“Senza i live mi sentivo in colpa col pubblico. Star io? Macché, vado ancora a fare la spesa”

“Mi va bene anche che sia ammesso in sala il pubblico munito di Super green pass, ma che sia una ripartenza per tutti. Ci siamo abbastanza rotti il cazzo”. Il post sul festival di Sanremo a opera di Silvano Albanese, in arte Coez, ha fotografato la frustrazione di chi per due anni seguita a rimandare i tour. “Poi in qualche modo mi sono anche scusato, ma vedere un teatro pieno con la massima capienza strideva con la parte eclissata e maltrattata del settore della musica dal vivo. Sappiamo che dietro Sanremo non dico che ci siano i ‘poteri forti’ ma economie importanti sì, eppure i concerti restano la forma di promozione migliore di sempre, portano la musica di città in città. Un artista si sente anche in colpa verso il suo pubblico nel momento in cui si vendono i biglietti e poi si comunica che bisogna rimandare le date. All’estero si fanno concerti da ventimila persone senza mascherina e senza Green pass. Io sono a favore dei vaccini, ma se poi questi sacrifici non portano a nulla è logico che si creano rancori”.

Finalmente l’atteso tour può ripartire con diciannove date dal 6 marzo a Torino per concludersi il 20 aprile a Roma: “L’ultimo album Volare è stato pensato per essere suonato nei club: il suono è volutamente più tirato, quasi un ritorno alle origini con più rap. Sarà uno show minimal, senza megaschermi con un’attitudine punk”. Nel disco c’è molta energia: Casse rotte, Crack e Sesso e droga, sino al nuovo singolo Occhi rossi: “È la ballad che stavo cercando da tempo, ho fatto qualcosa che non avevo ancora esplorato fino a oggi”.

Il percorso dall’hip hop al pop è un faro d’ispirazione per molti artisti: “Spesso me lo dicono in privato e mi fa molto piacere. Quello che spinge me a fare musica è proprio creare nuove direzioni; ho necessità di capire che sto lavorando a un sound solo mio”. Attraverso il gioco dei claim è diventato un moderno anello di congiunzione tra il cantautorato classico e il rap senza filtro: “Non ragiono molto quando scrivo, vado molto d’istinto e di pancia. Di quello che scrivo, se vale, me ne accorgo sempre dopo, quando le persone me lo fanno notare. So di avere questa forza e sono contento se i ragazzi ci si rispecchiano”. Sabri72 commenta così un suo video su You Tube: “Nessuna canzone mi ha mai rappresentata meglio, sembra che Coez mi conosca meglio di me”. Chissà se l’ha letto. “Io li leggo eccome. L’immedesimazione per me è tutto”. La spesa al supermercato riesce a farla senza problemi? “Ci vado, credo di avere un pubblico tranquillo, vado anche dal macellaio”.

Tanto pe’ cantà: che storia la canzone romana doc

L’amore, la disperazione, lo sberleffo, le gite fuoriporta, le serenate, le osterie, il Cupolone. Una “storia insolita e straordinaria della tradizione musicale di Roma”, recita il sottotitolo di questo La canzone romana, pubblicato da Newton Compton. Un bignami di 150 anni di musica capitolina – popolare e/o poetica – scritto da Elena Bonelli, che ne perpetua la memoria nel mondo.

Tutto ha inizio, o quasi, nella notte tra il 23 e il 24 giugno del 1881, quando all’interno della festa secolare di San Giovanni Battista apre i battenti il festival dedicato alla canzone romana. A inventare l’antesignano di Sanremo è un tizio che si fa chiamare Pietro Cristiano: per assurdo, ha origini olandesi. Nell’edizione inaugurale trionfa Le streghe, interpretata nientemeno che da Leopoldo Fregoli. Testo apotropaico, con l’occhiolino: “M’hanno detto che le streghe/ quanno vanno alla funzione/ s’accavalleno a ‘n bastone/ e comincieno a volà”. Poco prima della sua performance il maestro Calzelli gli scaglia le seguenti parole: “A Leopò, te chiami Fregoli; embé: fregheli tutti”. Ecco Lina Cavalieri, diva della belle époque internazionale: bellissima, quel provolone di D’Annunzio “la definì la massima testimonianza di Venere in Terra”. Applausi per Romolo Balzani, nato a Campo de’ Fiori e cresciuto a Trastevere. Nel 1926 con la sua L’eco der core, “la canzone romana si trasformò in un’opera d’arte completa”. Tanto da piacere persino al temutissimo critico Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, in arte Trilussa. “Tanto pe’ sognà/ perché ner petto me ce naschi un fiore”: siamo nel 1932, e intonando Tanto pe’ cantà Ettore Petrolini entra definitivamente nella leggenda.

Nel libro non manca davvero nessuno. Quanto sei bella Roma (1934), alla voce Carlo Buti, lo stesso di Faccetta Nera; Arrivederci Roma (1954), musica e interpretazione magistrale di Renato Rascel; La società dei magnaccioni (1962), compositore e autore ignoti, issata in hit parade dalla testaccina Gabriella Ferri; Roma nun fa’ la stupida stasera (sempre 1962), musica di Armando Trovajoli e parole di Garinei e Giovannini e leit-motiv del Rugantino.

E poi, tra gli altri, Claudio Villa, i Vianella, Francesco De Gregori, l’Antonello Venditti di Roma Capoccia, Franco Califano, la Porta Portese di Claudio Baglioni, la Via Margutta di Luca Barbarossa. Fino ad arrivare ad Achille Lauro e Ultimo (Poesia per Roma, 2019): “Che Roma è Colosseo ma nun è solo quello/ Roma è ’sta panchina rotta che dà sogni a quer pischello” stornella quest’Ultimo.

“La mia prostata? è Simmenthal”

Pubblichiamo pillole di “Ombre dal Fondo” di Maria Corti, riedito da Einaudi nella collana “Letture”.

 

Fantasmi. Indugiando presso il grande tavolo della sala Manganelli, dove alcuni studiosi, immobili come fossero morti, leggono manoscritti, le ombre non possono scommettere su ciò che avverrà o no. Per loro l’avvenire è come non esistesse. Per questo sono inquiete.

Ipocondriaci. “Entra, entra, accomodati. Ti aspettavo”. Romano Bilenchi in pantaloni chiari e giacca di pigiama mi indicò una sedia dirimpetto a lui, al di là di un grande tavolo rettangolare ingombro di scatole di medicine, pacchetti di sigarette, portacenere pieni di sigarette fumate a metà.

Oblio. “C’è sempre una moria di nomi dentro di noi. Pochi si salvano e magari non sono neanche i migliori; magari si salvano per caso” (Bilenchi).

Critici e cani. “Oggi in letteratura il tratto caratteristico è un’uniforme tetraggine, in mezzo alla quale eccoti le novità con cui i critici si comportano come quella razza di cani che al comparire di un odore nuovo abbandona la traccia precedente. Pessimi cani da caccia” (Bilenchi).

Fratellanza. “Che si debba amare il genere umano va bene, è anche un comandamento della chiesa. Però viene da chiedersi perché occorre che se ne amino tanti, di esseri umani” (Bilenchi).

Insetto. “Mi piacciono le persone che dentro la scatola cranica, al posto della sostanza grigia, hanno un grillo che a sua volontà salta su e spicca il volo” (Alfonso Gatto).

Punti di vista. Un giorno un laureato di Filologia romanza, che stava esaminando i manoscritti di Franco Fortini, sbuffò: “Fra cinquant’anni chi mai si ricorderà di tutte queste nostre scomodità, su e giù da una stanza all’altra?”. “Eh, Forster prima di te ha detto che si perde un mucchio di cose sotto la gran coltre di neve della vita”, fece un altro, che studiava da anglista.

Arte. In genere l’opera è migliore dell’uomo che l’ha fatta, e l’uomo finisce per assomigliarle, ma il rapporto fra i due è un po’ misterioso.

Poeti. John Keats, riflettendo sull’uomo artista, scrisse anche riferendosi a sé: “Il Poeta è la più impoetica delle cose che esistono”.

Fine-vita. La morte può essere occasionale amministratrice di beni letterari, ma nulla è più rischioso e imprevedibile… Lì, in quella terra di nessuno, accade di tutto: manoscritti chiusi in una cassetta di sicurezza bancaria, dove mancano le condizioni igieniche, ecologiche indispensabili alla sopravvivenza di quegli esseri vivi che sono carta e inchiostro.

Testamento. Meticoloso sponsor in prospettiva testamentaria fu il sempre imprevedibile Giorgio Manganelli: tutti i manoscritti, i diciottomila volumi della sua biblioteca con ironica postilla: “Il Fondo è statale, quindi povero. Manda alla Maria anche tutte le scaffalature”.

Appunti. Il vero prodigio fu che Eugenio Montale continuò nel corso degli anni a darci manoscritti, oggi fogli sparsi, domani un quaderno, un altro giorno un numero di una rivistina inglese di poesia con sue postille e addirittura testi nuovi scritti a mano nei margini.

Chirurgia. “Domani vado a Padova per operarmi. Non tollero anestesie locali e non so se possono farmi la generale. È bene che gli Ossi siano da voi…” (Montale).

Amanti. “Paola Niccoli… è una delle donne degli Ossi, che i critici cercano come i cani da tartufi… Era un’attrice teatrale genovese, lavorava con Lodovici. Gli altri andavano a letto con lei, io le mandavo poesie” (Montale).

Post-operatorio. “Sai, ho visto tutto da uno specchio curvo sovrastante e quando il professore mi ha mostrato la mia prostata, gli ho detto: ‘carne Simmenthal!’” (Montale).

Discorsi. Nell’Aula Magna alla conferenza del rettore è seguita la prolusione di un urologo sulle “relazioni tra le fosfatasi alcaline e la litiasi renale”… Finita la prolusione, l’atmosfera muta. Il rettore annuncia la donazione della Raccolta di Ugo Foscolo.

A che prezzo. Con Elsa De Giorgi usai tutte le arti del convincimento; perché non vendeva al Fondo pavese gli epistolari, e se non tutti almeno quello calviniano? Possibile dare a una banca di Zurigo lettere che iniziavano “Mia adorata, paloma mia”?… Voleva un numero enorme di milioni… L’indomani mattina una telefonata che non dimenticherò. Non conoscevo la voce, era quella di Carlo Caracciolo, presidente del gruppo dell’Espresso, che offriva i primi cento milioni e dava insieme un prestigioso modello di sponsorizzazione… A ruota la Cariplo, la Banca del Monte di Lombardia e la Regione cooperarono a compiere il miracolo… Così è giunto da noi l’epistolario d’amore più suggestivo del 900 italiano, quello di Italo Calvino alla De Giorgi.

Chicca. Alberto Arbasino una volta estrasse dalla tasca una busta e, sempre sensibile a uno stile, disse: “Vi lascio in deposito una lettera di Proust”.

© 1997 e 2022 Einaudi, Torino, in accordo con The Italian Literary Agency, Milano

Draghi, il metodo dell’apartheid

Un momento simbolo di questo anno di governo? Dal discorso epinicio del premier ai trionfatori di Wembley (12.7.2021): “’ndo stai?”.

In quello studiato “a parte”, estrema propaggine dei carmina triumphalia di Roma arcaica, s’inverava il rovesciamento carnevalesco, la piaciona sim-patiaà laCalenda del capo megagalattico dal forbito eloquio plurilingue che finge di abbassarsi per un attimo al vernacolo di un ragazzone stabiese, prevedibilmente illetterato, divenuto anch’egli milionario pedatando per magnati cinesi e qatarini – “con quella Coppa possono fare quello che vogliono”, pare si opinasse nell’urgenza dei circenses celebrativi, per violare semel in anno le draconiane norme anti-assembramento cui il resto della popolazione veniva severamente richiamato. E chi la Coppa non la vince? E chi i rigori non li ha parati?

L’apartheid pseudo-meritocratica eretta a criterio fondante di questo esecutivo (equiesteso, come mai in passato, alla personalità del suo capo) ha trovato nella battaglia contro i no-vax e le loro farneticazioni (talora ahimè fiancheggiate da filosofi in disarmo) un terreno ideale: infilzando le bestialità con foga inusitata (e talora inutile, o controproducente, in un Paese accorso in massa a farsi inoculare dopo il terrore del marzo 2020), si operava in realtà per una più vasta militarizzazione del discorso pubblico atta a segnare con nettezza la faglia tra i “competenti” e gli altri. Non solo nell’àmbito del Covid (dove si mena e si calunnia chiunque eserciti un ette di spirito critico, specie se altrimenti rompicoglioni: chiedere a Sigfrido Ranucci), ma un po’ ovunque. Ecco dunque, nel pieno dei contagi, la sprezzante idiosincrasia di Renato Brunetta contro un periodo di ragionevole smart working – peraltro già ben collaudato l’anno scorso – degli statali neghittosi. Ecco ancora, un mese fa, la protervia di Patrizio Bianchi nel sostenere che il 93% delle classi fosse in presenza, mentre tutto attorno a noi (dalla Liguria al Veneto alla Toscana) giungevano disperate circolari di vicepresidi allo stremo nell’impossibilità di tappare i buchi, ridotte a immaginare giorno per giorno classi ad assetto variabile, o costrette a lasciare a casa intere sezioni senza didattica (né in presenza né a distanza), per mancanza di docenti sani – e alle famiglie di quegli alunni, inguaiate d’acchito, chi provvedeva? Ecco per mesi i buoni propositi sulla Sanità pubblica da rimpinguare, rinnovare, rilanciare: ma qualcuno è passato di recente in un Pronto Soccorso? ha visto come sono ridotti, in concreto, gli operatori delle Terapie intensive? ha vissuto l’incubo burocratico del contagio nelle settimane della quarta ondata? sa cosa dire a mia nonna che può fare le analisi del sangue un giorno su 7 (sempre che non cambino la partizione in lettere, e sempre che non sia festa, la R tocca il venerdì)?

Ma il Manovratore, per lo più restio ai rendiconti della propria azione fuori da rade conferenze stampa in cui – con toni più spicci che nei giovedì francofortesi – stilla insofferenza verso certi giornalisti e verso i partiti della sua stessa maggioranza (che rappresenterebbero, sit venia verbo, la democrazia), incassa uno sciopero generale senza batter ciglio, deprime come mai prima il ruolo del Parlamento (che approvi fiducioso, che converta, che si converta, altrimenti “non si va più avanti”), schiva pronunzie che lo compromettano (muore sub Mario il ddl contro l’omofobia, morirà sub Mario quello per una fine vita decoroso), e oblitera molti dei temi-chiave di un esecutivo che si rispetti: la vera occupazione, oltre l’esplosione dei contratti a tempo? un vero piano per il Sud, oltre il Ponte sullo Stretto e il revamping della mostruosa Ilva? la vera scuola, oltre l’Alternanza scuola-lavoro e le assunzioni ope legis? la vera lotta antimafia, oltre la riforma dell’ergastolo ostativo? la vera politica migratoria, oltre la Guardia costiera libica? la vera giustizia, oltre l’accrocco cartabiano ammazzaprocessi? la vera cultura, oltre la perdurante desertificazione della pianta organica di musei, archivi, biblioteche?

Egli tace financo davanti a inaudite proposte di dedicar parchi ai Mussolini, davanti a sconcertanti equiparazioni tra le foibe e la Shoah. Aduso a dirigismo tecnocratico, impermeabile al bisogno del consenso, proteso al Bene supremo dell’Economia in un paternalistico “ghe pensi mí” scevro della ridicola sicumera del Cavaliere Desistente, Egli prepara l’ascesa al soglio quirinalizio, forse solo rimandata, contando su una superiorità conclamata lippis et tonsoribus e coronata da venturose vittorie altrui (“avez-vous de la chance?”): per un nuovo miracolo italiano, ’ndo stai, Gigione? ’ndo stai, Matteo? ’ndo stai, Damiano?

Il vertice, il cuore del programma – che a onta dei suoi tratti orrifici e avvilenti molti vorrebbero eternare come modello di “buon governo” – si tocca con le pertinenze del ministro Cingolani, una cui memorabile esternazione trova il male dell’ambiente nell’ambientalismo. Innovazione, green e sostenibilità: nulla si finanzia più, nulla si promuove che non tanga questi indiscutibili mantra, di cui peraltro, senza tema di ridicolo, vengono ammantati – nei consessi continentali in cui il Migliore ebbe, o avrebbe, tanto peso – nientemeno che l’energia nucleare e il gas. Entri dunque il Pnrr, con i suoi danari da dar via subito (in 3-4 anni spariranno come l’inchiostro simpatico), le sue procedure semplificate (ma non per le amministrazioni pubbliche, gravate di scartoffie a mai più finire e di novissime, bizantine architetture di spesa) e la sua conclamata subalternità al “mondo produttivo”, che tanto luminosa prova ha dato, nel recente passato, dei propri slanci verso il nuovo.

E allora fiocchino i progetti sugli Ecosistemi montani, sullo smart agrifood, e sul paesaggio nelle Bucoliche di Virgilio, proprio mentre, “tutto intorno a me”, si devasta la Laguna per far passare le Grandi Navi, si svendono gli ultimi spazi pubblici della (sic) “Capitale mondiale della sostenibilità” dall’Arsenale a San Pietro di Castello, si sdoganano trivellazioni in alto Adriatico, si costruiscono mefitici inceneritori a Padova e a Fusina, s’interrano rifiuti di Pfas, si attende che i conglomerati tossici della C&C di Pernumia vengano travolti dalla prossima alluvione, e a Lozzo Atestino si pianifica, al costo di un boschetto che intralcia, il raddoppio del più grande allevamento intensivo di galline in Europa (ce ne saranno 600 per abitante, e se poi viene l’aviaria, tutte accoppate). Tutto sostenibile, madama la marchesa.

Ed ecco la magia: i cittadini grassroots che in Comitati e associazioni sempre più slegati dai partiti (il M5S, once upon a time, era nato per questo) denunciano da anni i peggiori scempi e abusi, nella sordità della solita politica, entrano recta via nel medesimo calderone dei “non competenti” (vuoi mettere Eni? vuoi mettere Cassa Depositi e Prestiti? vuoi mettere il Consorzio Venezia Nuova? vuoi mettere il Boston Consulting Group?). Al pari dei no-vax, con cui è comodo confonderli quale rara sacca di resistenza alle Magnifiche Sorti e Progressive propalate a reti unificate, non meriteranno un complice “’ndo stai?” tra vincenti, ma potranno essere liquidati con il medesimo ghigno di superiorità che chiude ogni sera “Un Mario al sole” nel programma di Geppi Cucciari.

E l’alternativa, al buon momento, sarà nera.

Uccelli tossici: antinfiammatori e pesticidi trovati nei gabbiani

La diffusione nell’ambiente di farmaci e pesticidi è talmente alta da aver contaminato anche gli uccelli marini. A rivelarlo è una ricerca dell’Università Cà Foscari di Venezia, incentrata sulle specie che nidificano nella Laguna, la sterna beccapesci e il gabbiano corallino. Le analisi fatte sulle piume parlano da sole: l’87 per cento dei 47 campioni studiati contenevano il principio attivo del diclofanec, un antinfiammatorio non-steroideo. Il 91 per cento dei campioni contiene, inoltre, tracce di neonicotinoidi, dei pesticidi con principi simili a quelli della nicotina.

Festini a base di sesso e droga, 9 condanne

Il primo grado del processo su Villa Inferno, la casa sui colli bolognesi dove si sarebbero tenuti festini a base di sesso e cocaina, si chiude con nove condanne in abbreviato (la più alta a quattro anni e due mesi), due patteggiamenti e un rinvio a giudizio. Per molti imputati sono caduti i reati legati alle prestazioni sessuali di una 17enne in cambio di sesso e droga, ed è stato ridimensionato anche il reato di spaccio, viste le lievi quantità. Il proprietario della villa, Davide Bacci, ha patteggiato due anni, mentre Luca Cavazza, ex candidato della Lega, ha patteggiato un anno e otto mesi con la condizionale. Il giudice ha inoltre condannato al pagamento di 15 mila euro a testa tre imputati, come provvisionale per la minorenne coinvolta.

Fondi al teatro Eliseo, assolto Barbareschi

“Il fatto non sussiste”. Il Tribunale di Roma ha assolto l’attore Luca Barbareschi dall’accusa di traffico di influenze illecite nell’ambito dell’inchiesta sui fondi al teatro Eliseo. Assolto anche l’ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio. “Grande gioia – afferma l’avvocato Paola Balducci, difensore dell’attore –. Un processo iniziato nel 2017 che ha portato tanti dispiaceri personali e grandi difficoltà all’azienda per una vicenda che di fatto è inesistente”. Nel novembre 2020 l’artista era già stato prosciolto da un’altra accusa, quella di essersi appropriato di sipari, condizionatori, moquette, poltrone e altri materiali della struttura di via Nazionale per un valore di circa 813 mila euro appartenenti alla precedente gestione.

“Multopoli”, prosciolti i 2 dirigenti promossi

Il primo round del processo della Corte dei Conti di Roma su “Multopoli” finisce in favore degli indagati. I dirigenti di Roma Capitale, Pasquale Pelusi e Patrizia Del Vecchio sono stati assolti dai giudici contabili per il presunto danno erariale derivante dalle accuse di aver agevolato la cancellazione di centinaia di multe stradali su richiesta di politici, imprenditori e vip. Assoluzione arrivata “da ogni addebito di responsabilità amministrativa”. La Procura contabile ha già presentato appello per i due dirigenti e per altri 3 tecnici. A livello penale, il procedimento nei loro confronti si era invece concluso con una sentenza di non luogo a procedere, per intervenuta prescrizione, della richiesta di rinvio a giudizio formulata dai pm.

Pittelli, la Procura contro la scarcerazione: “Torni in cella, quadro indiziario aggravato”

Non solo le esigenze cautelari, ma anche il quadro indiziario che si è aggravato. La Procura di Catanzaro non ha dubbi: l’avvocato ed ex senatore di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, deve ritornare in carcere. Il procuratore Nicola Gratteri e i sostituti Andrea Mancuso, Annamaria Frustaci e Antonio De Bernardo hanno presentato appello contro la decisione del Tribunale di Vibo Valentia che ha alleggerito la misura cautelare nei confronti dell’ex parlamentare, accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta e tra i principali imputati del maxi-processo denominato “Rinascita-Scott”.

Arrestato il 19 dicembre 2019 perché ritenuto dagli inquirenti vicino alla cosca Mancuso di Limbadi, dopo un periodo di detenzione in carcere Pittelli era finito ai domiciliari con l’applicazione del braccialetto. Avendo violato le prescrizioni imposte dal Tribunale con l’invio di una lettera contenente una richiesta di “aiuto” alla ministra Mara Carfagna, su sollecitazione della Dda il 7 dicembre Pittelli era stato rimandato in carcere. Rinchiuso per due mesi nella casa circondariale di Melfi, il 9 febbraio i giudici hanno disposto per la seconda volta i domiciliari “considerato – era scritto nel provvedimento – il tempo trascorso dal momento della riapplicazione della massima misura custodiale nonché il complessivo comportamento dell’imputato”.

Una decisione che per la Procura “reca una motivazione soltanto apparente”. “Poche righe” dalle quali “si comprende – scrivono i pm – che la decisione non viene per nulla motivata”. Per la Dda infatti, il Tribunale non ha introdotto “nessun elemento di novità per giustificare” i domiciliari. Piuttosto “dalla missiva (alla Carfagna, ndr) si evince la circostanza che il Pittelli abbia intrattenuto altri contatti non autorizzati e utilizzi il nominativo della consorte quale mittente di missive ovvero l’utenza telefonica alla stessa in uso per instaurare contatti all’esterno non autorizzati”. E ancora: i giudici di Vibo hanno deciso sulla scarcerazione “senza nemmeno attendere decorso dei due giorni successivi previsti affinché l’ufficio del pubblico ministero esprima il suo parere”. L’avessero fatto, si sarebbero accorti di un’informativa che il 7 gennaio 2022 il Ros ha trasmesso alla Dda. Una nota che sarà discussa davanti al Riesame di Catanzaro e “dalla quale può agevolmente evincersi come non si sia aggravato soltanto il quadro indiziario, ma anche quello delle esigenze cautelari”.

Veleni tra le toghe a Salerno: “Borrelli è ciuccio in diritto”

Il procuratore capo di Salerno Giuseppe Borrelli “un c… un ciuccio in diritto, buono solo in Antimafia e intercettazione”. Il maggiore dei carabinieri del Noe “un c…, ora lo chiamo e glielo dico”. I colleghi pm “sono tutti un po’ molli… bravi ma un po’ molli”. Parole in libertà del pm di Salerno, Roberto Penna, intercettate dalla Procura di Napoli che lo indagava per corruzione in atti giudiziari in concorso con alcuni imprenditori che stavano trasferendo il loro consorzio edile a Salerno perché inseguiti dalle interdittive antimafia. Penna è stato arrestato e oggi, difeso dall’avvocato Alfonso Furgiuele, si discute la sua posizione al Riesame.

Parole che vanno interpretate per quel che sono, sfoghi telefonici con persone amiche. Ma che testimoniano un clima non proprio idilliaco tra Penna e il resto dell’ufficio della Procura di Salerno, dove il pm ha lavorato più di dieci anni, ottenendo condanne in primo grado contro il Vescovo di Salerno Pierro, il regista Zeffirelli, il governatore De Luca.

Uno snodo delle accuse riguarda la presunta persecuzione dell’imprenditore Eugenio Rainone, ‘rivale’ dei costruttori ‘amici’ del pm salernitano. Il Gip l’ha derubricata a induzione indebita nonostante le memorie presentate nelle indagini preliminari dagli avvocati di Rainone, De Caro e Maiello, secondo le quali gli atteggiamenti prevaricatori di Penna – veicolati anche attraverso la sua compagna, che iniziò a lavorare per i Rainone – sarebbero iniziati prima dell’apertura formale di un fascicolo contro il costruttore salernitano.