Dal palazzo acquistato a Londra dal Vaticano, che nell’investimento ha perso 120 milioni, ai dittatori africani sino a finanzieri in odore di ‘ndrangheta: non c’è pace per il Credit Suisse. La seconda banca svizzera, che il 16 gennaio ha visto il presidente António Horta-Osório dimettersi per aver violato due volte la quarantena usando il jet della banca, già sotto processo a Bellinzona per riciclaggio di 140 milioni in contanti derivati dai traffici di cocaina di ‘ndrangheta e mafia bulgara dal 2004 al 2008, ora è nel mirino di “Suisse Secrets”, un’inchiesta coordinata dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung e dal consorzio di giornalismo investigativo Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), alla quale per l’Italia hanno partecipato La Stampa e IrpiMedia insieme a 163 giornalisti di 48 testate in 39 Paesi. L’indagine è sorta da una fuga di informazioni: sono emersi 18mila conti gestiti sino alla fine degli anni Dieci, per depositi totali superiori a 100 miliardi di dollari, relativi a 37mila clienti, sia persone fisiche che aziende, connessi con riciclaggio, corruzione, violazioni dei diritti umani.
Tra i personaggi coinvolti c’è Alaa Mubarak, figlio del deposto dittatore egiziano Hosni, che in Credit Suisse aveva oltre 200 milioni di franchi, Khaled Nazzar, capo della giunta militare algerina durante la guerra civile degli anni Novanta, accusato di crimini di guerra, alti funzionari venezuelani che sotto Chavez e Maduro hanno razziato le risorse del Paese. Ci sono anche 700 italiani, quasi tutti residenti o domiciliati all’estero e con interessi nel petrolio, nelle miniere o nel gaming in Asia.
Spicca il finanziere Antonio Velardo, sospettato di riciclaggio per conto della ‘ndrangheta (e poi assolto), titolare di sei conti sui quali ha depositato fino a 4 milioni. Velardo, 44enne con cittadinanza tunisina e frequentazioni ai Caraibi, era stato accusato di riciclaggio e complicità con la malavita organizzata nelle inchieste Metropolis e Black Money. Con un ex ufficiale dell’Esercito repubblicano irlandese (Ira), Henry Fitzimons, aveva partecipato alla costruzione di 450 appartamenti nel “Gioiello del Mare”, un villaggio turistico sulla Costa dei Gelsomini a Brancaleone (Reggio Calabria), ora fatiscente. Secondo il quotidiano Le Monde l’inchiesta dimostra che “a dispetto delle regole di vigilanza, la banca zurighese ha ospitato fondi legati alla criminalità e corruzione per diversi decenni”. L’istituto svizzero “nega fermamente” di essere coinvolto in attività criminali e sostiene che l’inchiesta “è basata su informazioni parziali, inaccurate o selettive che, estrapolate dal contesto, danno adito a interpretazioni tendenziose. Credit Suisse ha adottato le misure adeguate, in linea con direttive e requisiti regolamentari applicabili nei periodi in questione e di aver già preso i provvedimenti necessari”.