostrano resistenze ai vaccini.
L’elaborazione delle misure post 5 marzo sarà anche l’occasione per eventuali interventi sul Comitato tecnico scientifico e per la ridefinizione del piano vaccinale, nella cui logistica la Protezione civile e le Forze armate potrebbero ereditare alcune competenze del Commissario Domenico Arcuri.