“Da quando da bambino ho capito che potevo decidere cosa fare ma non cosa volere, non riesco nemmeno a contare le volte che ho pensato di farla finita, pur di non vivere in un mondo come questo”. Alessandro Vanetti aka Massimo Pericolo, rapper ventottenne che è passato dal carcere a un album tra i primi posti in classifica nel giro di 5 anni, ha scritto così, nel suo ultimo post su Instagram.
E lo ha scritto per raccontare che sta uscendo il suo nuovo singolo, “Bugie”, con la cifra che gli riesce meglio: quella della verità, nuda.
In che senso hai pensato spesso di farla finita?
Nel senso di “letteralmente finita”.
Fin da piccolo?
Fin da adolescente, da quando ho iniziato a confrontarmi con le mie insicurezze. C’entrano i problemi con i miei genitori, ma anche la predisposizione in famiglia. Mia nonna soffre di depressione, ne soffro anche io ed è normale quando stai così male pensare di mettere fine a questa sofferenza.
A proposito di “Bugie”, la prima bugia che ti sei raccontato?
Quella di credere in Dio, che mi ha inculcato la mia famiglia, soprattutto i nonni. È una bugia che ho portato avanti fino ai 16 anni circa, poi sono diventato ateo.
Quindi hai fatto comunione e cresima.
No, solo il battesimo. Nessuno mi ha regalato l’oro, ma me lo sono comprato io adesso.
Nel 2104 sei stato arrestato, “Scialla semper” è il nome dell’operazione antidroga che ti ha portato in carcere per spaccio (300 grammi di erba, ndr) con altre 28 persone. Ed è il nome che hai dato al tuo album, “Scialla semper” appunto, che nel 2019 ha scalato le classifiche. Va detto che il nome dell’operazione era molto bello, poteva andarti peggio.
Visti i gusti che di solito hanno nel dare i nomi a quelle operazioni in effetti sì, è andata bene.
Cosa hai fatto in quei 4 mesi in carcere?
Ho imparato a cucinare, mi sono allenato, ho imparato a giocare a scopa e ho letto 50/60 libri tra carcere e domiciliari.
Hai detto che “Cosa volevano insegnarmi? Baby, dopo il gabbio, quello che c’ho in più è soltanto un paio d’anni”. Cosa fa più orrore del carcere?
Le strutture, tanto per cominciare. Le condizioni igieniche, la convivenza in spazi piccoli. Allo stato interessa solo che tu stia rinchiuso, non importa se in una specie di zoo.
Ho visto la tua foto segnaletica, tra quelle di altri arrestati quel giorno. Qualcuno guarda in basso, altri sembrano spaventati. Mi ha colpito il modo in cui tu guardi dritto davanti a te. Cosa pensavi?
Che l’unica cosa che potevo tenermi in quel momento era la dignità.
La riguardi quella foto?
Sì. Ho ancora la cartelletta con gli atti del processo, i ritagli di giornale, ogni tanto mi rileggo le carte.
Perché?
Per rileggere le parole di chi mi ha descritto come un criminale, di chi ha parlato di mia pericolosità sociale, senza sapere neppure chi fossi. Ero uno scarto, una pratica da chiudere il più in fretta possibile.
In una tua intervista ho letto che hai tre telefoni. Perché?
Li cambio perché li rompo.
Ora che ci penso è una cosa un po’ da spacciatore.
Vabbè, lo spacciatore è sempre un lavoro da pubbliche relazioni, anche essere famosi lo è. (ride)
Tornando seri: vai ancora dalla psicologa?
Non più.
È una buona notizia.
No, perché ne ho bisogno.
In cosa ti ha aiutato?
Quando sono depresso lei mi dà dei compiti pratici, tipo andare in lavanderia a ritirare i vestiti puliti, perché quando stai male non riesci ad alzarti per fare anche le cose più semplici.
Quindi ora come va?
Va che mi sono comprato una lavatrice.
Seriamente, la depressione come va?
Ci sono ricadute brevi, ma è un buon periodo. Ora sono più ansioso che depresso, perché sento che ci sono molte aspettative su di me col nuovo disco.
L’ansia è più gestibile?
Sì, l’ansia la gestisci, la depressione ti governa.
I soldi che guadagni hanno messo a posto tante cose, immagino.
No, la verità è che li ho idealizzati per anni. Certo, aiutano, ma alla fine complicano anche i rapporti con le persone. Oggi ho i soldi per mettere la benzina per andare a trovare un amico, ma per guadagnarli devo lavorare di più e non posso andare a trovarlo, per dire.
Ti imbarazza rivedere gli amici di sempre da una posizione “privilegiata”?
Sì, magari mi vesto male per andare a trovare uno che conosco da sempre, mi preoccupo per lui, perché sono stato dall’altra parte e a me questa condizione ha fatto soffrire.
Ti sei fatto un regalo grosso?
La casa, la macchina con l’aria calda, un piumino per non prendere il raffreddore. E poi è cambiata la mia alimentazione, ho delle pentole, prima non avevo nemmeno i fornelli. Ho mangiato pasta al sugo e kebab per anni.
I tuoi testi sono duri, talvolta discutibili. Senti la responsabilità di quello che dici ai ragazzi giovani per cui sei un modello?
Io sento solo la responsabilità di essere onesto. L’onestà è il modello.
Nelle tue canzoni c’è poco amore.
No, c’è poco dell’innamoramento, perché è una fase in cui ci siamo io e lei, e basta. È la fine che si può condividere, che ho voglia di raccontare.
Insomma, ti serve sempre un problema per dare il meglio.
Può essere. Però l’intensità con cui vivo il disagio è anche quella con cui ho vissuto le cose belle, anche se sono state poche. E sono grato alla vita, per questo.