Chi avrebbe potuto mai immaginare che un magistrato – che, per Costituzione, è il garante della legalità – potesse impartire ordini “ai suoi uomini” (magistrati del Csm) per punire un collega “scomodo”. Eppure, anche di questo è stato capace Luca Palamara, ex presidente dell’Anm ed ex membro del Csm. Nell’intervista di circa 300 pagine rilasciata al direttore del Giornale, Palamara, che “non rinnega ciò che ha fatto”, ammette di aver fatto parte di un “Sistema” – (come protagonista, anzi, “in un certo momento”, era egli stesso il “Sistema”) – “spietato che non fa prigionieri” e rivela, riferendosi al Gip Clementina Forleo che voleva fossero indagati i vertici del Pds per una scalata bancaria: “Io capisco che non abbiamo scelta, al di là del merito tecnico-giuridico delle sue decisioni, Forleo va rimossa, è un pericolo, e mi esprimo anche pubblicamente in tal senso, sia come Anm sia come capocorrente, dando indicazioni in tal senso ai miei uomini dentro il Csm. Che, infatti, la trasferisce di peso al Tribunale di Cremona”.
Ma “i suoi uomini nel Csm” servono non solo a “punire” ma anche a “premiare”. È il caso della nomina di David Ermini a vicepresidente del Csm che Palamara, nel libro-intervista, racconta nei minimi particolari, peraltro riscontrati nelle chat di quest’ultimo. All’epoca, il Fatto rivelò che “la nomina di Ermini – in quel momento parlamentare del Pd – alla vicepresidenza del Csm, viene suggellata con la cena del 25 settembre 2018, nell’abitazione romana di Giuseppe Fanfani, anch’egli parlamentare del Pd, consigliere del Csm in uscita. Sono presenti Luca Lotti e gli uomini più influenti delle correnti Unicost e Mi, cioè Palamara e Ferri”. Significativo il titolo: “Palamara & C.: cena a casa di Fanfani, menu Ermini vicepresidente”.
In un’intervista al Corriere, Ermini ha confermato di avere avuto il definitivo via libera al prestigioso incarico durante “una cena con due capi corrente riconosciuti e un esponente del Pd, lì mi dissero che l’accordo era chiuso”. I due “riconosciuti capicorrente” erano Luca Palamara e Cosimo Ferri; ma riconosciuti da chi? Perché il punto è proprio questo, entrambi non avevano ruolo e titolo per interessarsi alla sua nomina, non ricoprendo alcun incarico di rappresentanza (presidente o segretario) nelle rispettive correnti; addirittura Ferri era parlamentare (in quota Pd).
In sostanza, la nomina sembra aver seguito i seguenti anomali percorsi: a) gli accordi per votare Ermini vengono presi fuori del Csm; b) gli accordi non vengono presi da coloro che rappresentavano le correnti dell’associazione, e già questo sarebbe stato, comunque, improprio e disdicevole; c) gli accordi vengono presi da chi non ha, sotto qualsiasi profilo, alcuna veste per intervenire in una così fondamentale nomina, e con essi Ermini non avrebbe dovuto assolutamente interagire e, si badi bene, Ermini è la stessa persona che, all’esplodere dello scandalo delle nomine, novello “Sant Just”, aveva tuonato contro “il miserabile mercimonio di ciniche pratiche correntizie”.
Orbene, due domande si impongono. La prima: quale legittimazione abbia un vicepresidente eletto con le modalità prima indicate e con i voti anche di sette componenti del Consiglio che – per essere stati costretti alle dimissioni a seguito dell’inchiesta Palamara – non fanno più parte del Consiglio che lo ha votato? La seconda: può Ermini – la cui elezione ha trovato la genesi in un accordo improprio, fuori del Csm, tra persone non legittimate di cui, in quel momento, due di esse (Lotti, deputato Pd, e Palamara) indagate – sostituire e rappresentare al vertice del Csm il capo dello Stato?