Csm, Ermini è inadatto a fare il vice del Capo dello Stato

Chi avrebbe potuto mai immaginare che un magistrato – che, per Costituzione, è il garante della legalità – potesse impartire ordini “ai suoi uomini” (magistrati del Csm) per punire un collega “scomodo”. Eppure, anche di questo è stato capace Luca Palamara, ex presidente dell’Anm ed ex membro del Csm. Nell’intervista di circa 300 pagine rilasciata al direttore del Giornale, Palamara, che “non rinnega ciò che ha fatto”, ammette di aver fatto parte di un “Sistema” – (come protagonista, anzi, “in un certo momento”, era egli stesso il “Sistema”) – “spietato che non fa prigionieri” e rivela, riferendosi al Gip Clementina Forleo che voleva fossero indagati i vertici del Pds per una scalata bancaria: “Io capisco che non abbiamo scelta, al di là del merito tecnico-giuridico delle sue decisioni, Forleo va rimossa, è un pericolo, e mi esprimo anche pubblicamente in tal senso, sia come Anm sia come capocorrente, dando indicazioni in tal senso ai miei uomini dentro il Csm. Che, infatti, la trasferisce di peso al Tribunale di Cremona”.

Ma “i suoi uomini nel Csm” servono non solo a “punire” ma anche a “premiare”. È il caso della nomina di David Ermini a vicepresidente del Csm che Palamara, nel libro-intervista, racconta nei minimi particolari, peraltro riscontrati nelle chat di quest’ultimo. All’epoca, il Fatto rivelò che “la nomina di Ermini – in quel momento parlamentare del Pd – alla vicepresidenza del Csm, viene suggellata con la cena del 25 settembre 2018, nell’abitazione romana di Giuseppe Fanfani, anch’egli parlamentare del Pd, consigliere del Csm in uscita. Sono presenti Luca Lotti e gli uomini più influenti delle correnti Unicost e Mi, cioè Palamara e Ferri”. Significativo il titolo: “Palamara & C.: cena a casa di Fanfani, menu Ermini vicepresidente”.

In un’intervista al Corriere, Ermini ha confermato di avere avuto il definitivo via libera al prestigioso incarico durante “una cena con due capi corrente riconosciuti e un esponente del Pd, lì mi dissero che l’accordo era chiuso”. I due “riconosciuti capicorrente” erano Luca Palamara e Cosimo Ferri; ma riconosciuti da chi? Perché il punto è proprio questo, entrambi non avevano ruolo e titolo per interessarsi alla sua nomina, non ricoprendo alcun incarico di rappresentanza (presidente o segretario) nelle rispettive correnti; addirittura Ferri era parlamentare (in quota Pd).

In sostanza, la nomina sembra aver seguito i seguenti anomali percorsi: a) gli accordi per votare Ermini vengono presi fuori del Csm; b) gli accordi non vengono presi da coloro che rappresentavano le correnti dell’associazione, e già questo sarebbe stato, comunque, improprio e disdicevole; c) gli accordi vengono presi da chi non ha, sotto qualsiasi profilo, alcuna veste per intervenire in una così fondamentale nomina, e con essi Ermini non avrebbe dovuto assolutamente interagire e, si badi bene, Ermini è la stessa persona che, all’esplodere dello scandalo delle nomine, novello “Sant Just”, aveva tuonato contro “il miserabile mercimonio di ciniche pratiche correntizie”.

Orbene, due domande si impongono. La prima: quale legittimazione abbia un vicepresidente eletto con le modalità prima indicate e con i voti anche di sette componenti del Consiglio che – per essere stati costretti alle dimissioni a seguito dell’inchiesta Palamara – non fanno più parte del Consiglio che lo ha votato? La seconda: può Ermini – la cui elezione ha trovato la genesi in un accordo improprio, fuori del Csm, tra persone non legittimate di cui, in quel momento, due di esse (Lotti, deputato Pd, e Palamara) indagate – sostituire e rappresentare al vertice del Csm il capo dello Stato?

 

Non sarà il Recovery né Super Mario a sconfiggere il Covid

Qualunque cosa si pensi di Mario Draghi, è bene ricordare che il presidente del Consiglio incaricato, nonostante gli sforzi profusi da stampa e politica per dipingerlo come una sorta di divinità pagana, non possiede purtroppo virtù taumaturgiche. Cosa che francamente ci dispiace. Perché la variante inglese, quella brasiliana e quella sudafricana del virus non verranno sconfitte dalla sola presenza dell’ex numero uno della Bce a Palazzo Chigi. E nemmeno riusciranno a farlo i miliardi del Recovery fund utili, anzi indispensabili, per uscire dalla crisi economica, ma nel breve periodo totalmente inutili per bloccare la pandemia.

La variante inglese, considerata dagli esperti il 70 per cento più contagiosa rispetto a quella originaria, è già in Italia. A Bollate, alle porte di Milano, sono state chiuse due scuole diventate focolaio e dalle analisi si è scoperto come la sequenza virale sia quella identificata per la prima volta in Gran Bretagna. Nel nostro Paese circola poi pure la variante brasiliana, ritenuta ancora più temibile perché in grado di infettare chi dal Covid era già guarito. Perugia e molti Comuni umbri sono da poco finiti in zona rossa proprio per questo. E i lockdown locali si stanno moltiplicando un po’ ovunque.

La prospettiva di essere colpiti da una terza ondata pandemica, quando ancora è in corso la seconda, è più che reale. Anche perché aver fatto finire quasi tutta Italia in zona gialla, come ci insegna l’esperienza, favorisce l’economia, ma aumenta la circolazione del virus. C’è da chiedersi come reagirà il governo dei tutti dentro se i dati su ricoveri, morti e contagiati dovessero riprendere a peggiorare.

Come è noto, non siamo grandi fan dell’esecutivo dell’ammucchiata. Come tutti speriamo che la soluzione arrivi dai vaccini. Ma al contrario degli altri abbiamo sempre sottolineato come il nostro Paese nella prima fase delle vaccinazioni abbia ben figurato, tanto da essere risultato primo nella Ue per numero di dosi fin qui somministrate e da essere indicato da Ursula von der Leyen come l’esempio da seguire, assieme a Danimarca e Polonia (notizia accuratamente nascosta dalla maggior parte degli organi d’informazione). Vedremo ora cosa accadrà nella seconda e più complicata fase, quando nelle prossime settimane le preziose fiale in grado di immunizzare la popolazione cominceranno ad arrivare in grande quantità e sarà necessario praticare centinaia di migliaia di iniezioni al giorno. In attesa di scoprirlo va detto però che il governo Draghi parte da questo punto di vista favorito. La presenza a sostegno dell’esecutivo di Forza Italia e Lega, destinata nel tempo a creare mille problemi sul fronte della giustizia, del lavoro e degli investimenti (leggi assalto alla diligenza del Recovery), nell’immediato può essere utile per combattere la pandemia.

Nei mesi passati il problema più grosso con cui gli italiani hanno dovuto fare i conti è stato l’atteggiamento di molte Regioni. È inutile girarci intorno: al di là dei singoli meriti o demeriti dei cosiddetti governatori la questione era semplicissima: 14 Regioni erano rette da maggioranze di centrodestra con cui il governo Conte 2 era spesso costretto a trattare non per ragioni di ordine pratico, ma per ragioni politiche. Per questo ora per il nuovo esecutivo sarà più semplice adottare in maniera fulminea, e senza discussioni speciose, le decisioni necessarie per contenere la pandemia. Che questo basti per farci sconfiggere velocemente il virus è tutto da dimostrare. Ma almeno ci risparmierà il triste spettacolo di chi, mentre la gente muore, mette i bastoni tra le ruote.

 

L’algoritmo di Draghi rende tutti ininfluenti

Contrariamente a quanto si può pensare e a quanto in molti dicono, il governo Draghi non viene da una scelta politica o da un processo politico. È la scelta del presidente della Repubblica ed è nettamente contraria sia alla politica sia alla posizione espressa dallo stesso presidente nel suo discorso di liquidazione del governo Conte. Mattarella ha chiaramente invitato le forze politiche a esprimere un governo guidato da una persona di alto profilo, ma non legato ad alcuna forza politica. Chi si aspettava che le forze politiche si dessero da fare per trovare il deus ex machina è stato deluso. Il presidente ha infatti annullato l’invito indicando lui stesso la persona a cui affidare l’incarico. È probabile che mentre il povero Conte cercava sostegno parlamentare, Mattarella avesse già sentito i partiti sulla candidatura di Draghi di nascosto, anche se quel nome circolava già dal 2008.

È anche possibile che il presidente sia stato costretto a fare quella scelta proprio dai partiti che non se ne volevano assumere la responsabilità. Ma anche questo era lontano dalla trasparenza e dal processo democratico enunciati pubblicamente. Ora ci si meraviglia (e si sospetta) dell’ampio sostegno che viene promesso dai partiti a Draghi e non sfugge all’attenzione il fatto che siano proprio Mattarella e Draghi a promuoverlo e in un certo senso a imporlo visto il “tintinnare” del rischio che tutti i parlamentari e i partiti non vogliono correre: andare alle elezioni.

Tuttavia, il governo Draghi non sarà il “governo del Presidente” e anzi l’adesione dei partiti sembra più rivolta all’esclusione del Presidente dal circolo politico. Cosa che ovviamente non dispiace al presidente stesso, per natura schivo e per disposizione professionale ligio alle prerogative e alle limitazioni presidenziali previste dalla nostra Costituzione: anzi, più alle limitazioni che alle prerogative. Con il consenso parlamentare acquisibile, Draghi non rinuncerebbe, per buona educazione, al sostegno presidenziale, ma non ne avrebbe più bisogno. E non è detto che ceda alle lusinghe di una eventuale nomina a senatore a vita per fare il proprio lavoro, che già si preannuncia come rivolto a salvaguardare gli interessi di una ben determinata fascia sociale.

Eppure, l’ampia adesione politica promessa a Draghi non è un patrimonio su cui il presidente incaricato può contare a lungo. Si tratta infatti di un gioco all’esclusione reciproca: il Pd ha aderito pensando di escludere Italia Viva e la Lega; mentre Renzi crede ancora di fare il guastatore a vita mentre è già diventato ininfluente, Salvini ha dovuto fare dietro front su tutta la sua politica sovranista e antieuropeista, pensando di costringere Pd e M5S all’autoesclusione e Forza Italia all’ininfluenza. La Meloni si è autoesclusa prima che fosse politicamente esclusa dai suoi stessi alleati: la tattica del “meglio contro che ininfluenti” può rivelarsi “contro e ininfluenti”. L’unico vantaggio è la possibile crescita del consenso nelle prossime elezioni amministrative e politiche. Che non è poco.

Il teorema di Draghi per riuscire a governare è perciò rivolto a rendere tutti i partiti e ciascuno di essi ininfluenti sulla stabilità del proprio governo che non è affatto detto che sia a termine o breve termine. Draghi deve realizzare una maggioranza variabile che renda ininfluenti gli eventuali oppositori. Il solo requisito necessario è che la crisi sanitaria, economica e sociale continui in modo da rendere il governo insostituibile. Le procedure di emergenza rafforzeranno l’autonomia del governo nelle scelte più importanti e il sostegno parlamentare sarà automatico proprio perché variabile. L’algoritmo tende a rendere ininfluenti tutti i partiti minori, come già si prefigura in questi giorni: Italia Viva, LeU, socialisti, europeisti, “calendaristi”, ecc. che non possono formare alcuna opposizione maggioritaria.

Le eventuali crisi o mal di pancia di ciascuno di essi potranno essere neutralizzati con rimpasti o concessioni minori nelle cariche di governo. Anche il sostegno delle forze maggiori è gestibile con la variabilità: Lega, Pd e M5S non potranno essere sempre d’accordo, ma nella peggiore delle ipotesi è sufficiente un sostegno a due per consentire al governo di andare avanti. Il punto debole di questo teorema è la presunzione che i partiti agiscano e reagiscano ai provvedimenti programmatici e abbiano a cuore il bene pubblico. In realtà, negli ultimi trent’anni, questo non è mai avvenuto ed è difficile che un consolidato vizio sia eliminato da un governo qualsiasi. Anzi è assolutamente improprio accreditare i pochi successi e addebitare gli infiniti fallimenti a un buon governo o ai vari malgoverni. Sono le stesse forze politiche che di volta in volta, grazie a leggi elettorali di comodo, esprimono i cosiddetti rappresentanti del popolo a eludere i propri doveri e gli interessi nazionali.

 

Dio, Gesù o Superman… fa lo stesso: la religione è un “pensiero magico”

E per la serie “Nel senso che comunque”, la posta della settimana.

Caro Daniele, mi colpisce la frequenza sul Fatto Quotidiano di articoli religiosi, dalla pagina settimanale del direttore della Civiltà cattolica ai sermoni domenicali del pastore valdese. Parlano di Dio come se esistesse. Perché? Perché c’è gente intelligente che crede in Dio? Cos’è Dio? (Sabina Bruscalupi, Pitigliano).

Grazie della triplice domanda, Sabina: sono la persona più idonea a risponderti in questo branco di baciapile. L’umanità crede in Dio perché l’ignoto, che riempie di stupore quando è benigno, sgomenta quando porta lutti. Da un anno siamo nel mezzo di una pandemia mondiale causata da un virus mortale, che obbliga i governi a imporre lockdown intermittenti e snervanti: di conseguenza, la gente sta andando fuori di testa; e, con il consumo di Xanax, aumentano le preghiere. Pregare è pensiero magico, cioè ritenere che certe azioni possano influire sugli eventi e sugli oggetti, anche se non c’è nessuna causa scientifica a collegarli. Altri esempi: i rituali scaramantici degli studenti universitari prima degli esami; i rituali dei tifosi di calcio (guai a non indossare l’indumento che portò fortuna); i rituali dei teatranti (guai al colore viola, guai a fischiettare dietro le quinte); le superstizioni tradizionali (il gatto nero, passare sotto una scala, il cappello sul letto) e il “Gott Mit Uns” di ogni potenza in guerra. L’intelligenza non c’entra: il pensiero magico è un retaggio dell’infanzia (nostra e delle civiltà) che obbedisce a due leggi studiate dagli antropologi Frazer e Mauss. Per la legge del contagio, il contatto trasferisce un’essenza magica: può essere positivo (toccare il Papa o il Dalai Lama; toccare una gobba; possedere la scrivania di John Kennedy o la maglia di Maradona; bere un farmaco omeopatico), oppure negativa (la presenza di un menagramo, fare qualcosa il venerdì 17, un anno bisesto come il 2020). Per la legge della somiglianza, invece, cose simili condividono le loro proprietà. Certe tribù mangiano il cuore dei nemici uccisi per assimilarne la forza, e non mangiano animali lenti per non diventare lenti. Le bamboline voodoo contengono un’unghia o un capello della vittima. E chi tirerebbe freccette a una foto di Padre Pio? Il pensiero religioso ci dà l’illusione del controllo, che è così importante per la nostra salute mentale. Durante la Guerra del Golfo, i comportamenti superstiziosi aumentavano nelle città sotto bombardamento (Keinan, 2002). Dio, dunque, è un placebo, e funziona allo stesso modo. Poiché è ineffabile, per definirlo si ricorre a figure dell’impossibile. “Dio è una sfera intellegibile, il cui centro sta dappertutto e la circonferenza in nessun luogo” (Ermete Trismegisto, IV sec. d. C.). “Chiamiamo Dio quella sfera intellettuale il cui centro sta dappertutto e la circonferenza in nessun luogo” (Rabelais). “Possiamo affermare con certezza che l’universo è tutto esso centro, o che il centro dell’universo sta dappertutto e la sua circonferenza in nessun luogo” (Giordano Bruno). “La natura è una sfera spaventosa, il cui centro sta dappertutto e la circonferenza in nessun luogo” (Pascal). Detto altrimenti: “Forse la storia universale è la storia della diversa intonazione di alcune metafore” (Borges). Un modo sublime per dire l’ineffabile è l’ossimoro, come fa Dionigi l’Areopagita definendo Dio “tenebra luminosissima”. Un’altra via è quella del koan zen, il paradosso nonsense: “Qual è il suono di una mano che applaude?”. Io leggo gli articoli di Spadaro e del pastore valdese sostituendo a Gesù e Dio la parola Superman: quante risate! Prova.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

Serve volontà di ferro oppure il neodicastero sarà svuotato

Il ministero dell’Ambiente in Italia è sempre stato debole: in genere arriva a valle di grandi decisioni già prese dai potenti fratelli maggiori dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture, e gli rimangono funzioni di controllo e correzione di dettagli, raramente potere di veto o di visione strategica. L’idea di costituire un ministero della transizione ecologica, che metta insieme tutte queste competenze al fine di partorire soltanto le opere che sono veramente ecosostenibili, è valida. Ma il risultato dipenderà dalla priorità che sarà attribuita all’ambiente. Se ministro e sottosegretari saranno della vecchia guardia sviluppista e cementificatrice, temo che sarà ancor peggio di ora, l’ecologia sarà solo una spolverata di verde come decorazione di una torta di calcestruzzo. Se il ministro sarà un competente ambientalista, circondato di scienziati esperti della crisi ambientale, in gran parte già presenti in enti di governo come Ispra, allora potrà guidare tutto il processo decisionale in chiave sostenibile.

Potrà rinunciare a priori a opere che peggiorano il bilancio energetico e ambientale, come le trivellazioni per idrocarburi, il Tav Torino-Lione, il ponte sullo Stretto, mentre potrà accelerare processi inderogabili come la legge contro il consumo di suolo e gli investimenti in energie rinnovabili. Ormai anche l’Agenzia europea per l’Ambiente ha detto che la crescita economica è una minaccia per il clima e la biodiversità e occorre cambiare il paradigma economico-sociale. Un ministero della transizione ecologica è quello che ci vuole per ottenere questo risultato, ma ci vorrà pure una volontà di ferro per evitare che i predatori lo svuotino dall’interno dei suoi buoni propositi. In Francia è accaduto così: il qualificato ministro Nicolas Hulot, nominato da Macron, si è dimesso nel 2018 sbattendo la porta, prigioniero degli interessi di parte e privo della possibilità di realizzare obiettivi ambiziosi di vera sostenibilità ambientale.

Il geometra Briatore si scopre draghetto

Flavio Briatore insegna cose. Pontifica. Giudica. Dà le pagelle. Irride. Squalifica. Dall’alto del suo elicottero o dal basso del suo yacht, Briatore si sente meglio degli altri. Si scopre draghiano, persino lui. E nell’elencare il lunghissimo, prestigioso curriculum del premier incaricato, si concede un po’ di sano qualunquismo snob, diremmo quasi “radical chic” (se parlassimo come Briatore) contro il popolo bue: “C’è un signore con Master al Massachusetts Institute of Technology, ex Governatore della Banca d’Italia, consulente delle più importanti società del mondo (…), Presidente per 8 anni della Banca Centrale Europea, che deve fare le consultazioni con il bibitaro, la Signora Pina, quello con la terza media, l’ex velina, la lavandaia, l’ex tronista, il dj, il diplomato alle scuole serali, l’odontotecnico. È come se Michelangelo si mettesse a fare le consultazioni sulla pittura con quello che fa le strisce pedonali”. O anche: è come se Briatore si mettesse a dare lezioni di vita. Lui, il massimo esegeta dell’Italia ricca e cafona, ora prenda per i fondelli tronisti, veline e studenti poco brillanti. Lo stesso Briatore che si è diplomato geometra da privatista. E che ha un solo master: in diffusione del Covid.

Le maggioranze linguistiche di Supermario

L’impressionante collage “dadaista” sul giornalismo in ginocchio davanti a Mario Draghi (e ai suoi cari) raccolto l’altroieri su queste pagine da Daniela Ranieri (“Coraggioso. Umile. Asciutto…”) suscita un interrogativo lancinante: perché? Un paio le risposte possibili ma non esaustive. La prima spiegazione, forse sommaria ma inevitabile, è la cupidigia di servilismo. Ovvero, l’impulso incontenibile alla sottomissione e senza che lo abbia ordinato nessuno. Dubitiamo infatti che il premier incaricato abbia necessità di uniformare l’informazione ai suoi voleri poiché già da tempo le redazioni unificate, nell’attesa dell’Avvento si erano posizionate, e del tutto spontaneamente, a 90 gradi. Un fenomeno davvero straordinario che ripropone la domanda di cui sopra: perché mai? Causa il breve spazio di questa nota, rimandiamo a una celebre citazione del sociologo Alain Accardo sulla patologia del riconoscimento sociale dei giornalisti (e sul rapporto ambiguo dominanti/dominati) definita sindrome di Madame Bovary. In parole molto povere, il nome Draghi richiama oggi il mito della eccellenza nella competenza cui noi disgraziati scrivani, abituati a lavorare sull’urgenza e l’approssimazione, deferenti ci inchiniamo.

Può esserci poi una spiegazione più terra terra che chiameremo del Marziano a Roma. Nel racconto di Ennio Flaiano, quando l’alieno Kunt atterra nei pressi di Villa Borghese, la sua presenza desta grande scalpore tra i cittadini e i media e di lui si parla come di un prodigio a cui affidare i destini della nazione, e forse anche dell’umanità. Purtroppo svanito l’effetto novità, i romani inizieranno a ignorarlo finché il marziano deluso tornerà sul suo pianeta. Sotto certi aspetti è lo stesso destino a cui andò incontro il senatore Mario Monti quando nel novembre 2011, succeduto a Silvio Berlusconi, fece i conti “con la salivazione a mille della stampa indipendente che da quando ha ricevuto l’incarico non fa che leccarlo dalla testa ai piedi” (Marco Travaglio). L’entusiasmo per la “sobrietà” del nuovo premier fu declinata in tutte le forme possibili finché immaginammo che anche il cane di Monti si comportasse con sobrietà canina, addestrato a recapitare ogni mattina al padrone una copia croccante del Financial Times e come lui provvisto di un cappottino invernale verde loden. Purtroppo, in seguito e del tutto immeritatamente, il destino del professor Monti ricordò quello del marziano Kunt, ragion per cui oggi trepidiamo per la sorte del professor Draghi. A cui raccomandiamo di continuare a occultare il bracco ungherese, ma anche le sue personali riflessioni sui media. E per meglio difendersi dalle maggioranze linguistiche (che oggi lo vogliono santo subito ma domani chissà) per favore non tolga mai la provvidenziale mascherina.

L’orecchio, i capelli e i segreti del drago

 

• Terminator. “Che Draghi possa accontentare tutti è il segreto della sua missione. Ha spaccato il centrodestra, ha fatto esplodere i 5S, ha stordito il Pd e ha annullato la forza distruttrice di Renzi”

Il mattino di Puglia e Basilicata

 

• “Draghi è davvero un drago?”

Tg5

 

• “Il suo flauto magico era il silenzio. Li ha incantati perché taceva e non parlava. Sapete cosa lodavano di Mario Draghi? L’orecchio”

Il Foglio

 

• Quanto sono importanti i capelli? (…) Se si guarda il capo degli ultimi due presidenti del Consiglio si coglie subito la differenza tra loro. Conte esibisce un ciuffo sbarazzino, (…) Draghi usa invece la riga alla maniera tradizionale. Si chiama scriminatura (…) L’etimo di questa parola conduce a “discriminare”: “Distinguere una o più persone o cose da altre”. Non si può certo dire che all’ex banchiere centrale manchi questa dote.

Repubblica

Per qualcuno consultare i cittadini è un orrore

Nei commenti dei grandi media sul lavoro del presidente incaricato Draghi, viene sempre più a galla il disappunto perché il dato distintivo di questo lavoro è la continuità politico-culturale, e non la discontinuità che quelle testate vogliono da molti mesi. Con gran disappunto degli ambienti delle consorterie burocratico-finanziarie, Draghi ha riconosciuto fin dall’inizio la priorità del Parlamento e delle sue scelte. E ha proseguito intessendo incontri con i partiti ascoltando le loro indicazioni. Poi, Draghi ha fatto filtrare i punti fondamentali del proprio programma, ma sempre battendo sulla richiesta del venir accettato nel voto in Parlamento.

E allora alcuni media hanno cominciato a denunciare il deciso dibattito in corso in partiti di rilievo (M5S, Lega, Pd) quasi fosse uno sfregio alla concezione elitaria che Draghi va accettato e basta. Attacchi tanto furiosi quanto inconsistenti al M5S , reo di sottoporre il progetto del governo al giudizio dei suoi iscritti. Sul Corriere

si è scritto che questo giudizio è una liturgia che conta più di un governo di salvezza nazionale, una messinscena per far decidere a qualche decina di migliaia di persone una questione dell’intero Paese; Repubblica

ha scritto che incredibilmente il M5S ha fissato addirittura due giorni di conta per stabilire se aderire al nuovo esecutivo.

Sono tipiche manifestazioni di una mentalità chiusa ai cittadini, sempre propensa a sostenere gli interessi degli ambienti bene (da appoggiare senza discutere).

Se Draghi otterrà la fiducia in Parlamento (e noi auspichiamo di sì), sarà perché il suo è un governo nuovo, con un presidente di comprovata esperienza economica e capacità operative in Europa, ma in specie perché è un governo di continuità (la riprova è la svolta della Lega) fondato sulla attenzione agli attori della democrazia rappresentativa.

Il Covid, Boeri e Milano, città che deve essere ancora ripensata

La pandemia ha dimezzato Milano. Non per la riduzione dei residenti, che comunque nel 2020 sono diminuiti di 13mila persone dopo anni di crescita. A crollare sono stati studenti, pendolari, turisti d’affari e di piacere. Le categorie che, prima del Covid-19, di fatto raddoppiavano la popolazione che ogni giorno si muoveva e spendeva in città. Intanto, fra le aziende rappresentate da Confcommercio, il 70% dei dipendenti è in smart working. L’associazione di categoria stima che la metà di loro continuerà a starci anche a epidemia passata. Qual è allora il futuro delle città oggi piegate dall’emergenza sanitaria? Davvero la ricetta può essere quella del “ritorno” ai paesini di campagna e di montagna via via abbandonati? Sono i temi discussi e approfonditi nel nuovo numero di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da domani. “Penso a una popolazione urbana che si sposta, non solo il fine settimana, tra città e reti di piccoli borghi”, dice l’architetto Stefano Boeri, in un’intervista in cui racconta diversi progetti che puntano a fare sistema fra metropoli e paesini, per esempio con il decentramento di dipartimenti universitari o piccole filiere produttive. In un intervento a metà fra analisi e testimonianza, il climatologo Luca Mercalli racconta proprio la sua nuova vita fra la Valsusa e Torino. Una scelta che gli è costata l’accusa di aver fatto una scelta “elitaria”, con una soluzione certo ecologica, ma non alla portata di tutti. Intanto però le città possono diventare capaci di affrontare meglio le future emergenze, sanitarie e non, diventando sempre più “smart” a colpi di connessione, domotica, big data. Magari in favore delle fasce più fragili, a partire dagli anziani, prime vittime dell’epidemia. Ma anche l’edilizia può essere smart: FQ MillenniuM racconta che a Bisceglie è in costruzione un condominio di 24 appartamenti fatto in mattoni di canapa: a chilometri zero, grazie a una virtuosa filiera locale, e a impatto meno di zero, perché l’intero processo produttivo consuma Co2 invece di produrne.