Salvini: il primo pacco a Draghi è il “modello-vaccini Bertolaso”

“C’è un modello lombardo che è il più avanzato dal punto di vista della messa in sicurezza della popolazione, delle vaccinazioni. Proporremo a Draghi il modello Bertolaso”. Ieri ha avanzato la prima proposta al premier incaricato: Bertolaso. “L’obiettivo – ha continuato Salvini – è mettere in sicurezza entro marzo tutta la popolazione anziana residente in Lombardia ed entro giugno, se arrivano i vaccini, tutta la popolazione lombarda a rischio”. Peccato che un “modello Bertolaso” per la Lombardia non esista (esiste forse per l’Umbria, dove il medico è ancora formalmente commissario, anche se non lo vedono da un mese e molti Comuni nella Regione sono in zona rossa da ieri). A oggi, infatti, la Lombardia è priva di un piano firmato dal consulente chiamato dall’assessore Letizia Moratti. Almeno fino a giovedì esisterà solo quello scritto dal precedente consulente, Giacomo Lucchini, che però Bertolaso ha annunciato di voler cambiare.

Ciò che Salvini spaccia per “modello Bertolaso” è una serie di annunci e slogan, conditi da muscolari prove generali. Tipo “Vaccineremo 10 milioni di lombardi entro giugno” (Bertolaso) o “Questa operazione consentirà di salvare la vita a migliaia di persone” (Attilio Fontana). Alla categoria prove muscolari, invece, si può ascrivere la due giorni di vaccinazione organizzata sabato e domenica alla Fiera – il remake delle prove generali della “vaccinazione di massa” che il Fatto aveva raccontato settimane fa – quando 2.360 volontari hanno ricevuto la seconda dose Pfizer. Con personale che cronometrava flussi, stimava tempi, calcolava attese. Mentre Fontana, Moratti e Bertolaso mostravano il copione dell’efficienza lombarda: così funzionerà quando si vaccinerà “24 ore su 24, 7 giorni su 7”. Ieri infatti il Pirellone si vantava di aver vaccinato una persona in 7 minuti: 2 per l’accettazione; 3 per l’anamnesi; 2 per la somministrazione e 15 d’osservazione. Ciò che è stato taciuto è che quella prova è stata svolta su 8 ore (e non 24); che i vaccinandi erano tutte persone in salute, in grado di capire ed eseguire le istruzioni; tutti operatori di sanità. E che a operare fossero i migliori sanitari di Areu ed esercito. Una condizione difficilmente ripetibile se il modello viene replicato in ogni capoluogo o piccolo paese: secondo il piano vaccinale, per uno spazio “molto grande” (oltre 13.500 mq), dove si possano fare 16.500 vaccini/giorno, servono 452 sanitari (216 medici + 236 operatori) e 150 amministrativi. Un enormità.

Non a caso ieri Moratti è tornata ad attaccare il governo chiedendo sanitari e vaccini. Come se non fossero incognite comuni a tutte le Regioni. L’assessore ha lamentato il fatto che Domenico Arcuri abbia previsto l’arrivo in Lombardia di medici e infermieri, “ma a oggi nessuno si è visto. Per febbraio si attendono 123 unità, fino a un massimo nei mesi estivi di 2.544 addetti”. Che sia preoccupata è comprensibile: per mantenere le promesse, dovrebbe “avere il doppio del personale previsto fino a oggi”, spiega un dirigente della Regione. “Se vaccini di notte, non puoi lavorare il giorno dopo. Quindi serve il doppio degli addetti. Ma poi, se lo immagina lei il vecchietto che viene a vaccinarsi alle 3 del mattino…”. E poi arriva anche la replica di Arcuri: “Il personale aggiuntivo già selezionato e destinato alla Lombardia è di gran lunga maggiore: 229 fra medici, infermieri e assistenti sanitari. Di questi, purtroppo, soltanto 4 hanno già potuto entrare in servizio presso l’Ats di Pavia. Tutti gli altri sono infatti in attesa, ormai da diversi giorni, delle necessarie visite mediche da parte delle Ats regionali”.

Inoltre, mentre le altre Regioni stanno già vaccinando gli over 80, in Lombardia si inizierà solo il 24 febbraio e ancora non sono accettate le prenotazioni (manca ancora la piattaforma online). “Bertolaso punta a vaccinare oltre mille anziani l’ora – ragiona Emilio Didonè, segretario dei pensionati Cisl –, ma com’è possibile che a marzo si riescano a vaccinare 700 mila over 80? Anche trovando medici, infermieri e operatori che operano in continuazione significa vaccinarne 175 mila alla settimana, 25 mila giorno, 1.041 ogni ora”. Numeri insostenibili anche per un sistema collaudato e funzionante come di certo non è quello lombardo, la cui inefficienza è testimoniata dal fallimento della campagna antinfluenzale.

Alfano, Bersani e Casini: tutto pur di non farsi vedere insieme

Chissà se finirà come col governo Monti, con vertici segreti e appuntamenti sotterranei, per non farsi immortalare insieme da tv e fotografi. Perché magari Nicola Zingaretti non vorrà farsi vedere insieme a Matteo Salvini e quest’ultimo preferirebbe non farsi beccare a confabulare fitto con Matteo Renzi o Nicola Fratoianni. Così potrebbero tornare utili gli stratagemmi adottati dalle forze politiche nell’autunno del 2011, quando, dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi, arrivò il governo tecnico di Mario Monti, spinto da Giorgio Napolitano.

Si era nell’epoca dello spread oltre 500 punti base, della lettera della Bce a Palazzo Chigi, del “Fate presto” in prima pagina sul Sole 24 Ore, il tutto condito col peperoncino di Ruby Rubacuori e Bunga Bunga. Poi arrivò Monti col suo loden verde e tutto cambiò, ma i leader di quella larga maggioranza volevano evitare la photo opportunity. Così ecco i vertici convocati nelle ore più strane, a tarda sera o al mattino presto. E per eludere telecamere e cronisti, Angelino Alfano (Pdl), Pier Luigi Bersani (Pd) e Pier Ferdinando Casini (Udc) utilizzavano il tunnel che da Palazzo Madama porta a Palazzo Giustiniani, dove s’incontravano con Monti. Come il passetto che i papi percorrevano per andare dal Vaticano a Castel Sant’Angelo.

Maurizio Crozza ci fece pure una copertina di Ballarò: “Ma ve li vedete Alfano, Bersani e Casini che si parlano nel tunnel, armati di torcia? Ma poi scusate: Monti è arrivato per portarci fuori dal tunnel e voi ci entrate? Questa è l’Abc dell’inciucio”. Per evitare l’ammucchiata visiva, Monti fu costretto più volte a riceverli separatamente. Ora vedremo se col nascituro governo Draghi torneranno di moda tunnel e passaggi segreti. Che sono sempre lì, pronti a coprire inciuci e togliere imbarazzi.

“5S andate a pulire i cessi”, “Mafia nel dna di FI”

“L’euro ci tiene uniti, è irrevocabile”, sentenzia Mario Draghi. Spiace che un italiano sia complice di chi sta massacrando la nostra economia, il nostro lavoro, i nostri giovani, la nostra speranza. Vergogna.
Matteo Salvini, Lega
6 febbraio 2017

 

Di burocrati europei ne abbiamo già visti e subiti abbastanza, Mario Monti in primis. Perciò a Mario Draghi assolutamente no, mai con il sostegno della Lega, abbiamo già visto cosa hanno portato i tecnici agli italiani.
Matteo Salvini, Lega
7 giugno 2017

 

Mario Draghi è una Mary Poppins un po’ suonata che tira fuori dalla sua borsetta sempre le stesse ricette
Gruppo M5S Europa
5 settembre 2014

 

Draghi e la Bce ricompensano il crac finanziario azzerando il welfare dei Paesi.
Beppe Grillo, M5S
22 settembre 2014

 

Euro, la rapina del secolo: non è irrevocabile, come ha deciso Mario Draghi. Rompere la gabbia, riappropriarsi della sovranità svenduta a cleptocrati, tecnocrati, oligarchi.
Elio Lannutti , M5S
7 febbraio 2017

 

Abbiamo speso oltre 15 miliardi tra Jobs Act, bonus di 80 euro e Garanzia Giovani, e dopo due anni ci troviamo di nuovo in difficoltà economica? Renzi e Draghi “ce rifacciano Tarzan”, come si dice a Roma.
Luigi Di Maio, M5S
29 febbraio 2016

 

Questa Lega sempre più “fucina fascista” utilizzerà i voti al Sud per interessi assolutamente alternativi ai nostri.
Francesco Boccia, Pd
15 febbraio 2018

 

La Lega è sempre più vicina alle estremizzazioni: dialoga con CasaPound e sta cercando di sdoganare il fascismo.
Debora Serracchiani , Pd
6 febbraio 2018

 

Salvini è pericoloso, usa ogni mezzo per la sua schifosa propaganda.
Alessia Morani, Pd
22 febbraio 2020

 

Il Pd di Bibbiano, Banca Etruria e Mafia Capitale, si aggrappa alle poltrone pur di non far votare gli Italiani.
Matteo Salvini, Lega
8 settembre 2019

 

Salvini si sta dimostrando un buffone.
Roberto Morassut, Pd
16 agosto 2019

 

Pd e 5Stelle sono complici di Ong e scafisti.
Stefano Candiani, Lega
10 agosto 2020

 

Salvini con le paure ci campa. Invece del ministro dell’Interno fa il giullare.
Nicola Zingaretti, Pd
4 agosto 2019

 

Pontida è l’Italia che vincerà: mai a sinistra, mai col Pd!
Matteo Salvini, Lega
16 settembre 2019

 

Con il suo comportamento Salvini offende l’Italia, le nostre regole, la nostra collocazione internazionale.
Paolo Gentiloni, Pd
15 luglio 2019

 

Salvini non ha esitato a prendere in ostaggio 600 persone disperate per farsi sentire al tavolo europeo.
Roberta Pinotti, Pd
13 giugno 2018

 

Salvini è il Bolsonaro padano.
Alessia Morani, Pd
10 giugno 2020

 

Pd e governo sono complici dell’invasione, complici di scafisti e schiavisti, maledetti!
Matteo Salvini, Lega
8 luglio 2017

 

Fa schifo l’idea di Salvini per cui si può anche lasciare morire la gente in mare in nome della lotta agli scafisti.
Franco Mirabelli, Pd
20 gennaio 2019

 

Il Pd è il peggio del peggio.
Matteo Salvini, Lega
2 gennaio 2020

 

Salvini continua a mostrarsi per quello che è: un bullo prepotente.
Alessi Rotta, Pd
17 gennaio 2020

 

Salvini sta tentando di trasformare l’Italia in un piccolo Stato vassallo della Russia.
Andrea Romano, Pd
4 luglio 2019

 

La Lega è un pericolo per la democrazia in Italia.
Nicola Zingaretti, Pd
8 giugno 2019

 

I grillini saranno sconfitti dalla loro stupidità e incapacità.
Renato Brunetta, FI
20 novembre 2017

 

Silvio Berlusconi è un delinquente abituale e recidivo.
Paola Taverna, M5S
27 novembre 2013

 

Io ricordo al M5S che Forza Italia è un partito fondato da un condannato per mafia.
Barbara Lezzi, M5s
18 novembre 2020

 

I 5stelle a Mediaset li prenderei per pulire i cessi.
Silvio Berlusconi, FI
20 aprile 2018

 

Berlusconi è un condannato per frode fiscale, ineleggibile, incandidabile, che fa politica per sé da oltre 25 anni. Le uniche cose che ha fatto sono state condoni e leggi ad personam, ha fondato un partito con un personaggio in carcere per fatti di mafia.
Vito Crimi, M5S
9 gennaio 2018

 

C’è Dell’Utri nel Dna di Forza Italia: nessuna collaborazione col partito di Berlusconi.
Nicola Morra, M5S
20 novembre 2020

 

Mi appello a chi come me non ama la politica, quella dei politici di professione e quella nuova dei grillini. Non dobbiamo permettere che l’Italia venga distrutta da questi incapaci, da questi incompetenti, da questi irresponsabili.
Silvio Berlusconi, FI
3 febbraio 2018

 

I grillini sono dei buffoni al servizio dei ricconi, come i Benetton.
Maurizio Gasparri, FI
17 luglio 2020

 

Dell’Utri è colui il quale trattava con Cosa Nostra. C’è bisogno di altro per spiegare che Berlusconi è una persona che deve sparire dalla scena politica nazionale?
Carlo Sibilia, M5S
20 aprile 2018

 

I grillini sono la feccia della politica italiana, sono la nuova P2: poltrone e potere.
Maurizio Gasparri, FI
16 gennaio 2021

 

Berlusconi è un vecchio puffo senza contegno e senza misura.
Beppe Grillo, M5S
15 marzo 2019

 

I grillini sono inadeguati e giustizialisti, mi ricordano Maduro.
Silvio Berlusconi, Fi
31 gennaio 2019

 

Su Berlusconi ricordo solo gli scempi delle leggi ad personam e del Parlamento costretto a votare sulla nipote di Mubarak. Un periodo in cui l’Italia era zimbello d’Europa.
Danilo Toninelli, M5S
3 marzo 2019

 

“Con Iv, B. e Salvini torna la prescrizione e addio a Bonafede”

Enrico Costa, avvocato eletto con Forza Italia e ora in “Azione”, è il deputato che tra una settimana darà l’assalto alla norma sulla prescrizione del governo giallorosa.

Onorevole, cosa vi spinge?

La legge Bonafede è irragionevole perché non va a incidere sui problemi del processo. È una norma che si basa sul principio che la prescrizione scatta per le tecniche dilatorie degli avvocati, ma non è così: nella maggior parte dei casi scatta durante le indagini preliminari quando gli avvocati non toccano palla.

Questo riguarda soprattutto i reati contro ignoti, il problema è che per i reati contro noti (spesso colletti bianchi) non si riesce ad arrivare alla sentenza definitiva.

Ma la prescrizione risponde ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo, presunzione d’innocenza e diritto di difendersi. Senza di essa si rischiano processi senza fine. Io chiedo di sospendere la riforma della prescrizione fino a quando sarà approvato un ddl per snellire i processi.

Ma in Parlamento c’è già questa riforma, approvata dal Conte II, che riduce a cinque anni i tempi del processo.

Sì, ma è uno spot, non funziona così. Io sono per il processo breve: il processo di primo grado e di Appello vanno chiusi in “X” anni, dopodiché scatta la prescrizione.

Era una delle leggi ad personam di Berlusconi.

Sì, ma allora sgombriamo il campo: si applichi da oggi in avanti.

Cosa si sente di dire ai familiari delle vittime della strage di Viareggio, Eternit o Moby che non hanno avuto giustizia causa prescrizione.

Dico loro che la prescrizione è sempre una sconfitta per lo Stato e che avrebbero avuto diritto a un processo più breve: non si possono scaricare sui cittadini le inefficienze dello Stato.

Oggi ci sono le condizioni per cancellare la norma Bonafede sulla prescrizione?

Sì, nella nuova maggioranza che sosterrà Draghi ci saranno Renzi, Berlusconi e Salvini che la pensano come me sulla prescrizione. Spero che arrivi anche il Pd visto che aveva votato contro la riforma del Conte I e l’ha difesa solo per spirito di coalizione.

Il Pd chiede di ritirare il suo emendamento al dl Milleproroghe perché “divisivo”.

Lo farò solo se tutti gli altri partiti ritireranno i propri. Altrimenti non ci penso proprio.

Cosa chiederete a Draghi sulla giustizia?

Si deve fare la riforma della giustizia in senso garantista (lo prevede il Recovery) e cancellare tutti i danni fatti da Bonafede.

Draghi è appeso a Rousseau. Base furiosa: risultato in bilico

La telefonata d’obbligo gliel’ha fatta il reggente, Vito Crimi: “Volevo informarla che sul via libera al suo governo consulteremo i nostri iscritti sulla piattaforma Rousseau”. E raccontano che il presidente incaricato Mario Draghi l’abbia presa “con tranquillità”, almeno apparentemente. Doveva aspettarselo, che il Movimento per dire sì al suo governo dovesse passare dal voto sul Web. Ma dovrà anche avere pazienza, visto che si voterà tra domani e giovedì, con le urne telematiche che si chiuderanno alle 13 del 10 febbraio (prima non si poteva, visto che oggi partirà la votazione sul nuovo Statuto M5S). Un voto in bilico, dicono tutti i grillini. Con molti iscritti che sui social già rovesciano di tutto contro i parlamentari, al grido di “poltronari”. E sull’esito peseranno anche “i quesiti specifici” che verranno messi in votazione su Rousseau, come ha spiegato ieri il blog delle Stelle. Tradotto, gli iscritti diranno sì o no a Draghi esprimendosi sui temi. Per dirla come il Movimento: “Ascolteremo le proposte del presidente Draghi, sintesi del primo giro di consultazioni, e sottoporremo la proposta alla rete”. Cioè, si voterà la mediazione sui punti di programmi chiesti al tavolo dai 5Stelle. Con l’ambiente e lo sviluppo sostenibile che dovrebbe essere dentro i quesiti. Mentre non si farà cenno alla trattativa sui posti, con il M5S che invoca tre ministeri (Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli in prima fila, ma cresce l’ipotesi di un nome femminile).

A patto sempre che passi il sì, per cui tifano tutti i big: da Grillo a Conte passando per Di Maio e Roberto Fico. Tutti, tranne il solito descamisado, Alessandro Di Battista, che anche ieri su Tpi ha scandito il suo no, ironizzando sulla “genuflessione mediatica” nei confronti di Draghi: “C’è il rischio che anche lui si convinca di poter moltiplicare pani e pesci, mentre ha moltiplicato solo i titoli derivati italiani”. Potrebbe spostare più di un voto, Di Battista. “Ma l’unico modo per contenerlo era la consultazione” spiegano. Di sicuro fuori ad aspettare c’è anche Casaleggio, che non parla da settimane e sabato si è infilato alla riunione prima delle consultazioni. Il sospetto di molti è che possa capeggiare una scissione, possibile conseguenza del voto. “Il clima in Senato resta pessimo” confermano. E a trainare il no ci sono anche veterani come Danilo Toninelli. Per questo stanno chiedendo a Grillo di esprimersi, magari con un video. Chissà quanto potrà compensare il sì di Conte, apparso domenica notte nell’assemblea dei 5Stelle. Però Draghi va sostenuto, “perché è di valore e voltargli le spalle significa voltarle al Paese”. Certo, poi il premier uscente ha formulato anche delle riserve. Per esempio, in qualità di federatore dei giallorosa, gradirebbe la Lega fuori dell’esecutivo. Non a caso il M5S vorrebbe chiedere a Draghi anche di combattere la sperequazione di fondi tra il Nord e il Sud, storica riserva di voti del Movimento. Mentre ieri Grillo ha rilanciato il reddito di base. Di certo questo “non è un passo facilissimo per alcuni dei 5Stelle, è comprensibile ci siano perplessità”, come ha ammesso ieri Conte, che ha smentito le voci su una sua candidatura a sindaco di Roma: “No, grazie”.

Invece il suo ruolo nel M5S è tutto da definire. L’avvocato non pare intenzionato a iscriversi, almeno a breve, e quando parla dei 5Stelle continua a usare il “loro” e non il “noi”. Così la sua candidatura nella segreteria a cinque, di prossima elezione, non è possibile, norme alla mano. “Magari capo per acclamazione…”, butta lì un big.

Di sicuro Conte vuole pesare. “Voi 5Stelle dovete decidere cosa fare da grandi” ha detto in questi giorni a più di un interlocutore. Buona domanda, fatta adoperando il voi.

Il “tecnico” va a lezione delle liturgie dei Palazzi

Di certo, quando dal buen retiro di Città della Pieve aveva preso la strada per Roma dopo essere stato convocato da Sergio Mattarella, Mario Draghi non si aspettava di trovare tanti cronisti e persino qualche fan a sgomitare per lui. Arrivato al Colle per mettersi a disposizione del capo dello Stato alle prese con la crisi politica, ma pure in ascolto del segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti. Che è stato prodigo di consigli sul da farsi e su come muoversi secondo le liturgie dei Palazzi della politica, che a Draghi restano oscure.

E così quando ha varcato la soglia di Montecitorio per incontrare il padrone di casa Roberto Fico (che molto si è speso sul suo nome dopo aver tentato inutilmente di verificare la possibilità di ricomporre i cocci della maggioranza giallorosa), l’ex banchiere centrale si è trattenuto a lungo anche con Lucia Pagano, la segretaria generale della Camera, dove per lunghi anni Zampetti è stato, nella stessa casella, dominus incontrastato. Un colloquio necessario a stabilire l’abbisogna e la logistica per il doppio giro di consultazioni, probabilmente già concordato con il Colle, che terminano oggi.

Il Cerimoniale di Montecitorio è stato fin da subito mobilitato per l’accoglienza di Draghi e naturalmente anche per le convocazioni delle delegazioni dei partiti attese alle consultazioni. Scandite con precisione svizzera, data l’attitudine dell’ex governatore ad arrivare sempre con un certo anticipo. “Di suo non ha fatto altre richieste particolari”, giurano dai piani alti di Montecitorio dove più d’uno è rimasto stupito quando dal primo giorno lo hanno visto presentarsi da solo, senza staff: insomma praticamente “disarmato”, senza cappotto né porta documenti.

Come a rimarcare che lo scioglimento della riserva con cui ha accettato l’incarico non è una formalità: per questo Draghi non ha rinunciato neppure a tornare nella sua casa di campagna in Umbria facendo ogni giorno, salvo domenica, la spola con Roma. Porta l’essenziale: se stesso e la mascherina d’ordinanza che non toglie mai. Specie da quando, la scorsa settimana, tradito da un po’ di emozione, aveva dimenticato per un attimo di rimettersela prima di lasciare il Quirinale e dopo aver letto una breve dichiarazione ufficiale.

A Montecitorio non lo hanno mai visto senza: si è forse concesso una boccata d’aria solo nell’ufficio che gli è stato messo a disposizione dalla Segretaria generale, la Sala dei busti che è accanto all’anticamera di Fico. E che è a poca distanza dalla Sala della Lupa e dall’attigua Biblioteca del Presidente, dove si sono alternate le consultazioni per consentire la sanificazione ormai di rito, scandita a orario fisso. Ad assisterlo due funzionari di Montecitorio di primo livello: Paolo Nuvoli e Costantino Rizzuto, rispettivamente capo degli Affari generali e vice Segretario generale di Palazzo, che si sono occupati di redigere i verbali degli incontri per Draghi. Che qualche appunto se l’è fatto anche di suo durante e dopo i colloqui in cui ha invece parlato il minimo indispensabile. Specie al primo giro di consultazioni terminato sabato, in cui ha giocato a carte coperte: “Era lì soprattutto per ascoltare, come ci ha detto. Forse per poi riferire al Colle le sue prime impressioni”, dice qualcuno che pure aveva provato a stanarlo su programma e qualità, tecnica o politica, della squadra di governo. Risultato? “Il professore è stato praticamente imperscrutabile: sembrava di essere a un esame all’Università”.

Ora Salvini non è più fascista: quindi il Pd chiede scusa?

Caro Marco, ti confesso che gli ultimi avvenimenti della politica mi hanno abbastanza disorientato, in me le antiche certezze vacillano mentre avverto che il nuovo che avanza imporrebbe la ricerca di un nuovo punto di gravità permanente che non mi faccia più cambiare idea sulle cose, sulla gente. Nel chiederti di aiutarmi a trovare un senso a ciò che forse un senso non ce l’ha, vengo al punto che riguarda l’ingresso nella nuova supermaggioranza di Matteo Salvini.

Domenica, nell’interrogarmi su quale dicastero assegnare al leader leghista, intenzionato dicono a chiedere una poltrona di prima fila nel governo Draghi, non ho trovato una risposta accettabile. Infatti, non esiste ambito della vita pubblica dove costui non abbia lasciato un segno indelebile, e sempre non di particolare pregio. Dai messaggi giunti in redazione sappiamo che sul tema anche i nostri lettori non sanno come raccapezzarsi. Il che è del tutto comprensibile non essendo agevole – sia pure in risposta all’appello di Sergio Mattarella – digerire l’indigeribile. Se dunque Salvini non recederà dalle ambizioni ministeriali, il presidente incaricato avrà, tra le tante, un’altra gatta da pelare. Però, l’irruzione dell’uomo del Papeete pone un’altra questione non piccola a tutti coloro che, soprattutto a sinistra, fino all’altro giorno consideravano colui che oggi si presenta tra i costruttori responsabili un pericolo per la democrazia, se non oggettivamente un fascista. Diciamo che nella fase turbo del sovranismo populista, nonché delle politiche xenofobe e persecutorie nei confronti degli approdi dei disperati, l’allora Capitano non si è fatto mancare nulla. Dai rapporti elettorali con Casapound al giustificazionismo nei confronti di Luca Traini, sì quello che a Macerata sparava a caso contro le persone di colore (“l’immigrazione incontrollata porta allo scontro sociale”). Senza contare la pretesa dei pieni poteri accompagnata da richiami duceschi del tipo: molti nemici molto onore e piacevolezze del genere. Sai bene che sul Fatto abbiamo sempre criticato l’allarme son fascisti perché semplicisticamente scagliato contro l’avversario politico, sovente in mancanza di altri argomenti convincenti. A questo punto è lecito attendersi che nel Pd e tra i molto vigili intellettuali di area si apra un dibattito approfondito sulla questione Salvini, a partire dalle domande sul risorgente (oppure non più) rischio fascista. Perché sarebbe un pizzico imbarazzante se un pericolo per la democrazia sedesse accanto a chi, per esempio, lo ha mandato a processo per i casi Gregoretti e Diciotti.

Può darsi però che l’unità nazionale, il bene comune e la salvezza pubblica abbiano come d’incanto emendato Salvini, trasformandolo da minaccia a risorsa per la democrazia. Sarebbe un altro straordinario miracolo in quest’epoca di prodigi e redenzioni. Come vedi, nel nuovo clima mi muovo a tentoni e non so che pesci prendere. Certamente tu avrai le risposte che a me mancano.

Caro Antonio, le tue angustie sono anche le mie. Ricordo quando, quasi tre anni orsono, osammo scrivere che il governo giallo-verde era un gentile omaggio dell’Innominabile (lo chiamavamo ancora Renzi, 24 denunce fa), mentre maestrine e maestrini dalla penna rossa ci spiegavano che invece il loro beniamino non c’entrava: il vero problema era che anche i 5Stelle erano “di destra”, e pure un po’ fasci (come noi del “Fatto”, del resto). Poi, insieme a colossali mostruosità come alcune parti dei decreti Sicurezza, proprio grazie ai 5Stelle quel governo fece per i bisognosi cose che la sinistra non aveva mai fatto in trent’anni. Ma nessuno lo riconobbe. Ora, dai compagnucci che si accingono a digerire il governo con Salvini folgorato sulla via di Bruxelles, attendersi una parola di scuse sarebbe eccessivo. Mi accontenterei che si vergognassero almeno un po’.
Marco Travaglio

Draghi: 8 punti per non dividere. Ma sui nomi vuole mediare poco

Da calendario, avevano un quarto d’ora a testa. Ma Mario Draghi, al secondo giro di consultazioni con i partiti, ha già imparato a prendere le misure. E dopo dieci minuti, nonostante i tempi già dimezzati, li ha congedati tutti. Gentile, ma fermo: “Ha finito di illustrare il suo programma, poi ha guardato la parete e ha detto: abbiamo solo un minuto. Ma là appeso, non c’era nessun orologio”. Lasciano la Sala della Lupa di Montecitorio un po’ interdetti: il presidente incaricato ha già finito di farli sfogare. Li ha ascoltati al primo giro, ma adesso non è già più tempo. “Ermetico”, lo descrivono. Che tradotto significa che non ha dato ai suoi interlocutori nessuna delle indicazioni che davvero gli interessavano: chi, dove, quando?

Nemmeno un accenno ai tempi per la nascita del nuovo governo. Par di capire, comunque, che non se ne parli prima di venerdì: oggi vede i partiti maggiori, domani le parti sociali e solo giovedì si conoscerà l’esito del voto su Rousseau. Neanche un indizio sulla natura tecnica o politica del governo, anche se ormai il “modello Ciampi”, ovvero il mix tra le due formule, viene dato per assodato anche dal Quirinale. Figurarsi se si è spinto a parlare del “perimetro” della maggioranza, argomento già finito negli archivi d’agenzia. E ai pochi che ieri lo hanno stuzzicato sul tema, raccontano che Draghi abbia risposto con un ragionamento che suona più o meno così: “Io cerco di trovare una mediazione sia sulla sostanza che sulla forma, ma se il problema vero è solo chi ci sta, alzo le mani…”.

Non ha intenzione, insomma di aprire troppe trattative, anche perché – va detto – non c’è nessuno che si sia messo a dettare condizioni. Lui, nel dubbio che qualcuno si svegli, evita di avvicinarsi alle questioni “scivolose” e lascia fuori tutti i cosiddetti temi “divisivi”. Così, ha buttato giù 8 punti sufficientemente vaghi e sufficientemente di buon senso da accontentare l’arco parlamentare che va da Fratoianni a Salvini. Nessuno impegno.

C’è la vocazione “europeista” e l’attenzione all’ambiente che “innerverà” (sic) tutti gli ambiti del programma. Ci sono le riforme evergreen che da 20 anni accompagnano il dibattito pubblico: quella della giustizia civile, del fisco (in teoria già in cantiere con i giallorosa) e della Pubblica amministrazione. C’è il Recovery fund, ovviamente, e c’è il piano vaccinale che deve tirarci fuori dalla pandemia. Parla di scuola e immagina modifiche al calendario per restituire ai ragazzi un po’ del “tempo perduto” quest’anno, nonché nuove assunzioni per evitare di ritrovarsi alla ripresa un’altra volta senza docenti. Questioni che riguardano giugno e settembre: l’impressione diffusa è che sia un “programma emergenziale”, che poi è quello per cui lo ha chiamato il capo dello Stato. Ma risolta l’emergenza, notano con una certa preoccupazione, “il dopo non c’è”.

Qualcosa in più oggi potrebbe arrivare su quel che non ci sarà nel programma. Consapevole dei molti temi divisivi (immigrazione, Mes, giustizia) l’ex Bce potrebbe raccogliere dai partiti le indicazioni sui temi che considerano esplosivi. Molti di questi, va detto, li ha già tolti dal tavolo e così hanno fatto i partiti (Salvini, per dire, non gli chiederà oggi di tornare alla versione originaria dei decreti Sicurezza).

Al netto della vaghezza, Draghi è tornato su alcuni punti economici. In tema di aiuti alle imprese ha spiegato che i ristori vanno bene per tamponare l’emergenza ma servirà un piano di stimoli pubblici per creare lavoro (anche se, per la verità, si troverà a gestire subito i 32 miliardi del decreto Ristori 5, in gran parte già opzionati). L’idea di fondo è che il Recovery rappresenti un embrione di bilancio comune europeo, e su questo bisognerà insistere. Su questo fronte anche dalla Lega potrebbero saltare le ultime resistenze. Oggi la plenaria dell’Europarlamento dovrebbe infatti approvare il regolamento definitivo del piano europeo. Un testo che disegna un’architettura piena di vincoli e controlli sui fondi, e con diversi rischi (chi non rispetta le regole fiscali europee rischia di vedersi bloccati i soldi). Per questo a metà giugno in commissione affari economici la Lega si era astenuta. Ieri filtrava una linea diversa. Ascoltato oggi Draghi, potrebbe arrivare il via libera a Bruxelles.

Solo posti in piedi

Più avanzano le consultazioni, più empatizziamo con Mario Draghi. Inondato dalla saliva dei laudatores “a prescindere” (non ha ancora detto una parola, ma già fa miracoli con la sola forza del pensiero: tipo San Francesco che ammansisce il lupo sovranista). Perseguitato dalle esegesi sui contenuti della mitica “Agenda Draghi” (una Treccani, per farci stare tutto quel che gli attribuiscono). Molestato dalle autopromozioni di aspiranti ministri che soffrono e s’offrono. E assediato da noti bugiardi en travesti che si spacciano per l’opposto di se stessi pur di farsi notare (spettacolari le supercazzole del M5S per non parlare di B. e del figlioccio rignanese, i camuffamenti del Cazzaro dalla felpa al doppiopetto e dalla mascherina di Trump a quella di Carola, ma più di tutto il Pd che finge di credergli). Roba che non augureremmo al nostro peggior nemico (anche perché è solo l’antipasto: il governo non è ancora nato), figurarsi a una personalità del livello di Draghi, che fino a 7 giorni fa se ne stava in Umbria in attesa che lo eleggessero al Colle, ma senza far nulla perché ciò accadesse. E ora deve tenere insieme tutto e il suo contrario e riuscire a non ridere in faccia a Salvini che gli rifila il “modello Lombardia” (record mondiale di morti: a quel punto, meglio un battaglione di serial killer).

Forse si starà domandando cosa sia un “governo tecnico, ma politico” e che differenza passi fra un ministro “politico”, “tecnico”, “tecnico-politico”, “di area” (o di aria), “politico ma non numero uno” (dal due in giù), essendo i centauri, le sirene, i minotauri e gl’ircocervi difficilmente reperibili sul mercato. E, in base alle leggi della fisica, quanti ministri possano entrare in un governo, posto che se restasse fuori un’altra volta la leggendaria Cartabia ne farebbe una malattia, l’ubiquo Bentivogli detta programmi di governo su mezza dozzina di giornali e la Bonino, dall’alto del suo zerovirgola e degli appena 45 anni di Parlamento, vince la proverbiale ritrosia e si dice generosamente “disponibile a fare il ministro” con Salvini e Di Maio che fino a ieri avrebbe affidato all’esorcista (laico, si capisce). Insomma, restano solo posti in piedi. E c’è pure il voto su Rousseau perché, fra una piroetta e l’altra, i 5Stelle si son ricordati di avere degli iscritti (problema che gli altri partiti non hanno o non si pongono). E lì può succedere di tutto: non che, dopo l’apertura di Grillo, passino all’opposizione; ma che magari si astengano o condizionino la fiducia alla presenza di ministri propri (interni o esterni) nei posti-chiave Giustizia, Lavoro, Sviluppo-Ambiente, Scuola. Sempreché chi scrive il quesito si ricordi che, tra l’opposizione ottusa e la resa senza condizioni, c’è qualche via di mezzo.

“Nino mi parla ancora attraverso di te: il ghost”

“Mi sveglio ancora quattordicenne, come se il tempo davanti a me fosse infinito. Il fisico, poi, mi rammenta l’età che ho. E, così, mi chiedo quanti film potrò ancora fare: misuro gli anni in film. Pochi, temo. E, quindi, dovranno avere senso”. È un Pupi Avati ispirato quello che parla di Lei mi parla ancora (da stasera, su Sky e NowTv), film liberamente tratto dall’omonimo romanzo firmato da Giuseppe “Nino” Sgarbi, secondo capitolo di una tetralogia che La Nave di Teseo ha appena pubblicato in un unico volume, insieme a due preziosi inediti.

Dall’emozione che il film sta suscitando, direi che il senso c’è…

Perché è un film che non obbedisce ad alcuna moda e vola più alto di tutte le tematiche che affrontiamo abitualmente. Non parla di Pil o di politica ma dei grandi temi della vita. Temi che tu conosci bene, essendo lo spermatozoo all’origine di questo film. Sono proprio questi temi – vita, morte, assenza, dolore, gioia – che hanno fatto sì che io abbia immaginato di farlo.

Com’è avvenuto questo passaggio?

Scoprendo che c’era un ghost writer: figura affascinantissima. Non si fa vedere né sentire ma, senza di lui, il romanzo non ci sarebbe. Lo si capisce da una battuta che non era nel libro ma ho scritto io: il ghost (Fabrizio Gifuni, ndr), leggendo la bozza a Nino (Renato Pozzetto), dice: “Da vecchi non ci si abbraccia più, ed è questa la cosa che mi dispiace di più”; “Ma io questa non l’ho mica detta”, replica Nino. E il ghost chiede: “La tolgo?”. “No, la lasci”, risponde Nino. I due sono diventati una cosa sola. Non più uno che parla e l’altro che prende appunti: parlano entrambi. Compensandosi e completandosi. È il punto di arrivo di una dialettica difficile tra due persone anagraficamente e culturalmente lontanissime. La struttura narrativa e drammaturgica del film è tutta qui. A poco a poco, il ghost viene rapito dal fascino di quest’uomo che rifiuta l’idea di aver perso la donna della sua vita, la Rina (Stefania Sandrelli). È quando ho avuto l’idea del rapporto tra Nino e il ghost, che mi sono appropriato del romanzo e l’ho fatto diventare un mio film.

Mi hai regalato una grande emozione, indicandomi al cast e dicendo: “È lui il vero Gifuni!”.

Non ti conoscevano e non sapevano quanto sia stato importante il fatto che tu mi sia stato vicino: ho visto le cose non solo attraverso gli occhi dei figli ma anche del ghost, che è il co-protagonista della storia. Il vecchio è più seducente, è ovvio. Anche perché gioca delle carte che si giocano una volta nella vita. Ma, per disvelare il vecchio, era indispensabile un personaggio come il tuo, che avesse la capacità maieutica di tirarlo fuori.

Bella responsabilità raccontare una storia così.

Enorme. L’ho sentita a Cinecittà, quando Vittorio (Sgarbi) è entrato nella sala Fellini, per la prima riservata al cast. Mi sono reso conto che gli stavo facendo vedere la sua famiglia, con tutto quello che avevo rivoluzionato, stravolto, inventato. Ho vissuto la proiezione con grande tensione, anche perché Elisabetta guardava il film a Ro. Avrebbero potuto non riconoscersi o dissentire e, invece, sono stati entusiasti. E stanno vivendo questa nascita con grandissimo calore.

Progetto non facile…

Difficilissimo: un film su un vecchio di ottant’anni, oggi, con un protagonista come Pozzetto, che interpreta il papà di Elisabetta e Vittorio Sgarbi (pochi sono divisivi come lui); per non parlare del Covid. Riuscire, malgrado tutto questo, a trovare una combinazione produttiva così forte – grazie, soprattutto, alla felice intuizione di mio fratello (Antonio: produttore), che ha immaginato che Bartelby, Vision e Sky ci avrebbero sostenuti – è stato quasi un miracolo. Raramente qualcuno ha creduto così tanto in un mio film.

Forse proprio perché fuori standard…

Completamente. E poi c’è un elemento essenziale della vita dal quale, forse per pudore, mi ero sempre tenuto a distanza. Qui, invece, mi sono concesso una grande sfrontatezza, anche sentimentale, perché mi sembrava che Nino lo meritasse. Una nudità ingenua, primigenia e assolutamente priva di sovrastrutture. È questa nudità la responsabile della conversione del ghost, all’inizio cinico, scettico, disincantato. “Lei non è come crede”, lo scuote, in una scena chiave, Nino. Ed è lì che lui comincia a riflettere. E a cambiare.

Sbaglio se dico che – simboleggiando nel ghost la società com’è, e in Nino la società come dovrebbe essere – ci inviti a ritrovare senso e vero valore delle cose?

Affatto: è così. C’è un aspetto scandaloso in questo film, perché non rappresenta la realtà ma qualcosa che abbiamo rimosso totalmente. Nino Sgarbi era parte di quel qualcosa. E il film ci invita a ritrovarlo. Probabilmente, l’ondata di emozione che accompagna Lei mi parla ancora è dovuta proprio a questo: sentiamo tutti fortissimo il bisogno di attaccarci a qualcosa che non troviamo in questa realtà sempre più modesta, imbarazzante, spaventosa. Nino mi ha incoraggiato ad avere coraggio. Una grande lezione di vita e di cinema anche per me. Ascoltiamola.