“Il mio compagno mi disprezza: perché allora dipendo da lui?”
Ciao Selvaggia, non so se leggerai mai queste mie parole. Ti scrivo in camera da letto, al buio, approfittando del fatto che il mio compagno sonnecchia sul divano in soggiorno. Funziona così in casa “mia”, la libertà è qualcosa che ci si guadagna, al massimo, mentre lui è distratto. Mi sento un po’ come la rana bollita della storia, e non so ancora se riuscirò in qualche modo a saltare giù da questo pentolone di acqua rovente. Qualcosa però dovevo scriverti, ne avevo bisogno, perché so che puoi immedesimarti. Potrei raccontarti centinaia di episodi, di battaglie (quasi) quotidiane come una logorante guerra senza quartiere. Una guerra tra una donna che dipende da un uomo per ragioni insondabili e quell’uomo arido e cattivo che non la ama. Niente di nuovo: insulti, denigrazione, scoppi d’ira con pugni sbattuti contro il muro e oggetti lanciati in giro per la casa, io che fatturo la metà rispetto a lui, io che metto il lavoro davanti alla nostra coppia, io che sono viziata e penso che tutto mi sia dovuto, io che non ne faccio mai una giusta, io che me ne frego di lui, io che sono egoista, io che non voglio condividere niente con lui, io che fraintendo tutto, io che sono ipersensibile e non accetto critiche, io che non so stare allo scherzo, io che sono una malata, una pazza in preda agli ormoni e all’esaurimento nervoso. Io che non allargo le gambe. La mia vita deve ruotare intorno alla sua. Lui deve essere il mio faro e io devo giustificarmi per tutto, incluso il look. Nelle ultime settimane il dolore è stato lancinante, insopportabile. Me ne sono andata di casa, per poi crollare sotto il fuoco di fila delle sue minacce di rottura definitiva, e tornare… sopportando l’ennesima colpa e fardello. La mia assicurazione sulla vita, nonostante tutto, è la sua ipocrisia: è tanto bastardo, capace di umiliare e offendere tra le mura di casa, quanto è ossessionato dalla difesa della sua immagine pubblica di uomo esemplare.
In questi giorni la morsa di dolore sembra si sia allentata, sia pure in maniera appena percettibile. Ho ritrovato una briciola di voglia di alzarmi dal letto la mattina; non piango più ogni 5 minuti né di fronte ai suoi attacchi o alla prospettiva della solitudine; riesco a concentrarmi di nuovo sul lavoro con un minimo di continuità. Soprattutto, sabato scorso, dopo mesi di notti semi insonni, dopo cena mi sono nuovamente addormentata sul divano senza accorgermene. Per me sono piccoli traguardi, piccoli passi che mi porteranno non so ancora dove. Se e quando riuscirò a saltare fuori dal pentolone farò di tutto per convincere una mia amica, bravissima attrice, a scrivere qualcosa su questo tema. Tu intanto, Selvaggia, fai qualcosa, ti prego, affinché non cali il silenzio. Fai sentire le nostre voci. Non siamo fatte per avere padroni. Non lo meritiamo.
Giorgia
Reagisci, Giorgia. “Il piccolo passo” non può essere un sonnellino sul divano. Il piccolo passo, per cominciare, può essere l’aiuto di un bravo terapeuta. Perché quello che non va in lui lo sai, ora bisogna che qualcuno ti aiuti a capire cosa non va in te. Auguri.
“L’inferno fino all’immunità di gregge: è già liberi tutti”
Cara Selvaggia, dopo quasi un anno di pandemia stiamo tutti cercando di superare il buio più cupo, quando temevamo persino di toccare la maniglia della porta condominiale. Abbiamo bisogno di tornare alla normalità, tutti, ma chissà quando succederà. Certo, sono arrivati i vaccini. Ma per vaccinare tutti servono mesi (e forse più) e non possiamo far finta che l’emergenza sia agli sgoccioli. Dobbiamo avere pazienza, perché il virus c’è, i malati anche e pure i morti, tanti. Tuttavia, posso testimoniarlo, a Milano molti giovani non smettono (e non hanno mai smesso) di fare la vita di sempre. Sono riusciti in questi mesi a trovare soluzioni per vedersi, alla faccia dei divieti. Negli alberghi a cena e a far festa in compagnia (facendosi fare finte fatture dagli albergatori per una camera d’albergo) sia il sabato che la domenica. Ora ho scoperto per la città i secret parties, dove si accede solo su invito per passare la serata in compagnia (ovviamente senza la minima precauzione, distanziamento mascherina o altro). lo so perché lavoro con molte ragazze che ci vanno e il giorno dopo ne parlano compiaciute, come se avessero vinto la gara del più furbo, e lo fanno sapendo che noi altri (quelli che stanno a casa) ascoltiamo e giudichiamo. Semplicemente, se ne fregano. Se provo a discuterci o insultarle (sono colleghe di lavoro “giovani” dai 25 ai 30 anni) non serve a nulla, mi prendono in giro e quasi mi mandano al diavolo. Così faccio pure la parte della strega cattiva, che dà buoni consigli perché non può più dare il cattivo esempio. Chi mi invita, a me, a 53 anni, ai secret parties? Dunque temo che il lasso di tempo fino all’immunità di gregge sarà il peggiore, perché qualcuno avrà apertamente il coraggio di dire che dei morti non gliene frega più un cazzo. Tra parentesi, chissà se queste simpatiche colleghe contageranno anche me, prima o poi. Ma che posso fare? Che fine faremo? Non capiscono che tutti vogliamo la stessa cosa, ma la disciplina è tutto in questo momento?
Loredana
Tutto vero, tranne una cosa: non sono solo i giovani, ma anche molti individui che hanno festeggiato da tempo i 40 anni, gli indisciplinati. E se l’arroganza della giovinezza in qualche modo si può comprendere, quella degli agè fa solo una gran pena.