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Ricorderò Isotta per la sua umanità

Leggevo sempre volentieri le recensioni musicali e letterarie di Paolo Isotta. Ma qui vorrei ricordarlo anche per il suo grande amore per gli animali. Ricordo un suo articolo che parlava di un ragazzo tunisino che, in procinto di salpare con un barcone di migranti alla volta di Lampedusa, aveva trovato sulla spiaggia tunisina un gattino abbandonato; il ragazzo cercò di sistemarlo sulla terraferma, ma il gattino continuava a seguirlo, e quindi il ragazzo se lo portò con sé sul barcone, fino in Italia. Scrisse allora Isotta: “Sono arrivati assieme a Lampedusa, e solo lì separati per essere sottoposti a due diverse quarantene. ‘Era stato abbandonato. Non potevo far sì che venisse abbandonato un’altra volta’. Così ha dichiarato questo giovane santo che vorrei conoscere per dichiararmi suo fratello”. Quanto cuore, quanta umanità aveva Paolo Isotta!

Guido Bertolino

 

Io, 14 anni, appassionato di giornali e inchieste

Mi chiamo Riccardo, ho 14 anni e vorrei diventare un narratore di verità e di coerenza come voi. Abbiamo visto che il M5S ha votato con la piattaforma Rousseau per dare la fiducia al governo Draghi, però ci sono state molte discrepanze fra i vari partiti. Sembra una luna di miele fra Salvini, Zingaretti, B. e tutti gli altri… Credo che questa ammucchiata porterà sia delusioni che speranze per il Paese.

Riccardo Grizzo

 

Con questi ministri, quanto mal di pancia

Caro Direttore, come siamo caduti in basso! Se la Gelmini, Brunetta, Giorgetti, Orlando sono il massimo, dov’è il minimo? In ogni caso, penso che queste scelte porteranno parecchi mal di pancia nei vari partiti. Forse ne vedremo delle belle e voi mi avete illuminato sulla sostituzione di Bonafede con la Cartabia di cui ignoravo la brillante carriera sponsorizzata da Napolitano, allieva di Cassese.

Un lettore affezionato

 

I cittadini non sono rappresentati in aula

La scatola di tonno si è richiusa e la pancia del Paese resta vuota. Inconsolabile è la delusione per vedere nuovamente il diritto ad avere un governo democratico irriso nel nome della continuità di una aristocrazia arrogante. Leggi elettorali sempre redatte ad arte per garantire continuità a una pletora di grandi burocrati inamovibili, sistemi creati per assicurare premi a politicanti la cui inadeguatezza giustifica il “sacrificio” a vantaggio dell’esperto.

Francesco Serino

 

Preferivo andare al voto pur di non rivedere FI

Buonasera Direttore, ascoltando la lista dei ministri non posso che essere sempre più d’accordo con Lei che era meglio andare alle urne. Quella lista è un affronto alla democrazia: le forze presenti in Parlamento non sono state per niente rispettate. Sono stati attribuiti tre ministeri al partito del pregiudicato che rappresenta una quota minima degli italiani.

Mariacristina Testi

 

I sondaggi non contano al fine di governare

Potreste smettere di dire che Renzi (ops, l’ho nominato, speriamo bene) ha il 2%? In realtà il Rignanese non ha un accidenti di niente: non si governa con i sondaggi, sempre smentibili, e speriamo in peggio.

Michele Benvenuti

 

Vi dico la mia su Grillo e la sua gestione dei 5S

Beppe Grillo li fa e ora li disfa. Come può l’ideatore della più bizzarra rivoluzione politica mai vista, sconfessare se stesso e mandare a remare quel gruppuscolo di attivisti? Semplice: mandandoli in pasto alla balena e dimostrando al mondo che la colla viene data in un kit salvavita all’entrata in Parlamento.

Aldo Franchini

 

Dispiaciuto per l’addio dell’ex presidente

Mi sono commossa fino alle lacrime nel vedere gli applausi di saluto e ringraziamento all’ex presidente Conte a Palazzo Chigi. Si percepiva reale l’affetto e la stima. Grazie Giuseppe Conte anche da parte mia. Già con nostalgia.

Carmen Puricelli

 

Due modi di definire B. presi da Montanelli

Caro Marco, nel ricordare ai lettori il conto con la giustizia di B. ti sei dimenticato di citare la definizione che di lui scrisse un giudice nel testo di una sentenza, “delinquente”, oppure quello che disse di lui Montanelli: “Tanto bugiardo da credere alle sue stesse bugie”.

Ronaldo Spampinati

 

Si è perso l’originario “senso di responsabilità”

Chiedo un aiuto affinché le parole “senso” e “responsabilità” vengano cancellate e dichiarate estinte dal vocabolario italiano. Esse, infatti, sono ormai a uso e consumo di quasi tutti, nel momento in cui non si sa più cosa dire, cosa scrivere e che pesci pigliare. Una sorta di oasi dove rifugiarsi. Ormai è tutto lecito per il “senso di responsabilità”! Talmente lecito che basta pronunciarlo per formare, come d’incanto, il nuovo governo Draghi.

Diego Tumini

Alienazione Renzi, la crisi di governo e Franz Kafka: per un nuovo inizio

Preg.ma dott.ssa Oliva, siamo al massimo dell’alienazione oggi e non solo per il Covid: c’è una distanza siderale tra noi umani. Ma parliamo dell’alienazione teorizzata da Franz Kafka più di 100 anni fa nelle sue opere, la più specifica è nelle Lettere a Milena… Oggi siamo a un livello galattico di alienazione che il Covid ha ampliato ancor di più, facendo crescere l’ignoranza e permettendo che “nani” come Renzi divengano giganti e facciano una crisi di governo rischiando di farci precipitare nell’abisso. Renzi sembra più il Klam del Processo di Kafka, senza averne però la statura: è un propagatore di menzogna come il prete sul pulpito di S. Vito, per cui “la bugia diviene così una regola del mondo”. E la replica all’asserzione del prete, alla Renzi: “Non bisogna credere che tutto è vero, ma che tutto è necessario”.

Attendo una sua versione sull’alienazione, in risposta. E auspico che sulle vostre pagine letterarie ci sia più attenzione alla poesia. La poesia salva la vita, specie in tempi di pandemia!

Corrado Bignami

 

Carissimo Corrado, la pandemia, se non fosse realtà, sarebbe il titolo di un romanzo distopico moderno. Al pari de “La strada” o di “Cecità”. Tutto rimanda al nostro sentirci esseri piccoli, deboli. Ma proprio per questo, e in virtù di questo, come insegna il poeta, “sentiamo” più intensamente, con più forza degli altri, la pesantezza della nostra presenza del mondo.

“Oggi voglio scrivere di altre cose, ma le cose non vogliono”. Scriveva Kafka.

Cosa dire ancora di Renzi? Come commentare la grande irresponsabilità che ha portato le forze politiche (tutte) a far sentire noi cittadini così alienati dai processi democratici?

“Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te”.

La morte sopraggiunge nel momento in cui finiremo per adattarci. Resto convinta che esista ancora una speranza, prima di allora. Non c’è solo Kafka. C’è anche Nietzsche, per rimanere in un ambito che le è caro. In nostro potere c’è il “prendersi il diritto di stabilire nuovi valori”. Per un nuovo inizio.

Maddalena Oliva

Conte, il più amato e le quattro vie del suo nuovo futuro

Sabato scorso, Giuseppe Conte ha passato il testimone, anzi la campanella, a Mario Draghi. Il lungo applauso con cui lo ha salutato Palazzo Chigi ha colpito molto gli italiani, rendendo il video virale. Il post di commiato dell’ex presidente del Consiglio, nella sua pagina Facebook, ha registrato tre giorni fa numeri spaventosi: più di un milione di like, più di 130 mila condivisioni e oltre 300mila commenti (in larga parte positivi). Il post di Conte era addirittura primo al mondo (!) su Facebook e nella top ten mondiale c’era anche un mio post sempre sull’ex premier.

I social – per fortuna – non sono tutto, ma qualcosa dicono. E dice molto anche l’umore generale che si respira dopo la lista di ministri (buona per i tecnici, debole quando non vomitevole per i politici) del mitologico esecutivo di San Draghi. Quando tutti ti lodano a prescindere, prima ancora che abbia cominciato il tuo lavoro, le aspettative crescono a dismisura. E se poi dal cilindro non fai uscire Batman ma Brunetta, la disillusione è cocente. La luna di miele di Draghi durerà forse poco e forse niente, di sicuro non tantissimo, e molti già dicono “Era meglio lui”. Laddove il “lui” è Giuseppi. Che ha fatto benissimo a non entrare in questo tragicomico caravanserraglio.

Conte ha un serbatoio di stima e affetto che non ha nessun politico. Ma tutto finisce. E gli italiani hanno la memoria dei gasparrini rossi. Quindi Conte deve dire in fretta, anzitutto a se stesso, cosa voglia fare adesso. Le opzioni sono quattro.

1. Torna alla vita di prima, ricomincia a guadagnare molti più soldi e si allontana dal cicaleccio di certa stampa. È una prospettiva che Conte sta valutando attentamente.

2. Cerca di scalare il Partito democratico, magari passando dalla prima “elezione suppletiva” che passa. Tipo quella del collegio di Siena per sostituire Padoan. La sedicente statista Boschi, con quel suo grazioso parlare in stampatello senza dir mai niente, gli ha però chiuso la porta in faccia. E già questo, tenendo conto che Boschi non fa più parte del Pd, dice molto sull’indipendenza del Partito democratico dalle sciagure renziane. Resta comunque una soluzione che fa acqua da tutte le parti. Chi glielo fa fare a Conte di rinunciare a un ministero sicuro nel governo Draghi per riciclarsi come deputato anonimo del Pd? E come farebbe a scalare il Pd, che è fatto da 876 correnti la metà delle quali lo vorrebbe politicamente morto? Dai, su.

3. Crea un partito tutto suo. I sondaggi lo darebbero al 10-12 per cento. Non è poco, ma in larga parte saboterebbe quel che resta del M5S, che allo stato attuale – giova ricordarlo – non è Movimento 5 Stelle ma Movimento 5 Salme. I partiti personalistici, come insegnano Monti e Renzi, nascono poi di per sé putrescenti. E Conte pare troppo sveglio per suicidarsi come un Ferrara, un Fusaro o un Paragone qualsiasi.

4. Diventa il leader dei 5 Salme, riportandoli al livello di 5 Stelle. Il M5S si è coperto di ridicolo greve e nequizia spinta con la trattativa demente, e ancor più masochista, portata avanti con Draghi. Per tornare a vivere hanno solo una chance: Conte. L’ex premier dovrebbe scalare il Movimento, che essendo al momento morto si scala anche solo in ciabatte. In qualità di membro dominante di quella “nuova segreteria” di cui si parla ormai dai tempi di Badoglio, assurgerebbe a conducator di quel “campo progressista” di cui parlano Bersani e (spero) Zingaretti. Del resto è l’unico pontiere possibile tra M5S e centrosinistra.

L’opzione 4 è la più auspicabile. Quindi, essendo nati per soffrire, non andrà così. Condoglianze.

 

Serve un’immunità di gregge dalla politica commissariata

A nome e per conto del Sistema (che sta in gran forma) i banchieri si preparano a incamerare e dividere il bottino prossimo venturo dei 209 miliardi di euro. Giocheranno al centro del campo. Mentre noi che guardiamo dagli spalti, abbiamo tutto il tempo di interrogarci se la politica abbia vinto oppure perso la guerra lampo accesa dai due presidenti, Sergio Mattarella e Mario Draghi, ora che le loro bandiere sventolano alle folate gelide del Burian.

Per accerchiare e dissolvere il governo Conte, l’intruso, non è stato necessario invaderlo. È bastato il pacco bomba spedito da Rignano. Diradato il fumo non sono comparse all’orizzonte le urne, ma tre buone ragioni per escluderle: l’emergenza sanitaria che ci assedia, l’abisso economico che ci attende, il terremoto sociale che ci minaccia. “Avverto pertanto il dovere – ha scandito nel silenzio generale Mattarella, lo scorso 2 febbraio – di rivolgere un appello a tutte le forze politiche affinché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba indentificarsi con alcuna formula politica”. E la formula non era un numero, ma il nome proprio del banchiere.

Il nuovo corso, a dispetto delle lentezze di ogni consueta burocrazia in tempo di pace, è stato varato alla velocità della genesi divina, in sei giorni di buio. E solo il settimo la luce ha illuminato l’elenco dei ministri, scelti in privato, e dettato in pubblico: prendere o lasciare. E dunque eccoci alla nostra questione. Ha davvero perso la politica perché è stata appena commissariata dalle tecnocrazie che marciano al seguito degli interessi economici? Oppure la politica ha trionfato, con tutti i suoi arzigogoli, compreso quello nuovissimo di una formula capace di “non identificarsi in alcuna formula”? Gli appassionati di giochi di prestigio stanno applaudendo. Ma chi crede nella politica del prestigio in gioco, può fare altrettanto?

Per rimanere a bordo campo, tutti i partiti (o quasi) hanno cambiato idea e posto in gradinata. I democratici mai con Salvini si sono seduti accanto a Salvini. I grillini mai con Berlusconi gli hanno portato il tè caldo, i biscotti e l’aspirina. Berlusconi, mai coi comunisti, mai con i grillini, ha ringraziato, offrendo in cambio quel che aveva nel frigo, Brunetta, Gelmini e Carfagna. Salvini, che aveva appena infilato la felpa “Elezioni, elezioni!” se l’è sfilata mansueto, ha smesso di odiare l’Europa, la Fornero e forse persino la patrimoniale. In quanto all’affidabile Matteo Renzi, tutti hanno dovuto sotterrarne un pezzetto, sperando funzioni contro gli spiriti maligni e i traffici di Verdini.

La sola Giorgia Meloni si è allontanata iraconda, candidandosi a una irrilevanza onorevole oppure ottusa, a seconda dei vantaggi che incasserà in futuro, maneggiando le sue parole d’ordine pescate dal passato. Da bordo campo i partiti continueranno il solo gioco autorizzato, quello dei tweet, dei social, dei talk in tv, da presidiare dall’alba al notte fonda, isole comprese, per litigarsi gli alti ideali consentiti dallo Spettacolo, ma senza sovrapporsi troppo nella stessa diretta. Se per esempio ci sarà un europeista, tipo Carlo Calenda, l’altro dovrà dirsi sovranista alla maniera di Cuccarini e Bagnai. I democratici dovranno sempre pretendere un congresso, oppure una scissione, ma mai contemporaneamente. Le destre parleranno contro gli immigrati. I cattolici a favore. I moderati un po’ a favore e un po’ contro. In mancanze d’altre contese, si ricorrerà a quella intramontabile delle quote rosa.

La politica, nata per sbrogliare i gomitoli dei problemi sociali, è diventata il gioco di passarseli al volo. La vacanza continuerà whatever it takes. Fino a quando con i vaccini delle competenti multinazionali verrà raggiunta l’immunità di gregge. E il gregge, finalmente, l’immunità alla politica.

 

Prescrizione: un errore grave tornare indietro

La prescrizione c’è in tutti i Paesi democratici, ma in Italia per alcuni profili è disciplinata diversamente. Ecco le principali differenze.

Primo. Solo da noi ci sono polemiche tanto accanite. Dipende dal fatto che i nostri processi durano un’enormità di tempo, il che causa centinaia di migliaia di prescrizioni ogni anno. Per cui quel che altrove è un rimedio fisiologico ai pochi casi che il sistema processuale non riesce a concludere (il tempo trascorso fa sì che per svariate ragioni non sia più “conveniente”), da noi è diventato un fenomeno patologico. Tant’è che la percentuale delle prescrizioni è del 10/11% in Italia, contro lo 0,1/0,2% degli altri paesi europei. Una débacle.

Secondo. La prescrizione in Italia decorre dal giorno in cui è stato commesso il reato. Negli altri Paesi invece può decorrere dal giorno in cui il presunto autore è stato individuato o dal primo atto di accusa. È evidente che i reati tipici dei “colletti bianchi” (evasioni fiscali, corruzioni, falsi, frodi, concorso esterno in associazione mafiosa…) sono di natura tale che di solito si possono scoprire solo dopo un bel po’ di anni. Ma intanto la prescrizione corre, un bel vantaggio per certi galantuomini.

Terzo. Essendo la prescrizione “facile”, c’è chi ne approfitta per allungare quanto più possibile “il brodo”, cioè i tempi di un processo già di per sé eterno, in modo da non pagare mai dazio arrivando alla prescrizione che tutto inghiotte. Ovvio che questo “meccanismo” favorisce non le persone accusate di reati comuni, ma chi può e conta, le persone “per bene a prescindere” in ragione della posizione sociale ed economica che consente loro di garantirsi difese di primo livello. Di nuovo i “colletti bianchi”, che non si sporcano le mani ma operano nel settore “ovattato” della criminalità dei potenti. Ne risulta una faglia profonda nell’uguaglianza dei cittadini. Vero è che la prescrizione è rinunziabile, ma è un fatto più raro della neve in Sicilia di piena estate.

Quarto. La possibilità di allungare i tempi del processo, fino a farlo svanire con l’agognata prescrizione, è figlia primogenita di un’altra nostra peculiarità. Pressoché ovunque il decorso della prescrizione a un certo punto si interrompe definitivamente (nel momento del rinvio a giudizio o con la condanna in primo grado), mentre da noi fino a poco tempo fa non c’era alcun blocco definitivo ma solo sospensioni temporanee. Ed ecco, in parole povere, che la prescrizione infinita favoriva i processi infiniti: quasi matematico.

Quest’ultima differenza è cessata il 1° gennaio 2020, con la norma (già inserita nella “spazzacorrotti”) che interrompe la prescrizione con la sentenza di primo grado. Finalmente, si direbbe, ci siamo scrollati di dosso un’imbarazzante zavorra riuscendo ad allinearci agli altri Paesi. Invece no! Le polemiche sono riesplose alla grande. E la parola esplosione è proprio quella giusta, se si pensa che un ex ministro della Repubblica (Giulia Bongiorno) ha salutato la riforma con la sobria formula ”una bomba atomica sul processo”.

Oggi le polemiche sono arrivate al punto di lambire il programma del neo-governo Draghi, e nel contempo si sono concretizzate in alcuni emendamenti alla “mille proroghe” che sarà discussa mercoledì.

Sarebbe indispensabile un bilancio sereno, spogliandosi quanto più possibile da schemi ideologici precostituiti e riferendosi piuttosto ad analisi concrete. Senonché è semplicemente impossibile calcolare gli effetti della riforma, perché il 2020 è stato un anno terribile, nel senso che il Covid ha stravolto tutto anche nel campo della giustizia, causando una pesante contrazione del numero dei processi trattati.

Come si fa a stabilire se la riforma è stata una bomba atomica o un petardo o niente di tutto ciò? Premesso che il vero problema è da sempre l’appello, che da solo “brucia” il 48% della durata totale del processo; per parte mia pensavo (e penso) che la catastrofica prospettiva di una pendenza perpetua del procedimento, non essendo più previsto un termine entro cui debba essere concluso, può semmai riferirsi ad alcuni soltanto e non a “tutti” i processi come vien detto. Comunque, sarebbe un rischio bilanciato dalla scomparsa dei troppi casi in cui prescrizione significa negare all’innocente l’assoluzione o regalare al colpevole l’impunità per processi passati al vaglio del tribunale, cioè quelli di maggior rilievo con una più forte esigenza di evitare un default dello Stato.

Ma rimane una mia idea, non verificabile allo stato degli atti. In ogni caso, la fretta e la voglia di tornare all’antico – senza possibilità di valutare in concreto il nuovo – appaiono quantomeno discutibili. Anche vincendo la tentazione di evocare ancora una volta gli interessi dei “colletti bianchi”.

 

Il codice d’onore della confraternita degli illusionisti

Un comico, come un illusionista, ha trucchi di destrezza e di attrezzatura. La destrezza riguarda l’uso del corpo e delle parole, mentre l’attrezzatura consiste nel personaggio, nella maschera (i volti di Charlot, Keaton e Groucho sono inconfondibili) e nel repertorio, a volte con uso di oggetti, come fanno Proietti in A me gli occhi, please, e Pappi Corsicato nella gag che apre Chimera: una ragazza è dentro un parallelepipedo verticale da magia, diviso in tre parti, quella centrale spostata tutta a sinistra, e il mago sta facendo sesso con quella parte. L’illusione Zig Zag usata in una gag.

Un trucco, come una gag, ha due componenti: presentazione ed esecuzione, ciascuna con una parte esibita e una parte nascosta. La presentazione (il racconto, o patter, che avvolge il trucco come una nebbia) esibisce i suoi presunti contenuti per nascondere i suoi veri scopi: misdirection, creare attese utili, e potenziare l’effetto del trucco tramite la suggestione delle parole. L’esecuzione esibisce il miracolo del trucco (il prestigio è la meraviglia vertiginosa di assistere a un evento apparentemente impossibile), e ne nasconde la tecnica. Il prestigio del trucco comico è l’effetto divertente; come nell’illusionismo, il segreto della pratica comica è nel controllo dell’attenzione dello spettatore: suggestione, attese, misdirection. Come nell’illusionismo, il vero contenuto della comicità è la manipolazione dello spettatore. “Il pubblico recita con te. Io me ne accorgo. Segue imitando le tue espressioni, e alla fine scoppia a ridere”. (Totò, 1966).

Le norme sociali degli illusionisti. I giochi di prestigio sono trucchi, cioè metodi, dunque non sono tutelati dal copyright, che protegge solo l’espressione (non l’idea, non i metodi, non i procedimenti). Per questo motivo, la comunità degli illusionisti, come quella dei comici, regola l’attività dei suoi membri con norme sociali (Loshin, 2008). Per diventare membri delle due maggiori confraternite statunitensi di illusionisti si deve giurare obbedienza a un codice d’onore in sei punti, il primo dei quali vieta la divulgazione dei segreti d’illusionismo ai non iniziati, poiché se il pubblico conosce il trucco, questo perde ogni prestigio. Il secondo punto proibisce di danneggiare l’attività di un altro illusionista usando senza autorizzazione una sua creazione. Inoltre: il primo illusionista che pubblica o mostra al pubblico un nuovo trucco ne viene considerato l’inventore; se un metodo o una presentazione non sono stati ampiamente condivisi, pubblicati, o venduti, non possono essere usati; usare una presentazione altrui, anche se conosciuta, è un modus operandi biasimato; se si innova un trucco recente, ne va accreditato l’inventore; se un trucco pubblicato e condiviso non è stato usato da tempo, chi lo riscopre viene considerato come se ne fosse l’inventore (Loshin, 2008). Le norme sociali di illusionisti e comici eccedono nel controllo proprietario del materiale e nelle sanzioni tribali perché vogliono la stessa cosa: impedire la concorrenza sleale, dovuta all’utilizzo non autorizzato del repertorio che un artista sta usando su una piazza (Crasson, 2012). La tradizione della consorteria incoraggia la trasmissione del sapere da maestro a discepolo, affinché sia permessa l’innovazione dell’arte magica attraverso la combinazione di vecchie idee e modi nuovi. Le leggi sulla proprietà intellettuale non si confanno al modo con cui gli illusionisti imparano il mestiere, lavorano, e creano nuovo materiale (Crasson, 2012); ma le norme sociali non riescono a impedire né gli abusi (Brancolini, 2013) né che i profani divulghino i segreti scoperti (Harrison v. SFBroad., 1998).

(9. Continua)

 

I “migliori” e la sindrome Baci Perugina

Ieri, nel corso di un tg, siamo rimasti con la forchetta a mezz’aria alla comparsa di un molto piccato presidente ligure Giovanni Toti che bacchettava il premier Mario Draghi e il ministro Speranza rei di non avere autorizzato l’apertura degli impianti sciistici, causa Covid perdurante. Eh così non va, agitava il ditino costui, che nell’assembramento da unità nazionale si ritiene, e giustamente, in diritto di dire la sua in quanto leader di Cambiamo! (con il punto esclamativo), partito a mezza pensione extra a parte (ma con più voti di Italia Viva). Perché il bello di questo nuovo, fervido clima da assemblea condominiale è che tutti, proprio tutti (a eccezione di Meloni e Di Battista) hanno diritto di rimostranza, e di veto, purché in possesso dei millesimi.

Infatti, il noto virologo Matteo Salvini chiede la sostituzione in blocco del Cts e pretende “un cambio di passo” pensando forse che il governo sia la sua personale palestra. Infatti, i gestori della Piana di Vigezzo, in alta Ossola hanno riaperto lo stesso le seggiovie sensibili al richiamo della comune responsabilità, quella del facciamo come cazzo ci pare. Tutto merito di quella falsa coscienza che si forma sulla pomposa e vuota retorica delle apparenze e del sentito dire. Il querulo richiamo, per esempio, allo spirito del Cln quando non occorre la cattedra di Storia Moderna per sapere che furono quelli tempi di scontro e di intrighi, che portarono alla defenestrazione di Ferruccio Parri, poi alla guerra frontale De Gasperi-Togliatti, e infine al regime democristiano. Certo, furono anche gli anni del modello di sviluppo, che diventò la base del decollo industriale degli anni Cinquanta. E del successivo boom economico accompagnato tuttavia dall’arretratezza cronica e mai superata della macchina statale, dalla grave insufficienza delle infrastrutture civili, dal persistente, drammatico squilibrio tra Nord e Sud. Per non parlare del “governo dei migliori”, annunciato dalla festosa grancassa dell’informazione unica e risoltosi, come nella norma, con qualche ministro migliore, molti peggiori e alcuni così così. Anche nei Baci Perugina c’è scritto che le grandi aspettative sono il preludio delle grandi delusioni e non si vede per quale motivo, davanti alle pretese di sei o sette tra partiti, partitini e dépendance si dovesse accantonare il prezioso manuale Cencelli. Quanto alla deludente presenza femminile nell’esecutivo, urge una domandina: ma secondo l’articolo 92 della Costituzione i ministri, e dunque le ministre non sono di nomina del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio? O abbiamo letto male?

Supermario arriva a un orario europeo

• Mario Draghi è entrato a Palazzo Chigi alle 9 meno cinque di questa mattina, un orario molto europeo. Qui ci si aspetta che segua questo tipo di orari quindi inizi a lavorare presto e finisca anche presto. Sono finiti i tempi degli incontri e dei vertici notturni.
L’aria che tira

• A Roma si sussurra sorridendo che salvare l’euro era “la parte facile”. Salvare l’Italia sarà un altro paio di maniche. In pochi giorni il ritorno di “Super Mario” sembra aver spazzato via qualsiasi dubbio. Una specie di “rivoluzione di velluto” in mancanza di una vera alternativa, con l’ex salvatore dell’euro che è riuscito nell’impresa
di riunire sotto il suo nome l’insieme delle forze politiche.
Les echos

• Nessuno qui a Città della Pieve lo considera un superuomo o un “santo”. “È uno qualunque”, spiega il giornalaio, “una persona distinta, sicuramente riservata, ma non si atteggia a un rango superiore”. La parola più usata è: vergognoso, cioè timido. “Al bar in piazzetta si siede sempre vicino alle piante per non farsi riconoscere”.
Il Giornale

“Su De Magistris il Colle con quella nota ci legittimò”

Sostiene l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con una lettera inviata domenica a Non è l’arena, la trasmissione di La7 condotta da Massimo Giletti, di non aver mai interferito nelle vicende giudiziarie che nel dicembre 2008 furono denominate “scontro tra Procure”. Il fatto è noto: all’ex pm Luigi de Magistris erano state avocate le inchieste Why Not e Poseidone, nelle quali erano indagati (furono poi archiviati) il premier dell’epoca, Romano Prodi, e il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. De Magistris denunciò il tutto alla Procura di Salerno che, dopo aver richiesto più volte copia degli atti delle suddette inchieste, il 2 dicembre li sequestrò e perquisì i magistrati di Catanzaro. Due giorni dopo, i magistrati calabresi contro-sequestrarono gli atti e iscrissero i pm campani nel registro degli indagati. Napolitano sostiene di non aver mai interferito in questa vicenda poche ore dopo aver letto, sul nostro giornale, due notizie esclusive: che tra la Procura generale di Catanzaro e i suoi uffici, nelle ore del sequestro, vi furono due telefonate e che il procuratore generale Enzo Iannelli inviò, al suo consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, un fax con il quale chiedeva di ripristinare le “basi fondanti dell’Ordinamento giudiziario”. Nessun magistrato di Catanzaro ha mai sostenuto che Napolitano suggerì loro qualcosa o fornì garanzie di alcun tipo. Ma oggi il Fatto può rivelare altri dettagli.

Partiamo da un dato: fra il 3 e il 4 dicembre il segretario generale di Napolitano, Donato Marra, dirama un comunicato. Chiede ai magistrati di Salerno di inviare copia degli atti d’indagine. Ma, soprattutto, cita la lettera inviata 48 prima da Iannelli a D’Ambrosio. Alfredo Garbati era all’epoca sostituto procuratore generale a Catanzaro. Fu tra i firmatari del contro-sequestro. E ci racconta cosa accadde in quei momenti delicatissimi. Quanto ha inciso – gli chiediamo – ritrovare nel comunicato del Quirinale la citazione della lettera inviata da Iannelli a D’Ambrosio? “È stato importante”. Ce lo ripete, sospirando, per ben sei volte consecutive. Garbati tiene a precisare: “Prima del sequestro la Procura di Salerno ci aveva chiesto copia degli atti per due volte. Ma ritenevamo carenti le motivazioni con cui ci chiedevano gli atti. Chiedemmo un minimo di motivazione e, quando arrivò, invitammo i colleghi di Salerno per consegnare loro gli atti. Ma non accadde nulla fino al sequestro del 2 dicembre”.

Vediamo come si arriva alla decisione del contro-sequestro. “Il 2 siamo in una fase riflessiva, anche il 3 è un giorno interlocutorio, poi il 4 mattina io, i colleghi Salvatore Curcio e Domenico De Lorenzo, ci incontriamo nello studio di Iannelli. È stata appena resa pubblica la nota del Quirinale. Produce un effetto: non la viviamo come se il contro-sequestro fosse un ‘ordine’ del Quirinale, ma ha una forza motivazionale, persuasiva, non lontana dalla morale persuasione di cui Napolitano è stato un principe. È una sorta di legittimazione. Per noi importante scoprire che, nella nota, è riportato quel che Iannelli aveva scritto a D’Ambrosio. Il comunicato sembra andare nella direzione di quel che già pensiamo. Iannelli ci dice genericamente di aver parlato con D’Ambrosio, di avergli inviato un fax. Concludiamo che il comunicato di Marra lascia intendere che anche Napolitano, presidente del Csm, ritiene che la Procura di Salerno si sia comportata male. E quindi se agiamo siamo in sintonia con i pensieri del Quirinale: le motivazioni del comunicato ci inducono o, quantomeno, non ci contrastano. È una persuasione: non siamo solo noi a pensarla così, ci siamo detti, ma addirittura i consiglieri giuridici del Quirinale. Vorrei precisare che sul contro-sequestro siamo stati archiviati: quindi non fu un atto illegale”.

Però, alla pari dei colleghi di Salerno, anche i magistrati di Catanzaro sono condannati in sede disciplinare. Per usare parole care a Luca Palamara – commenta Garbati – evidentemente turbammo il ‘sistema’: di lì a poco l’Anm guidata da Palamara e Giuseppe Cascini e senza conoscere gli atti, emette un’anticipazione della nostra condanna. Il comunicato fu un parto spontaneo e autonomo dell’Anm? O ci furono discorsi di Palazzo? Non posso saperlo”. E Garbati come l’ha vissuta? “Molto male. Innanzitutto con sorpresa”. S’è sentito mollato? “Sicuramente”, ripete per 5 volte consecutive. ”E tra l’altro – aggiunge – in maniera inspiegabile. Quanto inspiegabili sono i rigetti che abbiamo ricevuto dalla Cassazione”.

Non sarebbe stato meglio se la “persuasione” giunta con il comunicato di Marra non fosse mai esistita? “Credo che il contro-sequestro l’avremmo fatto lo stesso, perché qualcosa dovevamo fare, ma al posto di Napolitano avrei taciuto. Avrei seguito un’altra strada”.

“Fannullopoli” a Boscoreale, 91 prescrizioni. Sfuma in 1° grado il processo iniziato nel 2011

Dice un cancelliere in pensione, esterrefatto: “È la prima volta che vedo prescrivere in primo grado un processo cominciato con una direttissima di dieci anni fa. Dieci anni fa, si rende conto?”. E che processo: quello alla cosiddetta “Fannullopoli” di Boscoreale (Napoli), 91 imputati, tutti salvi, tutti rimasti al loro posto. I procedimenti disciplinari furono infatti sospesi in attesa della definizione di un processo penale incardinato nell’aprile 2011, poche ore dopo l’arresto in flagranza di reato di 41 dipendenti comunali sorpresi dai carabinieri a spasso invece che a lavorare. Ma quei 41 erano solo la punta di un iceberg. Durante la direttissima, gli avvocati spulciano gli atti di indagine allegati alla richiesta di convalida. E scoprono che ci sono delle attività investigative ancora in corso. Così chiedono e ottengono di andare avanti con un rito ordinario.

Un anno dopo, la Procura di Torre Annunziata deposita l’avviso di conclusa indagine. Un documento dalla lunghezza monumentale. Leggendolo si scopre che 125 dipendenti comunali del municipio boschese su 170 sono iscritti nel registro degli indagati. Praticamente due dipendenti su tre. Sono accusati di truffa e di violazione della legge Brunetta. Le immagini registrate dalle telecamere nascoste, finalmente svincolate dal segreto investigativo, poi rivelate in esclusiva sul sito del Fatto Quotidiano, sono impietose: si vedono dipendenti che passano 25/30 badge alla volta, si intuisce l’esistenza di un sistema consolidato e risalente nel tempo.

Lo scandalo monta. L’Espresso spedisce un inviato a trascorrere una settimana a Boscoreale e ne uscirà un reportage durissimo. Rai3 approfondisce il caso. Il processo mediatico, che genera una unanime condanna, si rivelerà molto più rapido di quello giudiziario, che invece rallenta, frena, si muove a scatti, si incaglia nelle consuete difficoltà di una macchina che fatica anche soltanto a perfezionare le notifiche a una mole così imponente di indagati e imputati. E poi ci sono le giuste rivendicazioni di chi vuole dimostrare la propria innocenza. E ci riesce. Il giudice per le indagini preliminari firma una quarantina di archiviazioni. Al processo che riunifica le rimanenti posizioni ci arrivano ‘solo’ in 91. Dal 2015 cinque giudici monocratici si rimpallano il fascicolo, fino alla sentenza di ieri. Il colpo di spugna della “Fannullopoli” ai piedi del Vesuvio. Grazie alla prescrizione, che sta per rinascere sotto forma di emendamento al Milleproroghe in discussione nelle commissioni parlamentari. Per demolire uno dei cardini della riforma Bonafede.