Un momento simbolo di questo anno di governo? Dal discorso epinicio del premier ai trionfatori di Wembley (12.7.2021): “’ndo stai?”.
In quello studiato “a parte”, estrema propaggine dei carmina triumphalia di Roma arcaica, s’inverava il rovesciamento carnevalesco, la piaciona sim-patiaà laCalenda del capo megagalattico dal forbito eloquio plurilingue che finge di abbassarsi per un attimo al vernacolo di un ragazzone stabiese, prevedibilmente illetterato, divenuto anch’egli milionario pedatando per magnati cinesi e qatarini – “con quella Coppa possono fare quello che vogliono”, pare si opinasse nell’urgenza dei circenses celebrativi, per violare semel in anno le draconiane norme anti-assembramento cui il resto della popolazione veniva severamente richiamato. E chi la Coppa non la vince? E chi i rigori non li ha parati?
L’apartheid pseudo-meritocratica eretta a criterio fondante di questo esecutivo (equiesteso, come mai in passato, alla personalità del suo capo) ha trovato nella battaglia contro i no-vax e le loro farneticazioni (talora ahimè fiancheggiate da filosofi in disarmo) un terreno ideale: infilzando le bestialità con foga inusitata (e talora inutile, o controproducente, in un Paese accorso in massa a farsi inoculare dopo il terrore del marzo 2020), si operava in realtà per una più vasta militarizzazione del discorso pubblico atta a segnare con nettezza la faglia tra i “competenti” e gli altri. Non solo nell’àmbito del Covid (dove si mena e si calunnia chiunque eserciti un ette di spirito critico, specie se altrimenti rompicoglioni: chiedere a Sigfrido Ranucci), ma un po’ ovunque. Ecco dunque, nel pieno dei contagi, la sprezzante idiosincrasia di Renato Brunetta contro un periodo di ragionevole smart working – peraltro già ben collaudato l’anno scorso – degli statali neghittosi. Ecco ancora, un mese fa, la protervia di Patrizio Bianchi nel sostenere che il 93% delle classi fosse in presenza, mentre tutto attorno a noi (dalla Liguria al Veneto alla Toscana) giungevano disperate circolari di vicepresidi allo stremo nell’impossibilità di tappare i buchi, ridotte a immaginare giorno per giorno classi ad assetto variabile, o costrette a lasciare a casa intere sezioni senza didattica (né in presenza né a distanza), per mancanza di docenti sani – e alle famiglie di quegli alunni, inguaiate d’acchito, chi provvedeva? Ecco per mesi i buoni propositi sulla Sanità pubblica da rimpinguare, rinnovare, rilanciare: ma qualcuno è passato di recente in un Pronto Soccorso? ha visto come sono ridotti, in concreto, gli operatori delle Terapie intensive? ha vissuto l’incubo burocratico del contagio nelle settimane della quarta ondata? sa cosa dire a mia nonna che può fare le analisi del sangue un giorno su 7 (sempre che non cambino la partizione in lettere, e sempre che non sia festa, la R tocca il venerdì)?
Ma il Manovratore, per lo più restio ai rendiconti della propria azione fuori da rade conferenze stampa in cui – con toni più spicci che nei giovedì francofortesi – stilla insofferenza verso certi giornalisti e verso i partiti della sua stessa maggioranza (che rappresenterebbero, sit venia verbo, la democrazia), incassa uno sciopero generale senza batter ciglio, deprime come mai prima il ruolo del Parlamento (che approvi fiducioso, che converta, che si converta, altrimenti “non si va più avanti”), schiva pronunzie che lo compromettano (muore sub Mario il ddl contro l’omofobia, morirà sub Mario quello per una fine vita decoroso), e oblitera molti dei temi-chiave di un esecutivo che si rispetti: la vera occupazione, oltre l’esplosione dei contratti a tempo? un vero piano per il Sud, oltre il Ponte sullo Stretto e il revamping della mostruosa Ilva? la vera scuola, oltre l’Alternanza scuola-lavoro e le assunzioni ope legis? la vera lotta antimafia, oltre la riforma dell’ergastolo ostativo? la vera politica migratoria, oltre la Guardia costiera libica? la vera giustizia, oltre l’accrocco cartabiano ammazzaprocessi? la vera cultura, oltre la perdurante desertificazione della pianta organica di musei, archivi, biblioteche?
Egli tace financo davanti a inaudite proposte di dedicar parchi ai Mussolini, davanti a sconcertanti equiparazioni tra le foibe e la Shoah. Aduso a dirigismo tecnocratico, impermeabile al bisogno del consenso, proteso al Bene supremo dell’Economia in un paternalistico “ghe pensi mí” scevro della ridicola sicumera del Cavaliere Desistente, Egli prepara l’ascesa al soglio quirinalizio, forse solo rimandata, contando su una superiorità conclamata lippis et tonsoribus e coronata da venturose vittorie altrui (“avez-vous de la chance?”): per un nuovo miracolo italiano, ’ndo stai, Gigione? ’ndo stai, Matteo? ’ndo stai, Damiano?
Il vertice, il cuore del programma – che a onta dei suoi tratti orrifici e avvilenti molti vorrebbero eternare come modello di “buon governo” – si tocca con le pertinenze del ministro Cingolani, una cui memorabile esternazione trova il male dell’ambiente nell’ambientalismo. Innovazione, green e sostenibilità: nulla si finanzia più, nulla si promuove che non tanga questi indiscutibili mantra, di cui peraltro, senza tema di ridicolo, vengono ammantati – nei consessi continentali in cui il Migliore ebbe, o avrebbe, tanto peso – nientemeno che l’energia nucleare e il gas. Entri dunque il Pnrr, con i suoi danari da dar via subito (in 3-4 anni spariranno come l’inchiostro simpatico), le sue procedure semplificate (ma non per le amministrazioni pubbliche, gravate di scartoffie a mai più finire e di novissime, bizantine architetture di spesa) e la sua conclamata subalternità al “mondo produttivo”, che tanto luminosa prova ha dato, nel recente passato, dei propri slanci verso il nuovo.
E allora fiocchino i progetti sugli Ecosistemi montani, sullo smart agrifood, e sul paesaggio nelle Bucoliche di Virgilio, proprio mentre, “tutto intorno a me”, si devasta la Laguna per far passare le Grandi Navi, si svendono gli ultimi spazi pubblici della (sic) “Capitale mondiale della sostenibilità” dall’Arsenale a San Pietro di Castello, si sdoganano trivellazioni in alto Adriatico, si costruiscono mefitici inceneritori a Padova e a Fusina, s’interrano rifiuti di Pfas, si attende che i conglomerati tossici della C&C di Pernumia vengano travolti dalla prossima alluvione, e a Lozzo Atestino si pianifica, al costo di un boschetto che intralcia, il raddoppio del più grande allevamento intensivo di galline in Europa (ce ne saranno 600 per abitante, e se poi viene l’aviaria, tutte accoppate). Tutto sostenibile, madama la marchesa.
Ed ecco la magia: i cittadini grassroots che in Comitati e associazioni sempre più slegati dai partiti (il M5S, once upon a time, era nato per questo) denunciano da anni i peggiori scempi e abusi, nella sordità della solita politica, entrano recta via nel medesimo calderone dei “non competenti” (vuoi mettere Eni? vuoi mettere Cassa Depositi e Prestiti? vuoi mettere il Consorzio Venezia Nuova? vuoi mettere il Boston Consulting Group?). Al pari dei no-vax, con cui è comodo confonderli quale rara sacca di resistenza alle Magnifiche Sorti e Progressive propalate a reti unificate, non meriteranno un complice “’ndo stai?” tra vincenti, ma potranno essere liquidati con il medesimo ghigno di superiorità che chiude ogni sera “Un Mario al sole” nel programma di Geppi Cucciari.
E l’alternativa, al buon momento, sarà nera.