“Coraggioso. Umile. Asciutto…” ritratto dadaista di draghi

La penna Bic nera. I capelli con la riga. Il sorriso trasversale. A scuola non faceva copiare. A volte faceva copiare. Non faceva la spia. I cannoli di panna. Il casale a Città della Pieve, la sua Camp David. Casa in viale Bruno Buozzi. Porta Pinciana. Il bracco ungherese. La moglie Serenella, first lady della Bce. Volare di Modugno. I cavatelli. Bravo in matematica. Crisis manager. Civil servant. Policy maker. Super Mario. Super-intelligenza, integrità e leadership. Gioca a scacchi online. L’Artefice. Sobrio. In forma. Un po’ narcisista. Atermico. Viaggia in Economy. Usa l’igienizzante. È attento al benessere fisico. Corre sul lungomare romano. È tesserato del Gruppo Sportivo Bancari. Ha il passo corto, lento e costante. Tifa Roma. Gioca a golf. Meritocratico. L’uomo col bazooka. Parla piano. Curioso. Coltissimo. Molto più a sinistra di molta sinistra. La messa alle 7:30 con le Clarisse umbre. Look istituzionale. Strano. Normale. Gentleman. Non ostenta. Laurea honoris causa alla Cattolica. Dittatore benevolo. È come Cristiano Ronaldo. Può fare tanti gol. Lucido. Naturalmente munito di mascherina. Completo scuro, blu notte, camicia bianca con collo alla francese. Cravatta azzurra. Non ha pochette nel taschino né pin sul bavero della giacca. La Volkswagen Passat Alltrack (la versione Alltrack, oltre a superare con tranquillità i terreni più impervi, è anche in grado di essere estremamente confortevole sulle strade più normali). Le orecchiette. Pragmatico. Riservato. Affabile. Inafferrabile. Stratega, non tattico. Il fumo di Londra. I vetri oscurati. L’istituto Massimo. I gesuiti. La pallacanestro. Il calcio. Il tè coi pasticcini. Il seggio elettorale al liceo Mameli. Le vacanze a Stra, sul Brenta. La spesa a Roma. Guida la Panda. L’understatement. La vigna. Due figli, di cui la femmina con master. Le nipotine. La chiesa di San Bellarmino, ai Parioli; quella di San Simpliciano, a Milano. Matrimonio a villa Morosini-Cappello. Il Mit di Boston. Fa beneficenza, ma con discrezione. Sui social va forte. Arriva sempre in anticipo. Rassicurante. Coraggioso. Umile. Timido. Asciutto. Una specie di Cassius Clay. Alto profilo. Altissimo profilo. Ha una buona parola per tutti. Non chiama nessuno. Lavora nel weekend. Capacità di sintesi. La moglie è ghiotta di meringhe. Il caffè degli Artisti a Città della Pieve. La moglie fa il Sudoku. In barca a Nettuno. Timoniere del Titanic Italia. Il barbiere Riccardo. Dal benzinaio. Davanti al camino acceso. Si mette in fila al supermercato. Sorriso angelico. Per tutti ha un sorriso. Spirito guascone. Realista. Una bella persona. Non è scaramantico. Ha fatto crollare lo spread (“effetto Draghi”). Non ha cerchi magici. Incontra le delegazioni da solo. Fuoriclasse. Si è trasfigurato. Un po’ emozionato, ma la voce decisa. Icona pop. Rispettoso. Grande comunicatore. Misterioso. Maratoneta. Neoclassico. Impeccabile. Un po’ rigido. Va al Quirinale a piedi per non dare nell’occhio. Non ha i social. Non manda vocali. I giovani sono il suo faro. Le commesse del Supermercato Emi ne apprezzano l’umiltà. La Pontificia Accademia delle Scienze sociali. Non bisogna tirarlo per la giacchetta. Un miracolo. Un comandante. L’ultima chance. Sistemerà la Patria. Campione certificato. Spazza via la mediocrità. Cita il teologo Reinhold Niebuhr. Il compagno di classe. Il compagno di college. Il compagno di aereo. L’edicolante. Compra otto giornali, dall’Herald Tribune (chiuso nel 2013, ndr) al Corriere dello Sport. Vacanze in Sicilia. The best, The best, The best. Sua moglie si stende dentro il sarcofago della cripta di San Nicola a Bari perché gli ospiti possano osservare meglio le reliquie.

(Frasi estrapolate dai giornali a partire dal 3 febbraio, giorno dell’incarico a Draghi da parte del presidente Mattarella).

 

Le Foibe tra il “Ricordo” e l’abuso della storia

Gli italiani ammazzati nel 1943 e nel 1945 furono vittime di una spietata “pulizia etnica” da parte dei partigiani comunisti jugoslavi? Questa tesi è affiorata sempre più spesso nel discorso pubblico sulle “foibe”, suffragata anche da alcuni interventi del presidente della Repubblica. Rimbalzata nella grande arena dell’“uso pubblico della storia” ha assunto una marcata connotazione politica, tradottasi in una strisciante rivalutazione del fascismo e anche del nazismo. In Rai, il passaggio da Il cuore nel pozzo, andato in onda nel 2005, a Rosso Istria, nel 2019, è molto indicativo.

È stato Eric Gobetti nel suo ultimo libro (E allora le foibe?, Laterza) a richiamare l’attenzione sulle differenze tra i due racconti: nel primo le vittime sono italiani innocenti, travolti da una violenza incomprensibile; nel secondo, la barbarie comunista colpisce non gli italiani in generale ma i fascisti dichiarati, con i nazisti che si adoperano per salvare i loro camerati dalla brutalità dei “titini”. Il comunismo è peggio del fascismo e, nel nome dell’anticomunismo, anche il nazismo ha i suoi lati buoni.

Nell’“uso pubblico della storia” da sempre si combatte senza esclusione di colpi per schiacciare gli avversari politici, utilizzando in chiave strumentale un particolare racconto del passato. Sul 10 febbraio, sulla “Giornata del ricordo”, la destra politica ha tentato con successo non solo di proporre un’alternativa al 27 gennaio e alla memoria di Auschwitz, ma anche di cogliere l’occasione per legittimarsi, in nome dell’anticomunismo, in un ruolo patriottico. È stato così fin dall’inizio, quando (nel 2004) il Parlamento votò a stragrande maggioranza per una data che non c’entrava niente con le foibe (le uccisioni di italiani da parte dei partigiani jugoslavi avvennero a ridosso dell’8 settembre 1943 e nel terribile mese del maggio 1945), ma che coincideva, invece, con quella della firma del Trattato di pace a Parigi (1947), con i neofascisti pronti già allora a denunciare come una vergognosa resa agli Alleati quello che fu invece il primo atto rilevante in politica estera della giovane democrazia italiana.

La tesi della pulizia etnica, però, è messa in discussione dalle più recenti ricerche storiografiche, rese possibili anche dall’apertura degli archivi della ex Jugoslavia, e dai lavori degli storici, soprattutto italiani e sloveni. A me sembra, inoltre, che il richiamo alla “pulizia etnica” rischi di schiacciare l’intera questione sulle specificità storiche e geografiche dell’Alto Adriatico. È vero. A Versailles, nel 1919, lo smantellamento dei grandi imperi multietnici (l’Austria-Ungheria, ma anche quelli ottomano e zarista) provocò la nascita di Stati costruiti a tavolino, dando vita a compagini rese fragili dai dissidi profondi tra le varie componenti etniche e religiose: conflitti che, tra il 1940 e il 1945, esplosero nella “guerra totale”, quando agli odii “nazionali” si sovrappose il carattere ideologico della guerra (democrazia contro totalitarismo, fascismo contro comunismo, nazismo contro comunismo). Questo groviglio di scontri ideologici, rivendicazioni nazionali, rivalità etniche e religiose, caratterizzò il modo in cui l’Italia, attraverso il suo confine orientale, fu coinvolta nelle tragedie della Mitteleuropa.

Pure, ci sono delle questioni tutte italiane che quelle vicende lasciano emergere, partendo proprio dalle “tre guerre” (civile, patriottica, di classe) della riflessione di Claudio Pavone sul biennio 1943-1945. In quelle zone ci fu anche una guerra civile tra italiani: con Tito erano schierati 30 mila nostri connazionali, arruolati nella Divisione Garibaldi e protagonisti di strenui combattimenti con i nazifascisti; così come, sull’altro fronte, al servizio dei tedeschi c’era la X Mas di Junio Valerio Borghese. E di una vera e propria guerra patriottica si deve parlare a proposito degli scontri che videro gli italiani, anche gli antifascisti e il Cln, opporsi con determinazione alle pretese annessionistiche dell’esercito di Tito e le varie nazionalità (slovena, serba, croata, bosniaca) scontrarsi tra loro. Quanto alla “guerra di classe”, i suoi caratteri furono espliciti nei giorni successivi all’8 settembre 1943: si trattò di una rivolta delle campagne slave contro la città italiana, il riaccendersi di un conflitto secolare, ripropostosi in termini più ideologici, nel maggio 1945, quando gli italiani furono eliminati in quanto fascisti ma anche in quanto “padroni”. E perfino all’“esodo” (furono 300 mila i nostri connazionali costretti a lasciare le loro case), si oppose un “controesodo” che portò 3 mila italiani (nella stragrande maggioranza operai comunisti) a trasferirsi in Jugoslavia. Collocando gli eventi che funestarono il confine orientale nella crisi italiana 1943-1945, la storia ne sottolinea così i caratteri nazionali e può aiutarci a capire meglio quel nostro passato senza ammiccamenti alle “memorie condivise”.

 

Mail box

 

Associare Marini a Renzi
sarebbe un torto enorme

“Un pericoloso vanesio, dall’ambizione sfrenata”. Franco Marini lo aveva subito inquadrato. Fu il commento arrivato l’indomani del primo killeraggio politico dell’Innominabile (cui si sono aggiunti Romano Prodi, Enrico Letta, Giuseppe Conte e tutte le teste che ha chiesto con il suo recente ricatto), quando Marini fu candidato da Bersani, con il consenso parlamentare, al Quirinale. Lo ha ricordato un servizio andato in onda sul GR1 della Rai che, nelle successive edizioni, è stato prontamente censurato. Forse è giusto così. Affiancare, nel momento del ricordo, due persone dalla stoffa politica e morale così sideralmente distanti, avrebbe fatto un torto troppo grande a Marini.

Melquiades

 

Matteo il “guappo”
diventato europeista

Quando un guappo perde all’improvviso tutta la guapparìa, le cause possono essere le più diverse. Nella tradizione canora napoletana è soprattutto la scintilla amorosa per una femmina ad ammansire il malommo, ma talvolta anche la redenzione via miracolo di San Gennaro o affini. Dovendo escludere sia l’intervento divino che il trasporto erotico incoercibile verso il presidente incaricato, e persino il tocco taumaturgico con cui il regnante guariva d’emblée il rozzo popolano scrofoloso, rimane una sola spiegazione della conversione repentina del nostro guappo all’europeismo, eccetera: oltre alle già note qualità, Draghi è un ipnotista.

Riccardo Giagni

 

Bonafede dovrebbe
rimanere ministro

In questo contesto è prioritario smascherare i finti “europeisti” e gli imbroglioni. Mi sarei aspettato, in tema di giustizia, indicazioni e sollecitazioni europee in merito, ivi compreso il fatto che il buon Bonafede ha lavorato per una giustizia efficiente, quindi a pieno titolo “europeista”. La scelta non è fra opposizione ottusa e una resa senza condizioni, che lo farebbe stare fuori dal governo. Non si fa un buon servizio al lavoro svolto da Buonafede propugnando una opposizione “intelligente” e sollecitando con le bandierine di pericolo gli iscritti al voto contrario alla partecipazione al governo. Ritengo che Bonafede stia meglio dentro al governo. Ciò non toglie che quando si scopriranno le carte e risulterà accertata l’impossibilità della missione del ministro della Giustizia, i 5S saranno sempre in tempo per uscire dal governo.

Salvatore Giallongo

Caro Salvatore, lei pensa davvero che B., l’Innominabile, Salvini, Calenda e Bonino accetteranno Bonafede di nuovo ministro della Giustizia?

M. Trav.

 

Il Pd dava dei “fascisti”
ai leghisti: ora che dirà?

Non ho capito il senso dell’articolo dove si sostiene che il Pd deve chiedere scusa perché ha dato del fascista a Salvini. Da presidente di una sezione Anpi, non sono così sicuro di poterlo catalogare tra i fascisti, anche se purtroppo succede che nell’accapigliamento politico si arrivi a dare del fascista a uno come Salvini e del comunista a Zingaretti. Ciò che non capisco di quell’articolo e della risposta di Marco Travaglio è questo continuo mettere zeppe tra due partiti che insieme a LeU rappresentano l’unica speranza rimasta per non diventare “salvinmeloniani”. Auspico che in questo governo entrino tutte e tre le formazioni. A queste condizioni, ritengo che il partito che sconterà maggiori difficoltà sarà la Lega.

Celestino Villa

 

Caro Celestino, il Pd dovrebbe scusarsi di entrare in un governo con la Lega, perché così dimostra che le accuse di “fascismo” a Salvini erano solo propaganda elettorale.

M.Trav.

 

Mario meglio di Conte:
un sondaggio farlocco

Il peraltro ottimo Ilvo Diamanti, su Repubblica, ha illustrato i risultati di un sondaggio che starebbe a indicare un Draghi più gradito di Conte. Un sondaggio di questo genere, in questo momento, è del tutto inutile e fuorviante per il fatto che ha riguardo a due posizioni del tutto diverse: Draghi è giudicato sulla base dei suoi trascorsi altissimi in ruoli tecnici, Conte invece per i quasi suoi tre anni alla Presidenza del Consiglio dei ministri e quindi per un ruolo politico, che Draghi invece sta solo per iniziare. Esprimevo l’impressione che anche questo faccia parte di una certa narrazione di questa fase politica, che però non è conforme a quella che dovrebbe essere una corretta informazione.

Loris Parapinel

 

L’ex premier paga
per colpa del bulletto

Come sappiamo, l’ex presidente del Consiglio Conte ha dovuto rinunciare al suo incarico. La cosa è abbastanza frequente nei Paesi a democrazia difettosa e incompiuta. Ho usato questi due aggettivi in quanto nel nostro caso si riferiscono alla possibilità che è stata data, a un partito con infime percentuali, di mandare in malora un governo presieduto da una persona valorosa e onesta che ha affrontato, con serietà e senso del dovere, un dramma unico e mai conosciuto dai precedenti capi di governo. Ebbene, non un vagito di riconoscenza dalla stragrande maggioranza dei media (tranne voi) all’uomo Giuseppe Conte, non un udibile grazie è arrivato dai variegati salotti televisivi. Anzi, alcuni di loro hanno espresso sofisticate parole di plauso di “intelligenza politica” dimostrata da colui che, dimenticandosi di “sciacquare in Arno” le sue pulsioni disgregative, ha ideato e attuato codesta crisi di governo.

Ennio Giacobbe

L’Aifa è arrivata tardi, ma l’uso in ospedale è auspicabile

In alcuni articoli di Gismondo e Mackinson, si insinua che qualcuno abbia remato contro gli anticorpi monoclonali e perciò sia responsabile di non aver evitato molti morti. I monoclonali costano un occhio della testa, hanno una finestra terapeutica stretta (entro 2-3 giorni se non erro) e richiedono un’infusione endovenosa di lunga durata (1 ora). Nonostante le grandi professionalità, il nostro sistema sanitario ha subìto tagli strutturali per anni: quante risorse umane assorbono le terapie monoclonali? Negli Stati Uniti l’Amministrazione Trump ha cercato di interferire con Fda e Cdc: è questo che vogliamo fare con Ema e Aifa? In molti casi un supplemento di indagine è stato provvidenziale per ridurre i rischi dei pazienti (e le pressioni aziendali).

Guido Del Re

Gentile lettore, in questa tragedia dovuta alla pandemia, nell’attuale assenza di una terapia mirata, ogni sforzo è assolutamente condivisibile. Come principio teorico, la sua osservazione sull’ottimale allocazione delle risorse economiche è alla base della politica sanitaria. Altrettanto ammetterà che, in questo momento, stiamo derogando a ogni principio del genere, con l’unico scopo di debellare la pandemia. Gli anticorpi monoclonali non sono “la soluzione”, ma un tassello della possibile soluzione. L’Aifa li ha autorizzati in ritardo rispetto ad altri Paesi e, come detto anche dal collega Silvestri, non ci si spiega il perché. La mia non è un’accusa ad Aifa, ma solo la critica a una lentezza su uno strumento che in alcuni casi avrebbe aiutato a evitare sintomatologie gravi, ricoveri e anche decessi. Da medico, risparmiare anche solo una vita umana è un grande traguardo. Nella sua lettera fa cenno a interferenze sull’Fda negli Usa. Non credo che in Italia si stia verificando nulla di simile. I tecnici si esprimono liberamente con pareri scientifici. Come tali, sono tutti “democraticamente” criticabili da parte dei colleghi. Che il virus abbia trovato una sanità “offesa” dai tagli degli ultimi decenni l’ho sempre sostenuto, (anche nel mio libro “Ombre allo Specchio”). La Medicina territoriale è stata una falla del sistema e lo è ancora, malgrado ci siano ottimi colleghi e alcuni abbiano anche sacrificato la vita. Secondo me, i monoclonali sono un passo avanti nella battaglia. Spero rimangano a esclusivo utilizzo ospedaliero.

Maria Rita Gismondo

L’arte e la letteratura contengono sempre “una dose d’artificio”

Nabokov, oltre ai pun, inventava parole portmanteau come sexophone e Tolstoevskij, arrivando a trasformare, nella sua versione russa di Lolita, tripping step in tropotok, fusione fra il verbo francese trotter e il sostantivo russo topot, calpestio;

risegmentazioni (One gentle writer rebuked Sebastian for being “Conradish” and suggested his leaving out the “con” and cultivating the “radish” in future works), a volte sotto forma di conundrum, la sciarada a indovinello (My first is that sound, my second is an exclamation, my third will be prefixed to me when I am no more; and my whole is my ruin. Soluzione: choch-oh-late = chocholate). Altrove, trasforma i cavalli della notte (night mares) in incubi (nightmares);

anagrammi (Vivian Darkbloom = Vladimir Nabokov);

lucchetti (“Miss Lester” e “Miss Fabian” = Lesbian);

palindromi (partizan = nazitrap);

acrostici (il finale sovrannaturale di The Vane Sisters: “I could isolate, consciously, little. Everything seemed blurred, yellow-clouded, yelding nothing tangible. Her inept acrostics, maudlin evasions, theopathies – every recollection formed ripples of mysterious meaning. Everything seemed yellowly blurred, illusive, lost” = ICICLES BY CYNTHIA. METER FROM ME, SYBIL);

calembour (“uova alla Nabocoque”, “postbrandial brandy”, “crash of symbols”, “Edgar Poem”);

paragrammi (crown > crow > cow in Pale Fire);

tmesi frastiche (“Circolo non vizioso Artico”);

contrepèterie (cunning stunts = stunning cunts). La contrepèterie consiste nello scambio di suoni fra due parole contigue, una trovata di Rabelais: “Panurge disoit qu’il n’y avait qu’un antistrophe entre femme folle à la messe et femme molle à la fesse” (donna folle a messa = donna dal culo molle). Il risultato della trasformazione è una frase licenziosa, che oggi si omette, lasciandone la scoperta alla malizia dell’interlocutore, come fece un parlamentare francese alla vista della buvette affollata dicendo “La cuvette est pleine de bouillon” per intendere “La buvette est pleine de couillons”.

Fra i tre tipi di scrittori (insegnanti, narratori, incantatori), Nabokov preferiva gli incantatori. Non è il solo: “Stevenson pensava che se a uno scrittore manca l’incanto, gli manca tutto” (Borges, 1975). L’arte è artificio, trompe-l’oeil. È la banconota che, nelle mani di Silvan, si trasforma in una farfalla di fuoco. “Una buona combinazione deve contenere sempre una certa dose di inganno” (Nabokov, 1962).

Anche molti illusionisti ritengono che la loro arte consista nell’ingannare il pubblico: si vantano di riuscire a sorprendere altri illusionisti; e lodano il trucco altrui che li ha, dicono, “fregati” (Ortiz, 2006): riecco la sfida del ludus enigmistico. Per altri versi, l’illusionismo è simile alla comicità. Nei trucchi e nelle gag, infatti, il significato è noto, la tecnica nascosta; una storia si risolve in maniera sorprendente; l’eccellenza artistica consiste nella performance; l’effetto è quello di una violazione delle leggi del mondo; la demarcazione fra idea ed espressione non è ben definibile; la tradizione è per lo più orale; l’evoluzione avviene adattando il lavoro altrui. Soprattutto, in entrambi è cruciale la misdirection, l’abilità di distrarre l’attenzione del pubblico dalla tecnica del trucco per guidarla verso l’effetto, manipolando i processi cognitivi. Non a caso, giochi di prestigio e gag visive attivano, fra le altre, le aree cerebrali dello spettatore che processano i conflitti cognitivi: corteccia cingolata anteriore e prefrontale dorsolaterale sinistra. (Watson & al, 2007; Parris & al., 2009)

(8. Continua)

 

Draghi si occupi del dramma della povertà

“Oggi ripeterebbe pensate ai poveri”, è il titolo di una bella intervista sulla figura di Federico Caffè, maestro di Mario Draghi, che Nicola Acocella, altro allievo del grande economista scomparso misteriosamente nel 1987, ha dato a Repubblica.

Colpisce una frase pronunciata da Caffè a proposito di un libro che elogiava Stuart Mill sullo stato stazionario, ossia una situazione senza crescita economica. “Come si fa – disse – a dimenticare l’esistenza dei poveri?”. E raccontò che quella mattina aveva dovuto soccorrere una signora crollata per terra appena scesa dall’autobus perché digiuna da giorni.

In queste ore di fervida attesa, i giornali dedicano ampio spazio al totoministri, al ritorno di Berlusconi e al migliore amico dell’ex presidente Bce, il suo bracco ungherese. Certo, ci si occupa anche dei “nodi del programma”, con approfondimenti su fisco, migranti, giustizia e previdenza. Sulla povertà, invece, solo qualche cenno sparso malgrado l’emergenza assoluta se si tiene conto che, secondo l’Istat, nel 2019, 1,7milioni di famiglie vivevano in povertà assoluta. Ovvero: 4,6 milioni di persone equivalenti al 7,7% della popolazione.

Un disastro diventato una catastrofe visto che durante e dopo il lockdown la Caritas da sola ha soccorso 450mila persone in condizioni di indigenza assoluta. Quel piatto di minestra che la rete del volontariato, la nostra eccellenza umanitaria, ha cercato di non far mancare alla moltitudine di famiglie che la pandemia ha gettato letteralmente sul lastrico.

Leggiamo anche che se la situazione non è andata del tutto fuori controllo si deve a quel Reddito di cittadinanza, fortemente voluto dal M5S e fortemente contestato da quelli che se ne stanno con il culo al calduccio. Ecco, quando dopo il colloquio con il presidente incaricato, Beppe Grillo dice “sembra uno di noi” vorremmo tanto non fosse solo una battuta. Ma, al contrario, il segno di una sintonia tra persone e mondi apparentemente lontani ma concordi sul sostegno indispensabile, e sulle risorse economiche da distribuire a favore degli ultimi. Su questo impegno di governo, sul rilancio del Reddito e su tutte le misure necessarie a risollevare la condizione di quei milioni di cittadini dimenticati vorremmo che la base 5stelle soprattutto si pronunciasse. Affinché, come avrebbe detto il professor Caffè, non esistano più donne e uomini che crollano a terra per la fame. E sotto i nostri occhi.

Splendidi cani e padroni straordinari

“DRAGONFORCE” – “LA VITAMINA D PER LA REPUBBLICA”. All’Italia piegata dalla pandemia serve un potente ricostituente per
ripartire sulla via
della crescita. E Mario Draghi sembra
la scelta migliore.
Panorama

“Il vero campione è il cane del premier. L’ex capo della Bce fedele al suo bracco ungherese”. Si tratta di un bracco ungherese di 5 anni
e gode di una salute favolosa – assicura il suo veterinario (…). Si dice che i cani finiscano per assomigliare ai padroni (…) e come sapete
Draghi è meticoloso,
attento, riservato,
signorile nei modi, insofferente alla caciara, dicono persino che soffra di insonnia e ami ascoltare Cohen nel silenzio
di casa sua.
Libero

Studio sui malati: 1 decesso su 3 per germi contratti in terapia intensiva

C’’è un’epidemia sottotraccia nella pandemia – spiega l’infettivologo Francesco Menichetti, co-autore di uno studio coordinato dal San Martino di Genova appena apparso sul Journal of Clinical Medicine – quella causata dai germi resistenti agli antibiotici trasmessi da paziente a paziente.” Il numero di morti causate da complicanza della polmonite associata a ventilazione (Vap) da batteri resistenti nei pazienti Covid ventilati è significativamente superiore al quello riscontrato nei pazienti ventilati non Covid. Quasi il doppio. I pazienti studiati sono 586, ricoverati da febbraio a maggio 2020: 171 hanno contratto la Vap. In circa il 48% dei casi la causa di morte è stata la complicanza della Vap. Lo studio è osservazionale e ha dei limiti, ammettono gli stessi autori, ma solleva un problema: “Si tratta sempre di pazienti deceduti per Covid,” spiega Menichetti. Ma “nella prima ondata, nella concitazione, le procedure di gestione in rianimazione – cosiddette procedure di controllo delle infezioni – come il lavaggio dei pazienti intubati, possano essere state trascurate e i germi passati”. Le procedure che il personale medico adotta per la protezione contro il Covid, aggiunge, non sono le stesse da adottare per i pazienti Covid assistiti. “Se non siamo rigorosi passando dalla gestione di un paziente all’altro, non ci laviamo le mani o non cambiamo i guanti, siccome i batteri non volano, li trasferiamo a tutti gli altri pazienti”. L’altra causa, secondo Menichetti, è l’impiego in emergenza di personale non addestrato, giovane, reclutato per l’emergenza e l’eccesso di antibiotici impiegati in terapia intensiva nella prima ondata Covid.

Ecco il piano Bertolaso: 42 pagine di incertezze

Meglio tardi che mai. Anche la Lombardia annuncia l’avvio della vaccinazione per i 700 mila over 80. O meglio, Attilio Fontana e la sua vice Letizia Moratti hanno annunciato che dal 15 febbraio “le cittadine e i cittadini potranno comunicare al proprio medico o in farmacia la volontà a essere vaccinati”. Le vaccinazioni non partiranno prima del 18. Sul come prenotarsi molti annunci e poche certezze. Una via sarà la piattaforma che sarà online solo tra qualche giorno. L’altra, i medici di famiglia. Dato il consenso, si riceverà un sms con l’appuntamento. Tutte soluzioni previste dal “famoso” piano di Guido Bertolaso (“rimandato” dall’Iss) per vaccinare 10 milioni di lombardi entro giugno. Abbiamo letto il piano: 42 pagine con molti schemi del padiglione vaccinale ideale, molti grafici su tempi medi, personale, best practices, ma pochi dati certi. Non si dice dove saranno vaccinati i lombardi, quali dotazioni saranno necessarie a ogni hub, come sarà reperito e gestito il personale. Il Pirellone stima di somministrare tra l’8 febbraio e il 29 marzo 1.230.000 dosi, con picchi di 216.000 dosi a settimana, 30.857 al giorno. L’obiettivo è completare la prima fase entro il 31 marzo e concludere con le seconde dosi ad aprile. Come? Non si sa. Inoltre si ignora se il calcolo è fatto sulle 8, 12 o 24 ore di attività.

Molto resta da fare, come si legge nel piano stesso: “Sono state ratificate le intese con medici di famiglia e pediatri e con Farmacie per l’erogazione di vaccini”, ma “occorre definire gli accordi operativi. E sono in corso di definizione accordi con AVIS e rete ambulatoriale privata”.

“Il piano – sostiene Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano – dimostra che c’è molto affanno e ancora molti dubbi. Sono molto perplesso, tutto viene fatto senza programmazione e senza il coinvolgimento dei medici di medicina generale”. I medici di famiglia dovrebbero vaccinare gli over 80 in studio o a casa, “ma noi lavoriamo nei condomini, non vi sono spazi adeguati. – aggiunge Rossi – Come medico non ho ancora ricevuto alcun tipo di indicazione. Come Ordine siamo stati coinvolti un paio di volte in via informale con l’assessore Moratti. Manca un quadro generale di coordinamento. Sappiamo di essere coinvolti ma ancora non sappiamo come”.

Manca anche un altro pezzo fondamentale: tra i medici, infermieri, assistenti sanitari servono circa 6.800 persone, di cui circa 3 mila infermieri Che mancano, ma sono indispensabili, dato che, come ha stabilito il ministero della Salute: “La Regione vuole fare oltre 30 mila vaccini al giorno, ci chiediamo come – dice Mimma Sternativo, segretaria del sindacato Fials (infermieri) di Milano –. Assunzioni ex novo? Personale già alle dipendenze delle aziende sanitarie da sottrarre agli ospedali, che devono anche recuperare le liste d’attesa?”. Una possibile soluzione arriva dagli Ordini provinciali degli infermieri. “Serve un bando, da fare in fretta e con condizioni appetibili, sia sotto il profilo della remunerazione che della flessibilità”, hanno detto all’assessore al Welfare, Letizia Moratti, che li aveva convocati per raccogliere proposte.

Figli in isolamento e Dad: ai genitori niente più congedi

Figli under 14 in quarantena o in isolamento fiduciario, ma anche alle prese con la didattica a distanza (Dad). E genitori obbligati a stare in casa con loro. Dallo scorso marzo è toccato a migliaia di madri e padri che hanno avuto due possibilità di scelta: lavorare in smart working se il datore di lavoro lo consente, o richiedere il congedo Covid, un’astensione utilizzata fino al 31 agosto da oltre 250 mila beneficiari, secondo le stime prudenziali fornite dall’Inps. Mentre ancora non ci sono dati sulla seconda tranche di richieste, da settembre a oggi. Ma dal primo gennaio questo congedo non esiste più: scadeva il 31 dicembre e non è stato prorogato. L’unica misura in questo momento accessibile è la richiesta di un congedo straordinario (articolo 22 bis del dl n. 137/2020, convertito dalla legge 176/20) che interessa solamente gli alunni che vivono nelle zone rosse, dove le scuole sono chiuse e opera la didattica a distanza. A patto, però, che questi territori siano individuati da un’ordinanza del ministro della Salute. Insomma, una doppia fregatura per i genitori, come commenterebbero nei think tank più esclusivi.

Andiamo con ordine. Con una circolare dello scorso 12 gennaio, l’Inps ha confermato i timori che circolavano da tempo e che erano stati già sollevati dai tecnici del ministero della Famiglia: il congedo parentale Covid per la quarantena di un figlio (per contatto avvenuto in plessi scolastici ovvero in palestre, piscine, etc.) è scaduto il 31 dicembre 2020. E per il 2021 è stata prevista una misura straordinaria per i genitori solo in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza delle classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado situate nelle zone rosse. Limite territoriale che almeno non vale per i genitori di figli con disabilità. Peccato, però, che ufficialmente solo da una settimana non ci siano più Regioni in zone rosse (le ultima a passare in arancione o giallo sono state la Provincia autonoma di Bolzano, la Lombardia e la Sicilia). Ma, intanto, il dilagare delle nuove varianti Covid ha portato a un lockdown di tre settimane l’Alto Adige e alla decisione degli enti locali (non del ministero) di dichiarare la zona rossa in decine di comuni in Provincia di Perugia, nel Ternano, nel basso Molise, in Abruzzo e nella città di Chiusi in Toscana.

Quindi, ora cosa devono fare le mamme e i papà che si ritrovano con i figli in didattica a distanza in queste zone? “Nel momento in cui manca una previsione speciale, l’unica possibilità che ha il genitore che non può lavorare in smart working, è prendere le ferie o i permessi, sempre che gli siano rimasti o li abbia già maturati trovandoci a inizio anno”, commenta Pasquale Staropoli, responsabile del dipartimento Scuola Alta Formazione dei Consulenti del Lavoro. E non è affatto certo che se anche ne prossimi giorni, crisi di governo permettendo, venisse firmato un nuovo Dpcm, sarebbe poi possibile per i genitori “togliere le ferie” e utilizzare i giorni di congedo Covid. Misura per la quale nel super decreto Ristori di dicembre sono stati stanziati 54,5 milioni di euro per il 2020 e 31,4 milioni per il 2021 per la copertura dell’indennità prevista per il congedo straordinario e per garantire la sostituzione del personale scolastico che dovesse fruirne.

Intanto, solo dal 5 febbraio scorso i genitori di figli under 14 che, a partire dal 9 novembre 2020 non hanno potuto svolgere la loro attività lavorativa in smart working, possono presentare all’Inps la domanda del congedo straordinario Covid. A farne richiesta sono solo i lavoratori dipendenti che non possano svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile. Sono esclusi gli autonomi ai quali è stato riconosciuto, invece, il bonus baby sitting.

Ai genitori che attualmente si trovano nelle mini-zone rosse non resta che augurarsi che arrivi la modifica al decreto dopo queste settimane di limbo e che si continui a dare la colpa al meccanismo emergenziale.