Matteo Renzi e Italia Viva credono davvero di avere ancora degli alleati?

 

BOCCIATO

Chi ve l’ha chiesto? La commedia degli equivoci prosegue. Che rapporti intercorrono tra Italia Viva e il resto dei giallorosa? Dimostrare che si possa essere allo stesso tempo “maggioranza di” e “opposizione a” uno stesso governo è stata la missione dei renziani durante l’esperienza del Conte 2. Quale fosse esattamente lo scopo è rimasto poco chiaro, ma un risultato involontario c’è stato lo stesso: la messa in fuga degli alleati. Stupisce dunque vedere come molti esponenti d’Italia Viva si siano sentiti in dovere di commentare immediatamente l’ipotesi della candidatura di Giuseppe Conte alle suppletive di Siena per un seggio alla Camera. Uno tra i vari è stato Stefano Scaramelli, vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana, che in un tweet ha chiosato così: “Conte pensa di candidarsi in un collegio sicuro, alle #suppletive di #siena, per rientrare là dove è uscito da poco? Io glielo sconsiglio. Quel collegio noi di @ItaliaViva lo conosciamo bene. Poi faccia lui. Una cosa è fare l’avvocato del popolo, altra farsi eleggere dal popolo”. Quanto il parere di Scaramelli fosse poco necessario e per nulla richiesto lo ha chiarito bene Chiara Geloni commentando lo stesso tweet: “Ma, a parte il tono vagamente mafioso, @ItaliaViva pensa veramente di far parte di una coalizione?”. In realtà il loro ideale sarebbe giorni pari in coalizione e giorni dispari fuori.

VOTO 2

 

NON CLASSIFICATO

Oltre il danno la beffa. Della fulminante metamorfosi di Matteo Salvini, che “svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un fervente europeista”, si è detto moltissimo negli ultimi giorni. Ma c’è un aspetto della conversione del segretario della Lega che non è stato preso a sufficienza in considerazione dagli osservatori: il sarcasmo. Dopo aver messo in crisi con la sua presenza nel governo quasi tutti gli altri partiti che hanno scelto di sostenere Draghi, il Capitano guastatore ha scelto di rincarare la dose unendo al danno una punta di beffa. Le affermazioni dal tono tanto parossistico quanto canzonatorio sono diverse, ma due spiccano su tutte: “La ruspa? In questo momento la usiamo per costruire, ci sono i cantieri da far ripartire, far ripartire l’edilizia vuol dire creare un milione di posti di lavoro”. La conversione politica sarà pure artefatta, ma la derisione invece è ruspante davvero. Ciliegina sulla torta, la nota con cui la Lega ha commentato l’esito del voto su Rousseau: “Preoccupazione per la spaccatura nel Movimento 5 Stelle dopo il voto degli iscritti a proposito del governo Draghi. Nonostante i sì di Grillo, Conte, Di Maio e Crimi, il Movimento si è diviso. In questa situazione è ancora più importante il ruolo della Lega e di Forza Italia”. Sembra di sentire il rumore di fondo delle pernacchie: “Volevate farci fuori, volevate farci passare per irresponsabili, e guarda invece chi sono quelli meno affidabili adesso…”. Insomma, coerenza nessuna, sovranismo addio, ma risate parecchie.

 

L’educazione juventina. Bonucci a Conte: “Rispetta gli arbitri”. Ecco tutti i precedenti

Ametà primo tempo di Juventus-Inter, la semifinale di ritorno di Coppa Italia passata alla storia per la rissa da portineria esplosa tra il presidente juventino Andrea Agnelli e il tecnico interista Antonio Conte, il difensore Bonucci della Juventus, per l’occasione in panchina, vedendo Conte protestare per alcune decisioni arbitrali si alza e gli urla: “Devi portare rispetto all’arbitro”.

Frase che avrebbe avuto un senso se pronunciata, poniamo, dal quarto uomo Chiffi, arbitro, a difesa del collega Mariani; meno da un giocatore di uno dei due club che si presume non affiliati all’Aia. E comunque: Bonucci urla a Conte che “bisogna rispettare gli arbitri” quando il suo club, notoriamente non proprio perseguitato dalla classe arbitrale, limitandoci alla sola stagione in corso ha avuto il direttore generale Paratici inibito e multato a più riprese per minacce e insulti proferiti all’indirizzo di svariati arbitri nell’intervallo delle partite o a fine match, il dirigente Nedved idem, l’attaccante Morata espulso e squalificato per insulti all’arbitro dopo la sconfitta con la Fiorentina, il portiere di riserva (della riserva) Pinsoglio espulso dalla panchina e squalificato per frasi irriguardose rivolte all’arbitro, il collaboratore tecnico Baronio espulso e squalificato per insulti rivolti all’arbitro Orsato nel finale del primo tempo di Juventus-Roma, match in cui Orsato, per la cronaca, aveva appena ignorato un fallo da rigore commesso da Rabiot, Juventus, ai danni di Villar, Roma.

Come tutti sanno, Bonucci e Antonio Conte sono stati insieme alla Juventus dal 2011 al 2014. In quelle tre stagioni la Juventus vinse tre scudetti ma il rispetto verso gli arbitri che il difensore, oggi, raccomanda al suo ex allenatore doveva essere un optional se è vero che il 26 gennaio 2013 – è solo un esempio -, al termine di Juventus-Genoa 1-1, arbitro Guida, Bonucci venne squalificato per 2 giornate e multato di 10 mila euro “per avere, uscendo dal terreno dei gioco, contestato platealmente l’operato degli ufficiali di gara rivolgendo al quarto ufficiale un’espressione ingiuriosa e per aver assunto negli spogliatoi un atteggiamento intimidatorio nei confronti di un arbitro addizionale rivolgendogli espressioni ingiuriose”; Conte squalificato per 2 giornate e multato di 10 mila euro “per avere fronteggiato con atteggiamento intimidatorio, sul terreno di gioco al termine della gara, il direttore dei gara e un arbitro addizionale contestando il loro operato con espressioni ingiuriose che reiterava poco dopo negli spogliatoi”; e ancora il capitano della Juventus Chiellini, che non aveva giocato, venne squalificato per una giornata e multato di 5 mila euro “per avere, al termine della gara, entrando sul terreno di gioco senza autorizzazione, contestato platealmente l’operato degli ufficiali di gara”, il direttore generale Marotta (oggi all’Inter con Conte), inibito a svolgere ogni attività in seno alla Figc per tre settimane “per avere contestato negli spogliatoi l’operato degli ufficiali di gara rivolgendo all’arbitro, con atteggiamento intimidatorio, espressioni ingiuriose”, e l’attaccante Vucinic squalificato per una giornata per proteste nei confronti dell’arbitro.

E non so voi: ma Bonucci che chiede a Conte di avere rispetto per gli arbitri a noi pare abbia la stessa credibilità di Rocco Siffredi che raccomanda al figlio l’importanza di giungere vergini al matrimonio.

 

Diritto all’oblio. I bavagli della memoria: “Cancella quelle critiche o ti faccio causa”

La memoria, la memoria. Sembra essere questo, da anni, l’imperativo etico del politically correct. Imperativo giusto, sacrosanto. Che ci arriva diritto da Primo Levi. Guai ai popoli e alle nazioni senza memoria, in balia del primo manigoldo che arriva. Bello e nobile il 27 gennaio (l’Olocausto). Bello e nobile il 21 marzo (le vittime innocenti delle mafie). Belli anche i diritti che le Nazioni Unite o l’Unione Europea non si stancano di coniare. Ma qui ci fermiamo per entrare nel particolare di queste “storie italiane”.

Perché la scorsa settimana sono venute a cercarmi separatamente due persone. Più giovani di me, tra loro si conoscono appena. Ma tutte e due si stanno misurando con un malefico aggeggio del nostro tempo. Che si chiama “diritto all’oblio”. È una cosa pensata per non marchiare a vita chi ha commesso un piccolo reato, o non inchiodare in eterno a un atto giudiziario chi abbia ricevuto suo malgrado una telefonata da un vecchio compagno di classe affermatosi nel crimine e bisognoso di un “piccolo favore”. Insomma, buoni e generosi principi.

Il guaio è che, come sempre in Italia, il diritto viene usato per trasformarsi in rovescio. Così si scopre che normalmente a pretendere l’oblio non sono persone condannate per una pipì contro il muro (anni fa fece scalpore il caso di un bravo insegnante radiato per un precedente del genere nella prima gioventù) o per essere finite di striscio in qualche storia giudiziaria senza colpa. Ma lo pretendono persone condannate per robusti reati compiuti nell’esercizio di funzioni pubbliche o persone che le storie imbarazzanti se le sono scientemente e ambiziosamente costruite con le loro mani da una posizione socialmente privilegiata. E poiché per riuscire a cancellare le tracce ci vuole tempo, ecco che, voilà, sono nate società specializzate nel dare la caccia ai colpevoli di una citazione sgradita. E in quel caso per i malcapitati (blogghisti o giornalisti, o addirittura tesisti, meglio se con le spalle scoperte) altro che oblio… Le società dell’oblio se li ricordano eccome, uno per uno. E li martellano, li assillano, creano (involontariamente, s’intende) un alone di intimidazione intorno alla contesa.

Chissà mai quanto potrà costare un processo o una causa a un povero diavolo di cronista locale. Così una delle due persone mi ha riferito di avere correttamente citato una sentenza, di avere perfino ottenuto un provvedimento in suo favore dal garante della privacy, di averlo esibito agli interessati, ma di essere lo stesso ancora perseguitata.

Un’altra persona mi ha riferito invece di avere ricevuto l’ingiunzione dell’oblio per una vicenda pubblica originata da una scelta (pubblicamente criticata) di un noto professionista riguardante la sfera politica, ossia quella considerata in America priva per definizione di diritti alla privacy. Che ci fanno quelle critiche ancora in rete? Rispettate il diritto all’oblio o agiremo legalmente. E rieccoci all’inizio. Per notare che, così come i diritti proclamati vengono tranquillamente calpestati in quasi tutto il mondo alla faccia degli organismi internazionali, altrettanto il valore della memoria viene calpestato da un diritto all’oblio che, di questo passo, arriverà con le minacce a impedire la memoria della storia pubblica locale. Non solo il diritto di cronaca, insomma, sarà colpito; ma anche il diritto di storia, il diritto di studio. Quatta quatta, la grande violazione arriva travestita da diritto per squassare il diritto vero.

La mia modesta proposta è dunque la seguente: ci sono cinquanta parlamentari di sani principi disposti a riversare nelle loro interrogazioni i casi e i nomi dei protagonisti che pretendono il bavaglio? Da quegli atti nessuno potrà essere rimosso. La democrazia poi saprà chi ringraziare per averla difesa. Gli altri invece, i nemici della memoria, ringrazino se stessi.

 

Alto profilo. Il ritorno di Brunetta e Gelmini. “Il nuovo Rinascimento? Meglio il Medioevo”

 

“Ho tolto la vita al mio ragazzo, per sbaglio. Sono persa nel buio”

Cara Selvaggia, scrivo dopo aver letto la tua intervista a Michele Bravi. Non ce l’ho fatta prima perché il passaggio sull’incidente che ha provocato per via di un’infrazione e il dolore nel quale è sprofondato per anni mi ha rigettata in un abisso di ricordi. Era estate. Avevo superato la maturità, con il voto più alto, ero la gioia di famiglia. Mio padre mi aveva regalato una macchina nuova fiammante, il mio premio. Mi sentivo improvvisamente adulta: avevo un fidanzato meraviglioso, le amiche migliori, un futuro in una città del nord dove avrei frequentato l’università dei miei sogni. Quella era l’estate della spensieratezza prima del dovere.

Un pomeriggio andiamo in spiaggia, ci ubriachiamo di molto sole e poca birra. Non ero sbronza di alcol, ma di vita. Ero al mare col mio primo ragazzo. Lo amavo. Walter mi bacia e sale in macchina, dobbiamo tornare a casa perché c’è una partita importante, quell’anno si giocano i mondiali. A lui il calcio piace, gioca in una squadra locale. Dicono potrebbe salire di categoria, ma lui non vuole allontanarsi da me, e poi tra 2 mesi ci trasferiamo insieme al Nord. Mi metto al volante della mia auto. Di solito la guida lui, ma dice che vuole chiamare la madre, ha preso troppo sole e la birra gli ha fatto venire mal di testa. Esco dal parcheggio e mi immetto sulla statale. C’è traffico: piccole code, tratti liberi, poi ancora in coda. Walter parla con sua madre, scherzano sul gatto che ha graffiato il mobile nuovo del salotto e se se ne accorge suo padre lo abbandona all’autogrill. Lo aveva trovato lui quel gatto selvatico, addomesticato piano piano salvo per quei graffi sui mobili. Me lo ricordo bene questo discorso stupido, mi sembra ancora di sentire che ride e poi mi dice “Io non lo voglio sentire mio padre stasera, dormo da te amò!”. Ho 2 macchine davanti, vanno piano, troppo piano. Faccio un sorpasso arrogante, con uno scatto che sorprende Walter e perfino me, perché capisco subito che non lo dovevo fare. Dall’altra parte non c’è nessuno. Io accelero per togliermi dalla corsia di sorpasso. C’è una macchina. Sterzo a sinistra. Quella ci prende da un lato, che non è il mio.

Due giorni dopo c’è mia madre accanto a un letto d’ospedale: “Walter è morto”, mi dice in lacrime. Cara Selvaggia, quello che è venuto dopo è una storia lunga, costellata di urgenze pratiche impossibili da schivare, pur nel dolore. Il processo, il confronto con la famiglia di Walter, la mancanza di lui, il senso di colpa lancinante. Ho pagato tutto, in tutti i modi possibili. E il peggio è iniziato quando si è chiusa la vicenda giudiziaria, quando la sua famiglia mi ha in qualche modo perdonata. Lì ho sentito che era l’ora di imparare a muovermi nel buio, come raccontava Michele, e io non ci sono riuscita. Lui sì, e ha detto bene: non è scontato. Lo ringrazio per averlo detto, perché io mi sono persa. Ho perso la voglia di andare lontano, studiare, progettare. Il mondo mi ha fatto paura, è parso un luogo cattivo dove muoversi: vivo cercando il più possibile di non urtare cose, di non inciampare, di non farmi notare. Ho avuto una lunga depressione curata poco e male; ne sono uscita e ho trovato un lavoro per uscire di casa a forza. Alla fine ho perfino conosciuto un ragazzo con cui mi sono spostata da poco.

La mia vita però è “difettata”. Sono un ingranaggio rotto, incollato male e con una colla debole. Perfino mio marito, al quale non ho mai fatto mancare l’amore che posso dare, vede quel mio velo opaco sugli occhi. Ringrazio te e Michele per aver raccontato con delicatezza la vita di chi ha spezzato, senza volerlo, la vita di un altro. Grazie per aver detto che il dolore è una materia tanto complessa. Spesso ho sentito dire che il tempo avrebbe sistemato tante cose, e invece no, qualche volta il tempo incolla male i pezzi. Aver tolto la vita al ragazzo che amavo ha peggiorato tutto: di uno sconosciuto addolora la morte, certo, se muore chi ami si aggiunge la mancanza. Ecco, forse era troppo, troppo dolore da gestire. E non sono stata così brava da riprendermi la vita che volevo. Ne ho una che pare l’unica sopportabile.

V.

Come diceva Michele, il buio ha una sua geografia e ci sono momenti della vita in cui bisogna imparare a muoversi lì, in quella geografia. Dici di no, ma anche tu lo hai fatto. Diventando altro, forse, ma continuando a muovere la mani, per cercare appigli.

 

Draghi, il governo dei “migliori”. Supermario ci porterà su Marte

Cara Selvaggia, ho letto la lista dei ministri del governo Draghi e mi pento amaramente di aver votato no. In effetti ho votato spinto da insani umori, più dalla passione che dalla ragione, più dalla mia incapacità di comprendere il nuovo che dalla visione del futuro. Sono obiettivamente i migliori specie Gelmini e Bonetti ed il governo con Brunetta acquisisce l’alto profilo che prima non aveva. Il contributo leghista allo Sviluppo economico sarà prezioso vista la loro interpretazione del furto all’erario ed il comodo rimborso rateale, tra trasmissione del Covid e i pipistrelli crudi della cucina pechinese. Con loro sbarcheremo su Marte e vi apriremo una discoteca di Briatore mentre Zangrillo potrà dichiarare sconfitta la pandemia ad opera della cassoela lombarda. La Juve vincerà la Champions e sarà sempre Natale. Chiedo scusa per essere stato uno sciocco conservatore.

Gianpaolo, Mantova

 

Non sei pronto al nuovo Rinascimento, tutto qui.

 

Inciucio. Draghi è “gesuita”, ma il suo governo è filociellino: cattolici trasversali alla riscossa

È stato il 13 luglio scorso che in questa rubrica venne anticipata la partecipazione di Mario Draghi, oggi premier, all’ultimo meeting di Comunione e liberazione (nella foto il tradizionale logo) , una breve edizione dal 18 al 23 agosto a causa del Covid. E fu proprio a Rimini, nella giornata inaugurale, che l’allora riserva della Repubblica tenne il suo discorso sul debito buono e il debito cattivo (il Sussidistan).

Draghi non era stato annunciato nel programma ufficiale e quando poi il suo intervento venne confermato, gli organizzatori non fecero mistero delle loro speranze: una svolta di Sistema per un governo di unità nazionale. Un obiettivo in linea con quella che da sempre è la vocazione bipartisan della fraternità fondata da don Luigi Giussani e che ha avuto in Giulio Andreotti e poi Roberto Formigoni i suoi storici punti di riferimento politici. Non a caso nell’edizione “draghiana” tra tanti ministri, leader e governatori invitati spiccavano due assenze: il premier Giuseppe Conte e il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che in queste settimane l’operazione Draghi l’ha subìta così come già accadde a Bersani nel 2011 con Mario Monti.

A posteriori, fa impressione scorrere l’elenco dei politici che hanno parlato al Meeting edizione 2020: Maria Elena Boschi, Luigi Di Maio (in assoluto il primo grillino di peso a intervenire), Matteo Salvini, Graziano Delrio, Antonio Tajani. Dagli ambienti di Cl si specificò pure che l’invito era stato rivolto a Di Maio scavalcando volutamente il reggente Vito Crimi e ignorando Conte. Insomma un’evidente torsione post-contiana, rafforzata oggi dalla consuetudine di vari ministri con il movimento cattolico bipartisan. Per esempio, Enrico Giovannini, neotitolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, presentò in conferenza stampa la quarantesima edizione del Meeting, quella del 2019. Il renzian-grillino Roberto Cingolani andò a Rimini nel 2015 per un dibattito con Marco Carrai.

E ancora, mischiando politici e tecnici: Patrizio Bianchi, Vittorio Colao, Giancarlo Giorgetti, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna. La ministra dell’Università Cristina Messa, invece, ospitò alla Bicocca di Milano don Julián Carrón, successore di don Giussani alla guida della fraternità. Ma il nome che richiama più di tutti Comunione e Liberazione è quello di Marta Cartabia, presidente emerito della Consulta e Guardasigilli del governo Draghi. Il marito di Cartabia è stato tesoriere di Cl e lei stessa collaborava con il Sussidiario.net, quotidiano ciellino, con editoriali contro il fine vita e il matrimonio tra omosessuali.

Da quando però sulla giurista si è allungata la stima di due capi dello Stato, prima Napolitano, indi Mattarella, è come se lei volesse accantonare o sbianchettare il suo passato di cattolica conservatrice. In una fase in cui la contrapposizione tra bergogliani e destra clericale è stata aspra anche in politica (da un lato l’umanesimo di Conte, dall’altro il rosario di Salvini), Cartabia ha evitato accuratamente ogni presa di posizione. L’ultimo suo scritto in materia è la prefazione sulla buona politica a un saggio di padre Francesco Occhetto, editorialista della Civiltà Cattolica. Un gesuita, guarda un po’.

 

Quando le spie russe lavoravano alla Fiat, Agnelli volava a Mosca

La polizia di Milano, nel febbraio del 1933, fece irruzione negli uffici della società sovietica Petrolea, in largo Augusto, sospettata di essere una delle basi dello spionaggio industriale e militare dell’Unione Sovietica in Italia. Era stata creata nel 1927, come si rammenta nella pagina web pionierieni.it, “per l’importazione e la vendita all’ingrosso di greggio e prodotti finiti agli operatori privati italiani”. Ufficialmente era una delle aziende nate dopo l’accordo e il trattato commerciale, nel marzo del 1923, fra il governo fascista e l’Urss “per l’importazione di greggio russo a un prezzo molto favorevole”.

Gli agenti della Questura milanese, durante l’operazione, interrogarono un certo Demetrio Krikoun, direttore della Petrolea, che affermò, tra l’altro, di avere alle proprie dipendenze “il Signor Conforti, di Milano, il quale è stato assunto dal 25 Gennaio del corrente anno per sbrigare parte della corrispondenza commerciale”. Il signor Conforti si chiamava in realtà Giorgio Conforto. Nato a Roma nel 1908, morto nel 1986, divenne famoso nel dopoguerra perché ritenuto uno dei principali agenti dei servizi segreti sovietici nel nostro Paese. A imbattersi in Conforto, e in quella che è forse la prima citazione del suo nome in un rapporto investigativo, è stato il ricercatore storico Roberto Gremmo. Lo racconta nel numero 54 della sua rivista Storia Ribelle (si può acquistare contattando l’indirizzo storiaribelle@gmail.com), nell’articolo intitolato “Lo spionaggio sovietico durante il Fascismo e il furto dei progetti industriali della Fiat”, basato sulla consultazione del fondo “Pubblica Sicurezza” dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Seppure scoperti dai poliziotti, e proprio inda gando negli ambienti della Petrolea e della Delegazione Commerciale Sovietica di Milano, gli italiani e i russi coinvolti furono però prosciolti dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, lo stesso che infliggeva, intanto, pene durissime agli antifascisti. La sentenza istruttoria, del 6 maggio ’33, portava la firma del presidente, il generale di divisione Achille Muscarà; il relatore era Piero Lanari; i componenti del tribunale erano i consoli della milizia Mario Grillini e Michele Caria.

Fu una sentenza singolare, per non dire clamorosa, ma spiegabile molto probabilmente con gli ordini impartiti dall’alto, con il benestare di Mussolini. La ragione? Non si voleva turbare il buon feeling industriale e commerciale fra l’Italia del Duce e l’Urss di Stalin. In quegli anni, del resto, la Fiat e l’Unione Sovietica avevano stipulato un accordo rilevante, e nel 1932 c’era stato il viaggio a Mosca di Giovanni Agnelli, il padrone dell’azienda torinese. Nel 1935, poi, racconta ancora pioniereni.it, la Fiat acquistò la S.A. Italiana Petrolea, e “continuò a importare i prodotti sovietici della Soyousneft”.

Le responsabilità degli imputati davanti al Tribunale Speciale, per quell’affaire di Milano, a ogni modo sembravano indubbie. Tutto era cominciato quando, il 17 febbraio del ’33, Mario Tamini, direttore della “Sezione applicazioni industriali” della Fiat, denunciò alla Questura milanese che un ex dipendente, l’ingegner Riccardo Crosa, aveva chiesto a un tecnico dell’azienda di procurargli dei disegni di apparecchiature di uso militare, degli autoverriccelli per manovre di palloni frenati, che la Fiat stava progettando. E gli aveva spiegato di avere trovato “la possibilità di guadagnare dei soldi progettando macchine per conto dei russi”. I sovietici della Petrolea e della missione commerciale, a quel punto, lo avevano ingaggiato per circa un migliaio di lire mensili, esattamente come nella celeberrima canzonetta dell’epoca “Se potessi avere mille lire al mese”. Tutto ciò, ovviamente, se “si fosse prestato a fornire ai russi un certo numero di disegni relativi alla produzione Fiat”.

La denuncia del Tamini fece scattare le indagini. Crosa fu fermato. La polizia arrestò quindi altre persone, tra le quali il perito industriale Carlo Maestri, il sovietico Gregorio Boreff e la moglie di quest’ultimo. Ben presto vennero accusati di “avere in Milano dal novembre 1932 a febbraio 1933, in correità fra loro, rivelato, a scopo di spionaggio militare, notizie che, nell’interesse della sicurezza dello Stato, debbono rimanere segrete”.

Il 6 maggio la commissione istruttoria del famigerato Tribunale Speciale, scrive Gremmo, “a sorpresa, dichiarò che non costituiva reato il comportamento del Maestri e che contro gli altri non si doveva procedere penalmente ‘per insufficienza di prove’ ”, sebbene venisse osservato che il Boreff aveva “dimostrato pericolosità non comune”. La realpolitik aveva vinto. Le spie russe avrebbero continuato a spiare.

Operazione “Drago verde”: il bluff del governo ecologico

Chi l’avrebbe detto, solo pochi mesi fa, che il Movimento 5 Stelle avrebbe organizzato la più colossale operazione di green washing a favore del governo più di sistema della storia della Repubblica? Le grisaglie cementizie degli ottimati guidati da Mario Draghi si sono prestati, tra il compiaciuto e l’imbarazzato, alla mascherata verde che, nel Giovedì Grasso del 2021, ha aperto le strade alla loro restaurazione.

Il cavallo di Troia, questa volta, si chiama Ministero della Transizione Ecologica. Tirato fuori dal cappello a favore delle urne di Rousseau: la più populista delle nascite per il più oligarchico dei governi. Non sarà un ministero nuovo, come per esempio lo vorrebbe un’Anna Geese, europarlamentare verde che giustamente dice che, per essere credibile, dovrebbe essere composto per metà da donne, a tutti i livelli. No, sarà la somma di Ambiente e politiche dell’energia. Anche solo per la banale ragione che non ci sarà il tempo di pensarlo, di progettarlo, di costruirlo: questo governo durerà probabilmente un solo anno, perché Draghi ascenderà (almeno nelle intenzioni) al Quirinale nel febbraio 2022. E in un tempo così breve l’unico lavoro di un simile ministero-per-addizione sarà quello, organizzativo, su se stesso. Mentre il dinosauro leghista Giorgetti presidierà lo Sviluppo (Non Ecologico), vanificando ogni sforzo.

Ma ci sono ragioni più profonde per non credere che questo governicchio imbarazzante sia il più verde di sempre. Ragioni culturali: Draghi non crede affatto alla decrescita, ma anzi nell’ “imperativo assoluto della crescita”. Lo ha detto al meeting di CL a Rimini solo sette mesi fa, aggiungendo che questa crescita deve avvenire “nel rispetto dell’ambiente”. La gerarchia è molto chiara, più chiara ancora è la retorica: quella dello “sviluppo sostenibile”. Un concetto che è servito a introdurre le fonti di energia rinnovabile, a recuperare parte dei materiali prima avviati agli inceneritori, a ridurre il consumo di plastica: tutto necessario. Ma è servito anche a far credere che fosse sufficiente: una menzogna che può esserci fatale, perché se non mettiamo radicalmente in discussione l’idea di una produzione lanciata in una crescita infinita, quelle misure saranno forse capaci di rallentare il collasso finale, non certo di evitarlo. Il punto, dunque, non è immaginare come perpetuare ancora un po’ nel futuro (per le generazioni prossime: forse due o tre prima della catastrofe finale?) il paradigma basato sullo sviluppo. Il punto è cambiarlo: se il pianeta e le sue risorse sono finiti, il consumo di queste risorse non può essere infinito: non possiamo produrre più anidride carbonica di quanta la fotosintesi delle piante non riesca a trasformare in ossigeno. Occorre un’idea di economia che non sia fondata sullo sviluppo inteso come produzione e consumo di merci in costante e infinita crescita. Anzi, un’economia che sia capace di ridurre, diminuire, decrescere: esattamente il contrario dell’imperativo assoluto di Draghi.

E poi ci sono le ragioni politiche: quale partito della maggioranza crede davvero in questa “transizione ecologica”? Il Pd che chiede a gran voce di sbloccare i cantieri, Italia Viva che ha aperto la crisi al grido di “vogliamo il Ponte sullo Stretto!”, la Lega che è uscita dalle consultazioni di Draghi rivendicando il “diritto a scavare” (cioè a sventrare il territorio senza l’impaccio di leggi e soprintendenze)? Quanto al Movimento 5 Stelle, dal Tav al Tap, l’esperienza dice che quando va al governo trangugia qualunque scempio ambientale! Insomma, chi davvero può credere a questa improvvisa, strumentale conversione verde dell’élite che ha condotto il pianeta sull’orlo dell’abisso e di una politica per cui l’economia è ancora quella del mattone, anzi del cemento?

Mentre a Roma andava in scena questo carnevale, a Civitavecchia gli operai metalmeccanici della Fiom facevano sciopero “davanti alle ciminiere della Centrale di Torrevaldaliga per chiedere salute, lavoro e una transizione energetica dal carbone alle rinnovabili. E, tanto per rimarcare le distanze tra mondo reale che ha a cuore le future generazioni e una politica distratta dall’interesse corrente, nelle stesse ore il presidente di Enel Italia, Carlo Tamburi, teneva invece a ribadire che sarebbe la combustione del gas (!) la via nazionale alla sostenibilità” (sono parole di Mario Agostinelli, già ricercatore all’Enea e vicepresidente dell’associazione “Laudato si’ – un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale”). Ebbene, l’intervento, così regressivo, di Tamburi si è tenuto a un convegno organizzato dalla regione Lazio sotto questo mimetico titolo: “L’economia di Francesco: l’energia, l’ambiente, la salute, l’agricoltura. Al servizio di un Paese migliore, più virtuoso e inclusivo”. Basterebbe un episodio così per far capire in quale contesto di green washing intensivo si collochi l’operazione “Drago verde”. Se mai una svolta verde ci sarà davvero, non aspettiamoci che parta dal Regime degli Ottimati.

La sai l’ultima?

 

Texas L’avvocato in udienza prigioniero del filtro di Zoom: “Non sono un gatto!”

Il video ha fatto il giro del mondo ed è la cose migliore successa nel 2021: un avvocato texano si è presentato in udienza su Zoom con le sembianze di un pucciosissimo gattino bianco. Colpa di uno dei filtri dell’applicazione per le teleconferenze. Quando al processo si è materializzato il muso pelosetto, il giudice si è rivolto al legale con estrema gentilezza: “Avvocato, credo lei abbia un filtro attivo nelle sue impostazioni video”. La replica è straziante, la voce tremula e strozzata aderisce perfettamente al volto del gattino (che sullo schermo si muoveva simulando il labiale e i movimenti degli occhi del legale): “Mi sente giudice? Non so come rimuoverlo. Sono pronto ad andare avanti con l’udienza. Sono qui. Non sono un gatto!”. Controreplica lapidaria: “Questo mi sembra chiaro”. Il video, capolavoro di situazionismo post-moderno, ha fatto letteralmente esplodere internet. L’avvocato Ron Ponton, contattato dalla Bbc, ci ha riso su: “Non avrei pensato di diventare una celebrità in questo modo”.

 

Padova L’impiegato dell’univesità stampa soldi falsi e si fa beccare quando va a spenderli dal kebabbaro
Fabbricare denaro finto per andare a fare i signori dal kebabbaro. È finita così – male – l’avventura di un piccolo truffatore, impiegato del Bo di Padova (il rettorato della storica università cittadina). Lo racconta il Mattino di Padova: “Una Zecca artigianale e soprattutto clandestina nell’appartamento di Venezia, quartiere Cannareggio. Un lavoro ordinario e soprattutto insospettabile quale impiegato al Bo di Padova. Una residenza a Susegana. Ecco l’identikit del falsario improvvisato denunciato il 4 febbraio dai carabinieri di Padova per fabbricazione, detenzione e spendita di denaro contraffatto. A tradirlo il pagamento al kebabbaro di via Ponti Romani a Padova”. Un epilogo inopinato per una grande avventura in stile Casa di carta, solo un po’ più breve e meno cervellotica della serie Netflix. Nell’ufficio dell’impiegato “è stati sequestrato un foglio formato A4 sul quale erano stampate a colori banconote da euro 10 identiche a quelle che l’impiegato aveva cercato di spendere”.

 

Russia Nei presso di uno stabilimento chimico abbandonato compare un branco di cani blu
In Russia ci sono i cani blu.Davvero. Stavolta non parliamo di filtri di Zoom o Instagram: li hanno avvistati, in branco, per le strade di Dzerzhinsk, città 400 chilometri a est di Mosca. Le fotografie sono circolate su Vk, un social simile a Facebook molto popolare nel paese di Putin. La circostanza è bizzarra ma la spiegazione non è altrettanto divertente: “Sarebbero almeno sette – scrive la Stampa – gli esemplari in quelle condizioni e secondo gli esperti sarebbe il risultato degli scarti aziendali di un impianto chimico abbandonato e presente in quella zona. Le inquietanti foto dei cani, infatti, sarebbero state scattate da residenti locali vicino allo stabilimento di Dzerzhinskoye Orgsteklo, una fabbrica in disuso che ha chiuso per problemi finanziari sei anni fa”. Secondo il commissario che gestisce il fallimento dell’azienda, i cani randagi potrebbero essersi rotolati nei resti delle sostanze chimiche o nel fosfato di rame. Non proprio un bagno di salute.

 

Madagascar Scoperto il rettile più piccolo del mondo (ma ha un apparato genitale completamente fuori scala)
Il rettile più piccolo del mondo è lungo poco più della punta di un’unghia ed è appena stato scoperto in Madagascar. Due micro lucertoline – nome scientifico “Brookesia nana” – sono diventati il fiore all’occhiello di una spedizione di studiosi tedeschi e africani. “L’esemplare maschio misura 13,5 millimetri – spiega Frank Glaw, curatore del Museo zoologico di Monaco di Baviera – le femmine sono generalmente poco più grandi, ma questa è la più piccola tra le 11.500 specie di rettili conosciute”. Ironicamente, in un corpicino così minuto, gli scienziati hanno notato che i genitali misurano circa il 18,5 per cento delle dimensioni totali del corpo. In un certo senso questi camaleonti sono straordinariamente dotati: “In proporzione al corpo – concede Miguel Vences, coautore dello studio sui micro rettili – questi camaleonti hanno membri davvero enormi rispetto alle altre 51 specie conosciute”.

 

India Un agricoltore esclude i figli dal testamento e assegna metà della sua eredità al cane di famiglia
Un amorevole padre di famiglia ha escluso i figli dal testamento: la sua eredità sarà equamente distribuita tra la seconda moglie e il cane. L’uomo si chiama Om Narayan Verma, è un agricoltore indiano di 50 anni e non sembra avere particolare stima dei quattro individui che ha messo al mondo con la prima consorte (tre femmine e un maschio): “La mia attuale moglie e il mio cane si sono sempre presi cura di me, gli altri invece non l’hanno mai fatto”, ha detto alla stampa locale. “Mi hanno deluso. Non gli è mai interessato niente di me, in termini reali. Adesso se davvero vogliono avere una parte della mia eredità, prima dovranno mostrarmi che si prendono cura di Jacky”. Il cane, appunto. Come riporta Today, l’uomo è proprietario di un terreno di otto ettari. Quando arriverà il momento, il fortunato quadrupede Jackie diventerà proprietario di una buona metà dei suoi campi. Chissà se ci pagherà anche la tasse.

 

California Cacciato dal ristorante perché non indossa la mascherina, torna con una pistola e ruba il pollo fritto
Voleva solo del pollo frittoe al massimo qualche dolcetto, ma quando è stato allontanato dal fast food perché non indossava la mascherina, non l’ha presa per niente bene. Dopo qualche minuto questo eroe dei grassi saturi è rientrato nel ristorante “Roscoe’s House of Chicken & Waffles” di Pasadena, in California, con un’arma da fuoco in pugno e ha inscenato una rapina. Non per i soldi o la gloria, ma per la fame chimica. “Si è avvicinato con una pistola e mi ha chiesto di mettere tutto il pollo nella borsa”, ha dichiarato il cuoco Robert Gonzalez. Come in un b movie, con la variante dell’olio di semi di girasole. Ottenuta una congrua quantità di pollo, waffle e flaconcini di sciroppo, il ladro si è dato alla macchia senza chiedere nemmeno un penny. Ironicamente – racconta Abc – il volto del rapinatore è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza del ristorante ed è stato facilmente identificato. Per lo stesso motivo per cui era cominciato tutto: il genio non indossava la mascherina.

 

Belgio La signora Robertina, 98 anni, ogni sera si scola dai 12 ai 20 bicchieri di birra: “Non mi sono mai ubriacata”
Recita la famosa battuta di Woody Allen: “Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto”. In ossequio ha questa filosofia di vita, la signora Robertine Houbrechts del villaggio belga di Muizen non ha mai smesso di alimentare il suo vizio preferito: a 98 anni beve birra, e lo fa come una betoniera. Ogni sera nel suo pub di quartiere ha l’abitudine di scolarsi tra le 12 e le 20 pinte di Jupiter, uno dei più famosi marchi brassicoli locali. Parola del proprietario del locale. Lei li chiama “fischietti”, sono bicchieri stretti e allungati da 33 cl: un po’ meno delle nostre “birre medie”, per capirci, ma comunque una performance alcolica di altissimo livello. Per la signora Robertine la birra belga è un elisir di lunga, lunghissima vita. E non si ubriaca mai: “Ogni tanto mi gira un po’ la testa – scrive il sito locale Het Laatste Nieuws – ma credo sia colpa della vecchiaia. Il dottore non è preoccupato, dice che posso continuare a bere. Se non mi ha fatto male fino a oggi…”.

Dalla “A” fino alla “Z”: l’Italia superflua con SuperMario

Superfluo non vuol dire scomparso né inutile. Sono le questioni e le persone che non rilevano più, non si ricordano più. Un breve e provvisorio catalogo del superfluo dell’era Draghi.

A (Autostrade, Arcuri). Il ponte di Genova è stato ormai ricostruito e coloro che avevano provocato il disastro sono rientrati nello spirito dell’unità nazionale. Il 3 febbraio scorso Atlantia ha festeggiato il nuovo corso con un balzo in borsa del 5,3%. Anche il commissario Domenico Arcuri, fino a ieri essenziale, diventa ininfluente. Sta lì ma è come non ci fosse. Se la vedrà Draghi.

B (Berlusconi, Bettini). Ambedue ex costruttori, destineranno altrove le loro riflessioni. Silvio in Provenza e Goffredo in Thailandia.

C (Calenda, Casalino). Il ghigno efficientista di Carlo Calenda, com’è chiaro, non risulta più decisivo. Ne risentirà anche Twitter, ex sua gioiosa macchina da guerra. Uguale sorte tocca a Rocco, e infatti: Rocco chi?

D (Di Maio). Il ministero di Luigi si fa mistero e la sua leadership nuvola bianca. Resiste la cravatta però.

E (Embraco & Co). Le mille vertenze occupazionali non rilevano perché in contrasto col senso del Recovery. L’Italia è pronta alla sfida e non ha voglia di guardarsi indietro.

F (Franceschini, Feluche). Franceschini, una passionaccia per le geometrie del gioco politico, si trova scavalcato al centro nientemeno che da Mattarella. Ubi maior minor cessat. Anche la diplomazia nell’era Draghi sarà sfaccendata. Lui, benché non l’abbia ancora annunciato, è pure ministro degli Esteri.

G (Goldrake). L’ufo robot che prima ci teneva incollati alla tv è ricordo del Novecento e dell’era analogica. Ora, con il digitale, Colao Meravigliao.

H (Acca). Non vale un acca. O anche “scappati di casa”. Oppure “bibitaro” piuttosto che “incompetenti”. Definizioni inattuali visto il mondo nuovo.

I (Inettitudine). Anche in questo caso il termine situazionista diviene non solo cognitivamente ostruttivo ma superato dalla realtà. L’efficiente può mai essere inetto? Con Brunetta alla Pubblica amministrazione la musica cambia da così a così.

L (Lombardia). Nessuno s’azzardi più a parlare della Lombardia come della pietra angolare della incompetenza nel tempo della pandemia. È stata pure aggiunta una elle (Letizia) al nome della regione.

M (Mortacci!). Esclamativo e dileggiativo in uso a Roma. Draghi privilegia, se proprio deve far ricorso allo spregiativo, alcune locuzioni imparate a Francoforte. Questione di stile.

N (Negazionista, Neutrino). Nessuno nega più il valore dell’Europa, il valore dei vaccini e il valore di Maria Stella Gelmini.

O (Oligarchia). Il governo dei migliori non è minimamente accostabile alla dimensione oligarchica. Siamo in democrazia e come si è visto anche il peggiore può diventare migliore. Significa che funziona l’ascensore sociale.

P (Populismo, Patuanelli). C’è bisogno di aggiungere altro? È il passato remoto. Per dire: il ministro Patuanelli, già Cinquestelle, sembra uno dell’Udc.

Q (Quaresima). Non è la quaresima, cioè l’austerità, ma la crescita, quindi l’abbondanza, il nuovo obiettivo di Draghi. Il premier non a caso ha scelto di illustrare il suo programma nel giorno dell’inizio della quaresima per dimostrare che le capacità terrene possono tener testa anche al divino.

R (Renzi). A Matteo sarà affidato l’incarico di mediare nella crisi politica ecuadoregna. Un primo e decisivo passo per mostrare l’abilità di tessitore. Per l’incarico Draghi prevede un gettone di presenza.

S (Salvini, Sud). L’altro Matteo si ritrova ad essere superfluo benché si ritenga essenziale. Giorgetti gli ha detto: “Come ci hai insegnato vengono prima gli italiani e poi tu”. Con Salvini scompare dai radar anche il Sud.

T (Taranto, Tarantini, Talk show). Risolto definitivamente il caso Tarantini (solo quattro contagiati al suo pranzo di nozze ma nessun legame con Berlusconi che ha avuto il Covid ben prima) resta quello abbastanza spinoso dell’Ilva di Taranto. Visto che c’è bisogno di Pil non è meglio chiudere la città piuttosto che la fabbrica? Altra urgenza: dei talk show che ne facciamo?

U (Ursula). A settembre, con l’uscita di scena della Merkel, Draghi sarà il capitano del consiglio europeo e così potremo fare a meno anche della von der Leyen.

V (Villa Pamphili). Lì gli Stati generali del Recovery. Ora in vendita.

Z (Zingaretti). Anche il Pd è stato affidato a Draghi. E Nicola?

I Migliori già litigano sull’alt allo sci e il nuovo lockdown

Dietrofront sull’apertura degli impianti da sci prevista per oggi: resteranno chiusi fino al 5 marzo. Le varianti dilagano e continuano a preoccupare. Così ieri sera il riconfermato ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il provvedimento che vieta per altre tre settimane lo svolgimento delle attività sciistiche amatoriali. “Il provvedimento – avverte il ministero – tiene conto dei più recenti dati comunicati venerdì dall’Istituto Superiore di Sanità, attestanti che la variante inglese rappresenta una percentuale media del 17,8% sul numero totale dei contagi. Una preoccupazione che ha portato all’adozione di misure analoghe in Francia e in Germania”.

Lo stop alla riapertura arriva al termine di una giornata convulsa segnata dagli allarmi del consigliere del ministro Walter Ricciardi (“Serve un lockdown totale”) e del Comitato tecnico scientifico (“Non si riaprano gli impianti”) che hanno gelato le speranze degli appassionati dello sci e degli operatori del settore alla vigilia delle riaperture degli impianti sciistici. Da oggi, infatti, in base alle indicazioni del Cts del 3 febbraio sarebbe stato possibile riaprire nelle zone gialle. Era tutto pronto: i governatori delle Regioni negli scorsi giorni avevano firmato le ordinanze e i gestori predisposto tutto per rispettare le limitazioni imposte: vendita degli skipass contingentati e impianti al 50%. Ma alle ore 19 la macchina è stata bloccata dal ministro Speranza, non senza polemiche, su consiglio del Cts. “Alla luce della diffusa circolazione delle varianti e dei nuovi dati diffusi dall’Iss, noi sconsigliamo ogni nuova apertura di qualsiasi struttura sciistica. Poi decidano la politica e i governatori”, ha scritto ieri pomeriggio il Comitato rispedendo la palla al mittente. Vale a dire a Speranza che ieri mattina ha chiesto agli esperti un nuovo parere in seguito alla risalita della curva epidemiologica.

Una decisione arrivata con pochissimo preavviso a un settore che, con un giro d’affari mancato da 11 miliardi di euro, è chiuso da marzo 2020. “Abbiamo messo in sicurezza gli impianti, assunto personale e venduto skipass. Come si può arrivare a qualche ora dalla ripartenza a fermare l’intero comparto?”, si domandano i gestori degli impianti. Il nuovo stop allo sci si è già trasformato in una grana per il premier Mario Draghi. I ministri leghisti, Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Massimo Garavaglia (Turismo) chiedono di dare la “priorità assoluta ai 4,5 miliardi di ristori per la montagna, finora dimenticata”, allineandosi al Carroccio che chiede “un cambio di squadra a livello tecnico, da Ricciardi a Domenico Arcuri”, mentre Italia Viva parla della necessità di risposte “immediate e chiare”. L’assessore al Turismo della Regione Lombardia, l’ex sciatrice Lara Magoni, parla di un governo con un “rimpasto di incapaci”. A opporsi allo stop anche i governatori di Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e il coordinatore della commissione Turismo della Conferenza delle Regioni.

Ma non è solo una questione di sci. L’incubo delle varianti fa paura a tutta l’Italia. E il prof. Walter Ricciardi torna a chiedere un “lockdown totale che preveda anche la chiusura delle scuole facendo salve le attività essenziali”. “Tutte le varianti del virus sono temibili e ci preoccupano ma, in particolare, quella inglese risulterebbe essere anche lievemente più letale e sta facendo oltre mille morti al giorno in Gran Bretagna”, ha spiegato ieri il consigliere del ministro Speranza. A fronte di questa situazione di “pericolo – ha aggiunto – alcuni Paesi hanno già optato per la chiusura drastica. L’Italia è in ritardo, penso avremmo dovuto prendere misure di chiusura già 2 o 3 settimane fa”.

Intanto, nel giorno di San Valentino, il segnale che arriva dall’Italia è lo stesso dei precedenti weekend: ristoranti sold out, turni serrati per pranzare, ma anche folla nelle strade, assembramenti e multe. A Roma gli agenti hanno dovuto chiudere temporaneamente la Fontana di Trevi a causa del gran numero di persone presenti. Traffico paralizzato nelle strade centrali di Napoli, con parte della città che si è trasformata in arena per la movida. Ristoranti aperti in Liguria anche se è arancione e calca sul lago di Como, meta di tantissimi visitatori. Ieri sono stati 11.068 i positivi al Covid, 221 le vittime. Sono stabili i numeri dei ricoverati con sintomi(-51), mentre le terapie intensive – a fronte di 126 ingressi in un giorno – fanno registrare un saldo di +23 posti letto occupati.