Bellingcat, inchieste da KO. Via dai media tradizionali

Quella di Bellingcat è una storia di demistificazioni. La prima: il sito di giornalismo investigativo, che ha portato a casa gli scoop più importanti degli ultimi anni, influenzato strategie politiche, incastrato regimi, imbarazzato presidenti autoritari e surclassato servizi di intelligence di mezzo mondo, non ha giornalisti nel suo staff. Lo guida Eliot Higgins, 42 anni, di Leicester che, fino al 2011, era un impiegato amministrativo in un ufficio qualunque, non era riuscito a finire gli studi, non aveva competenze specifiche, soffriva di attacchi di panico e non sapeva che direzione dare alla sua vita. Però aveva tempo, un’attenzione ossessiva ai dettagli, una vasta esperienza dell’ambiente dei videogame di gruppo, da giocatore compulsivo, una radicata aspirazione alla verifica dei fatti. E una buona connessione Internet.

Allo scoppio della guerra in Siria, nelle pause di lavoro, comincia a navigare per social e video YouTube che la documentano, mentre segue ogni possibile resoconto giornalistico e account Twitter e Facebook degli inviati dei grandi media. La tesi tradizionale è che per raccontare una guerra sia necessario un professionista sul campo. Ma presto diventa impossibile o troppo pericoloso, per i corrispondenti, accedere alle aree martoriate dalla guerra civile. Dal suo ufficio di Leicester, usando solo fonti e strumenti accessibili, database pubblici, post sui social, mappe satellitari da Google Maps o strumenti di geolocalizzazione come Google Earth o comincia a colmare i vuoti di quel racconto, rettificare le incongruenze, completare il quadro. Con l’aiuto di altri ricercatori online, nessuno con una formazione giornalistica classica, crea un nuovo approccio investigativo basato su tre parole d’ordine: indagare una storia da una prospettiva trascurata dai media di massa; verificare ogni dettaglio, per ricostruirne il contesto; amplificare i risultati grazie alla collaborazione collettiva. Metodo descritto accuratamente nel volumetto We are Bellingcat, appena pubblicato nel Regno Unito. È la seconda demistificazione: la scoperta che si possono trovare notizie anche da remoto, senza essere sul campo, se si ha la tenacia di passare al setaccio ore di contenuti online. I media tradizionali non lo fanno: piuttosto si affidano a fonti personali. Ma, dice Higgins, è una modalità antiquata, elitaria, non trasparente e inefficace. Presto lascia il lavoro di ufficio e apre un blog dedicato alla ricerca: è ormai al centro di un network di esperti che lo considerano un consulente attendibile.

Bellingcat nasce poco dopo, quando è chiaro che quell’approccio è vincente: grazie al suo network, Higgins prova che il regime siriano di Bashar al Assad ha usato armi chimiche contro gli oppositori civili: che a far esplodere il volo Malaysia Airline MH17 nei cieli ucraini, nel 2014, è stato un missile russo; e, con un’inchiesta frutto di una straordinaria collaborazione fra ricercatori non professionisti che beffa anche l’MI6, identifica i due ufficiali dei servizi di sicurezza russi che, nel marzo 2018, avvelenano il colonnello Skripal e la figlia Yulia con gas nervino a Salisbury, territorio inglese, aprendo uno scontro diplomatico internazionale. Il tutto con una ventina di dipendenti e una rete ampia di volontari, finanziati da donazioni e corsi di formazione. Per questa inchiesta entra in collisione con il Cremlino, e finisce al centro dell’accusa, infondata, di essere al soldo di Cia e MI6. Controbatte con la trasparenza, pubblicando ogni passaggio di quella caccia all’oro: il risultato imbarazza i servizi russi e gli errori da dilettanti dei suoi colonnelli. Terza demistificazione: lnternet non è il male, e ha ancora in sé le risorse per combattere la disinformazione online, con mezzi e finalità democratiche. “Per molti anni Internet è stato descritto come un’utopia. Ora come l’opposto: l’era digitale viene raccontata come nemica del giornalismo, dell’attivismo e della politica. A Bellingcat siamo contrari a questa cyber-commiserazione. Le meraviglie di Internet possono ancora fare del bene. Solo, vigilare sulla società e cercare la verità non è più appannaggio delle istituzioni. Non richiede licenze top secret o accessi per iniziati. Bellingcat è quello che non c’è mai stato prima: un’agenzia di intelligence per la gente comune”. Il nome? Una storiella popolare inglese. I topi discutono di come difendersi dal gatto che li attacca senza farsi sentire. Il più sveglio ha un’idea. Bisogna mettergli una campanella (bell) al collo. Belling the Cat.

Intrighi e conflitti: la regola aurea dell’eterna risata

Concludiamo la nostra passeggiata entusiasmante in compagnia dei comici greci e latini: sono classici, cioè “contemporanei a ogni presente” (Gadamer, 1960).

ARGOMENTI DI DISSOCIAZIONE

LA COPPIA CONCETTUALE

La dissociazione fittizia. Tutti si meravigliano della somiglianza fra due gemelli. Un tale dissente: “Questo non è così uguale a quello, come quello a questo.” (Ierocle, V sec. d.C.)

LA DISSOCIAZIONE ESPEDIENTE/REALTÀ

La dissociazione sottolineata. DAVO:

Prendi quelle frasche dall’altare e stendile a terra.

MISIDE: Perché non lo fai tu? DAVO: Perché, se dovessi giurare al padrone che non l’ho fatto io, potrò giurare tranquillo. (Andr., 726-29)

Rovesciare il verosimile. Nelle Rane, Aristofane traveste da Eracle prima Dioniso, poi Xantia, poi di nuovo Dioniso, poi ancora Xantia. Poiché Xantia ne ha ricavato sempre gioie, e Dioniso solo malanni, Dioniso gli cede il travestimento giurando che non glielo riprenderà più. Entra Eaco coi suoi servi per percuotere “Eracle” (cioè Xantia). Dioniso, vigliacco, si schiera subito con Eaco:

DIONISO: Oltre a rubare minaccia anche: è uno scandalo! (Bat., 610)

Ma Eracle/Xantia propone a Eaco di torturare il proprio servo (cioè Dioniso) al posto suo. E così accade.

L’ironia. DEMIFONE (parlando da solo): Chi torna dall’estero pensi sempre che una colpa del figlio, la morte della moglie, una malattia della figlia sono cose di tutti i giorni, che possono capitare, in modo da non farsi cogliere di sorpresa; così tutto quel che gli capita contro queste aspettative va considerato un guadagno. GETA (il suo servo, che ascolta di nascosto): Oh, Fedria, è incredibile quanto io sia più saggio del padrone! Tutti i guai cui potevo andare incontro al suo ritorno li avevo già immaginati: girare la macina, venir bastonato, messo in ceppi, dover lavorare in campagna, niente di imprevisto. Tutto quello che capiterà contro queste aspettative lo considererò un guadagno. (Pho., 243-50)

LA TRAMA COMICA

I commediografi antichi seguivano il principio compositivo polemico tuttora insegnato nelle scuole di scrittura creativa: mettevano in scena un conflitto. In ogni trama, un personaggio vuole qualcosa, e qualcun altro vuole impedirglielo. L’intrigo, che procede fra beffe e facezie, travestimenti e inganni, coinvolge spesso due giovani innamorati: sono ostacolati da un vecchio, che è il padre oppure un ricco rivale dell’eroe. Riusciranno a sposarsi grazie alle macchinazioni maliziose dei servi, e spesso dopo un colpo di scena, cioè lo svelamento inaspettato della vera identità di uno dei personaggi (agnizione) che riscatta socialmente la futura sposa. Per esempio, l’ubriaco sconosciuto che violentò la fanciulla nella notte in realtà era l’attuale innamorato; la giovane prostituta ha nobili natali e potrà sposare senza scandalo il giovane di buona famiglia che se ne è invaghito; il rivale in amore risulta essere il fratello della ragazza. Le conclusioni più comuni sono il matrimonio, la riconciliazione, e il banchetto finale (o la danza) con tutti i personaggi:

EUCLIONE: Non stavo in pace né di notte né di giorno: ora dormirò. (Aul., 940)

L’intreccio. Le trame della commedia antica combinano spesso la peripezia (che si concentra sull’ostacolo rappresentato dall’antagonista) con il riconoscimento (costruito attorno alle scene di scoperta e di riconciliazione). Nel teatro di Aristofane, le due vie assumono una forma allegorica, come nello scontro fra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore (Le nuvole) e nello sposalizio finale di Trigeo con Opora, la dea dell’abbondanza (La pace). Le trame di Aristofane vertono spesso su questioni che vanno stabilite con una gara (Le rane), con uno scontro (I cavalieri, Le nuvole, Gli uccelli, Lisistrata, Le donne al parlamento), con un confronto (Acarnesi, Pluto), con un giudizio (Le vespe); l’altra trama frequente, a volte intrecciata con quella, è il viaggio di ricerca.

Menandro era un maestro nell’intreccio di due trame, una principale e una secondaria. Nel Dyskolos, l’azione principale riguarda i tentativi di Sostrato di raggiungere Cnemone per ottenere il consenso a sposarne la figlia. La trama secondaria riguarda la misantropia di Cnemone, le sue reazioni agli avvenimenti esterni che finiscono per coinvolgerlo. Queste due componenti restano separate per buona parte della commedia, finché l’incidente del quarto atto, la caduta di Cnemone nel pozzo, non le unisce. Nel Perikeiromene, invece, Menandro contrappone due storie amorose, una seria e una farsesca, evidenziandone così le differenze: i tormenti di Polemone per Glichera suscitano simpatia, la frustrazione di Moschione la risata.

La tradizione occidentale della commedia, con l’happy end matrimoniale, si rifà a Menandro e ai suoi contemporanei, attraverso i rifacimenti di Plauto e Terenzio, le cui strategie testuali sono creative, non parassitarie, poiché si distanziavano dal modello per mettere in scena un linguaggio, un ambiente storico-sociale, una poetica differenti (Paduano, 2011). La fabula motoria, ricca di peripezie, in cui eccelleva Plauto, è diversa dalla fabula stataria, con le minuziose analisi dei moti dell’animo, in cui era versato Terenzio, che deplorava gli stereotipi plautini: schiavi trafelati, prostitute malvagie, parassiti voraci, soldati spacconi, bambini sostituiti, vecchi ingannati; ma già Aristofane, 250 anni prima, si vantava di aver posto fine a certe trovate:

CORO: Il nostro poeta l’ha fatta finita coi soliti schiavi che scappano dopo un imbroglio. (Eir., 742-43)

Anche Menandro innova: aggiunge una dimensione etica a situazioni e motivi convenzionali; attenua gli elementi caricaturali; crea tipi moderni, per esempio il soldato non fanfarone, redento dall’amore (Trasonide nel Misoumenos), e l’etera simpatica (Taide nell’Eunuchus) o materna (Criside nel Samia). Sul suo esempio, Terenzio introduce il personaggio della meretrice dal cuore buono (Bacchide, nell’Hecyra); il servo incapace (Demea nell’Andria), e il saggio che alla fine ha torto (Simone nell’Andria).

All’epoca, Plauto e Terenzio furono accusati di copiare ora Menandro, ora Filemone, ora entrambi, a intarsio. Terenzio replicò che non c’è persona più ingiusta dell’ignorante: in effetti, basterebbe un confronto fra gli esiti, diversissimi nei due autori latini, ottenuti a partire da un medesimo testo greco, per far cadere l’accusa in quanto superficiale e superflua. Nella comicità, va detto, le qualità più importanti non sono imitabili. Chi, d’altra parte, non ritiene sufficiente ciò che è insuperabile?

(42. Continua)

Un altro virus infetta la globalizzazione

Stiamo tutti attraversando un vortice di cambiamento. Potremmo desiderare una pausa, un momento di riflessione, ma la velocità a cui si muovono gli eventi sta solamente aumentando. Mentre nel corso del 2020 il mondo ha sperimentato circostanze violente e difficili, l’inizio di quest’anno ha portato con sé un tentato colpo di Stato a Washington, con l’attacco al Campidoglio, e un’escalation nella pandemia in Europa come negli Stati Uniti.

È stato anche l’anno in cui tutti i Paesi hanno rivolto lo sguardo all’Italia, prima nazione occidentale ad aver incontrato il Covid e ad averne pagato i costi elevatissimi, in numero di vittime e in termini economici. La sofferenza degli italiani è stato il campanello d’allarme per il resto del mondo, un mondo che all’inizio ha provato a negare la realtà di una pandemia. Lo scoppio dell’epidemia di Covid-19 ha dimostrato all’umanità i limiti e l’immenso potenziale della cooperazione internazionale e della globalizzazione. In un pianeta più connesso che mai, caratterizzato dalla straordinaria mobilità di persone, beni, capitali e idee, l’umanità si è imbattuta in un radicato comune antagonista: un patogeno sconosciuto. Un nuovo virus. A differenza delle epidemie degli ultimi decenni, le caratteristiche biologiche di questo virus lo hanno reso una minaccia senza precedenti. Non perché sia estremamente letale – è meno letale della Sars o Mers –, ma per via della sua eccezionale contagiosità. (…) C’è una straordinaria differenza tra l’attuale pandemia e quelle avvenute nella storia: gli esseri umani sono divenuti sufficientemente benestanti, e le loro strutture sociali sufficientemente stabili, da consentire a molti di restare a casa per lunghi periodi di tempo e, in tal modo, arginare il fatale patogeno. A metà del XIX secolo, quando in pratica nessuno sulla Terra guadagnava più di 400 dollari l’anno (a parità di potere d’acquisto), le persone non potevano permettersi di autoisolarsi. Sarebbero morte di fame. Ma ora abbiamo nuovi strumenti a disposizione. Il Coronavirus è esploso nelle nostre vite in un’epoca in cui sequenziare il genoma non costa più decine di migliaia di dollari, in cui godiamo di un’elaborazione dati su cloud incredibilmente potente, e di un’esemplare cooperazione internazionale. La natura ci ha posto un problema esponenziale, e per la prima volta l’umanità ha risposto con un’esponenziale reazione della scienza. (…)

Al di là del trauma nazionale e delle intime sofferenze di chi ha perso i propri cari, la pandemia ha costretto gli italiani – e poi il resto dell’Europa – a porsi domande molto concrete sul governo, il potere e la comunità. I Paesi che in genere hanno ben contrastato l’epidemia potrebbero essere descritti come professionali-tecnocrati o come nazioni che si sono tenute alla larga dalla drammatizzazione e dal populismo. La leadership occidentale è immersa negli slogan e nel carisma popolare; tuttavia sono stati esponenti come il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern, o i governanti di Corea del Sud e Taiwan, a resistere meglio degli altri alla tempesta. È questa la ricetta per un XXI secolo più sostenibile: meno drammi e grandi promesse, un più intenso e attento lavoro di governo? L’elezione di un politico esperto, di un professionista, e la caduta di Donald Trump, suggeriscono certamente questa possibilità. Joe Biden probabilmente non sarebbe stato eletto presidente se il Covid non avesse colpito tanto duramente l’America. Quando i tempi si fanno duri, gli elettori potrebbero rivolgersi ai radicali; quando i tempi sono duri e i radicali sono già al potere, gli elettori potrebbero persino tornare ai politici di tradizione. L’isolazionismo di Trump e la retorica antiscientifica sono state inadeguate alle circostanze, e ciononostante ha ottenuto più voti di quanti presi nel 2016. Il populismo nazionalista non è stato sconfitto. (…) Questi estremisti continueranno a porre una sfida esistenziale a una delle più audaci imprese politiche della storia, l’Unione europea. (…)

La storia terrà nota di ciò che è avvenuto dopo che l’umanità ha incontrato questa nuova dura prova rappresentata dal Covid: mentre la scienza e gli scienziati sono stati all’altezza del momento, impegnandosi in una campagna internazionale per trovare una cura e un vaccino, sono stati i nostri politici a fallire, praticamente ovunque. In confronto alla scienza e persino alle multinazionali, le amministrazioni locali si sono dimostrate lente nell’azione, anacronistiche e di scarsa lungimiranza. Viviamo tempi senza precedenti. Il mercato internazionale crea più efficienti meccanismi di produzione e distribuzione, salvando miliardi di esseri umani dalla povertà estrema. Ma la globalizzazione è un fenomeno complesso e ha un lato oscuro. Accelera la fuoriuscita di un numero imprecisato di persone da una terribile indigenza, eppure nel farlo crea nuovi cicli di sfruttamento. Col tempo, emancipa gli sfruttati e dona loro gli strumenti per liberarsi. I cicli di sfruttamento creati dalla globalizzazione sono insostenibili. La circolazione di idee, conoscenza e verità riesce infine a spezzarli. Si tratta di un virus positivo, per così dire, conficcato in profondità sotto la crosta della globalizzazione, ed è inarrestabile. Se la globalizzazione è costretta alla ritirata dal Coronavirus o dalla retorica nazionalista o populista, o da tutte queste forze insieme, la battuta d’arresto cancellerà molte delle conquiste della più importante e significativa guerra condotta dall’umanità: quella contro la povertà. Si abbasserà il livello di vita per tutti, mettendo a rischio le conquiste in salute, reddito e cultura che tutti abbiamo sperimentato negli ultimi decenni. Questo esito non sarà soltanto moralmente sbagliato ma anche pericoloso: quando le persone vengono private di qualcosa che possiedono già, divengono frustrate. La frustrazione genera rabbia, e la rabbia conduce alla violenza. Il villaggio globale non può sopravvivere senza dare la priorità al progresso e alla verità. La sfiducia nelle istituzioni si sta evolvendo in una guerra al progresso, in una marcia della follia.

Bisogna farsi carico di una responsabilità globale e di più solide istituzioni internazionali affinché questi corpi possano controllare le crisi locali, intervenire in esse attivamente, e bloccarle nel loro percorso. Più forti sono i legami che ci uniscono, più ne avremo bisogno. Nel 2020 l’umanità ha fronteggiato una pandemia. La prossima volta sarà un conflitto locale che potrebbe creare a valanga una guerra mondiale, una recessione economica che potrebbe gettarci nell’abisso, oppure una sfida definitiva: la crisi climatica. Tali livelli di interconnessione economica, tale espansione di legami commerciali e di mobilità globale creano sfide che si moltiplicano a livello esponenziale, più di qualsiasi altro patogeno.

© Nadav Eyal, 2018
© 2021 La nave di Teseo editore, Milano

 

Mail box

 

Cala lo spread, ontologie a confronto e contrarie

Con l’avvento dell’“Altissimo”, ha scritto ieri Travaglio: “C’è già il primo miracolo: l’abbattimento dello spread con la sola forza del pensiero (peraltro di appena 7 punti, mentre i puzzoni di prima l’avevano portato nell’ultimo anno da 300 a 100, prima che Renzi lo rifacesse schizzare all’insù)”. Finalmente viene risolto il plurisecolare problema dell’essere, per cui l’ontologia dell’Altissimo cancella e soppianta quella di Parmenide: è il pensiero che pensando l’essere (spread) scandisce il passaggio dall’essere al non essere (non spread). Questa è l’altissima scienza.

Maurizio Burattini

 

È un vero piacere leggere gli articoli di Luttazzi

Ogni giorno seguo Daniele Luttazzi sul Fatto: mi piacciono le sue lezioni di satira, ma ancor di più mi piacciono i suoi articoli di storia della comicità e quelli sulle problematiche relative alla comunicazione. Grazie per averlo portato da noi.

Roberto Lorenzetti

 

Gli altri giornali volevano far fuori Giuseppe Conte

I giornali degli Elkann, B. & C. hanno tifato allo spasimo per Draghi premier. 209 miliardi di euro rappresentano il Pil di uno Stato. Nella distribuzione non volevano Conte tra i piedi, volevano il “protettore dei poveri”. Siamo al Monti al quadrato. Avrà anche un “alto profilo”, ma da altri punti di vista è piuttosto inquietante.

Mario Frattarelli

 

Quanto manca il vecchio Movimento combattivo

Ascolto Crimi che rendiconta e indora pillola dell’appoggio all’esecutivo Draghi: ha optato per il suicidio, ha rinunciato a tutti i suoi temi originari di lotta. Grillo è meglio che torni a farci ridere; infatti questa volta ci è riuscito facendo il serio. Il Vaffa è cosa lontana, il sistema che voleva aprire come una scatola di sardine ha messo nella scatola anche lui.

Maurizio Dickmann

 

Tutti a lodare Draghi anche senza programma

È passata una settimana e il popolo non sa ancora quello che farà Draghi e tutti brindano senza sapere nulla. Ma il programma lo preparano mentre fa le consultazioni?

Luigi Coppola

 

DIRITTO DI REPLICA

In merito all’articolo sul Colosseo, da voi pubblicato ieri, desideriamo specificare alcune cose che non corrispondono al vero. Il contratto di concessione: si tratta di un unico contratto che non riguarda solo il monumento del Colosseo ma anche la valorizzazione di numerosi altri siti di minor afflusso. Un assetto immutato anche nella proroga attiva, per legge, sin dal 2009 e ancora in corso perché delle tre gare bandite due furono ritirate e la terza deve ancora concludersi. Nel frattempo i servizi, di pubblico interesse, devono restare attivi e questo vale anche in momenti di crisi come quello di oggi.

L’altro tema è quello dei voucher. Premettiamo che siamo i primi a capire le difficoltà di chi oggi vive di cultura e turismo ma la disposizione dei voucher – al posto del rimborso dei biglietti pre-acquistati dalle agenzie – è stata sancita con i Dcpm degli ultimi mesi e a noi impartita dalla Direzione del Parco. I relativi introiti sono stati subito versati allo Stato, diversamente da come leggiamo nell’articolo. Le modalità di vendita, inoltre, sono sempre definite dalla Direzione del Colosseo: i biglietti non devono essere messi in preacquisto tutti insieme, non certo per un acquisto di Coopculture per sé, ma proprio perché una quota, senza maggiorazione del costo, sia disponibile ogni giorno alle casse a tutela dei visitatori. Anche le visite didattiche e le audioguide sono parte integrante e regolate dal contratto in vigore. Altresì, è noto, esistono intorno alle rivendite esterne dei biglietti del Colosseo molte pratiche di accaparramento non regolari, che hanno afflitto la città per anni. Siamo certi che tutti coloro che lavorano nella legalità e per la legalità siano d’accordo a isolarle, da qui in avanti, in quanto nulla hanno a che vedere con la cultura e la sua fruizione.

Ufficio stampa CoopCulture

 

Ringraziamo l’ufficio stampa di CoopCulture per la gentile risposta. Riguardo ai punti contestati, l’articolo spiegava solo che l’ultimo documento di proroga della concessione risale al 2010 e non risultavano più recenti, anche se l’ufficio stampa ci ha parlato di una proroga “sine die”. Per quanto riguarda i voucher, l’articolo non dice che il Parco del Colosseo c’entri, né che i soldi siano nelle tasche di CoopCulture. Dice, però, che i tour operator attendono i soldi da CoopCulture, quando invece li attendono dallo Stato e di questo prendiamo atto. L’articolo non accusa CoopCulture di commettere illeciti riguardo le visite didattiche e le audioguide, né di commettere illeciti in generale. Sottolinea il fatto che CoopCulture operi anche come Tour Operator “bloccando” per se stessa una quota di biglietti che restano in cassa: un evidente conflitto di interessi.

Per quanto riguarda la lotta al bagarinaggio e agli accaparramenti, non possiamo che essere pienamente schierati per un mercato sempre più trasparente.

Leonardo Bison

Che ministero dareste a Salvini?

 

“Se il governo dovrà essere politico è chiaro che a quel punto dovremo mettere in campo le figure di primo piano. Penso prima di tutti al segretario Salvini”.

Riccardo molinari
capogruppo alla Camera della Lega intervistato da “Avvenire”

 

Sì, ma ministro di cosa? Con Peter Gomez che vive il mio stesso dilemma proviamo a immaginare qualche ipotesi sulla poltrona più adatta per l’Attila delle poltrone, che adesso ne pretende una di pregio nel governo della salvezza nazionale (e della sua). Togliamo di mezzo i ministeri economici per evidenti ragioni: ce lo vedete mentre discute della Curva di Laffer con il professor Mario Draghi? Il Lavoro neppure, per evitare facili ironie riguardo a chi non ha mai lavorato in vita sua. E per cortesia, basta anche con la battuta delle braccia sottratte all’Agricoltura.

Ministro dell’Istruzione? Be’, questa è una provocazione. Lo spediamo agli Esteri e tanti saluti? Chi, l’amico di Putin? Con lui alla Farnesina minimo torna la guerra fredda. E un rientro al Viminale? Fantastico, così ricominciano gli sbarchi e i sequestri delle Ong? Vuoi vedere Zingaretti accerchiato dai radical chic? Il Sud e la coesione territoriale? Ah certo, la soluzione ideale per chi cantava in coro: senti che puzza scappano anche i cani sono arrivati i napoletani.

Lo Sport? Se basta tifare Milan, allora ok. Pari opportunità e famiglia? Non è lui che vuole ripristinare le case chiuse? Giustizia? Sai qual è sulla Rete la frase più frequente dal nuovo Beccaria? In galera e buttare via la chiave. Infrastrutture? Così affida ai Benetton anche il ponte sullo Stretto. Pubblica Amministrazione? È già prenotata da Sabino Cassese. Ministro della Salute? Il ruolo ideale per chi in piena pandemia istigava al non uso della mascherina. Non resta che la Difesa. Giubilo tra le nuove generazioni: non è lui che vuole ripristinare la leva obbligatoria?

Concorso a premi: quale ministero avrà Matteo Salvini?

I vincitori potranno scegliere tra una felpa, un rosario, una confezione di Nutella e un mojito.

Antonio Padellaro

Anni roventi in vista: siamo sicuri di volere altro cemento?

In Italia – I tepori di fine gennaio hanno in parte bilanciato il freddo precedente, determinando un mese dalle temperature pressoché normali, o fin troppo tiepide al Sud a causa dei venti nord-africani (2 °C sopra media a Palermo). Freddo insolito invece sulle Alpi (fino a 3 °C sotto norma), ma non eccezionale sul lungo periodo. Ben più anomale a scala secolare le forti precipitazioni di dicembre-gennaio dal Triveneto all’Emilia al Tirreno: 408 mm a Piacenza (record nella serie dal 1871), 580 mm a Tarvisio, 1384 mm all’Abetone. Febbraio è iniziato con aria mite e umida, molta pioggia dalla Campania alla Calabria che ha contribuito alla frana di martedì sulla statale Amalfitana, grigiori inquinati tra Nord e Toscana, disgelo e valanghe in montagna, nebbie marittime per l’aria tiepida in scorrimento sul Mediterraneo freddo. Il caldo sciroccale fuori stagione è culminato ieri al Sud con ben 29,5 °C a Palermo (pari al record di febbraio), mentre al Nord si avvicinava la perturbazione che ha rilasciato piogge e nevi rosse di polvere sahariana. La Sindaca di Malalbergo (Bologna), Monia Giovannini, vuole cementificare oltre 70 ettari di prezioso suolo agricolo per farci l’ennesimo polo logistico. Dice che ciò che conta sono i 1500 posti di lavoro che (forse) porterà. Non ha ancora capito che il suolo è la vera assicurazione sul futuro del suo paese: serve per produrre cibo e servizi ecosistemici, e una volta edificato è perso per sempre. Sindaca Giovannini, si legga il libro Rovina di Simona Vinci sulla cementificazione della via Emilia, e ci ripensi!

Nel mondo – In Francia le piogge straordinarie di dicembre-gennaio (record di 500 mm a Brest e 625 a Dax) hanno gonfiato i fiumi, allagando centri abitati e interrompendo strade e ferrovie specie nel Sud-Ovest. Giovedì 4 febbraio la Garonna ha toccato un livello di 10,2 m a Marmande, secondo solo alla rovinosa piena del 23 giugno 1875. Straripati anche Reno e Mosella in Germania. Negli stessi giorni il Nord-Est americano era sotto la tempesta “Orlena” che ha deposto 44 cm di neve a New York e fino a un metro in Pennsylvania, situazioni tuttavia non rare in quelle regioni e, per quanto appaia controintuitivo, forse accentuate proprio dal riscaldamento globale: il mare caldo fornisce infatti energia e vapore alle perturbazioni, che lì, nonostante l’aumento delle temperature medie, riescono ancora a essere nevose. Fa meno notizia, ma per il clima è più stupefacente il caldo che ha fatto a gennaio in Canada, con anomalie fino a +10 °C, svariati record di mitezza battuti e scarsità di neve. Gelido in Nord Europa, come in gennaio non si vedeva dal 2010 in Norvegia e Regno Unito, tuttavia lontano dai primati storici. Alluvioni a Santiago del Cile (31 mm di pioggia in un giorno, quanto dovrebbe cadere in tutto il secco semestre novembre-aprile), in Paraguay, Indonesia, Nuova Caledonia e Fiji (Oceania), mentre in Australia bruciano i dintorni di Perth. Météo-France ha diramato i nuovi e inquietanti scenari climatici ottenuti dal progetto Drias, che in caso di emissioni serra inalterate dipingono un futuro rovente con 4 °C in più di oggi a fine secolo, estati insopportabili, inverni senza gelo e neve in pianura, lunghe siccità. Eppure la Francia, come gran parte dei Paesi, sta facendo poco o nulla per affrontare la crisi climatica: lo ha stabilito nientemeno che il Tribunale amministrativo di Parigi, giudicando lo Stato responsabile di negligenza a seguito della petizione L’Affaire du Siècle (2,3 milioni di firme) presentata da quattro associazioni ambientaliste tra cui Greenpeace, e ordinando “di prendere tutte le misure che permettano di raggiungere gli obiettivi che la Francia si è posta in termini di riduzione delle emissioni di gas serra”.

 

Le guarigioni “minori”. Così Gesù insegna a prendersi cura degli altri

Il Vangelo di Marco ci racconta oggi un’intensa giornata di Gesù all’inizio del suo ministero: “Appena usciti dalla sinagoga, andarono con Giacomo e Giovanni in casa di Simone e di Andrea. La suocera di Simone era a letto con la febbre; ed essi subito gliene parlarono; egli, avvicinatosi, la prese per la mano e la fece alzare; la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli. Poi, fattosi sera, quando il sole fu tramontato, gli condussero tutti i malati e gli indemoniati; tutta la città era radunata alla porta. Egli ne guarì molti che soffrivano di diverse malattie, e scacciò molti dèmoni e non permetteva loro di parlare, perché lo conoscevano” (1,29-34). Colpisce che la narrazione evangelica si soffermi con tanta attenzione su quelle che potrebbero sembrare guarigioni “minori”, come la semplice “febbre” della suocera di Pietro, personaggio di secondo piano, che non ritroviamo più nella narrazione evangelica, o come le altre guarigioni, neppure accompagnate da descrizioni più dettagliate o insegnamenti.

Non ci sono cose più urgenti da fare per Gesù? Per esempio, predicare in contesti importanti come Gerusalemme oppure fare guarigioni più eclatanti, come quelle narrate nel capitolo 5 o come quella, straordinaria anche per il contesto narrativo, della restituzione alla vita di Lazzaro che Gesù chiama fuori dal sepolcro (Giovanni 11). Perché queste guarigioni “minori” sono così importanti per il Vangelo più antico e conciso, quello di Marco, che riporta questo episodio con maggiore ricchezza di dettagli rispetto a Matteo e Luca? Per far comprendere subito (siamo al suo primo capitolo) che Gesù non è venuto per stupire i suoi contemporanei (e anche noi) con effetti speciali, ma per portarci guarigione, un po’ di pace anche nelle piccole ma importanti vicende della vita, per dare sollievo alla nostra quotidianità affaticata, alle nostre giornate a volte inutilmente affannate, “febbrili”. Il Salvatore del mondo non inizia il suo ministero “salvando il mondo” con la bacchetta magica, come qualcuno voleva allora e vorrebbe ancora oggi, ma si ferma a soccorrere persone comuni che hanno problemi di salute. Gesù, semplicemente, si interessa e si prende cura delle persone che incontra. Lui, il Salvatore del mondo.

Non solo, il Vangelo di Marco, con un uso sapiente delle parole, ci dice qualcosa di più sull’opera di Gesù: per esempio, il verbo usato al v. 31 – la febbre “la lasciò” – nel greco originale del testo significa separazione, divisione, che è la funzione tipica del “diavolo”, il cui nome deriva da diábolos, un altro termine greco che significa “colui che divide” e anche “calunniatore”. Il diavolo è spesso il separatore, il provocatore di scissioni, ma è anche quello che unisce ciò che deve restare separato (come il male dal corpo) o separa quello che deve restare unito (come la salute, anche dello spirito, con il corpo). Gesù fa l’opposto: unisce quello che non deve stare diviso e divide quello che non deve stare unito. Sempre al v.31: “la fece alzare”, il verbo è quello che indica anche la risurrezione perché il suo alzarsi attesta che con la guarigione dalla febbre si è prodotto in lei qualcosa della vita nuova. Anche la menzione del servizio – “ed ella si mise a servirli”, la parola dell’originale greco è quella della diaconia – non la riporta al ruolo femminile codificato dalla cultura patriarcale ma la mette in sintonia con il Gesù diacono “venuto per servire” (Marco 10,45). Perché chi serve non si “abbassa” ma si “alza”, secondo il principio divino della diaconia, cioè del prendersi cura gli uni degli altri, e così fa tacere i demoni (v.34).

*Già moderatore della Tavola Valdese

 

Gli unici anziani “utili” sono oggi gli elefanti

Un giorno della scorsa settimana (3 febbraio) è successo qualcosa che voglio annotare. Il quotidiano Repubblica ha dedicato una pagina (nell’inserto Cultura) alla riflessione di Eugenio Scalfari che guarda, come in uno specchietto retrovisore, la sua vita. Lo fa con un distacco malinconico e sereno, ma senza nostalgia, un racconto che continui a leggere non per le cose narrate, ma per l’inclinazione dello sguardo, che cambia, in questo suo scritto, come cambia la luce in certe ore tardo-pomeridiane del giorno.

Il titolista di Repubblica di quel giorno non è stato attento alla pagina appena citata del suo giornale. E apre il supplemento “Roma” del quotidiano in un suo modo sfacciato e divertito. Deve intitolare un articolo sull’affollamento dei luoghi designati per le vaccinazioni degli anziani, sceglie di tradurre il diffuso stato d’animo di tanti nostri concittadini con queste parole stampate molto in grande: “Gli over 80 non mollano. Prenotati 120 mila vaccini”. E più in piccolo: “Il sistema ha assorbito l’assalto”. Capisci subito che è l’assalto dei vecchi che ingombrano le vie di salvezza per i tanti altri meno matusalemme in attesa.

È inutile fingere e mettere qui qualche frase benevola o neutra. Il titolo rappresenta bene (in contrasto sbadato con la pagina Scalfari del giornale) ciò che sentite in giro (quando c’è qualcuno in giro) e nei caffè, ora che sono parzialmente aperti.

Una delle più diffuse battute che fa scoppiare la sala (quando c’è, per un istante, una sala) è: “Oh, questo ha cento anni e voleva la vaccinazione!”. Il che vuol dire che a 80 è già osceno portare via la dose agli altri. Ma tutto è cominciato molto prima, con la conquista dei letti e delle strutture di rianimazione. Rapidamente si è diffusa la percezione di una nuova cultura: fuori i più vecchi. Naturalmente la seconda fila sarà ancora di vecchi, e il numero sarà sempre alto, e come dice il titolista di Repubblica-Roma, gli 80 non mollano. Chi volete che molli quando si tratta di vivere e di morire? Qui ci vuole la mano ferma di quei medici che decidono (“questo sì, questo no”) e del personale sanitario che si adegua. Vero, tutto ciò accade nei giorni del massimo eroismo medicale. Ma accade comunque. O si dice e si pensa, addirittura in dichiarazioni pubbliche e politiche. Per la prima volta nella storia dell’umanità che conosciamo, sta diffondendosi l’idea che i vecchi non servono ed è bene fare largo, anche se non è chiaro in che punto calare la sbarra tra l’età che porta pericolo e l’età che serve al Paese. Ecco ciò che è stato pubblicato, come un documento (che dovrebbe essere imitato, sembra il suggerimento) e ha meritato piena pagina, taglio basso, pag. 17 sul Corriere della Sera, 11 gennaio. Titolo: “Il desiderio di Luigi e Adriana: ‘La nostra dose (di vaccino, ndr) ai nostri due nipoti’”. Testo: “Abbiamo un desiderio, poter offrire il nostro vaccino, che presumibilmente faremo in primavera, ai nostri due nipoti”. Segue una motivazione amorevole, ma non incentrata sulla scarsità dei vaccini o sull’infuriare della pandemia nelle scuole (evento mai accaduto): il fatto è che Luigi e Adriana hanno passato (di poco) i 70 anni e questa condizione anagrafica li fa sentire indegni di essere coloro che riceveranno un vaccino che dovrebbe spettare ai ragazzi. È vero che la generosità dei due anziani si deve anche al fatto di essere stati insegnanti. Ma, come è noto, la pandemia non si aggira nelle scuole dove, secondo i medici, i ragazzi potrebbero essere portatori di infezione (da cui, purtroppo, la vaccinazione non protegge) ma non vittime di essa. No, in questo episodio si vede l’espandersi della cultura che ha portato a infettare migliaia di anziani in Lombardia.

Ricordate che ci è voluto l’Esercito per rimuovere le centinaia di bare della vittime non della pandemia, ma dell’età? La lettera di Luigi e Adriana è il segnale della diffusione di una cultura che, per la prima volta nella storia dell’umanità, si è persuasa di una condizione inferiore, nella quale finisci di scivolare con gli anni: la vecchiaia. Verificare l’utilità sociale. Non servono, non contano ma occupano spazio e vogliono cure. Conta poco che per quelle cure abbiano pagato contributi per tutta la vita.

Se manca vaccino, si toglie a Luigi e Adriana e si dà ai nipoti che sono non importa chi, basta che sia l’età giusta.

Leggo su una pagina in Rete: “Gli anziani sono molto importanti”. Ma è un articolo dedicato al comportamento degli elefanti.

 

Un artificio segreto e tagliente, nascosto tra le montagne

Dai racconti apocrifi di Ihara Saikaku. Un giorno l’imperatrice Jito inviò la sua guardia del corpo più prestante e coraggiosa, Hoshiko, da un governatore delle province, in missione segreta. Arrivato là con otto uomini, Hoshiko fu accolto con ogni onore. Dopo una buona cena, tutti si ritirarono, ma Hoshiko non riusciva a prendere sonno. Gironzolando per il palazzo, finì in fondo a un corridoio, dove c’era una stanza con la porta socchiusa che lo incuriosì. Alla luce della luna, una giovane stava dormendo sul tatami. “Come è bella” pensò Hoshiko. Non smetteva di rimirarla, ma esitava: primo, perché poteva essere la moglie del governatore; secondo, perché gli pareva strana la mancanza di ogni precauzione all’ingresso. La giovane non aveva addosso che una tunica leggera, il suo profumo era inebriante. Hoshiko non riuscì a resisterle: si distese accanto a lei. Quando l’abbracciò, la ragazza aprì gli occhi pieni di sonno, e non fece troppa resistenza. Hoshiko stava per scivolarle dentro, quando sentì un grande prurito alle vergogne, e poi più nulla. Subito portò la mano all’inguine, ma fu come rovistare nella barba: il suo pisello era sparito! Mentre lui frugava in preda al panico, la ragazza semi-addormentata lo guardava con un sorriso divertito. Hoshiko si rivestì in fretta e furia e tornò al suo alloggio. Guardò di nuovo: niente, non c’era più. Gli venne un’idea. Svegliò uno dei suoi uomini e gli descrisse la ragazza, indicandogli dove trovarla. Il soldato non se lo fece ripetere due volte: corse da lei, tutto pimpante, ma quando tornò era assai abbacchiato. Hoshiko svegliò un altro dei suoi uomini, che subito si precipitò ridacchiando dalla ragazza, ma anche lui ritornò avvilito. Uno dopo l’altro, Hoshiko inviò tutti i suoi uomini in battaglia, e tutti tornarono con la stessa espressione di scorno, le mani sulla patta deserta.

All’unanimità decisero di lasciare subito quel palazzo: era stregato! Avevano percorso appena un miglio, quando furono raggiunti da un uomo a cavallo. Era un servo del governatore, con in mano un saccello di lino. “Sua Eccellenza il governatore mi manda a dirvi che siete stati troppo gentili a ripagare la sua ospitalità con doni così preziosi e personali. Davvero non può accettarli, e mi ha ordinato di restituirveli”. Consegnò il sacchettino a Hoshiko, che lo aprì, e tutti sbigottirono: dentro c’erano i loro nove piselli! In quel preciso istante ci fu un tuono fragoroso che frastornò tutti, dopo il quale i soldati urlarono, in festa: “Ce l’ho di nuovo!” A quel punto, il servo comunicò loro, parola per parola, la seconda parte del messaggio del governatore: “Perdonate il mio piccolo trucco. Lo imparai a mie spese quando da giovane cercai di sedurre la moglie di un certo stregone. Se volete imparare quest’arte segreta, seguite il mio servo fra le montagne.” Così fecero, e giunsero alla riva di un grande fiume, dove il servo li istruì: avrebbero dovuto abbracciare qualunque cosa fosse apparsa fra le acque, anche un orco. Quindi pronunciò una formula magica, che scatenò una tempesta. Torrenti di pioggia gonfiarono le acque del fiume, fra le quali ecco apparire un serpente enorme, verde scuro e porpora, che incuteva terrore. I soldati scapparono a gambe levate, ma Hoshiko si fece coraggio, e corse ad abbrancarlo. Con stupore, si trovò fra le braccia un tronco di legno. Il servo del governatore rise. “Hai superato il test, soldato. Ricordi lo stregone di cui ti ho parlato? Sono io,” disse, mutando d’aspetto sotto i suoi occhi. “E sono anche il governatore”, aggiunse, mutando ancora. Hoshiko era esterrefatto. “L’imperatrice mi aveva fatto una promessa, e l’ha mantenuta. Quella bella ragazza è mia figlia, e mi ha detto che vorrebbe rivederti”.

 

Il sorriso angelico e la scuola elisabettiana

“Draghi appare come una persona che ti viene voglia di chiamare personalità, per quel sorriso quasi angelico, il modo di parlare elegante, l’aria da gentleman affabile ma inafferrabile, la distanza educata, con una moglie di gran classe che non parla neppure se non interrogata come fanno tutti gli altri”.
La Repubblica

“Draghi, il gesuita del potere. Europeo, incantatore, atermico, grande comunicatore di pause e silenzi. Un po’ narcisista. Scuola Regina Elisabetta: più mistero, meno esposizione. Dopo le sgangheratezze di questi anni, l’Italia accetterà i suoi rigori?”.
Il Foglio

“C’è la passione per il basket. Poi il tifo per la Roma e qualche tiro di golf. Ma nel pedigree dello sportivo Draghi c’è anche la corsa. Anzi, la mezza maratona. Più precisamente la Roma-Ostia, che ha corso per quattro volte, scendendo sotto le due ore”.
Adnkronos