Il grande gioco delle sanzioni internazionali alla Russia è entrato in una nuova fase per la crisi nell’Ucraina orientale. Si ripete quanto avvenne con la guerra di fine febbraio 2014, che portò all’annessione russa della Crimea. Le sanzioni imposte il 17 marzo 2014 da Usa, Ue e altri Paesi colpirono individui e imprese, causando a Mosca il crollo del rublo e la fuga di capitali, la crisi finanziaria e una recessione. A metà 2016, la Russia aveva perso circa 170 miliardi di dollari per le sanzioni più altri 400 miliardi di mancate entrate dall’export di gas naturale e petrolio. Putin il 20 marzo 2014 rispose con misure analoghe, compreso il blocco dell’import alimentare da Australia, Canada, Norvegia, Usa e Ue. Dal 2015 le perdite per la Ue sono stimate in almeno 100 miliardi. Nel 2018 Germania e Austria dissero no a Washington per nuove sanzioni contro Mosca sul fronte dell’energia. A gennaio scorso, Bruxelles aveva prorogato le sue misure fino al 31 luglio, ma il precipitare degli eventi ha cambiato la situazione. Le conseguenze non lasceranno indenne nessuno: ecco la fotografia che si va delineando in queste ore, ma che è destinata a mutare.
Russia Caute Bruxelles e Londra, Berlino dura
Bruxelles e Londra per ora fanno la faccia feroce ma non graffiano, Berlino pare più dura. Il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson ha annunciato sanzioni contro cinque banche russe e tre oligarchi, mossa considerata moderata visto che i nomi erano già dal 2018 nell’elenco delle sanzioni Usa. Bruxelles dice di lavorare a misure per limitare “la capacità dellaRussia di accedere a capitali, mercati finanziari e servizi della Ue”. L’obiettivo potrebbero essere i colossi energetici pubblici russi Rosneft e Gazprom, che potrebbero dover affrontare il divieto di prendere prestiti da investitori e creditori occidentali. Ciò limiterebbe la loro capacità di investire ma non interromperebbe automaticamente le forniture di energia all’Europa, che riceve il 40% del suo fabbisogno di metano da Mosca. Berlino invece ha annunciato il congelamento dell’autorizzazione al gasdotto Nord Stream 2, non ancora in funzione, che collega la Russia alla Germania. Ma i 27 Stati dell’Unione rischiano la spaccatura per i diversi interessi nazionali in gioco. L’amministrazione Biden invece annuncerà nelle prossime ore le sue misure. L’escalation verrà commisurata alle mosse di Mosca. L’arma finale, una “bomba atomica finanziaria” già esaminata nel 2014, è la possibilità di tagliare fuori la Russia dal sistema di pagamento globale Swift, usato da oltre 11mila istituzioni finanziarie in 200 Paesi, come accadde all’Iran dieci anni fa per il mancato stop al suo programma nucleare. Teheran perse metà dei proventi dall’export di petrolio e il 30% del commercio estero. Ma questa mossa equivarrebbe nei fatti a una gigantesca cancellazione del debito russo, con conseguenze devastanti per le banche europee più esposte verso Mosca, non a caso contrarie a includere i titoli russi nell’elenco delle sanzioni.
Germania Nord Stream 2, alla canna del gas
La Germania è il Paese europeo più esposto a sanzioni verso Mosca. Secondo la rivista tedesca Wirtschaftswoche, Putin ha in pugno Berlino come un pusher fa con un drogato: la dose è il metano. Il cancelliere Olaf Scholz ha fermato il gasdotto Nord Stream 2, la cui entrata in funzione avrebbe raddoppiato l’import tedesco a 110 miliardi di metri cubi l’anno. Per Mosca le fonti fossili valgono la maggior parte dell’export: nel 2020 le vendite di gas le hanno fruttato 55,5 miliardi di dollari, principalmente dall’Europa, un record dal 2013, anche perché i prezzi sono quintuplicati nell’ultimo anno. Berlino dipende dall’import per il 97% del suo fabbisogno nazionale di gas: Nord Stream 1, che parte dalla Russia, fornisce già due terzi dell’import di energia alla Germania. Ieri il prezzo di riferimento del gas europeo è aumentato del 9,2% a 78,5 euro per megawattora. Dmitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha riso: “Benvenuti nel nuovo mondo, dove gli europei pagheranno 2mila euro per il gas!”. In gioco c’è anche l’interscambio tra Berlino e Mosca, cresciuto del 34% nel 2021: i produttori di auto Bmw, Mercedes-Benz e Volkswagen tremano. Siemens realizza circa l’1% del suo fatturato in Russia, dove sta sviluppando treni ad alta velocità con partner locali e costruisce 57 parchi eolici.
Regno UnitoStop ai capitali russi nella City di Londra
Gli istituti di credito europei detengono la maggior parte dei quasi 30 miliardi di dollari di esposizione estera delle banche russe. Per la Banca centrale di Mosca il totale delle attività e passività bancarie estere russe ammontava a 200,6 e 134,5 miliardi di dollari, con la quota denominata in dollari pari a circa il 53% di entrambi, in calo dal 76-81% di vent’anni fa. Il primo ministro britannico Boris Johnson ha minacciato di impedire alle società russe di raccogliere capitali alla Borsa di Londra. Ma per la City sarebbe un salasso, tra perdita di clienti e mancate commissioni.
Francia I crediti allarmano Parigi
Le banche francesi e italiane sono le più esposte al mondo nei confronti della Russia, con crediti in sospeso a settembre scorso per 25 miliardi di dollari per ciascuno dei due Paesi. Seguono quelle austriache con 17,5 miliardi, poi quelle Usa per “appena” 14,7 miliardi. Secondo JPMorgan, gli istituti più esposti sono la francese Société Générale, UniCredit, l’austriaca Raiffeisen Bank International austriaca e l’olandese Ing.
Ma anche in questo caso c’è in ballo il metano: il produttore russo Novatek potrebbe essere un obiettivo, ma il 19,4% della società è della francese TotalEnergies. Renault, poi, possiede la più grande casa automobilistica russa, Avtovaz. Ecco perché Parigi è molto cauta sulle sanzioni.
Italia Banche, alimentare, meccanica: roma trema
Nei primi 11 mesi del 2021 l’interscambio tra l’Italia e la Russia è tornato ai livelli pre Covid a quasi 20 miliardi, anche se Mosca è solo il 14esimo partner commerciale italiano e l’export nazionale in Russia non ha mai recuperato i livelli toccati prima delle sanzioni del 2014. Ma le vendite in Russia sono importanti per abbigliamento, mobili, elettrodomestici e macchinari. Per Mosca invece l’Italia è il nono mercato di sbocco, per più della metà rappresentato dall’export di petrolio e metano.
Secondo la Coldiretti, il blocco russo all’import agroalimentare dalla Ue, deciso nel 2014, è già costato all’Italia 1,5 miliardi. L’embargo di Mosca tuttora in vigore colpisce – sottolinea l’organizzazione agricola – un’importante lista di prodotti agroalimentari con il divieto all’ingresso di frutta e verdura, formaggi, carne, salumi, pesce e l’azzeramento dell’export di prodotti Doc e Dop come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, prosciutti di Parma e San Daniele. Al danno diretto delle mancate esportazioni si aggiunge la beffa della diffusione di imitazioni russe. Stellantis, presente in Russia con propri impianti, prevede di importare in Europa furgoni dei suoi marchi Peugeot, Opel e Citroen prodotti dal suo stabilimento di Kaluga. In Russia Pirelli ha due stabilimenti che impiegano circa 2.500 persone.
Oltre a UniCredit, la maggior banca estera presente dal 1989 con 2 milioni di clienti, in Russia c’è anche Intesa SanPaolo che afferma che la sua missione non è cambiata. Non così per UniCredit: a fine gennaio, proprio a causa della crisi ucraina, il gruppo guidato da Andrea Orcel ha ritirato una potenziale offerta per l’istituto statale russo Otkritie Bank.