Lega all’attacco: ora vuole le teste di Ricciardi, di Arcuri e del Cts

Il nuovo Matteo Salvini europeista e moderato non ha perso del tutto il vizio, ieri ha aperto il primo fronte polemico con i suoi alleati nel governo Draghi. Il più recente cavallo di battaglia della Lega è chiaro: aprire, aprire, aprire (come diceva Salvini esattamente un anno fa, prima di cambiare idea continuamente, mentre la crisi del Covid prendeva la fisionomia di una piaga storica).

I neo-aperturisti della Lega hanno puntato il loro scalpo: Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza. Visto che il bersaniano è stato confermato al suo posto anche da Draghi, Salvini e i suoi se la prendono con i suoi più stretti collaboratori e con il comitato tecnico scientifico. Il primo colpevole di aver evocato un nuovo “lockdown totale e immediato”, i secondi di aver sconsigliato la riapertura degli impianti da sci (scelta poi adottata da Speranza, che ha rinviato ancora tutto al 5 marzo).

Salvini ha aperto le ostilità nel pomeriggio, ospite di Lucia Annunziata su Rai Tre: “Prima di terrorizzare gli italiani – ha detto, riferito a Ricciardi – fai il favore di parlarne con il presidente del Consiglio. Non ci sta che un consigliere una domenica mattina si alzi e senza dire nulla al suo ministro o al premier parli di una chiusura totale”. Poi ha aggiunto una stoccata al Cts: “Non possono dire ogni volta cose diverse, non ne possiamo più di aprire e chiudere”. Le parole più pesanti, Salvini le ha fatte dichiarare ai suoi capigruppo, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo: “Non si può continuare col ‘metodo Conte’, ad opera del trio Ricciardi-Arcuri-Speranza. Serve un cambio di squadra a livello tecnico”. Parole chiare: il ministro è stato confermato, ma gli altri due per la Lega devono saltare. Draghi che risponde?

“Governo con B.&Salvini, non avrà la mia fiducia”

L’assemblea nazionale di Sinistra Italia ha appena detto “no” al governo Draghi e il deputato e segretario Nicola Fratoianni la spiega così, senza tanti giri di parole: “Questo governo è un pasticcio, spostato a destra e voluto dai poteri forti per mettere le mani sui 209 miliardi del Recovery Plan. Per questo andremo all’opposizione”.

Onorevole Fratoianni, perché il governo Draghi non vi piace?

Voteremo no per due motivi. In primis perché in questo governo c’è tutto e il contrario di tutto. Non si può governare con la destra nazionalista della Lega e con la destra economica di Forza Italia. Inoltre la lista dei ministri, fatte salve alcune personalità, è pessima: a Salvini vanno ministeri di spesa importanti mentre a FI dicasteri come la P.A. a Renato Brunetta e le Regioni a Mariastella Gelmini che ci fanno tornare indietro a un brutto film di 15 anni fa. È uno spostamento a destra preoccupante. E poi non ci convince il metodo con cui siamo arrivati a questo governo.

Ovvero?

L’omicidio premeditato del governo Conte è frutto di un’operazione chiara: indebolire l’alleanza Pd-M5S-LeU e impedire che quell’esecutivo gestisse i fondi europei.

Chi ci sarebbe dietro a questa operazione?

Senza cadere nel complottismo, non ci sono dubbi che a far cadere il governo Conte sia stato un intreccio di interessi politici, economici e finanziari. Ci sono forze che hanno agito prima a destabilizzare e poi a far cadere il governo.

Per ottenere cosa?

È in atto una restaurazione, un tentativo di normalizzazione rispetto al Conte II, considerato una parentesi della storia. Io credo che l’esperienza del governo Conte vada mantenuta per il modo con cui ha difeso i più deboli. Tant’è che una delle polemiche più forti contro Conte è stato l’assalto all’assistenzialismo, ovvero le idee della Confindustria di Bonomi secondo cui bisognava smettere di spendere soldi per chi “sta sul divano” con l’obiettivo di dare meno diritti ai lavoratori e più soldi alle grandi imprese. Io invece penso che difendere i più deboli sia il nostro valore cardine con misure come il reddito di cittadinanza. La sinistra, se vuole svolgere la sua funzione, deve saper dire anche dei no.

Ora farete opposizione con Fratelli d’Italia.

Sì, ma da due visioni opposte pronti a votare i provvedimenti che servono ai cittadini. Siamo per la proroga del blocco dei licenziamenti e va rimessa al centro la questione meridionale. Sul fisco bisogna insistere sulla redistribuzione del reddito con un’imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze rilanciata anche da Grillo.

LeU però sosterrà Draghi. Ci sarà una scissione?

No, non lascio il gruppo parlamentare. Rivendico il diritto a dire “no” ma non è detto che ogni scelta diversa debba diventare una guerra interna: il nostro avversario resta la destra. E dobbiamo rilanciare la coalizione giallorossa.

Come?

Chiedo a Zingaretti e al M5S di vederci per andare insieme alle amministrative e costruire una coalizione forte che si contrapponga alla destra unita. E soprattutto mi auguro che Giuseppe Conte continui a stare in campo e abbia un ruolo da protagonista in questa alleanza.

Conte, l’ultimo post batte tutti i record della politica social

Quasi un milione e 200mila reazioni, 310mila commenti, 135mila condivisioni. Il post su Facebook con cui Giuseppe Conte ha chiuso il suo mandato alla presidenza del Consiglio, anche ieri ha continuato a scaricare il contatore di “like” e interazioni e ha raggiunto cifre senza precedenti nella comunicazione politica italiana.

In questi casi è sempre opportuno un disclaimer: i “mi piace” non sono voti e la popolarità social non è sempre sinonimo di consenso politico. Ma dal punto di vista strettamente statistico quello pubblicato sabato dall’ex premier è il messaggio di maggior successo nella storia della politica italiana su Facebook, con notevole distacco sugli altri. Nessuno aveva nemmeno sfiorato cifre di questa entità.

Finora il messaggio con più apprezzamenti e condivisioni apparteneva ancora a Conte ed era quello pubblicato il giorno di Pasqua 2020, in una situazione politica ed emotiva molto diversa, con l’Italia in lockdown totale. Gli auguri dell’ex premier avevano raggiunto 418mila “mi piace” e 700 mila interazioni totali tra reactions, commenti e condivisioni.

Il post di sabato Conte ha più che raddoppiato questi numeri. Per dare un’idea delle proporzioni ieri il messaggio di Conte su Facebook era quello con più interazioni nelle ultime 24 ore non solo in Italia ma a addirittura a livello globale, come ha notato su Formiche lo spin doctor Domenico Giordano (in seconda posizione c’era un post della Bbc, mentre il presidente degli Usa Joe Biden, con un bacino d’utenza incomparabilmente più alto, era quarto).

I numeri complessivi – ma ancora in aggiornamento – li ha condivisi ieri pomeriggio Dario Adamo, il social media manager di Conte, con il sito Mashable Italia: le persone totali raggiunte dal messaggio dell’ex premier sono oltre 11 milioni, le interazioni totali sono più di 5 milioni. Cifre completamente fuori scala rispetto all’utenza degli account politici italiani.

Conte esce da Palazzo Chigi quindi non solo con buoni indici di popolarità nei sondaggi ma raggiungendo il livello di efficacia comunicativa più alta sulle piattaforme digitali. Paradossalmente a sostituirlo alla presidenza c’è un personaggio pubblico che non ha mai frequentato nemmeno una piattaforma social in vita sua, come Mario Draghi: d’altra parte lo stesso Conte ha aperto Facebook e gli altri account all’inizio del suo mandato, due anni e mezzo fa. Oggi il politico con il pubblico più ampio su Facebook è ancora Matteo Salvini (4,4 milioni di followers, quelli di Conte sono 3,7) ma il leader leghista e la sua tanto declamata “Bestia” non si sono mai neppure avvicinati a questo livello di traffico sui contenuti, nonostante uno stile molto più aggressivo e spregiudicato.

Cosa farà Conte con questo bottino di consenso virtuale e con il suo corrispettivo reale non è ancora chiaro, di certo suona ancora come una beffa e una rara anomalia la destituzione di un presidente del Coniglio che godeva ancora di eccellente “salute” politica.

Tra i 310mila commenti al suo messaggio di commiato da Palazzo Chigi spiccano quelli di moltissimi esponenti del Movimento Cinque Stelle e anche di un “ex” come Alessandro Di Battista (“Sei stato anche troppo Signore. Buon vento Presidente”). La collocazione naturale dell’ex premier sembrerebbe la guida del M5S, che però intanto è entrato nel governo del suo successore.

Draghi ha un problema: avanza il fronte del no tra 5Stelle e Leu

Due giorni per mediare e trovare un “punto di caduta”, come lo chiama il capogruppo al Senato Ettore Licheri. Altrimenti mercoledì, giorno del voto di fiducia del governo Draghi, sarà scissione. E per evitarla nel M5S, che ieri ha vissuto un’altra giornata di psicodramma interno, c’è chi invoca l’intervento di Beppe Grillo. La partecipazione del garante alla prossima assemblea congiunta potrebbe essere risolutiva. Almeno per provare a ridurre al minimo la fuoriuscita di parlamentari che, secondo i rumors delle ultime ore, arriva a quota 40 tra Camera e Senato. A Palazzo Madama sarebbero addirittura 30 i senatori pronti a votare no.

La decisione di Grillo di non far ripetere il voto su Rousseau, come chiesto da Barbara Lezzi e da molti attivisti, sta facendo da denotatore anche se non è escluso che alcuni di loro alla fine possano “rientrare” se premiati con posti di sottogoverno. Alla Camera i ribelli invece sono una decina per un totale di 40 parlamentari ribelli. Intanto ieri sera Grillo ha mandato un messaggio via Twitter per ridurre il dissenso.

Il garante ha pubblicato un’immagine di Draghi riprodotta più volte in stile Andy Warhol con una didascalia emblematica: “Now the environment. Whatever it takes” (Adesso l’ambiente, ad ogni costo). La citazione ricalca la famosa frase dell’ex presidente della Bce che nel 2012, con questa formula, salvò l’euro. Oggi Grillo, con le dovute proporzioni, vuole “salvare” l’ambiente con il ministero della Transizione Ecologica di Roberto Cingolani ma soprattutto l’unità del Movimento che su questo tema può ricompattarsi. Anche Davide Casaleggio, con un post su Facebook, prova a evitare la rottura: “In questi giorni ho ricevuto migliaia di messaggi sulla mancata costituzione del Superministero. Se non sarà possibile sottoporre un nuovo quesito agli iscritti è importante non creare una divisione parlamentare”. Per questo Casaleggio auspica che “chi si sente a disagio” scelga l’astensione.

Ma nella pancia del M5S la spaccatura resta. Mercoledì alle 10 Draghi farà il suo discorso programmatico a Palazzo Madama e nel voto di fiducia si capirà quanti parlamentari si staccheranno, mettendosi di fatto fuori dal M5S. Sicuri, al momento, sono tre: ieri il deputato Pino Cabras e il senatore Mattia Crucioli hanno annunciato a Radio Popolare che voteranno “no” al governo Draghi e al Senato anche Emanuele Dessì non voterà la fiducia. “Noi a Berlusconi non gli rispondevamo nemmeno al telefono – spiega Dessì –Poi abbiamo avuto una diminutio sui ministeri: qualcuno ha preferito mettere davanti i propri interessi a quelli del Movimento”. Un senatore è amareggiato: “Mercoledì muore il Movimento per come l’abbiamo conosciuto”.

Così nelle ultime ore è intervenuto il reggente Vito Crimi per placare gli animi in due assemblee nel giro di 24 ore. Sabato sera ha spiegato che “non ci sono state trattative sui ministri” e che ha scelto tutto Draghi. Ieri invece, durante la riunione dei senatori, si sono fatti sentire Dessì e Danilo Toninelli che si è detto “estremamente deluso”. Poi ci sono gli indecisi – che potrebbero astenersi – e chi voterà “sì” per rispettare il voto su Rousseau ma non è soddisfatto: “Questo governo Frankenstein non è del M5s – spiega il senatore Gianluca Ferrara – Ma io rispetto il voto degli iscritti”. Crimi ha ribadito che “il voto sulla piattaforma c’è stato e va rispettato”. Come dire: chi vota no è fuori.

Intanto all’opposizione a Draghi, insieme a FdI, ieri si è aggiunta anche Sinistra Italia provocando la spaccatura dentro LeU che voterà “sì” riconfermando Roberto Speranza alla Salute. L’Assemblea Nazionale di SI ha votato a maggioranza per il “no” all’esecutivo (122 favorevoli, 16 contrari e 4 astenuti). Ma il partito si è spaccato e due parlamentari su tre, Loredana De Petris e Erasmo Palazzotto, voteranno la fiducia al governo. L’unico “no” è di Nicola Fratoianni secondo cui questo non è un governo “dei migliori” ma “di destra”. De Petris e Palazzotto invece ritengono “controproducente” l’idea di stare all’opposizione e voteranno “sì” per “difendere quello che è stato fatto dal Conte bis”.

Ma mi faccia

Salaria Nord Village. “Proporremo a Draghi il modello Bertolaso” (Matteo Salvini, segretario Lega, 8.2). Le massaggiatrici chi le porta?

Riserva indiana. “Salvini rimane un avversario, alleati solo per l’emergenza Covid. Avremo un esecutivo con metà posti riservati alle donne, ne sono sicura” (Laura Boldrini, deputata Pd, Stampa, 9.2). “Il piano di Draghi. Solo ministri tecnici” (Giornale, 8.2). Fassino, è lei?

Niente diktat. “Lo stupore di Draghi per i diktat dei partiti che non accetterà” (Tommaso Ciriaco, Repubblica, 9.2). “Draghi dice no ai partiti: decido io su tasse e ministeri” (Giornale, 10.2). Quindi Brunetta, Gelmini, Garavaglia, Giorgetti e Stefani li ha voluti lui?

Il Re Taumaturgo. “Prepotenza del sorriso. Il Cav. Torna dopo un anno di assenza. Per Draghi. Cronaca di una rentrée da taumaturgo” (Salvatore Slurp Merlo, Foglio, 10.2). “Berlusconi cade in casa: ricoverato a Milano per una contusione al fianco” (Repubblica, 11.2). Medico, cura te stesso.

Sinceri democratici. “Storia di Vito Crimi, l’orsacchiotto che voleva fare il ministro… Adesso scegli la cravatta giusta, Vito. E ricordati di chiedere una foto. Con Draghi, non ti ricapita” (Corriere.it, 5.2). Ma vergognatevi.

Crimi e misfatti. “Il MoVimento già durante le consultazioni aveva rappresentato che l’unico governo possibile sarebbe stato un governo politico. Pertanto non voterà per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi” (Vito Crimi, capo M5S, Facebook, 2.2). Ecco, pertanto.

Movimento 5 Banche. “Mi aspettavo il banchiere di Dio, invece Draghi è un grillino” (Beppe Grillo, Youtube, 9.2). Pensa se fosse stato pure anti.

Il baluardo. “Così possiamo impedire che centrodestra e Renzi prendano il sopravvento” (Nicola Zingaretti, segretario Pd, Corriere della sera, 13.2). Governando con loro.

I due Matteo. “Ha detto Salvini che non farà mai un governo con me neanche a pagamento. Matteo, tranquillo: io con te nemmeno gratis – #neuro” (Matteo Renzi, segretario Iv, beccato da @nonleggerlo, 30.5.2018). “Io al governo con Renzi? Ma neanche se mi offrissero di fare il re del mondo. Mai nella vita” (Salvini, beccato da @nonleggerlo, 20.10.2019). Magda, lo vedi che è reciproco?

Tutto d’un prezzo. “Un governo di salute pubblica, di unità nazionale di cui faccia parte anche Salvini? Lo escludo totalmente”. “Anche se venisse Draghi?”. “Anche se venisse Superman, guardi!” (Andrea Orlando, vicesegretario Pd, Otto e mezzo, La7, 12.1). Parola del neoministro del Lavoro del governo Draghi di cui fa parte Salvini.

L’economista. “Il punto decisivo per la rottura? Tanti. Ma su tutti il Mes” (Renzi, 15.1), “Non voterò mai un governo che con 80mila morti non prende il Mes” (Renzi, 17.1). “La positiva conclusione della crisi di governo rende meno conveniente i prima l’attivazione del Mes” (Renzi, Sole 24 ore, 12.1). Gliel’han detto alla Lidl.

Come passa il tempo. “Renzi mi ricorda il Fanfani degli anni 50” (Carlo De Benedetti al Corriere della sera, 14.11.14). “Renzi è un fuoriclasse. Ha quattro doti straordinarie: è un eccellente politico, ha una prontezza straordinaria, ha un’empatia e una comunicazione non comuni” (De Benedetti, Che tempo che fa, Rai1, 30.11.14). “Renzi? Un disastro” (De Benedetti, editore di Domani, Otto e mezzo, 18.9.20). “Renzi? Ha esacerbato il suo bullismo” (De Benedetti, ibidem, 20.1.19). E le soffiate sui decreti non arrivano più.

L’umarell. “Grazie a Renzi abbiamo Draghi: riparerà i danni dell’incubo Conte” (Lamberto Dini, ex premier, ex ministro, ex fondatore di Rinnovamento Italiano, Riformista, 12.2). Con 11 ministri su 22 usciti dal governo Conte.

I territori. “Conte in corsa a Siena? Sbagliato scavalcare i territori. Non c’è nulla di personale, ma la Toscana non può essere considerata un bacino di voti” (Simona Bonafé, eurodeputata Pd, Repubblica, 10.2). Parola di una nata a Varese, assessora a Scandicci (Fi), eletta deputata in Lombardia ed eurodeputata in Toscana, a proposito delle suppletive a Siena per sostituire il deputato-banchiere Padoan, nato a Roma da famiglia piemontese e cresciuto a Milano, già docente a Bruges, Varsavia, Urbino, La Plata, Bruxelles e Tokyo.

Come s’offriva. “Disponibile a fare il ministro” (Emma Bonino, leader +Europa, Repubblica, 8.2). E pazienza, è andata così. Però restano sempre una cinquantina di sottosegretari.

Il titolo della settimana/1. “La rivincita della Costituzione” (Michele Ainis, costituzionalista, Repubblica, 12.2). Anzi, mi correggo: questa è la battuta dell’anno.

Il titolo della settimana/2. “L’anno scolastico durerà di più” (Messaggero, 9.2). Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla croce e anche gli uccelli faranno ritorno; ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno.

Le faccende di casa fanno tendenza

Che l’ordine ha un “magico potere” lo sanno tutti dai tempi di Marie Kondo e del suo Feng Shui per casalinghe e casalinghi moderni, diventato un best seller internazionale (da noi nel 2014 con il titolo Il magico potere del riordino). In pochi sanno, però, che questo “potere” può estendersi fino a catturare l’attenzione, e gli sguardi, di migliaia di utenti di internet. Le “faccende” domestiche sono “trendy”: nel senso che fanno tendenza sui social e su YouTube, dove risultano avere un certo successo video di persone, essenzialmente ragazze giovani e in forma, che si riprendono mentre fanno le pulizie di casa, raccontando a fan i loro trucchi e le loro preferenze.

La nuova declinazione di “viralità” scoperta dagli autori e autrici di questi video (che riecheggiano certe televendite di aspirapolvere degli anni 90) si riassume nella sequenza tra un pavimento, un bagno o un angolo cottura che appare prima sporco e ingombro di ogni cosa, e poi viene rimesso a lucido in un tempo relativamente breve, con l’aiuto del timelapse e l’accompagnamento di una musica motivazionale, oltre a spiegazioni in voice over.

Partendo da qui, le produzioni spaziano dal genere un po’ catastrofico dell’“Oh my god!, come farò per mettere a posto questo disastro?”, fino a quello, più commercialmente interessato, del “Vi racconto cosa conviene usare per…” far brillare questa o quell’altra situazione casalinga. Negli Usa il fenomeno è stato indagato dal New York Times, che ha scovato la regina delle influencer da manico di scopa. Si chiama Jessica Tull, 31 anni californiana, ha inventato il format “Clean with me”, “pulisci con me”: 509 mila iscritti al canale su YouTube e video da mezz’ora che fanno 3 milioni di visualizzazioni. Ha iniziato un paio d’anni fa e, racconta, adesso guadagna cifre a sei zeri lavorando 40 ore a settimana con un team dedicato, soprattutto sul lato della pubblicità. Tutti a guardarla mentre rassetta il letto e passa l’aspirapolvere. Ma poi la parte più importante, come sempre in tema di influencer, è la recensione/lancio di prodotti.

Anche alle nostre latitudini si trovano canali come quello di Sarahomejolie, che offre video di “pulizie motivazionali” e recensioni di detersivi. La seguono in 21 mila. Tra i top di gamma c’è l’Armadio di Grace, di Erika Grazia Lombardo. La sua pagina è associata all’attività di consulenza come “professional organiser” di interni, spiega, e fa 305 mila follower. A luglio ha pubblicato un libro con Rizzoli intitolato La casa leggera. Con la vita che si sposta sempre più dentro casa, supereranno i blogger di viaggio?

Lo scrittore per ragazzi si è prestato al Kamasutra

Con il Covid-19, e varianti, non si conoscono più né santi né Madonne, si stravolgono Pasqua e Natale, Capodanno ed Epifania. Non si salvano neppure il Festival di Sanremo e meno che mai il giorno di San Valentino, la festa degli innamorati che dovrebbe essere all’insegna degli incontri assai ravvicinati, ora così sconsigliati. Forse è anche per questa ragione, del tutto comprensibile, che Roberto Piumini, classe 1947, narratore, poeta, traduttore e autore apprezzato anche e soprattutto di numerosi libri per bambine e bambini, nel bel mezzo della maledetta pandemia, ormai quasi immemore è costretto a domandarsi: “Chi inventò il bacio, quello fondo,/ che muove lingue più della parola, / che dà saliva più del sale caldo / e giri al sangue più del rosso vino?”.

Già. Chi inventò il bacio? Ce lo siamo scordati, per non parlare del resto che segue al bacio. Come abbiamo dimenticato, fra un Covid e l’altro, l’ars amatoria di Ovidio e gli epitalami di Catullo. Così Piumini ha deciso di festeggiare comunque San Valentino alla sua maniera, cioè liricamente ma non solo. Lasciando da parte per un po’ le sue storie per i più piccini, come le Gatte Cenerentola e affini, ha composto invece un centinaio di poesie erotiche. Sono come “un piccolo Kamasutra su modi, strategie, andature del corteggiamento e del piacere”, e danno vita a Il rosso amore. Cento poesie erotiche (Interlinea). La silloge dell’erotismo letterario al tempo del virus viene presentata come “mai volgare”, ma ricca “di sensualità ed eleganza”. Un libro, si sostiene, “che farà battere anche gli animi più castigati”. Ovvero (per esempio) con versi del genere: “e poi ti bacio e assaggio mentre ridi, / e poi ti salgo sopra, e tu già gridi”.

Non è noto, perlomeno ancora, se gli animi pudichi e quelli più arditi fremeranno con i versi di Piumini. Alle amanti, e agli amanti, l’ardua sentenza. Certo è che lo scrittore lombardo (di Edolo, in provincia di Brescia) è uno dei pochi che non hanno timore di celebrare in poesia il “sesso, scatenato gondoliere”, come recita un suo verso, in tutte le svariatissime declinazioni e posizioni. “E tuttavia continua”, scrive, “per favore:/ se non ha suono io farò canzoni,/ inni solenni e multipli mottetti”.

La poesia italiana, la nostra letteratura, non hanno una grande tradizione in materia – per così dire – sessuale. Assai troppo pudica, o troppo tesa a mascherare, a velare, a fare intuire, cattolicamente parlando, ma non a dire. E quando qualcuno provò a cimentarsi, per restare agli ultimi decenni del Novecento, dal “Cazzo cazzo cazzo” di Porci con le ali di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera a Io e lui di Alberto Moravia, si tuonò allo scandalo. Senza dimenticare le sforbiciate della censura di Stato, da Pier Paolo Pasolini a Henry Miller tradotto in italiano.

Piumini non è di quella schiera. Lui dice, insomma, pane al pane e vino al vino, e sesso al sesso. E scrive: “e scosti con le dita quella fitta / giungletta che offusca la fessura”. I suoi “fiori d’amore al corpo e alla mente” sbocciano, senza paura, come Dio li ha fatti: “le gambe sono ante di un’icona / che sa di miele, sangue, rosa, sale, / portici schiusi della sacra zona / da cui scende grazia universale”.

Troppo eccessivo? Che cosa dire allora di questi versi: “..succhiando / golosamente la sua gioia tesa”? O che pensare di quando l’affabulatore Piumini rammenta (di una donna e di un giornale chiesto in prestito): “Lo aprii piano: tra l’editoriale / e un taglio di politica noioso / c’era il bel blu delle tue mutandine”? E che commentare, ancora, dopo avere letto: “Fammi vedere come fai da sola, / quando ti vien voglia di piacere, / con quali gesti, con quali parole, / con quali occhi e tocchi / fa’ vedere”?

A qualcuno, leggendo queste liriche, magari verrà in mente il Taccuino di un vecchio sporcaccione di Charles Bukowski, ma più per il titolo che per lo scrittore americano. E almanaccherà di fantasie erotiche senili, di un piccolo Pornhub in versi, di solitudine (da Covid o meno) consolata da memorie licenziose di altri tempi e di altre prestazioni. Niente di tutto ciò, tuttavia, corrisponde al vero, ossia alla poesia raffinata di Piumini per questo San Valentino da zona arancione o rossa (non red lights, però). Il suo Kamasutra poetico, diretto ma non greve, in fondo non è che un invito forte a vivere e ad amare, nonostante tutto, alla faccia del Covid e di tutto il resto: “giochiamo al dottore, / non a quello condotto, generale, / (…) giochiamo a molto più di quel che pensi”.

“Bische, poesia, mitomani e viaggi: ho un rapporto sessuale con la mia vita”

La prima uscita in macchina con il padre terminata alla prima curva con tanto di bernoccolo, sangue, occhiali rotti e l’arrivo della mamma in taxi.

La storia d’amore – platonica – con una prostituta; una storia d’amore breve, vissuta, dove il non detto era talmente denso, vero e lucido, da restare tale.

La scoperta del palco, della televisione, i tre mesi a Torino, Enzo Trapani tra il sogno di nuova tv da inventare e la realtà racchiusa dentro una pistola posizionata davanti a sé.

E ancora Francesco Nuti sulla tazza del gabinetto, Massimo Troisi già malato, o una pletora di mitomani, a Roma definiti anche “coatti antichi”, protagonisti delle bische anni Settanta.

Sono alcune delle storie raccontate da Carlo Verdone nel suo ultimo libro, La carezza della memoria; un libro che più di ogni suo film rivela chi è Verdone, i suoi inizi, i dubbi, le paure, le certezze, la tenacia, la perenne curiosità per la vita, per ogni sfumatura pratica ed emotiva.

Non è una semplice raccolta di ricordi, di autocelebrazioni, di aneddoti, di nomi illustri sui quali costruire una narrazione epica; non è un libro di pettegolezzi, ma di cuore e anima, un viaggio anche dentro la Roma lontana dalla Banda della Magliana, del sottoproletariato, dei giovani sedotti dalla poesia e richiamati da un celebre festival organizzato a Ostia nel 1979 e finito in un disastro.

È un libro in stile Compagni di scuola, dove si ride e si piange, dove commedia e tragedia si guardano negli occhi.

Come nasce?

Esattamente nel primo giorno di lockdown: ero solo in casa, quindi decido di mettere in ordine, di affrontare una grossa cassa di cartone sigillata e piazzata in un armadio. Sopra c’era scritto: “oggetti e fotografie da riordinare”, e le aveva raccolte il mio compianto segretario, Ivo Di Persio…

E…

Sopra c’era la sua scrittura, e ho rimandato l’apertura per non affrontare il dolore della perdita; (piccola pausa) quando ho sollevato la scatola non ho tenuto conto della situazione delle mie anche (a settembre si è operato a entrambe). Pesava. Ho avvertito un dolore lancinante tanto da mollare la presa.

Patatrac.

La scatola si è rotta e si sono sparse una miriade di fotografie in bianco e nero, a colori, stampe, lettere, oggetti, appunti, agende telefoniche, rosari, santini; a quel punto mi sono seduto e ho iniziato a esaminare, e ogni foto e oggetto mi ha riaperto dei cassetti delle memoria. Dopo un quarto d’ora ho capito: il contenuto sarebbe stato il tema del libro.

I suoi figli conoscevano queste storie?

No, e non solo loro: quasi nessuno; erano vicende che in qualche modo avevo rimosso, e non so bene il motivo.

Qual è l’effetto di ritrovare certi ricordi?

L’ho intitolato La carezza della memoria perché hanno rappresentato una reale carezza per la mia anima; io che sono una persona che non piange mai, e non è un bene, in questo caso in un paio di occasioni ho sentito le lacrime agli occhi.

Dove?

La storia di Maria (la prostituta) e il viaggio con mia figlia; (cambia tono) la maggior parte del libro l’ho realizzato nella casa di campagna, davanti all’immensa libreria di mio padre, e sullo stesso tavolo da pranzo dove ho scritto Un sacco bello e Bianco, Rosso e Verdone; quel tavolo mi porta fortuna.

È un libro molto intimo, era preoccupato per la reazione dei suoi figli?

No, perché così hanno la possibilità di conoscere il padre da giovane, meandri della mia anima, e per me è un grosso privilegio; (pausa) questo libro è l’assoluta verità, l’assoluta sincerità, ed è la sua forza.

Coraggioso.

È la mia vita; (ci pensa) per capire chi sono qualcuno potrebbe consigliare uno dei miei film, ma non è la stessa cosa: la scrittura consente una libertà assoluta, senza alcuna pressione, senza nessuno che ti indica dove devi strappare una risata, o un momento di riflessione; il cinema è sempre un compromesso tra te e il produttore.

È lei bravo a scrivere o la sua vita è un film? Come nella storia con la prostituta…

Alla fine di quel capitolo ho sentito le lacrime: si è aperto un periodo, un mondo, quegli anni, lei, i patemi d’animo e mi sono reso conto che poteva diventare un bel film romantico…

Il finale è quasi alla Dottor Zivago.

Sì, ma oggi ha più valore: all’epoca avevo solo 23 anni, ed era impossibile approfondire più di tanto, comprendere la poesia, mentre ora è tutto più chiaro, di come quelle ore con lei erano delicate, belle, affettuose, misteriose; è l’età che dà un valore a quello che hai scritto, mentre allora era un patema; non riesco a capire perché avevo rimosso tutto.

Nel libro riporta a una Roma che sembra il lato B di Romanzo criminale.

E non c’era la cattiveria e il cinismo di oggi, ma solo mitomanie veniali che diventavano delle rappresentazioni teatrali (è da lacrime la vicenda del bullo che si abbassa le mutande e si piazza un secchio sul pene eretto per dimostrare la sua forza erotica); il libro è lo stupore di una persona perbene, come mi ritengo, davanti alle proprie emozioni.

Una Roma pasoliniana.

È vero, ma anche da nouvelle vague.

Racconta di Beppe Grillo, e attraverso lui comprende la sofferenza della fama…

Mi colpì una sera, quando lo vidi poco in forma sul palco, e in quel momento era il numero uno; capita a molti, ed è normale quando su trenta giorni hai trenta serate: a un certo punto avverti come un rifiuto ad andare avanti, e vieni avvolto da un po’ di depressione e stanchezza.

Ha smesso quasi subito con il teatro.

È una mia fragilità, e non bisogna aver paura ad ammetterlo; (cambia tono) sarei stato un ottimo attore teatrale, perché non ho mai fallito uno spettacolo, ho sempre riempito le sale, ma avevo l’angoscia di ripetere sempre lo stesso spettacolo. Non lo sopportavo. Mi portava all’esaurimento nervoso. Eppure in ogni rappresentazione cercavo di variare, di improvvisare, con i miei attori terrorizzati che non sapevano cosa stessi combinando; (ci pensa) non ho la mentalità teatrale, dopo la mia ultima recita ho provato la sensazione di essermi tolto un macigno.

Addirittura.

Sul palco davo tutto, ogni sera mi ammazzavo, non sapevo centellinare le forze, non dosavo la voce e dopo quindici giorni ero sistematicamente afono: era uno sforzo sovrumano.

Parla di grande capacità di amministrarsi…

Saper dire novantanove “no” e un sì, perché questo mondo è pieno di tranelli, di proposte che ti possono far sbandare, e sono stato bravo a evitarli, ad azzeccare la situazione giusta, e questa dote forse la devo alla mia famiglia, alle idee molto chiare sul mio lavoro, conoscere i limiti e le forze: ho fatto a meno di tanti soldi ma forse mi sono allungato la carriera.

Sua mamma è sempre sullo sfondo.

È stata l’angelo custode di tutta la carriera iniziale; ogni sera veniva a teatro, per lei era troppo bello vedere il figlio ricevere quegli applausi; si è ammalata dopo due anni e non c’è stato più niente da fare, e se devo dire un grazie a qualcuno per slancio, spinta, incoraggiamento, lo rivolgo a lei.

Mamma la proteggeva da suo padre alle prese con la guida dell’auto.

Papà era un uomo ottocentesco, scriveva con penna e calamaio, e dal punto di vista tecnologico era un disastro: prima di prendere la patente ha tentato più volte l’esame e, ottenuta, ha impiegato cinque anni per riuscire a portare la macchina.

Subito l’incidente.

E mamma ha preteso l’autista e proibito di andare soli con lui; per papà un’umiliazione enorme; (sorride) era bravo solo con la retromarcia e i parcheggi, per il resto una tragedia: doveva nascere in Inghilterra perché andava sempre a sinistra.

Nel libro si definisce un “pedinatore di italiani”.

È un’espressione del critico Natalino Bruzzone che trovo perfetta; sono da sempre alla ricerca dello stupore, di un qualcosa che mi colpisce, di megalomani, di mitomani, poi non sapevo che sarebbero diventati il mio alter ego. Io amo la gente. E questo lavoro puoi portarlo avanti solo se ami il prossimo, se stai in mezzo agli altri, se li vivi.

I fan, nel libro, ritroveranno la genesi di alcuni dei suoi personaggi.

È il racconto di come è nato Oscar Pettinari di Troppo forte, o il bullo di Un sacco bello, Leo, Mimmo, Borotalco.

La fotografia con Nuti e Troisi è storia.

Scattata da Alberto Sordi.

Tre geni.

E non lo sapevamo.

Nuti.

Personaggio particolare: lui era nei Giancattivi, e insieme ad altri comici componevamo il cast di Non stop; per cercare di rompere il ghiaccio gli chiesi un parere su uno sketch. Lui mi fissò un appuntamento nel suo camerino e quando mi presentai non lo trovai. Una sarta mi rivelò che l’aveva visto entrare in bagno. “Francesco, sono Carlo,” dissi, bussando. “Sììì, Carlo”. La porta si aprì. Era seduto sul gabinetto a leggere Tex. “Ti cercavo per il mio sketch”. “Ah già, è vero” replicò senza alzare lo sguardo dal giornalino. “Stai bene?” “Mi girano i coglioni.” “E perché?” “So’ cose nostre… ciao”.

Il guru della trasmissione era Enzo Trapani, sempre con la pistola appresso.

Avevo intuito dei suoi momenti di fragilità, mi chiedeva cosa prendevo per dormire, con lui che assumeva il Librium, che erano pasticche pesantissime, più questa fissa delle armi che utilizzava come degli amuleti; però come pochi capiva chi aveva talento, e con Gambarotta e Voglino ha costituito un trio meraviglioso.

Lei ha una memoria pazzesca.

Ho un rapporto sessuale con la vita: l’ho amata talmente tanto da non farmi sfuggire nulla; nella vita non c’è piattume, ma poesia anche dentro lo scompartimento di un vagone vuoto, così ho vissuto pienamente, da maniaco del dettaglio.

Nella prima pagina ci sono i nomi di Giulia e Paolo…

Tengo talmente tanto a questo libro da averlo dedicato alle due persone più importanti della mia vita, i miei figli, così da fargli conoscere l’anima del loro padre quando ancora non erano nati.

Al Shabaab gioca sul caos: 7 morti

Dopo nemmeno due settimane dall’ultimo attentato, un altro kamikaze si è fatto esplodere a Mogadiscio, la capitale della devastata Federazione somala. Mentre i rappresentanti del frammentato e riottoso panorama politico somalo stavano discutendo nei palazzi del potere per tentare di sbloccare l’impasse causata dalla volontà del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmajo” di rimanere in carica oltre il mandato naturale, un attentatore suicida a bordo di una Toyota si è fatto saltare in aria a un check point. Secondo il portavoce della polizia, Sadiq Ali Adan, ci sarebbero alcuni feriti ma nessuna vittima, anche se alcune fonti sentite dall’agenzia turca Anadolu e poi dall’agenzia Bloomberg sostengono che l’attentato abbia provocato 7 morti e 10 feriti.

Al Shabaab ha rivendicato l’azione attraverso la radio Andalus. L’autista-kamikaze prima di farsi esplodere ha sfidato l’ordine di fermarsi costringendo la polizia ad aprire il fuoco mentre i passanti tentavano di mettersi al riparo dalle pallottole e dall’esplosione.

Quest’ultimo attentato è avvenuto proprio nei pressi della residenza presidenziale e del Parlamento mentre i politici somali cercavano di trovare la quadra sulla calendarizzazione delle elezioni che si sarebbero dovute tenere lo scorso 8 febbraio. Lunedì sono fissati altri colloqui per tentare di arrivare a un accordo definitivo.

In questo vuoto di potere – che la fallita e distrutta Somalia ha conosciuto a più riprese nonostante la fine della guerra civile – il gruppo terroristico islamico Al Shabaab è tornato a colpire più che mai i pochi centri nervosi rimasti nel corpo del grande malato del Corno d’Africa. Al-Shabaab, affiliato di Al-Qaeda, dopo aver conquistato e poi perso Mogadiscio, da qualche anno si è ritirato nelle aree rurali per uscire allo scoperto solo allo scopo di eseguire blitz dinamitardi soprattutto ai check point e negli hotel della “zona verde” dove si riuniscono politici e personalità straniere. I terroristi sunniti somali orfani di Bin Laden hanno sempre provato a spacciarsi per un gruppo di “Robin Hood” in salsa islamica in guerra contro la corruzione dei politici e delle forze dell’ordine, e dalla parte della popolazione. In realtà hanno compiuto decine di attentati che hanno provocato centinaia di morti anche tra i civili, taglieggiano la popolazione rurale e danno la caccia agli stranieri che si trovano nei Paesi limitrofi, ad esempio in Kenya, per prenderli in ostaggio e chiedere ingenti riscatti.

Impeachment, McConnell tira il salvagente a Trump

“Il voto di oggi sarà il modo con cui certamente sarete ricordati dalla storia”. Il capo dell’accusa, Jamie Raskin ha concluso così ieri sera, dopo due ore la sua arringa nel processo di impeachment contro Donald Trump, chiedendo di condannarlo. “Quale America sarà? Dipende da voi, letteralmente”, Ma prove e video non bastano: i democratici fanno un buco nell’acqua: Donald Trump esce indenne anche dal secondo processo d’impeachment intentatogli nel giro di 15 mesi, nonostante vi siano prove “schiaccianti e irrefutabili” che il 6 gennaio abbia sobillato i suoi sostenitori perché dessero l’assalto al Congresso per impedire la convalida della vittoria di Joe Biden nelle elezioni presidenziali. Il processo si chiude più rapidamente del previsto: il sostegno dei repubblicani al loro presidente viene scalfito, ma ci sono più voti del necessario per garantire la sua assoluzione: la condanna richiede una maggioranza dei due terzi. Trump mantiene un’ipoteca sul partito repubblicano.

La quinta e ultima giornata del processo per l’impeachment di Donald Trump era incominciata con un colpo di scena: l’accusa chiede l’audizione come teste a carico di una deputata repubblicana dello Stato di Washington, Jaime Herrera Beutler. La difesa reagisce in modo vivace e minaccia di chiamare a sua volta a deporre “un sacco di testi”, fino a 300, fra cui la vice-presidente degli Stati Uniti Kamala Harris o la speaker della Camera Nancy Pelosi e la sindaca della capitale Muriel Bowser. Herrera Beutler è uno dei dieci deputati repubblicani, su oltre 200, favorevoli all’impeachment di Trump. La deputata afferma che il leader del suo partito alla Camera Kevin McCarthy le riferì che in una telefonata durante l’assalto al Congresso l’ex presidente prese le parti dei rivoltosi. Trump replicò a McCarthy, che gli chiedeva di fermare l’attacco, che gli insorti tenevano all’esito del voto più di lui ed erano “più arrabbiati” di lui. Una frase che confermerebbe che l’allora presidente non aveva nessuna intenzione di fermare l’assalto. La richiesta di ascoltare testimoni è stata accettata dal Senato con 55 voti favorevoli e 45 contrari. Fra i cinque repubblicani a favore, Lindsey Graham, un alleato di Trump, il cui sì, in realtà, anticipava qualche contromossa, anche se le contro richieste della difesa dovevano essere approvate dal Senato. Alla fine, dopo una pausa, s’è trovato un compromesso: la testimonianza della Herrera Beutler è stata letta e non sono stati chiamati altri testi. C’è chi si chiede perché l’accusa non abbia chiamato a testimoniare lo stesso McCarthy. Il leader dei repubblicani alla Camera è nel frattempo venuto a patti con Trump e ha già smentito i contenuti di quella conversazione. Nell’ultimo giorno il verdetto pareva già scontato, soprattutto dopo che il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell ha espresso in una mail ai colleghi l’intenzione di votare contro l’impeachment, pur confermando libertà di voto secondo coscienza. McConnell sposa la tesi dell’incostituzionalità dell’impeachment contro un presidente già decaduto.

La condotta criminale di un presidente può essere perseguita dalla giustizia ordinaria, una volta che ha lasciato il suo incarico. Dal canto suo, Joe Biden diceva d’aspettarsi che i repubblicani si assumessero le loro responsabilità nel processo di impeachment: lo ha riferito la portavoce della Casa Jen Psaki. Le immagini mostrate dall’accusa sono un monito ad agire perché “ciò non possa più accadere di nuovo”.

Il senatore Graham è intanto finito nel mirino dell’inchiesta della procura di Atlanta sulla telefonata con cui l’ancora presidente Trump sollecitò il segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger perché trovasse i voti per ribaltare la vittoria di Biden. Graham avrebbe fatto un’analoga telefonata, suggerendogli di scartare i voti per posta in alcune contee.