Le energie rinnovabili in Italia sono sempre sotto attacco

È ormai chiaro da mesi che l’impiego in Italia delle energie rinnovabili, eolico e fotovoltaico, non si sta affermando nonostante le potenzialità della geografia del nostro territorio, nonostante le necessità e nonostante le capacità tecnologiche delle nostre imprese del settore. I numeri e le percentuali di questa lentezza sono già stati pubblicati a più riprese.

Le vere ragioni vanno ricercate in una burocrazia in merito complicata e nella mancanza di linee guida nazionali che comprendano anche le regole a livello regionale. Lo hanno detto i soggetti industriali del settore, Francesco Starace per Enel, Agostino Re Rebaudengo per Elettricità futura, Simone Togni per Associazione nazionale energia del vento (Anev) e Anie rinnovabili, e lo ha spiegato Legambiente nel suo rapporto “Scacco matto alle fonti rinnovabili”. L’associazione ha dettagliato lungaggini nelle autorizzazioni, disposizioni incongruenti, controversie tra istituzioni, discrezionalità nella valutazione d’impatto ambientale e ostacoli delle sovrintendenze. Bisogna però notare anche altro e non lasciarlo incommentato. Alcuni hanno gettato le responsabilità sui comitati dei cittadini che si sono opposti a localizzazioni nei pressi dei loro luoghi di vita richiamando la stra-usata formula della “sindrome nimby” (Not In My Backyard, “Non nel mio cortile”, ndr). Ma la possibilità di arrestare la crisi ecologica passa necessariamente per l’affermazione di un modello di organizzazione sociale ed economica in cui dimensione locale, scala nazionale e portata globale siano compenetrati. Non si possono ridurre le pratiche di cittadinanza attiva e la difesa dell’ambiente più prossimo a un antimodernismo e a un approccio egoistico e riduzionista. I cittadini sono i primi vigilanti e custodi, di cui una democrazia non può fare a meno. Piuttosto, come ha scritto Legambiente, è la poca chiarezza nei vari passaggi burocratici a causare dell’opposizione delle popolazioni.

Altri hanno parlato di scontro tra l’ambientalismo della tutela del paesaggio e quello della salvezza della terra dal cambiamento climatico. Come se le due cose fossero differenti fino a contrapporsi. Ma natura e paesaggio sono entrambi fondamenti della cultura ecologista. Questo tanto più in Italia dove un gran numero di monumenti straordinari e una natura ricchissima convivono in un territorio dalle dimensioni limitate, dove la tutela dell’ambiente iniziò proprio dalle bellezze artistiche, ossia dal paesaggio, e dove alcuni fondamentalismi della cultura ambientalista mondiale non hanno avuto seguito, nemmeno teorico.

Altri ancora hanno accusato le sovrintendenze di rigidità e di oltrepassare le loro competenze. Ma accusarle per delegittimarle è quanto mai fuorviante. Perché nella storia italiana, dal miracolo economico a oggi, esse sono state spesso le uniche a svolgere un ruolo di baluardo agli attacchi di una politica predatoria del territorio e dei beni artistici, e di un capitale speculativo che ha devastato le nostre città, sfigurato le nostre coste, e attentato alle nostre campagne (il caso delle navi da crociera nel delicatissimo insieme di Venezia è esemplare).

Infine, non deve essere distolto né lo sguardo né il giudizio, e si deve notare come tutto questo crei un rumore di fondo funzionale a deviare l’attenzione dalla necessità di decarbonizzare e di superare l’impiego di vecchie energie. Accade anche in Francia, dove soprattutto l’eolico viene attaccato con il fine non tanto nascosto di rilanciare il nucleare. Non potendo ormai più negare l’emergenza ambientale, si cerca di manipolarla agli occhi dell’opinione pubblica.

*Professoressa di Storia dell’ambiente all’Università Roma Tre

 

Calenda, leader solo di se stesso eppure trattato da Churchill

Carlo Calenda è un personaggio costantemente tragicomico a sua insaputa. Lo è nelle fattezze da fumetto disegnato maluccio, lo è in quel che dice e in come lo dice. E lo è nella sistematica sopravvalutazione che gli altri hanno di lui. In un Paese normale, ogni volta che parla Calenda, al massimo gli verrebbe dato lo stesso peso che merita un tweet di Marika Fruscio. Da noi no: parla Calenda e sembra quasi che abbia proferito verbo Churchill. Lo scorso weekend, alla presenza di se stesso, il tenero Calenda si è incoronato da solo e si è fatto i complimenti per il coraggio. Pare che poi si sia pure incoronato davanti allo specchio per poi invadere la Polonia nel metaverso ascoltando Wagner, ma su questo i politologi si dividono. All’interno della sua divertentissima assise, Calenda ha ovviamente dileggiato chiunque non gli piaccia e ha dettato la linea al mondo. Il solito film: il tenero Calenda ha perso ogni battaglia combattuta, senza spinte generose dall’alto (da lui stesso correttamente ammesse) non avrebbe mai avuto questa visibilità e nell’immaginario pubblico coincide con il personaggio caricaturale interpretato da Crozza. Eppure lui continua a dare consigli a tutti, sentendosi forse (cantava qualcuno) come Gesù nel tempio.

Le sue ultime sparate generano molta ilarità e (di rimbalzo) qualche preoccupazione. L’ilarità è molteplice. Calenda ha detto che porterà il partito al 20% e poi lo lascerà agli altri (poi però si è svegliato tutto sudato). Quindi ha ordinato a Pd, Lega e Forza Italia come muoversi, sebbene Calenda vanti (?) un decimo dei voti dei primi due e un quinto dei berlusconiani. L’uomo che sussurrava ai cigni e prendeva sberle da Martelli ha poi raggiunto l’azimut del delirio quando è arrivato a dire che Renzi è stato il miglior presidente del Consiglio dai tempi di De Gasperi. Per molto meno ho visto gente ricoverata in manicomio, e verosimilmente dopo una frase così anche Basaglia avrebbe vacillato. Il tenero Calenda, forte di quella sua presenza scenica da Moncler contraffatto e di quella dizione coatta da Mario Brega che vorrebbe esser “fero” ma è solo “piuma”, rimane quel personaggio controverso genialmente riassunto da Claudio Martelli: “Calenda resta il cortigiano cafone che è sempre stato. Chi lo conosce lo evita”. Amen.

C’è però anche un elemento tragico, in questo Martufello che si crede Adenauer. Una componente inquietante che non dipende tanto da lui, quanto da chi lo ascolta e gli dà pure credito. A sentirlo parlare, rapiti da cotanta banalità greve, c’erano Giorgetti, Tajani (va be’) e Letta. Ecco: Letta. Il segretario Pd continua a dare per assodata l’alleanza con i 5 Stelle, ma al tempo stesso lavora per inglobare Calenda e Renzi (chiedo scusa per la ripetizione), ovvero due soggetti secondo i quali i grillini sono un mix tra il sottosviluppo mentale e l’Armageddon. Letta, su Calenda, è arrivato a dire: “Sono sicuro che insieme faremo grandi cose per il futuro del nostro Paese, che insieme senza ambiguità vinceremo le Politiche del 2023 e dopo il voto daremo un governo riformista, democratico ed europeista eletto dai cittadini per rendere la politica al servizio del nostro Paese”. Un discorso allucinante, che cela però la solita gran voglia di centro e restaurazione. Di più: l’idea della politica-grappa, dentro la quale – come nel processo di distillazione dell’acquavite – togli la testa e la coda (Meloni e 5 Stelle) e lasci solo il centro. E il centro, qui, è ovviamente un Draghi eterno. Condoglianze.

 

Referendum, i magistrati non vanno giudicati così

Fra i referendum sulla giustizia uno si distingue per il quesito estremamente tecnico e settoriale: volete che a valutare la professionalità dei magistrati siano anche gli avvocati e i professori universitari che fanno parte dei consigli giudiziari? Siccome la stragrande maggioranza dei cittadini non ha la più pallida idea di cosa siano i consigli giudiziari, per cogliere la portata della modifica che si vorrebbe apportare è bene ricapitolare i termini della questione.

I consigli giudiziari, organi territoriali costituiti in ogni distretto di Corte d’appello, e il consiglio direttivo della Corte di cassazione, hanno il compito di formulare, sull’organizzazione interna degli uffici e sulla progressione in carriera dei magistrati, dei pareri che vengono trasmessi al Consiglio superiore della magistratura che poi decide.

Essi sono composti da magistrati eletti dai loro colleghi, a cui si aggiungono quali membri di diritto il Presidente e il Procuratore generale della Corte di appello (o della Corte di cassazione) e, a partire dal 2006, un esiguo numero di avvocati e professori universitari, ai quali però non è riconosciuto il diritto di intervenire sulle valutazioni di professionalità di giudici e pubblici ministeri.

Secondo la proposta referendaria, a esprimere il parere sui magistrati dovrebbero essere anche gli avvocati e i docenti universitari che siedono nei consigli giudiziari e nel consiglio direttivo della Cassazione. In questo modo – si sostiene – le valutazioni saranno più complete e attendibili e potranno essere censurati coloro che lavorano male o hanno atteggiamenti non consoni al loro ruolo.

Posto che è dubbio che i componenti esterni dei consigli giudiziari abbiano finora dato un apporto significativo in tema di organizzazione e funzionalità degli uffici, non pare che la modifica introdurrebbe alcun miglioramento nelle verifiche periodiche sulla professionalità dei magistrati.

Gli avvocati e i professori universitari che sono membri dei consigli giudiziari e del consiglio direttivo infatti rappresentano solo se stessi, poiché non sono selezionati tramite elezioni ma vengono nominati, rispettivamente, dal Consiglio nazionale forense su indicazione dei Consigli dell’ordine distrettuali e dal Consiglio universitario nazionale su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza. Siccome ogni avvocato nel corso della sua vita professionale ha occasione di rapportarsi solo con alcuni magistrati, e anche di questi conosce solo un frammento dell’attività, è difficile immaginare su quali basi gli avvocati e, ancor più, i docenti universitari (che peraltro spesso fanno anche gli avvocati), esprimerebbero un giudizio avveduto su ogni giudice e pubblico ministero.

Quali saranno i parametri con cui un avvocato civilista vaglierà l’operato di un giudice di sorveglianza, che concede e revoca misure alternative al carcere? O con cui un professore di Procedura penale valuterà un giudice che si occupa di testamenti?

Ma anche se gli avvocati e i docenti universitari dei consigli giudiziari venissero diversamente selezionati, o se fosse istituzionalizzata una sorta di preconsultazione della classe forense o dei professori di giurisprudenza per attingere informazioni, c’è il rischio che ad essere elogiati siano non i magistrati più preparati e laboriosi ma quelli maggiormente sensibili alle istanze difensive: i giudici civili supini alle prospettazioni delle parti, i giudici penali che assolvono spesso e volentieri, i pubblici ministeri disponibili a patteggiare pene irrisorie pur di liberarsi di un procedimento.

È vero che anche i magistrati che nei consigli valutano i loro colleghi possono esprimere pareri distorti, dettati da solidarietà corporativa o finalizzati a precostituire carriere dirigenziali, ma hanno a loro disposizione un patrimonio conoscitivo assai più attendibile per formulare giudizi: i giudici operano anche in composizione collegiale; i giudici penali ascoltano i pubblici ministeri parlare in aula e leggono i loro provvedimenti, così come viceversa; i giudici d’appello esaminano le sentenze dei giudici di primo grado. Il sistema è certamente perfettibile, ma la strada perseguita con il referendum non è quella giusta.

*Sostituto procuratore della Repubblica a Torino

 

Mia zia e la sua vicina al centro dello scontro tra Putin e l’Ucraina

Mia zia e la sua vicina, benché in buoni rapporti diretti (tutti i pomeriggi prendono il tè insieme per commentare la puntata di Beautiful appena trasmessa), sono acerrime nemiche sul piano geopolitico e il Donbass (il bacino del fiume Donec, in Ucraina, ricco in giacimenti di carbone zuccherato che, in blocchetti, veniva dato ai bambini cattivi la mattina di Natale, un’industria in crisi da anni) è il nuovo teatro di guerra dove tentano di affermare la propria egemonia per mero puntiglio. Zia sostiene gli ucraini, mentre la vicina appoggia i separatisti filo-russi delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk: nel 2014, quando la Russia invase la Crimea, li fomentò, li armò e li finanziò per conto di Putin. Nonostante gli accordi di Minsk (2015), in Donbass la guerra continua, anche se a fuoco basso. Nelle due regioni ribelli si usa il rublo, si può prendere la cittadinanza russa, e sono bandite la lingua e le feste ucraine: tutte idee suggerite dalla vicina di zia, come quella di fare esercitazioni militari russe al confine bielorusso, ammassando truppe e mezzi come per un attacco imminente all’Ucraina, solo per poter sfottere mia zia dandole della paranoica. Gli analisti concordano sul fatto che la vicina voglia dissuadere la Nato dall’espansione in Ucraina: da diversi anni sostiene pubblicamente, al mercato e dalla parrucchiera, che russi e ucraini sono “un solo popolo”, e che chiunque lo voglia dividere, come mia zia, sta andando contro la storia. “Propaganda interna”, taglia corto zia, mentre mi cavalca con gusto (sono il suo bull ufficiale da quando si accorse che a 16 anni le sbirciavo le poppe nella scollatura ogni volta che andavo a trovarla per sbirciarle le poppe nella scollatura: è una veneta prosperosa che sembra Sofia Vergara, e nei video degli amplessi, dove brilla per fantasia e orgasmi sonori, indirizza spesso il gesto delle corna al marito, un facoltoso industriale che si eccita a riprendere le scene col telefonino). Le stavo praticando del sano fisting vaginale, avambraccio e tutto, quando le squilla il cellulare. È Putin. Mi fa cenno di continuare e risponde: “Ma sì. Ma sì. Ma sì. Ma sì. Vladimir, non puoi continuare a chiedermi se ti amo!”. Mette il vivavoce. Putin: “La tua vicina vuole che ti tranquillizzi sull’invasione. Ti tranquillizzo subito: non ha senso che la Russia attacchi qualcuno” “L’hai già fatto in Crimea, mona. Solo quando il mondo ti fa capire che opporrà resistenza, con aiuti armati che renderanno lunga e costosa la guerra; e con sanzioni che distruggeranno l’economia russa, danneggiando pure gli affaristi russi che fanno soldi sui mercati finanziari in Inghilterra, Europa e Usa; solo a quel punto fai pippa. Perché, come tutti quelli che si fanno forti coi missili, sei un codardo: già al liceo, invece di affrontare a cazzotti i tuoi rivali in amore, li facevi avvelenare col polonio da un tuo cugino che era al Kgb. Solo a quel punto li affrontavi a cazzotti.” “Cos’è questo rumore come di stantuffo bagnato?” “Non cambiare discorso” “Senti: come ho già detto a Macron, non ci sarà nessuna guerra. Al massimo entreremo nelle case degli ucraini e domanderemo: ‘Scusate, possiamo usare il bagno?’ E se quelli ci dicono ‘Smamma!’, naturalmente ci rinunciamo” “Guarda che alla granata ucraina a Rostov non ci ha creduto nessuno: prima create pretesti per l’attacco, poi fate i vaghi fischiettando, un vecchio trucco di Cavour. Vuoi fermare l’escalation? Di’ alla mia vicina che se la smetta di far esplodere bombe nel Donbass, la stronza. Oooooh, sì. De russo e de strusso!” “Come?” “Non dicevo a te”.

 

Calenda al congresso sembra Luther King

Ma è Carlo Calenda al Congresso di Azione o Martin Luther King al Lincoln Memorial di Washington? Il dubbio viene, leggendo sui giornali certi resoconti della due giorni che ha incoronato Calenda segretario dopo una sfiancante sfida elettorale contro se stesso. Secondo Marcello Sorgi su La Stampa, il partito di Calenda è ormai “in ascesa in tutti i sondaggi” (nel senso che è al 4 per cento e nell’ultima settimana ha perso mezzo punto, fonte: Youtrend) ed è “alleato strategico” per il Pd (infatti qua e là Calenda si candida “strategicamente” per far perdere il Pd). Sul Foglio Giuliano Ferrara racconta “l’utile serietà di un primo della classe”: “padre modello”, reduce da una campagna elettorale romana “precisa e frenetica”, “generatrice di entusiasmi” (e pensare che è arrivato terzo), ora si è fatto il suo partito “in nome della serietà”. E poi c’è Linkiesta, dove si scopre che “guarda un po’, il vecchio modello del congresso è quello migliore per costruire un partito”, lontano “dalle agorà virtuali, dal bluff dei Meetup e dai personalismi da tweet” (di cui Calenda è tra i maggiori esperti d’Europa peraltro). Sia lode e gloria, quindi. In attesa che l’altro 96% degli elettori si ravveda e salga sul carro.

Sabaudia criminale: “Grazie Covid”, Mondiali e spiagge

Nel “consolidato sistema clientelare” di Sabaudia, che vedeva “al vertice” la sindaca Giada Gervasi da ieri agli arresti domiciliari, c’era da imbandire la tavola della Coppa del mondo di canottaggio del marzo 2020. Un affarone da oltre 1 milione di euro che stava per trasformarsi in un disastro per i ritardi del comitato organizzatore, tra campi di gara non pronti e collaudi mancanti, prima che la pandemia esplodesse e venisse vissuta dagli indagati come una fortuna per coprire le loro magagne: “Grazie a Dio, grazie al coronavirus”, dicevano nelle intercettazioni. Parole del direttore generale del comitato ‘Sabaudia MMXX’ Luigi Manzo (anche lui ai domiciliari), nominato per le sue esperienze di organizzatore dei Mondiali 2016 ed Europei 2012, sempre in Italia. Non era l’unico a dirlo. Ma a Sabaudia la torta era da dividere come sempre, tra amici e sodali e senza gli impicci di appalti e incarichi da mettere a gara. Al punto che per consentire gli affidamenti diretti uno fu spacchettato in diverse parti. Quel “sistema” grazie al quale “tutte le 45 attività balneari presenti sul lido di Sabaudia” avrebbero “goduto di favoritismi e privilegi grazie alla connivenza e alla complicità del Comune”.

Le indagini partono da un incendio doloso alla centrale termica dell’Ente Parco del Circeo, scatenato per intimidire il Comandante della Stazione Carabinieri Forestali “Parco di Sabaudia”. Chi lo appicca agisce così perché – è la ricostruzione del Gip – ritiene che i militari si siano accaniti contro il figlio, titolare di uno stabilimento balneare, omettendo i controlli sulla concorrenza. Da qui le attività di indagine, coordinate dal procuratore aggiunto di Latina, Carlo Lasperanza, e dai sostituti, Antonio Sgarrella e Valentina Giammaria, per verificare la regolarità delle concessioni demaniali: si scopre così che alcuni chioschi e di noleggio ombrelloni non sono mai controllati. Sono quelli riconducibili a dipendenti del comune o a loro collegati.

È una parte, non l’unica, del racconto delle 514 pagine del Gip di Latina, Giorgia Castriota, che accusa Gervasi di 11 episodi di turbativa d’asta e uno di corruzione. Sono 16 in tutto le misure cautelari eseguite dai carabinieri del comando provinciale di Latina (12 ai domiciliari e 4 divieti di dimora), 30 gli indagati ai quali si contestano episodi di corruzione, turbativa d’asta, peculato e falso ideologico. Per lo più gare truccate, ma c’è anche la storia di un agente della Forestale dell’aliquota dedicata al Parco nazionale del Circeo che si impossessa di una camionetta dei carabinieri e la usa per andare a curare il verde “vicino all’abitazione della sindaca Gervasi”. Tra gli episodi corruttivi si segnala la richiesta di una maglia autografata di Paulo Dybala, avanzata da uno degli indagati per la figlia tifosa del calciatore.

Gervasi ricorre spesso: “Abile dissimulatrice, spregiudicata nel portare a termine i reati per fini politici, tentò di accreditarsi come confidente dei carabinieri per depistare le indagini e precostituirsi un alibi”, si legge nelle carte. Si fa l’esempio delle dimissioni di un assessore. Fece credere di averle chieste, deviando i sospetti verso di lui e alcuni capi settore municipali. Le intercettazioni l’hanno smentita: l’assessore si dimise spontaneamente.

Fu proprio la prima cittadina, a proposito dell’incendio, a “richiedere al prefetto di Latina la convocazione del comitato provinciale per l’ordine la sicurezza pubblica all’indomani dell’attentato nella sede del Parco Nazionale del Circeo, salvo poi – secondo il Gip – approfittare di tale situazione per influenzare i controlli nei confronti dei titolari delle attività balneari riconducibili ai propri avversari politici”. Le indagini hanno appurato che Gervasi incontrava gli imprenditori interessati agli appalti dei mondiali di canottaggio in una stanza riservata del Museo del Comune per organizzare, secondo gli inquirenti, le presunte turbative. Ieri la maggioranza ha ribadito in una nota la “piena fiducia nell’operato del sindaco, siamo certi dell’onestà di questa amministrazione”.

E torniamo alla Coppa del mondo di canottaggio, disciplina olimpica che ha regalato tantissime soddisfazioni allo sport azzurro. Il “sistema”, felice di avere a disposizione “350 ragazzi che vengono a lavorare gratis… la parola gratis è fantastica per me” (dice Manzo a un imprenditore), era sicuro di avere dalla sua parte il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e fa il ‘tifo’ per il virus che a febbraio sta avanzando in Lombardia. Così da costringere la Fisa a spostare una tappa dell’evento da Varese a Sabaudia e lucrarci sopra. È il 23 febbraio 2020 quando Gervasi dice a Manzo: “Stiamo ad attendere a vedere quello che ci succede”. E lui risponde: “Vabbè poi noi sia… abbiamo Malagò, quindi voglio dire, magari lui fa una telefonata al Cio, al ministero dello Sport…”. Malagò è estraneo alle indagini e poi tutto salterà a causa del dilagare del SarsCov2.

Tor Bella Monaca, 14enne accoltella 17enne per gelosia

La contesa per un ragazzo, la lite per questioni di gelosia e, infine, l’aggressione con il coltello. Si è sfiorata la tragedia a Tor Bella Monaca, quartiere periferico di Roma, nel tardo pomeriggio di ieri, dove una ragazza di 14 anni impugnando un coltello da cucina ha colpito una 17enne. Le due giovani si trovavano nei pressi dell’oratorio della chiesa di Santa madre del Redentore, quando è scoppiata la lite che sarebbe scaturita per gelosia e per un interesse comune nei confronti dello stesso ragazzo. È stato un passante, dopo che si era consumata l’aggressione, a chiedere l’intervento della polizia. La 17enne in stato di shock, è stata trasferita dal 118 all’ospedale di Tor Vergata, dove le sono state refertate ferite superficiali alla mano, alla clavicola e alla schiena. Non è in pericolo di vita, ma è stata comunque ricoverata e resta sotto osservazione. La 14enne è stata denunciata a piede libero, accusata di lesioni aggravate, minaccia aggravata, e porto di oggetti atti a offendere. La polizia ha anche trovato la lama utilizzata nell’aggressione.

Ristori Covid: la Serie A li vuole, gli italiani dicono no. E il 58% boccia il governo Draghi

A musei, cinema e teatri, fondamentali per lo sviluppo del Paese. Al turismo e ai trasporti, colpiti dalla pandemia. Ovviamente anche ai ristoranti, discoteche, e persino alle banche che certo non riscuotono le simpatie degli italiani. Insomma, a tutti, fuorché alle squadre di Serie A. Tempo fa, il patron del Napoli Aurelio De Laurentiis si era lamentato: “Il governo deve capire che 25 milioni di tifosi sono 25 milioni di elettori”. Si sbagliava: gli italiani saranno pure tifosi, ma sono soprattutto cittadini che hanno sofferto per il Covid. E non hanno dubbi, secondo la ricerca realizzata da Eumetra per conto della società di relazioni istituzionali Inrete: le squadre di Serie A sono le aziende che meritano di meno i ristori.

Il report prende in esame le misure a sostegno delle imprese nel corso dell’emergenza, in base a vari fattori, dalla capacità di resistere in lockdown all’integrità morale, fino all’importanza per la società. In testa ci sono le attività culturali, ma più o meno tutti i settori hanno qualche ragione da far valere. Tranne il calcio, anzi il calcio di vertice, perché lo sport dilettantistico merita di essere aiutato, la Serie A no: su una scala di reputazione da 0-100, totalizza appena 14, in fondo alla graduatoria. Del resto, per la maggioranza dei 1.500 intervistati un’azienda dovrebbe ricevere ristori se ha perso fatturato a causa della pandemia, ma a condizione che fosse sana precedentemente. E questo non vale per i club di Serie A, per cui il Covid è stato solo un alibi, la classica spintarella per un sistema che già da tempo era a un passo dal baratro.

Il calcio, invece, gli aiuti li pretende, ed è tornato a batter cassa: ha ottenuto un tavolo tecnico con la sottosegretaria Vezzali e “l’interessamento diretto” del Mef (il cui capo di gabinetto Chiné è anche procuratore FederCalcio, ma guai a parlare di conflitto di interessi). Punta a una nuova sospensione delle tasse (oltre ai primi 4 mesi del 2022), e magari una percentuale del gettito delle scommesse. La Serie A cerca addirittura un nuovo presidente per scroccare soldi: per questo ha pensato a Carlo Bonomi (che con Confindustria è abituato a batter cassa per le imprese), e ora è saltato fuori Lorenzo Bini Smaghi (che vanta un filo diretto con Draghi). C’è solo un problema. Per la ricerca Inrete, anche il governo gode di pessima reputazione: il 58% già non ha fiducia nel suo operato in pandemia. Figuriamoci se dovesse dare i ristori alla Serie A.

Due anni e un secolo fa. Le peggiori virus-balle

Le frasi che seguono le conoscete già, probabilmente, ma è utile rimetterle in prospettiva e rileggerle tutte insieme. Sono state pronunciate dai rappresentanti della classe politica che ha guidato l’Italia nei due anni di pandemia. Chi doveva rappresentare un punto di riferimento saldo per il Paese nel periodo più delicato e doloroso della storia recente, l’ha fatto anche così. Queste sono solo alcune delle peggiori sentenze sul Covid pronunciate dai politici italiani.

 

La saga di Matteo Salvini (Chiudere! Aprire! Chiudere!”) , 21 febbraio 2020: “Non penso solo ai barconi e ai barchini. Chiunque entri in Italia con qualunque mezzo di trasporto, dalla zattera all’aeroplano, deve venire controllato”; 27 febbraio 2020: “Il Paese affonda, con i governatori leghisti concordiamo che occorre riaprire tutte le attività e ritornare alla normalità”; 10 marzo 2020: “Fermiamo tutto per i giorni necessari. Mettiamo in sicurezza la salute di tutta Italia. Chiudere prima che sia tardi”; 5 aprile 2020: “Sostengo le richieste di chi vuole entrare in chiesa per la Messa di Pasqua. Per milioni di italiani può essere un momento di speranza”; 10 aprile 2020: “La maggioranza delle aziende in Nord Europa è aperta. Laddove ci sono imprese in grado di mettere in sicurezza i lavoratori devono poter riaprire, altrimenti molte resteranno chiuse per sempre”.

 

Matteo Renzi, 28 marzo 2020: “Serve un piano per la riapertura. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le messe. Sì, non ci scambieremo il segno della pace ma torneremo a messa. O almeno a fare l’adorazione insieme (…). Bisogna riaprire le scuole. Tutti di nuovo in classe, mantenendo le distanze e dopo aver fatto comunque tutti un esame sierologico: una puntura su un dito e con una goccia di sangue si vede se hai avuto il virus”.

 

Giorgia Meloni, 2 marzo 2020: “Turisti, venite (…). Le notizie che arrivano dall’Italia in questi giorni fanno pensare a un Paese completamente paralizzato con le persone barricate in casa o sopraffatte dalla paura. Ma la realtà è un’altra. La realtà potete vederla dietro di me: siamo nel cuore di Roma, al Colosseo. I ristoranti, i bar, i negozi sono tutti aperti, la gente è felice e il tempo è fantastico. Una normale situazione”.

 

Luca Zaia, 28 febbraio 2020: “Sa perché noi dopo una settimana abbiamo 116 positivi, dei quali 63 non hanno sintomi e ne abbiamo solo 28 in ospedale? Sa perché? Perché l’igiene che ha il nostro popolo, i veneti, i cittadini italiani, la formazione culturale che abbiamo è un regime di pulizia personale particolare. Anche l’alimentazione… Penso che la Cina abbia pagato un grande conto in questa epidemia perché li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o cose del genere”

 

Attilio Fontana, 27 febbraio 2020: “Spero che da oggi ci sia una regressione della diffusione così vado a vedere anche io Juve-Inter. Monitoriamo la situazione. Sono molto tranquillo. Sull’esito positivo del tutto non ho dubbi”.

 

Nicola Zingaretti, 27 febbraio 2020: “Un aperitivo a Milano, ho raccolto l’appello del sindaco Sala e del Pd di Milano. Non perdiamo le nostre abitudini, non possiamo tenere ferma Milano e l’Italia”.

 

Giulio Gallera, 23 maggio 2020: “L’indice Rt a 0,51 vuole dire che per infettare me bisogna trovare due persone nello stesso momento infette”.

 

Giovanni Toti, 1 novembre 2020: “Per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid-19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate”.

 

Luigi Di Maio, 24 aprile 2020: “L’app Immuni ci avviserà se ci avviciniamo a persone infette”.

 

Matteo Salvini, 25 giugno 2020: “Perché dovrebbe esserci una seconda ondata di Covid? È inutile continuare a terrorizzare le persone”; 18 febbraio 2021: “La seconda ondata di coronavirus l’avevano prevista anche i tombini!”

 

Letizia Moratti, 15 febbraio 2021: “Le persone devono stare serene. Tutti gli over 80 saranno vaccinati. Non c’è da aver fretta”.

 

Mario Draghi, 22 luglio 2021: “Il Green pass è una misura per potersi divertire, andare al ristorante, partecipare a spettacoli, con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose”.

 

Andrea Costa, 9 gennaio 2022: (Su La7 al sottosegretario alla Salute viene chiesto se la multa da 100 euro per chi non si vaccina è una tantum o c’è la reiterazione). “Dobbiamo leggere attentamente il decreto”. (La giornalista insiste: “Lei non lo sa?”). Risposta: “Lo so, ma ci sono degli aspetti che vanno letti attentamente. Devo verificarlo”.

 

Ylenja Lucaselli (FdI), 16 febbraio 2022 : “Ci sono più di 500 milioni di italiani che non potranno andare al lavoro e non potranno portare a casa lo stipendio perché lo Stato ha deciso che per farlo serve un pass. Questa non è democrazia”.

Pass, freedom day per tutti. Ma non per noi

L’Italia è ancora stretta dalla morsa delle restrizioni anti-Covid e relativa asfissiante burocrazia. E che abbia orma davvero poco senso è confermato dalle posizioni di iper-chiusuristi come il mircobiologo Andrea Crisanti, che ieri ad Agorà su Rai3 ha affermato: “La curva sta calando perché le persone o si sono infettate o si sono vaccinate. Sappiamo che la protezione dura poco, quindi più aspettiamo e meno facciamo l’interesse degli italiani. Bisogna liberalizzare ora, perché se ci si infetta adesso, siamo protetti, se si aspettano mesi, il virus ci coglierà di nuovo non protetta. È controproducente in questo momento la restrizione. Basti guardare cosa succede in Inghilterra, dove la curva dei casi è caduta senza Green pass, perché le persone sono vaccinate o infettate. Questo è l’abc della dinamica epidemiologica”.

 

Londra

È già libera-tutti ma c’è chi dissente

Infatti, proprio ieri Londra ha sciolto i nodi col premier Boris Johnson che ha formalizzato alla Camera dei Comuni la fine di tutte le ultime restrizioni Covid in vigore per legge nel Regno Unito, inclusa la fine dell’obbligo dell’isolamento per le persone contagiate, che già da dopodomani saranno semplicemente “incoraggiate a esercitare la responsabilità personale” in caso d’infezione, così come avviene quando si è soggetti a “un’influenza”. Annunciata anche la graduale revoca della distribuzione gratuita a pioggia dei test antigenici. “Il picco di Omicron è superato”, ha spiegato Johnson. Decisione che ovviamente ha suscitato polemiche, tanto che diversi professori di atenei come l’University College London e l’University of Oxford insieme a medici di prestigiose strutture sanitarie britanniche hanno firmato un appello contro la decisione del governo: “In qualità di esponenti della comunità scientifica e medica del Regno Unito, scriviamo questa lettera aperta per esprimere la nostra preoccupazione riguardo ai piani del governo per porre fine a test, indagini di sorveglianza e obbligo legale di isolamento per i casi di Covid-19. Chiediamo venga chiarito il parere scientifico su cui poggiano queste decisioni politiche, non crediamo che ci sia una solida base scientifica. È quasi certo che aumenterà la circolazione del virus e non ci sarà visibilità delle varianti emergenti”.

 

Tel Aviv

Niente più tamponi settimanali nelle scuole

Eppure il minore impatto di Omicron sui sistemi sanitari con le curve epidemiologiche che piegano verso il basso stanno provocando riaperture e cancellazioni delle restrizioni in molti Paesi che avevano serrato per contenere la diffusione di SarsCov2. In Isreaele il primo ministro Naftali Bennett ha annunciato che a partire dal 1° marzo verrà richiesto soltanto un tampone negativo prima della partenza e dopo l’arrivo a tutti i turisti, vaccinati, indipendentemente con quante dosi, o non vaccinati. L’ufficio del premier ha fatto sapere che verranno allentate anche le restrizioni per gli israeliani che rientrano nel Paese: a loro non verrà più richiesto un test molecolare prima del volo. Nelle prossime settimane, inoltre, non ci sarà più l’obbligo settimanale di test per gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, norma ora in vigore.

 

Canberra

Quarantena solo per i senza vaccino

L’Australia ha riaperto le frontiere internazionali per la prima volta dopo due anni; il governo aveva imposto rigide restrizioni nel marzo del 2020, sigillando i suoi confini ai visitatori internazionali: dalla fine dello scorso anno sono stati autorizzati a recarsi in Australia i cittadini australiani e pochi altri con motivazioni stringenti, ma la maggior parte dei visitatori stranieri hanno dovuto attendere. La nuova normativa australiana adesso prevede che chi ha ricevuto due dosi del vaccino anti-Covid non debba rispettare un periodo di quarantena, mentre i non vaccinati dovranno auto isolarsi per 14 giorni a proprie spese.

 

Lubiana

In Slovenia da ieri al lavoro senza certificato

Superato il confine italiano del Nord-Est, in Slovenia da ieri non è più richiesto esibire sui luoghi di lavoro un certificato di avvenuta guarigione, vaccinazione o tampone negativo, fatta eccezione per l’accesso all’assistenza sanitaria e sociale. Decade anche l’obbligo di auto-testarsi per gli studenti, che però dovranno ancora indossare la mascherina.

 

Barcellona

In Catalogna a scuola torna la normalità

A partire da domani le autorità sanitarie della Catalogna “non prescriveranno più quarantene” dovute al Covid per gli alunni delle scuole né “individueranno contatti stretti”: è quanto comunicato dagli assessorati alla Sanità e all’Istruzione della regione autonoma spagnola. Il protocollo riguardante il Covid nelle scuole catalane è pertanto ora “più flessibile”: i genitori non dovranno più comunicare il contagio come causa di un assenza dei loro figli e non verranno più prescritti test rapidi agli insegnanti. Restano le mascherine in spazi chiusi.

 

The spectator

“In Italia un’inutile tirannia”

Il settimanale ultra conservatore inglese The Spectator, sostenitore del premier Boris Johnson e spesso su posizioni trumpiste dedica un articolo alle decisioni di Roma titolando: “L’inutile tirannia del Green pass in Italia”. Nell’articolo si legge: “Mentre la maggior parte dei Paesi europei, in particolare la Gran Bretagna, stanno allentando le loro restrizioni Covid, l’Italia che ha le più dure di tutti, le rende ancora più dure, anche se i dati mostrano che sono inutili”.

E in Italia in questo momento con la doppia dose c’è il 62%, con il booster l’80%, contro il 57 e 73 in Uk che però registra 16 decessi per milione di abitanti in sette giorni contro 35 dell’Italia e 160 ricoverati per milione contro i 230 dell’Italia.