Vaccini, l’Ue loda l’esempio Italia Ma da noi non era un fallimento?

“In Polonia il 94% del personale sanitario e l’80% degli ospiti delle case di riposo sono stati vaccinati. In Danimarca per le case di riposo siamo al 93%, in Italia oltre il 4% della popolazione è stato vaccinato. Questi tre esempi mostrano che la campagna di vaccinazione in Europa ha preso velocità”. Il nostro Paese, dunque, è un esempio virtuoso in Europa, almeno secondo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, intervenuta ieri alla riunione plenaria del Parlamento europeo. Un riconoscimento per il nostro Paese, nonostante ancora ieri su alcuni quotidiani si leggesse di “campagna vaccinale che stenta a partire. E non solo per i ritardi di Big Pharma”. Eppure, anche prima delle parole di Ursula von der Leyen, bastava dare un’occhiata ai numeri (consultabili sul sito dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari Agenas e altrove) per capire che una simile affermazione fosse quantomeno ingenerosa”

Il nostro Paese, con 2.881.800 dosi di vaccino somministrate, è al momento secondo solo alla Germania (3.369.433), che però ha 20 milioni di abitanti in più. L’Italia, finora, ha vaccinato (con almeno una dose di Pfizer, Moderna o Astrazeneca) il 4,47% della popolazione (a fronte di una mediana Ue del 4,04%), mentre per quanto riguarda il numero di persone completamente immunizzate con la somministrazione della doppia dose di Pfizer Biontech o Moderna, siamo primi per distacco: 1.219.034 persone vaccinate contro le 1.024.631 della Germania e le 294.120 della Francia.

Certo, per tutti i Paesi, la velocità della campagna vaccinale non è quella che in un primo momento ci si aspettava. I ritardi nelle consegne da parte delle grandi case farmaceutiche sono noti. E anche su questo è intervenuta la presidente della Commissione: “Forse – ha detto – siamo stati troppo fiduciosi sulla consegna delle dosi di vaccini anti-Covid che avevamo ordinato. Siamo tutti concentrati sullo sviluppo dei vaccini, ma globalmente abbiamo sottovalutato le difficoltà legate alla produzione di massa, normalmente ci vogliono 5-10 anni per produrre un nuovo vaccino, lo abbiamo fatto in 10 mesi”.

L’obiettivo attuale, secondo von der Leyen, è vaccinare entro l’estate “il 70% degli europei” (in Italia, in base al piano vaccinale appena rimodulato, si conta di immunizzare entro agosto 26 milioni di italiani circa, poco meno del 45% della popolazione).

Contestualmente all’autocritica della sua presidente, dalla Commissione Ue arriva anche il divieto per gli Stati membri (dunque anche alle regioni, come il Veneto, che hanno annunciato di avere “trattative in corso per due vaccini”) di rivolgersi autonomamente al mercato: “Tutti gli Stati membri – precisano dalla Commissione – fanno parte di tutti i contratti negoziati, dunque non c’è alcuna possibilità legale di negoziare contratti bilaterali con le compagnie farmaceutiche”.

Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità, intanto, hanno ieri raccomandato l’uso del vaccino Oxford-Astrazeneca anche per gli over 65 e contro le varianti del virus Sars-Cov-2.

Una presa di posizione che dovrebbe – si spera – mettere un minimo di ordine nella querelle sull’efficacia ridotta del siero anglo-svedese nella fascia di popolazione più anziana, il tutto mentre in Italia l’epidemia Covid-19 si mantiene su livelli stabili. Ieri 12.956 casi a fronte di 310.994 tamponi molecolari e antigenici effettuati, pari a un tasso di positività del 4,16% (13,1% sul totale effettivo dei casi testati). 366 le vittime. Diminuiscono ancora le degenze: -232 ricoverati nei reparti ordinari, -15 (e zero ingressi) in terapia intensiva.

Gioia Tauro, 1,3 tonnellate di coca in 7 giorni. La pandemia non ferma i viaggi della droga

“Comandiamo tutto. Chiediamo un dollaro e mezzo a container. Diamo noi le garanzie”. Ma non solo oggi: “Garanzia nel tempo, fra 100 anni, 200 anni sempre vi possiamo dare le garanzie… noi siamo là, viviamo là, abbiamo il passato, il presente, il futuro”. Così parlava Domenico Pepé, l’esponente delle cosche Piromalli e Bellocco l’11 novembre 1996 con uno dei vertici della MedCenter, la società che gestisce il porto di Gioia Tauro.

Il processo “Porto” si è concluso da anni. Quasi 20 ne sono passati dalla sentenza di Cassazione, ma lo scalo è ritenuto da sempre una dependance della ’ndrangheta, una delle porte di ingresso in Europa della cocaina proveniente dal Sud e Centro America. Quello del traffico di droga gestito dalle cosche è un giro di affari che non conosce crisi, neanche in tempi di pandemia. Anzi: mentre nell’ultimo anno i trasporti marittimi sono diminuiti, non sono affatto ridotti i viaggi della cocaina. Lo confermano i numeri e le operazioni delle forze di polizia. Nell’ultima settimana la Guardia di finanza e i funzionari antifrode dell’Ufficio delle Dogane hanno eseguito tre distinte operazioni sequestrando 1300 chili di cocaina grazie all’ausilio di sofisticati scanner. Una montagna di droga nascosta all’interno di tre container carichi di caffè, carne congelata e frutta esotica. I primi due erano partiti dal Brasile, mentre il terzo container dall’Ecuador. L’inchiesta è coordinata dal procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Gaetano Paci. I pm adesso stanno cercando di ricostruire il percorso della cocaina purissima che, se fosse finita in mano ai narcotrafficanti, sarebbe stata tagliata fino a quattro volte fruttando alla ’ndrangheta circa 260 milioni di euro. I sequestri della settimana scorsa confermano il trend che ha visto la Dda sequestrare tra il 2019 e il 2020 quasi 10 tonnellate di cocaina di cui 4 solo nel porto Gioia Tauro. A queste, quindi, vanno aggiunti i 1300 chili trovati la settimana scorsa. Il procuratore Bombardieri esprime compiacimento per il lavoro delle Fiamme gialle e dell’Agenzia delle Dogane: “Questi sequestri si pongono nel solco di prassi virtuose che sono state oggetto anche di recenti nostre direttive. Sempre più attenta e puntuale risulta la sofisticata analisi di rischio realizzata dalla Guardia di finanza e dalle Dogane che, anche grazie al potenziamento degli scanner in servizio allo scalo portuale, consente di individuare i carichi di stupefacente, anche in transito, occultati tra la merce stipata nei container; tutto ciò anche nell’interesse della società che gestisce il porto e delle aziende oneste che si servono di uno scalo marittimo all’avanguardia quale è quello di Gioia Tauro”.

Bose, Bianchi esce. Nella comunità ora è secessione

Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, entro sei giorni lascerà per sempre la sua creatura, ma è ancora incerta la sua destinazione. Il delegato pontificio padre Amedeo Cencini ha previsto per lui un esilio a Cellole, fraternità toscana del monastero ma non è certo che il monaco abbia accettato di andare tra le colline senesi. Potrebbe anche decidere di allontanarsi da solo in un’abitazione autonoma. La riconciliazione tra il nuovo priore Luciano Manicardi e Bianchi, che per 55 anni ha guidato Bose, non è arrivata. Neanche il recente Capitolo, conclusosi la scorsa settimana, è servito a riappacificare le due fazioni e ora non resta che la scissione. Bianchi, che in questi mesi è rimasto in silenzio nel suo eremo, sarà esiliato.

Il delegato pontificio venerdì scorso con un comunicato ha reso pubblica la chiusura del caso: Bianchi andrà a Cellole. Nel documento Cencini scrive: “La comunità interromperà a tempo indeterminato i legami con la ‘Fraternità Monastica di Bose a Cellole’, sita in località Cellole di San Gimignano la quale pertanto è stata chiusa e non può essere considerata come ‘Fraternità della Comunità Monastica di Bose’, fino a quando non si deciderà altrimenti. La comunità cederà in comodato d’uso gratuito il complesso di immobili di Cellole a Enzo Bianchi, che vi si trasferirà entro martedì, avendo già dato il suo assenso al riguardo, assieme ad alcuni fratelli e sorelle che hanno manifestato la propria disponibilità ad andare con lui e si troveranno nella condizione di membri della comunità monastica di Bose extra domum”.

Non sembra, tuttavia, che Bianchi abbia dato alcun assenso. Obbedirà al Papa, ma teme per la comunità. Ieri sera ha scritto su Twitter “Quando uno inizia a mentire deve poi sempre mentire perché la menzogna é una architettura: ma se crolla un mattone tutto crolla e se si continua a costruire con la menzogna si prepara una rovina grande, grandissima!”.

Montepaschi: nel 2020 perdita di 1,7 miliardi Senza salvatore, servono capitali per altri 2,5

Continua la serie nera di Mps: il bilancio 2020 presentato ieri si chiude con una perdita di 1,69 miliardi, dovuta per 1,3 miliardi ad accantonamenti e svalutazioni. Il risultato operativo lordo è positivo per 714 milioni, quello netto “in rosso” per 39 milioni a causa di rettifiche per il Covid. I ricavi sono calati dell’11,2% a 2,9 miliardi, il margine di interesse (-14%) a 1,2 miliardi. La raccolta diretta è cresciuta di oltre 11 miliardi e gli impieghi di 2,5 a 82,6 miliardi. Se nel breve-medio termine non troverà un istituto con cui fondersi, la banca dovrà ricapitalizzarsi per 2,5 miliardi. I revisori dei conti di Pwc non hanno ancora espresso il parere sui conti. Intanto parla la politica: “Il prossimo governo dovrà salvare Mps, tutelando lavoratori e risparmiatori”, ha detto Matteo Salvini. Fratelli d’Italia ha depositato in Senato una mozione per rinviare l’uscita da Mps del Tesoro, primo azionista con il 64%. Le mosse a mettere pressione a Mario Draghi perché gli accordi stabiliti nel 2017 con Ue e Bce al momento del salvataggio e ribaditi dal governo Conte prevedono l’uscita entro il 2022.

“Renzi ha sabotato un’alleanza di vera sinistra. Per conto terzi”

N el suo ultimo manuale (Conversazioni sulla Costituzione, Cedam) Lorenza Carlassare scrive che se si assume l’implicito che solo alcuni abbiano le capacità per governare, viene messa in discussione l’idea stessa di democrazia.

Professoressa, il “governo dei sapienti” da Platone in poi è spesso stato riproposto: perché?

È una concezione autoritaria del potere. Non bisogna andare molto indietro nel tempo per ritrovarla nella nostra storia. Secondo Alfredo Rocco, padre del codice penale nonché ministro Guardasigilli di Mussolini, lo Stato fascista supera la democrazia perché si riserva “di far decidere i problemi essenziali della vita dello Stato a coloro che hanno la possibilità d’intenderli, sollevandosi sopra la considerazione degli interessi contingenti degli individui”. L’idea dell’infallibilità di un capo fa paura: per fortuna se il “capo” è Draghi non corriamo alcun pericolo. La concezione acritica del potere però è in sé estremamente pericolosa.

Si parla del governo dei migliori: chi sono?

Proviamo a ragionare al contrario. Ovviamente nessuno auspica un “governo dei peggiori”: ne abbiamo visti in passato di peggiori, per esempio dal punto di vista della condotta non sempre specchiata, della mancanza di disciplina e onore e perfino della fedina penale macchiata! È giusto, per certi versi perfino ovvio, che si cerchino per i ruoli chiave persone che abbiano capacità e conoscenze. La competenza è indispensabile: personalmente non metterei al ministero dell’Università e della Ricerca una persona che non ha nemmeno la licenza superiore come avvenne non molti anni fa. Però pensare che esista un’élite destinata a governare le masse rompe l’idea di uguaglianza su cui si fonda la democrazia costituzionale.

E poi: chi seleziona i migliori? Sulla base di quali criteri?

Questo è il punto cruciale che spiega bene perché la democrazia non ha alternative. Oggi ci troviamo in una situazione particolare causata dall’estrema debolezza del sistema politico. La crisi della rappresentanza dipende anche da leggi elettorali che in qualche modo hanno sottratto o attenuato la possibilità per i cittadini di scegliere i propri eletti, selezionati dai leader dei partiti in base a convenienze e fedeltà. Prima i partiti avevano un radicamento sociale importante e concorrevano alla preparazione della classe politica, formando il personale parlamentare e di governo. Adesso si bada solo al consenso, qui e ora.

Lei crede alla tecnica che non ha colore politico?

Non esistono decisioni neutre: tutte le decisioni sono politiche. Questa crisi è stata alimentata da un soggetto che ha un nome e un cognome, Matteo Renzi, che ha agito per sé e io credo anche per conto terzi: in troppi erano preoccupati dal possibile consolidamento di un’alleanza 5Stelle-Pd per timore di uno scivolamento a sinistra del Paese. Basta vedere come si affannano nel chiedere che le risorse non vengano sprecate nei sussidi. Ma non si tratta di “sprecare”: la Costituzione prevede l’intervento dello Stato in caso di disoccupazione involontaria e anche il diritto a una retribuzione che garantisca al lavoratore una vita dignitosa.

Aboliranno il reddito di cittadinanza?

Non credo che la Consulta lo permetterà. La giurisprudenza della Corte negli ultimi tempi ha ben chiarito che la Corte stessa può sindacare le scelte del legislatore in ordine all’allocazione delle risorse alla luce di principi fondamentali come quelli di uguaglianza e solidarietà. Se si oltrepassa la soglia del principio di ragionevolezza nell’abolire misure di solidarietà sociale in momenti in cui crescono disoccupazione e povertà, la Corte potrebbe intervenire.

Cosa pensa del governo di tutti o quasi tutti?

Che è impossibile. Ogni decisione è politica: accontenta e scontenta qualcuno, tocca interessi spesso contrastanti, favorendone alcuni e sfavorendone altri quindi non credo che partiti con posizioni diametralmente opposte possano mettersi d’accordo su ogni decisione. Non penso che possa essere efficiente un esecutivo sostenuto da tutti; mi piacerebbe, in questo difficile momento, ma mi sembra complicato. Sarebbe essenziale delimitare un’area politica di sostegno e giovarsi delle astensioni di chi non si oppone.

Balotelli, Dudù e “signora Meloni”. Il vertice a due tra Silvio e Salvini

Hanno scherzato pure sul Monza e su Mario Balotelli. Con Matteo Salvini che non gli nasconde la sua nostalgia per quando era presidente del Milan. Non si vedevano da un anno, Silvio Berlusconi e il leader leghista, causa pandemia. E così ieri mattina il leader leghista non si è lasciato sfuggire l’occasione per fare un salto a trovare l’ex premier, nella sua nuova magione romana, la residenza sull’Appia antica dove ha abitato il regista Franco Zeffirelli, ribattezzata Villa Granda.

Il momento è stato immortalato con un video su Instagram, coi due seduti uno di fronte all’altro, con le mascherine che non riuscivano a nascondere i sorrisi. Tra loro si rincorrevano tre simil-Dudù e chissà quale sarà stato l’originale. Ma s’intravedono anche Antonio Tajani (che l’ex Cav. vorrebbe ministro), Licia Ronzulli e la nuova compagna del leader, Marta Fascina. L’incontro, al di là dei contenuti, ha soprattutto una forte valenza politica perché ha messo a confronto i due leader del centrodestra che hanno scelto di sostenere il nascituro governo di Mario Draghi.

Giorgia Meloni non c’era e nemmeno è stata invitata, con la leader di FdI che non ha mancato di punzecchiare Salvini. Così nel mirino è finita una nota firmata dal Capitano come leader della coalizione. “Confidiamo sia stato un lapsus”, dicono da FdI. “Capiamo il nuovo feeling tra i due, ma se il centrodestra non ha una posizione univoca perché parlare a nome di tutti? O Salvini ci mette fuori dall’alleanza o è un errore di comunicazione, strano per uno come lui…”, si aggiunge.

L’asse Berlusconi-Salvini pro-Draghi ha avuto ieri dunque la sua conferma visiva. Ma il fatto che due partiti sostengano Draghi e il terzo starà all’opposizione (anche se responsabile) non può non avere ripercussioni sull’alleanza. Con frecciatine e scintille.

Berlusconi, per esempio, chiama la leader FdI “la signora Meloni”, mentre lei ancora non si capacità della giravolta del Capitano. Ma tant’è. “Ci siamo confrontati sui contenuti delle proposte presentate al professor Draghi. Ribadiamo la ferma volontà di dare un contributo, con senso di responsabilità e senza porre alcun veto”, spiega Berlusconi. “Sì, ma veti e pregiudiziali non ne accettiamo nemmeno dagli altri”, dice Salvini. Che aggiunge: “Gli italiani hanno fretta e fame di salute, lavoro, scuola e libertà. Non si può perdere altro tempo”. Il riferimento è al ritardo sui tempi dovuto alle fibrillazioni nei 5 Stelle. Che preoccupa anche l’ex premier. “Bisogna fare presto”, ha ribadito anche via Zoom nel pomeriggio a governatori ed europarlamentari, prima di lasciare Roma questa volta in direzione Arcore.

Pure il leader leghista ha poi fatto il punto con coordinatori e parlamentari. “Stanno cercando di far saltare il tavolo, ma noi teniamo duro”, ha detto. “Del resto la Lega ha spiazzato tutti. Ci attaccano, ma non rispondiamo alle provocazioni”, ha aggiunto Salvini, smentendo poi l’ingresso della Lega nel Ppe. E infine ha preso la parola pure Giancarlo Giorgetti, uno dei demiurghi della discesa in campo di Draghi: “Abbiamo risposto alla chiamata di Mattarella. I 5Stelle? Su Rousseau alla fine non voteranno nemmeno…”.

“Han provato a convincermi. Ma io mantengo la parola…”

Ancora fino a un paio di giorni fa, gli alleati hanno provato a convincerla. Alla fine però Giorgia Meloni resterà all’opposizione del governo Draghi, marcando una differenza con Lega e FI che per la leader di FdI è questione “di rispetto del mandato degli elettori”.

Giorgia Meloni, all’opposizione siete rimasti da soli.

Soli rispetto al mainstream, ma non rispetto ai cittadini. Molti sono indispettiti dall’idea che l’Italia debba sempre essere una democrazia sotto tutela. C’è la pandemia, certo, ma come continuiamo a fare molte cose che giustamente riteniamo necessarie, potevamo anche votare.

Che effetto le ha fatto vedere il vertice tra Salvini e Berlusconi? Dobbiamo abituarci a un centrodestra a due gambe?

No, il centrodestra è una realtà plurale nella quale c’è chi la pensa in maniera diversa. Non penso che qualcuno voglia arrogarsi il diritto di rappresentare tutta la coalizione ed è normale che Salvini e Berlusconi si siano incontrati anche solo per concordare una linea e, credo, per difendersi dal fatto che la maggioranza con Draghi ce l’avrà comunque l’asse M5S-Pd.

Lei crede alla svolta europeista di Salvini?

Non intendo polemizzare con gli alleati e rispetto le loro scelte, così come chiedo rispetto per le mie. Se qualcuno è convinto delle sue idee è bene che utilizzi il suo tempo a difenderle e non a sindacare quelle degli altri, per cui preferisco spiegare la mia scelta che giudicare quella degli altri.

Lei però propose a entrambi un patto anti-inciucio e Salvini è già al secondo governo diverso in questa legislatura. Glielo ha mai ricordato quel patto?

No, anche perché negli ultimi giorni non ci siamo sentiti. Ma quel patto non serve come garanzia nei miei confronti: in politica ciascuno si assume le proprie responsabilità esclusivamente di fronte ai cittadini.

Non sarà imbarazzante tornare insieme in campagna elettorale?

Siamo una coalizione che sta insieme per scelta, perché le nostre idee sono compatibili. Non sarà questa fase a dividerci, confido che resteremo compatti alle Amministrative e che, se gli italiani vorranno, governeremo insieme il Paese.

I vostri deputati raccontano di manovre per coinvolgervi in maggioranza.

Il tentativo di convincerci c’è stato, nel centrodestra e non solo. Berlusconi ancora due giorni fa si diceva convinto di “farmi ragionare”, prima di lui Giovanni Toti, ma anche molti altri, sicuri che avremmo cambiato idea, ma chi ci conosce sa che su queste cose abbiamo una parola sola. Credo che la democrazia si sostanzi se si mantiene la parola data: se non mi sento vincolata alle promesse che ho fatto, allora la democrazia a cosa serve? Perché la gente vota, se poi con il voto ognuno ci fa quello che gli pare?

Questa però è una domanda anche per i suoi alleati.

È una questione che vale per tutti. Rispettare gli impegni è un valore, d’altronde solo FdI in passato non aveva appoggiato governi con Pd o M5S.

L’ipotesi di un governo Draghi c’era da tempo. Aveva la sensazione si potesse concretizzare?

Non mi sono mai posta il problema, quando la politica si interroga su scenari non attuali mi sembra si scolleghi sempre dalla realtà. Mi sembrava stessimo sulla Luna. Che poi in Italia ci sia sempre l’idea di cercare soluzioni creative per impedire ai cittadini di votare, non è una novità.

È ipotizzabile che FdI si astenga sul governo Draghi?

Questo lo valuteremo alla fine, sulla base del perimetro del governo e del programma, di cui finora si è capito solo qualche titolo. Di certo, non voteremo la fiducia. E, voto contrario o astensione, dall’opposizione, non avremo preconcetti e se ci saranno provvedimenti che riteniamo giusti li voteremo, come fatto in passato coi decreti sicurezza o col taglio del numero dei parlamentari.

Però con Conte i toni dello scontro erano alti. Questa volta sarà diverso?

Chi fa politica sa che il destino del dialogo tra maggioranza e opposizione dipende molto più dalla maggioranza. Con Conte a favore di telecamera ci veniva proposto il dialogo, poi però si cestinava ogni nostra proposta. Erano loro stessi a distruggere ogni possibile confronto. In ogni caso la figura di Draghi non è uguale a quella di Conte.

In Francia la destra di Marine Le Pen avanza nei sondaggi. Farà bene anche a FdI stare all’opposizione?

Il paragone con Le Pen non è proprio attinente. Quel che conta però è che io non scelgo in base ai consensi, ma in base a ciò che ritengo giusto. Io non scommetto certo sul fallimento di Draghi, non mi interessa se ci porterà dei vantaggi stare all’opposizione, ma credo che il nostro vantaggio sarà quello di dimostrare di aver mantenuto la parola data e di cercare l’interesse degli italiani. In politica, invece, ormai tutti dicono tutto e il contrario di tutto.

Transizione verde? Con Macron il flop del ministero unico

Nel nascituro governo Draghi ci sarà un super ministero per la trasformazione verde del Paese. “La buona notizia è che ci sarà un dicastero della Transizione ecologica – ha esultato la delegazione degli ambientalisti con l’ex Bce – Siamo rimasti favorevolmente colpiti dalla centralità della questione ambientale”. La creazione di un superministero green è la principale proposta del Movimento 5 Stelle a essere stata portata ieri sul tavolo delle trattative con il premier incaricato nell’ultima giornata delle consultazioni per la formazione del nuovo governo. “Un Superministero per la transizione ecologica lo hanno Francia, Spagna, Svizzera, Costa Rica e altri Paesi. Presto lo dovranno avere tutti. Non lo dico io – ha scritto ieri Beppe Grillo sul suo blog – ce lo gridano la natura, l’economia, la società. Capiamolo una volta per tutte: è l’economia che rovina l’ambiente, non il contrario”. Il sì di Draghi, anche se non ha fatto ancora dichiarazioni ufficiali al riguardo, sbloccherebbe l’impasse nei 5Stelle, con il voto di Rousseau.

La proposta del Garante pentastellato è di un ministero che “fondi le competenze per lo sviluppo economico, l’energia e l’ambiente”: “Solo un superministero per la transizione ecologica – si legge sul blog – può affrontare le crisi che in cinquant’anni di economia patogena abbiamo fatto diventare emergenze: il clima, la biodiversità, le disuguaglianze, il lavoro, le migrazioni. Questa è una pand-economia micidiale”.

Nel suo blog, Grillo cita innanzitutto la Francia. Qui il ministero dell’Ecologia è diventato il ministero della Transizione ecologica e sostenibile nel maggio del 2017 con il primo governo di Emmanuel Macron. Da candidato En marche!, l’ex ministro dell’Economia di François Hollande aveva promesso di accelerare lo sviluppo delle rinnovabili portando dal 75% al 50% la parte del nucleare nel mix energetico entro il 2025 e fissando l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Da neo presidente era riuscito a dare spessore al suo progetto reclutando una figura molto corteggiata anche dai suoi predecessori: Nicolas Hulot, notissimo animatore televisivo e amato attivista. Un superministro, numero tre del governo, a capo di un superministero con le competenze del Clima, dell’Energia, dell’Economia sostenibile e dei Trasporti.

La delusione arriva nel novembre del 2018 quando Hulot si dimette a sorpresa perché “nella sfida ecologica mi hanno lasciato da solo”. Il ministro aveva gettato la spugna per aver dovuto fare marcia indietro sul nucleare, ma anche per il peso delle lobby. Aveva detto: “Ci ostiniamo a portare avanti un modello economico responsabile di tutti i disordini climatici. Macron non ha capito che la causa di tutto è il capitalismo”.

Nel rimpasto di governo del luglio 2020, il termine “sostenibile” scompare e si parla di ministero della Transizione ecologica. La nuova ministra, l’ecologista Barbara Pompili, conserva il portafoglio dell’Energia e del Clima, ottiene le politiche della casa e del territorio, ma perde l’economia sostenibile che ridiventa competenza del Tesoro. Il giorno dopo il rimpasto, Greenpeace France commentava: “Siamo scettici sull’influenza reale che la ministra potrà avere di fronte a un presidente onnipresente e una maggioranza che demolisce ogni progresso sul clima”. Il primo settembre, per protestare dopo la marcia indietro sul divieto degli insetticidi neonicotinoidi, le associazioni ecologiste hanno boicottato la riunione del Consiglio nazionale della transizione ecologica. Ieri Pompili ha portato in Consiglio dei ministri la nuova legge sul clima, che si basa sui lavori di una apposita Convezione per il clima: 150 francesi scelti a caso che in 9 mesi hanno partorito oltre 150 proposte tra cui la creazione di un reato di ecocidio e la riduzione dei gas serra del 40% entro il 2020. Una legge poco ambiziosa per le Ong.

Dai clandestini alle Regionali: quando il web è contro i leader

A giustificare le paure dei vertici del Movimento 5 Stelle rispetto al voto su Rousseau ci sono alcuni precedenti. Non sempre infatti le consultazioni online hanno avuto l’esito sperato dai capi di turno.

Due casi celebri sono del 2014, quando per la verità si votava ancora sul blog di Beppe Grillo. A gennaio il Movimento mette ai voti l’emendamento di due senatori grillini considerati “ribelli”, che mirano all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina contro il parere di Grillo e Gianroberto Casaleggio. Gli attivisti votano in favore dell’emendamento, Casaleggio allarga le braccia: “Così dimostriamo finalmente che non siamo io e Grillo a comandare”.

Poco dopo, ecco un nuovo voto controverso. Il Movimento deve decidere se partecipare alle consultazioni con il premier incaricato Matteo Renzi. Grillo e Casaleggio si esprimono pubblicamente per il no, ma la base spedisce il fondatore al tavolo con l’allora segretario dem, generando il noto scontro via streaming. Del 2017 è invece la vicenda di Marika Cassimatis, candidata alle primarie per il sindaco di Genova ma poco gradita a Beppe Grillo. La Cassimatis stravince, ma subito dopo il voto il fondatore annulla tutto: “Se qualcuno non capirà questa scelta – si giustifica Grillo – vi chiedo di fidarvi di me”. E così si arriva all’ultimo “ammutinamento”, quello del novembre 2019. Il Movimento è in crisi di identità e il capo politico Luigi Di Maio propone una “pausa di riflessione” in vista delle imminenti elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria. Tradotto: meglio non presentare le liste, così anche da non ostacolare i candidati di centrosinistra nella sfida con la destra. Si vota su Rousseau, dove però il verdetto è netto e il 70 per cento degli iscritti chiede di correre ugualmente alle elezioni.

5stelle divisi alla meta: “B. è davvero indigeribile…”

C’è chi accusa i vertici di essere “dei poltronari”, chi organizza Vaffa-Day 2.0 e raccoglie firme contro l’ipotesi di sostenere “il banchiere” Mario Draghi, chi media per non disperdere “i due anni di governo” e infine chi se la prende con il nemico storico, il “Caimano”, lo “Psiconano”, “Al Tappone”: “Dopo la Lega e il Pd, adesso dobbiamo governare con Berlusconi?” è l’urlo della base del M5S. Sì, perché dietro ai video di Beppe Grillo, agli appelli di Vito Crimi e alle critiche di Alessandro Di Battista, c’è il ventre del Movimento. Un corpaccione fatto di attivisti, consiglieri, portavoci e facilitatori che si riuniscono con frequenza, ancor di più prima delle decisioni importanti. E i meet up – dal Veneto alla Calabria, dalla Liguria alla Campania – sono spaccati sull’ipotesi che il M5S entri nel governo dell’ex presidente della Bce. Il voto su Rousseau di oggi non è così scontato. La spaccatura è emersa nelle molte assemblee territoriali delle ultime ore e, anche per evitare un esito negativo, martedì sera Beppe Grillo ha deciso di rinviare la votazione.

Vaffa-day 2.0. Il cuore della ribellione sui territori è stato quel V-Day organizzato via zoom martedì sera a cui hanno partecipato anche 17 parlamentari dissidenti, da Barbara Lezzi a Elio Lannutti passando per i deputati Raphael Raduzzi e Alvise Maniero. Gli iscritti iniziali all’evento erano oltre 3mila da tutta Italia e hanno potuto partecipare solo in mille per le limitazioni della piattaforma Zoom. Durante la riunione è emersa una forte opposizione all’idea di entrare al governo. Ad organizzarla il 23enne Luca Di Giuseppe, facilitatore in Campania e rappresentante degli studenti all’Università di Salerno: “Qualche giorno fa eravamo solo 30 attivisti campani contrari all’idea di sostenere Draghi – racconta Di Giuseppe – poi abbiamo capito che il nostro dissenso era molto diffuso nel M5S e così abbiamo lanciato l’evento su Facebook che ha avuto migliaia di adesioni: l’abbiamo chiamato V-Day per difendere i nostri valori e ideali che non sono cambiati rispetto al 2007”. Su Rousseau Di Giuseppe dirà un “no” convinto o al massimo “astensione”: “La cosa importante è non entrare con nostri ministri – conclude – non riesco a immaginare una visione comune tra noi e Forza Italia. Com’è possibile fare provvedimenti sull’ambiente insieme a Brunetta o sulla giustizia con Berlusconi?”.

Dopo il V-Day 170 partecipanti hanno mandato una lettera aperta a deputati e senatori per fermare l’ingresso del M5S in maggioranza: “Non potremmo mai stare al fianco di chi è stato complice delle liberalizzazioni e le privatizzazioni che hanno distrutto l’economia del nostro Paese, impoverendo il popolo e aumentando le diseguaglianze – scrivono gli attivisti – Non abbiamo nulla contro la persona Draghi ma è ciò che rappresenta che ci preoccupa”. La lettera poi si conclude con toni perentori coniando un hashtag: “Per questo vi chiediamo di ascoltarci e di dire No: #DraghiNotInMyName”.

Liguria e Veneto. Lunedì e martedì le assemblee più accese sono state quelle di Veneto e Liguria dove la base si è spaccata tra i favorevoli e i contrari al governo Draghi. E a preoccupare Grillo sono stati i meet up della sua città, Genova, dove buona parte degli attivisti si è schierata contro l’ex presidente Bce: “Draghi è espressione di un sistema di potere finanziario e lobby da sempre lontanissimo dai nostri valori – spiega Andrea Boccaccio, ex consigliere comunale di Genova e oggi semplice attivista – Poi che ci venga chiesto di governare con Berlusconi è quasi offensivo. È un’ipotesi che va al di là del bene e del male: non se ne dovrebbe nemmeno discutere”.

Toscana. L’assemblea dei 70 attivisti toscani è stata particolarmente movimentata anche se la divisione tra “governisti” e “dissidenti” è stata più netta. La senese Elena Boldrini è intervenuta per chiedere al Movimento di non “disperdere i due anni di governo Conte che ha fatto il bene del Paese”. “Io sono per il sì – dice Boldrini – ma questo non significa accettare tutto. Non devono essere smontate alcune nostre bandiere come il reddito di cittadinanza e la legge anticorruzione. Se ci riusciamo, a quel punto Berlusconi e Salvini dovranno adeguarsi al nostro programma”. Di idea opposta Stella Sorgente, ex vicesindaca della giunta Nogarin a Livorno e vera anima dei grillini in città: “Lega, Forza Italia e Italia Viva sono del tutto inaffidabili” argomenta.

Calabria e Puglia. Gli attivisti del M5S sono in subbuglio contro i vertici anche al Sud, vera base elettorale grillina dove i meet up si riuniscono costantemente per discutere delle scelte nazionali e locali. In Puglia, dove il M5S è entrato nella giunta Emiliano, è stata organizzata un’assemblea per ogni provincia. E la spaccatura è forte. Paolo Nugnes, ex candidato sindaco a Trani, è stato uno dei partecipanti dell’assemblea Foggia/Bat ed è combattuto. Sarebbe per il “no” perché con “un’ammucchiata con Berlusconi perderemmo la faccia”, ma il video di martedì di Grillo lo ha fatto in parte tornare sui suoi passi: “Beppe ogni volta che parla colpisce il mio cuore…”. Ma subito dopo, ritorna su una posizione barricadera: “Però come facciamo a fare la riforma della giustizia con Berlusconi che vuole subito ripristinare la prescrizione?! – conclude – sarei per il no, ma deciderò in queste ore…”. Chi invece non ha dubbi, in senso negativo, è Natalina Giungato, 43 anni ed ex esponente del Pd a Crotone: “Ero nel comitato di garanzia dei dem e ne ho viste di ogni tipo – racconta – così ho abbracciato la causa del M5S con entusiasmo ma adesso questo governo sarebbe infausto perché non conteremmo niente. Stare all’opposizione ci farà bene”. Su Rousseau Giungato voterà convintamente “no” anche se ci sarà il ministero della Transizione Ecologica: “È una presa in giro – conclude – abbiamo avuto per due anni il ministro dell’Ambiente e ci svegliamo adesso?”.