Banche, in arrivo 60-100 miliardi di crediti malati entro 24 mesi

Ammesso che si esca dall’emergenza, e sui tempi non c’è alcuna certezza, la retroazione – per così dire – della crisi Covid sull’economia non si è ancora vista del tutto: sull’occupazione dato il blocco dei licenziamenti e sulle banche viste le garanzie pubbliche sui crediti. Proprio di questo secondo aspetto ha parlato qualche giorno l’amministratrice delegata di Amco, Marina Natale, in audizione davanti alla commissione Banche: “Nonostante le numerose misure di risposta all’emergenza, il mercato si aspetta che a causa del Covid-19 nell’economia italiana ci saranno nuovi flussi di Npe (cioè i crediti deteriorati, ndr) pari a circa 60-100 miliardi nei prossimi 24 mesi”. Non tutti i settori saranno colpiti alla stessa maniera e, sostiene Natale, secondo le stime di Amco sono Banco Bpm, Bper, Mps e Ubi Banca gli istituti con un’esposizione percentualmente più alta verso i settori a maggior rischio. Questi numeri, già preoccupanti, potrebbe ovviamente essere peggiori se le previsioni di crescita non fossero rispettate, diventando a quel punto un tema anche per le casse pubbliche (lo Stato dovrebbe aumentare i fondi stanziati per le garanzie escusse).

Ora passiamo al ruolo di Amco. Si tratta della vecchia Sga Spa, la bad bank pubblica che gestì (bene) il crac del Banco di Napoli: fu privatizzata alla fine degli anni Novanta, ma ora è tornata sotto il controllo del Tesoro e continua a occuparsi di crediti deteriorati (il portafoglio è di 34 miliardi relativo a 229mila controparti). La sua presenza nel mercato, però, non piace agli operatori specializzati: sostengono che offra prezzi troppo alti per le sofferenze delle banche, cioè gli impedisce di fare i guadagni a doppia cifra a cui sono abituati. Ora è sotto l’occhio del ciclone in particolare per il ruolo che potrebbe giocare nella fusione tra Unicredit e Mps (da cui ha già acquistato 8,1 miliardi di Npl a dicembre). “Amco – ha risposto Natale a un parlamentare – non fa regali: è un operatore che formula un prezzo secondo logiche di mercato e griglie ben definite”. Lo ha riconosciuto anche dalla Dg Competition di Bruxelles: sull’operazione con Mps “Vestager ha fatto una comunicazione pubblica per dire che era a condizioni di mercato”.

Redditi, la rete bucata dell’Irpef: le anomalie del sistema fiscale

Chi paga oggi l’Irpef? I prelievi, fiscali e contributivi, sui redditi di lavoro (dipendente e indipendente), rappresentano il 18% del Pil e quelli commisurati agli altri redditi solo il 6%. In altre parole, il 47% del reddito prodotto paga oggi il 75% del gettito fiscale complessivo, mentre il 53% solo il 25%. Si tratta di uno squilibrio alla lunga insostenibile, che penalizza il lavoro attraverso il cuneo fiscale e indica la necessità di trasferire una parte del prelievo sui redditi di capitale, riducendo l’Irpef e fiscalizzando i contributi sociali. L’Irpef produce il 40% del reddito tributario, con una funzione redistributrice che riduce l’indice di concentrazione dei redditi di oltre un quarto. Fin qui tutto bene. Ma se si osserva l’andamento della curva è facile verificare che la progressività del prelievo è concentrata sui redditi più bassi, effetto dovuto essenzialmente all’appiattimento del numero degli scaglioni. E salta agli occhi anche una “gobba” in corrispondenza dei redditi intermedi. Una situazione di squilibrio che ha portato la stessa Corte dei Conti ad auspicare un intervento di riordino e di risistemazione nel quadro frammentato delle numerose patrimoniali esistenti.

Grazie al ginepraio di deduzioni, bonus e detrazioni, un contribuente che guadagna tra 15 e 28 mila euro viene oggi tassato al 31%. Nello scaglione successivo, tra 28 e 35 mila euro, l’aliquota effettiva sale al 45,05% fino a schizzare al 60,82 % tra 35 e 40 mila e ridiscendere successivamente al 41,62% per planare al 43% di prelievo sui redditi oltre i 75mila euro.

Norme spesso arbitrarie, dettate da trattamenti speciali e favori temporanei. E poi una pioggia di bonus, incentivi e detassazioni a questo o a quello, aumenti e riduzioni di aliquote soprattutto se riguardano i redditi di capitale e d’impresa, esenzioni, regimi sostitutivi e infine un intollerabile sbilanciamento della pressione sui redditi dei ceti medi e il lavoro dipendente. Per equità ed efficienza il sistema fiscale italiano offre un quadro davvero desolante, almeno da quanto emerge dalle audizioni delle istituzioni economiche e dei maggiori esperti del paese che stanno sfilando in questi giorni davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato. Lo scopo del Parlamento è condurre un’indagine conoscitiva che metta su un piano comune analisi e finalità di una riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Il primo a provarci fu il professor Cesare Cosciani, nel lontano 1973. L’Irpef concepita allora era molto diversa da oggi: includeva nella base imponibile tutti i redditi e a questa si doveva aggiungere un’imposta sul patrimonio. Si partì con una struttura delle aliquote su 32 scaglioni di reddito, uno minimo tassato al 10% e un massimo tassato al 72% e con una serie di imposte sostitutive per i capitali. Nel tempo la liberalizzazione dei flussi finanziari ha reso problematica la tassazione progressiva dei capitali e l’aumento dell’inflazione ha indotto la riduzione degli scaglioni. Oggi queste motivazioni sono ormai superate, ma il fenomeno dello svuotamento dell’imposta, la “fuga dall’Irpef” denunciata da più parti, è continuato. La base imponibile dichiarata ai fini Irpef risulta compresa tra gli 800 e i 900 miliardi, mentre il reddito nazionale netto, che può essere preso come base di riferimento, si colloca tra i 1500 e i 1600 miliardi. In questo gap si colloca l’evasione fiscale, che viaggia ormai nelle ultime stime a 140 miliardi l’anno e una forte sperequazione dei trattamenti tra un contribuente e l’altro.

L’ultima robusta detassazione è arrivata nel 2018 dall’esclusione di dividendi e plusvalenze che derivano da partecipazioni societarie e nel 2019 dall’introduzione della famosa “flat tax”. La norma prevede l’esenzione dell’Iva, delle addizionali Irpef regionali e comunali e un’aliquota forfetaria al 15% per il 60% dei lavoratori autonomi e piccoli imprenditori. Il compendio dei trattamenti di favore, quasi ad personam, è l’elenco delle cosiddette spese fiscali: esenzioni, esclusioni dall’imponibile, regimi sostitutivi, detrazioni e crediti d’imposta pensati anche per categorie di contribuenti composte da poche decine di soggetti. Secondo i dati governativi sono almeno 141 provvedimenti, responsabili di una perdita di gettito di 43 miliardi che va a beneficiare per lo più persone con redditi medio-alti.

Costume italico o necessità pandemica, l’attuale evasione fiscale lascia ancora intatta la dimensione del principale problema dell’erario italiano. Un fenomeno che viene amplificato in questo momento dalla necessità di assicurare al Paese le risorse per fronteggiare un aumento strutturale della spesa corrente, dettato dall’emergenza Covid. Investimenti massicci in sanità, istruzione, trasporti, politiche ambientali e infrastrutturali andranno finanziati con trasferimenti diretti e interessi sul debito. Per rendere lo sforzo sostenibile, l’agenda del prossimo governo dovrà contemplare anche una terapia d’urto che riporti efficienza e giustizia nella rattoppata macchina fiscale.

Veneto Banca, il pm: “Consoli a processo”

Il pubblico ministero che ha indagato sul crac di Veneto Banca, Massimo De Bortoli, ha chiesto il rinvio a giudizio per l’unico imputato, l’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli. Deve rispondere di truffa, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, reati che si prescriveranno in autunno.

Il magistrato, qualche tempo fa, di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, aveva denunciato: “Vorrei parlare dello sforzo dello Stato. Che non c’è stato. Io mi sono sentito solo a portare avanti questa indagine. È stata dura. Al mio fianco ho avuto solo gli uomini della Guardia di Finanza, per il resto ho dovuto portare avanti più filoni di inchiesta in condizioni davvero difficili. E non parlo solo del fatto che, pur avendo questo compito gravoso, ho dovuto condurre in porto anche gli altri procedimenti che mi erano stati affidati, ma dello stato complessivo della Procura di Treviso”. Il magistrato aveva spiegato che nessun aiuto era stato dato a una struttura giudiziaria “già sofferente per una carenza del 42 per cento del personale amministrativo”.

Con fatica, quindi, questo filone dell’indagine preliminare è arrivato all’epilogo di fronte al gup Gianluigi Zulian (decisione prevista il 20 febbraio), con un destino ormai segnato dal trascorrere del tempo, per un dissesto che ha gettato sul lastrico decine di migliaia di risparmiatori. La prescrizione potrebbe essere aggirata soltanto da una contestazione di natura fallimentare, ma per farlo servono le dichiarazioni di insolvenza, che attendono l’esito dei ricorsi in Cassazione. E quindi il secondo filone d’inchiesta è in alto mare. “Che scatti la prescrizione è matematico – spiega l’avvocato di parte civile Luigi Fadalti –, ma il processo va comunque fatto perché i risparmiatori si attendono una dichiarazione di responsabilità”.

Il pm ha definito Consoli “un despota assoluto, un padrone di se stesso”, che tenne occultate le gravi perdite subìte dall’istituto per “una sciagurata politica di concessione dei finanziamenti, in alcuni casi senza alcuna garanzia”. E così il valore delle azioni stabilito dall’assemblea dei soci, su proposta del consiglio di amministrazione, “era sempre tenuto molto elevato a dispetto della reale condizione economica e patrimoniale della banca”. Un esempio? Nel 2015, mentre il valore nominale era di 39 euro, quello reale era di 7-8 euro. Nel 2016 si verificò il crollo a 0,10 euro.

Il dissesto si verificò nonostante le verifiche della Banca d’Italia e i controlli Consob, perché i vertici dell’istituto di Montebelluna fornirono dati manipolati che non consentirono di individuare il meccanismo dell’acquisto di azioni finanziato con soldi stessi dell’Istituto. Nel 2017 la bufera investì anche la Banca Popolare di Vicenza, per la quale è in corso il processo di primo grado a Mestre (iniziata due giorni fa l’arringa dei difensori dell’ex presidente Gianni Zonin). L’inchiesta su Veneto Banca fu inizialmente trasferita a Roma, ma poi ritornò a Treviso per competenza. E questo comportò una notevole perdita di tempo ai fini della prescrizione.

Carni, affari e soldi sporchi: Mons. Balestrero patteggia

Il patto segreto è stato messo a punto negli ultimi giorni. Monsignor Ettore Balestrero, 52 anni, oggi nunzio apostolico in Congo – énfant prodige di quello che un tempo è stato il cerchio magico vaticano dell’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone – è pronto a patteggiare una condanna per riciclaggio. La vicenda riguarda il rientro abusivo di capitali nascosti tra le British Virgin Islands e la Svizzera, provento di un contrabbando internazionale di carne delle aziende di famiglia alla fine degli anni Novanta. Nell’inchiesta sono coinvolti anche il fratello Guido e i genitori Gerolamo Balestrero e Donatella Pertusio, indagati di autoriciclaggio. L’accordo trovato con la Procura di Genova prevede il patteggiamento di pene tra i 2 e i 3 anni di carcere, e una confisca di 7 milioni di euro. Una clausola importante riguarda la distruzione degli atti: le intercettazioni – molte con alti prelati della Santa Sede, con segreti e confidenze che riguardano anche il Pontefice – saranno eliminate.

C’è stato un tempo in cui il nome di Monsignor Balestrero è stato in grande ascesa nelle gerarchie vaticane. Nel 2009, a soli 41 anni, viene nominato viceministro degli Esteri del Vaticano, con deleghe nello Ior. In quegli anni è responsabile antiriciclaggio inviato dalla Santa Sede presso la commissione europea Moneyval sui capitali sporchi. La sua stella si spegne nel 2013, con lo scandalo Vatileaks. Con il più classico dei promoveatur ut amoveatur viene nominato nunzio in Colombia. È solo una delle scosse che scuote il papato di Ratzinger, che di lì a poco rassegna le dimissioni e consegna a Papa Francesco l’ingrato compito di fare pulizia.

A certificare il rientro dei capitali è un atto del 4 dicembre del 2015: una donazione da 4 milioni di euro che l’arcivescovo firma in favore del fratello Guido. Secondo la Finanza, coordinata dai pm Francesco Pinto e Paola Calleri, quel denaro sarebbe servito a finanziare un’operazione immobiliare. E la riserva a cui attingere è la solita: i risparmi trafugati dalla “Balestrero srl”, in violazione del Gatt, accordo internazionale sul commercio. Il 22 novembre 2017 i finanzieri intercettano una conversazione tra Ettore Balestrero e il fratello: “Quando scoppiò il caos la mamma aveva messo in contanti il denaro”. Quei soldi, scrivono gli investigatori, sono affidati a Ettore Balestrero da “un amico”. È preoccupato, il Monsignore. E a suggerirgli come muoversi è Mauro Piacenza (estraneo all’inchiesta), oggi Penitenziere maggiore del Vaticano, anche lui epurato da Bergoglio: “Caro Ettore, è arrivato il tempo di liberarti delle tue cose…”.

Il percorso dei capitali oggi può essere ricostruito dal Fatto grazie a un documento finora inedito, la richiesta inoltrata dalla Procura di Genova alle autorità svizzere: “Nel 2000 Ettore Balestrero aveva conferito un mandato fiduciario a una persona identificata con l’appellativo di “manina molla”. Si tratta di Antista Tiziana Mollekopf (non indagata), presidente della Finmex Sa, fiduciaria svizzera: “Tra il 1999 e il 2000 Ettore Balestrero si recò insieme al padre a Lugano in via Nassa presso il suo ufficio. Mollekopf, come gli fu spiegato dal padre, gestiva fiduciariamente i capitali detenuti in Svizzera dal genitore”.

La cortina fumogena di società rende però problematiche le pratiche di rientro con lo scudo fiscale. Il 18 dicembre del 2017 i militari fermano al confine tra l’Italia e la Svizzera l’avvocato Giuseppe Carretto, socio di studio dell’avvocato di Lugano Mario Postizzi. I due legali al telefono parlano della documentazione di Balestrero, che viene trovata in un blitz della Finanza. Una sorta di libro mastro in cui ci sono tutti i passaggi dei conti cifrati, denominati “Navarino” e “Cocchiere”. Il 24 gennaio del 2018 Ettore Balestrero (assistito dagli avvocati Luca Marafioti, Mauro Ronco ed Ernesto Monteverde) compare di fronte ai pm: “Quel denaro è un’eredità di mio nonno materno, Franco Pertusio, già direttore della Banca Commerciale degli Stati Uniti”. I magistrati non credono a questa versione. In ogni caso, l’accordo tombale farà cadere la possibilità di dimostrarla: il patteggiamento, in fondo, è la conclusione che sembra essere più gradita a tutti. Soprattutto in Vaticano.

Resa De Luca: i “suoi” vigili non saranno più dirigenti

Alla fine, Vincenzo De Luca si è arreso. Dopo tre congelamenti della delibera, dopo consultazioni coi tecnici di Palazzo Santa Lucia, dopo aver soppesato pro e contro, ha deciso di cancellare definitivamente gli incarichi dirigenziali ai tre vigili urbani di Salerno. Da anni lo seguivano con mansioni di dirigenti di staff negli uffici di diretta collaborazione del presidente della Regione Campania. E il motivo del ripensamento non può che essere uno: il fiato della Corte dei conti sul collo. Si tratta infatti delle assunzioni “a comando” per i quali la Procura della magistratura contabile, in seguito alle informative della polizia economica della Guardia di Finanza agli ordini del colonnello Domenico Napolitano, ha contestato a De Luca un presunto danno erariale di poco più di 403 mila euro.

È questa l’indagine che fa davvero paura al governatore. L’altra, quella penale per truffa e falso, si avvia verso una archiviazione: si tratta di incarichi fiduciari sui quali è quasi impossibile provare il dolo necessario per imbastire un processo con una possibilità di condanna. Ma sul versante della Corte dei conti le cose funzionano diversamente, è sufficiente provare l’esistenza di un danno alle risorse pubbliche. Sulla promozione dei quattro vigili del Comune di Salerno, fedelissimi di De Luca dai tempi in cui era sindaco – uno non era stato confermato dopo le recenti elezioni – pendono le accuse sviluppate dopo un esposto del consigliere di opposizione Severino Nappi, e incentrate sulla carenza di titoli e di curricula per poter essere promossi a dirigenti della Regione. Inoltre, i dirigenti in questione, secondo l’accusa svolgevano in realtà mansioni di autisti. Uno di loro era alla guida dell’auto blu di De Luca coinvolta in un incidente stradale a Salerno nel 2017. La magagna, o presunta tale, venne fuori così.

“In Regione Campania coi voti dei clan”. I pm: a processo il consigliere Grimaldi (FI)

C’è un consigliere regionale di Forza Italia che secondo le accuse della Dda di Napoli siede nel parlamentino della Campania da più di 15 anni grazie al sostegno e ai voti del clan dei Casalesi, fazione Belforte nelle elezioni 2005, fazione Zagaria nelle successive del 2010 e 2015. Si tratta di Massimo Grimaldi, tre legislature da esponente del Nuovo Psi, poi il passaggio coi berlusconiani, e la recente rielezione nella circoscrizione di Caserta. La sua ricandidatura nel 2020 molto probabilmente non avrebbe visto la luce se, nel 2019, fosse stata accolta la richiesta di arresto per concorso esterno in associazione camorristica firmata dal pm Maurizio Giordano. Difficile, politicamente, far candidare ed eleggere un uomo in carcere. Per fortuna di Grimaldi, il Gip Maria Luisa Miranda ha bocciato la richiesta della Procura, perché i sei pentiti che parlano di lui (tra i quali Nicola Schiavone, figlio di ‘Sandokan’ Francesco Schiavone), raccontando del comando in Regione di un funzionario a loro vicino, e di alcuni finanziamenti pubblici per lavori a una scuola e a un campo sportivo di interesse dei clan, offrono versioni fumose e solo parzialmente riscontrate. Inoltre non c’è traccia concreta di come la camorra avrebbe appoggiato elettoralmente Grimaldi. Quindi, sintetizza il Gip, in questo caso “manca quel rapporto di reciproca convenienza necessario affinché possa ritenersi integrata la condotta di concorrente esterno”. Ma l’ufficio della Procura è determinato ad andare avanti, e ha chiesto il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare è fissata a marzo.

Grimaldi può legittimamente sperare in un proscioglimento perché la ricostruzione del giudice Miranda offre numerose frecce al suo arco. E l’attendibilità dei pentiti non appare granitica. Uno di loro, Salvatore Ianuario, alle elezioni del 2005 lo collocava nella Margherita. Nel centrosinistra. Grimaldi invece è sempre stato dall’altra parte. Un socialista di destra, vicino all’ex governatore Stefano Caldoro, leader del Nuovo Psi, che gli fu testimone di nozze e che sentito dal pm come testimone ha precisato come fu candidato nel 2010: “Ricordo che Grimaldi era candidato nella lista Caldoro Presidente al cui interno confluivano più compagini politiche, per la precisione il Nuovo Psi (la componente politicamente più forte), il Mpa, il Pri e il partito Italiani nel mondo. In occasione di quelle consultazioni, i responsabili nazionali, facenti parte del direttivo del partito (Nuovo Psi, ndr) eravamo io e Gianni De Michelis”.

Vicenza, “clochard multati e bagnati con gli idranti”

L’amministrazione comunale di Vicenza ha dichiarato guerra ai senzatetto, che vengono annaffiati con gli idranti dagli addetti del gruppo Aim. Li trattano come immondizia umana e non come persone”. La denuncia è stata lanciata dai volontari di Welcome Refugees, che si occupano dei clochard le cui condizioni di vita sono particolarmente difficili in inverno. “Vengono anche multati per non rispettare il coprifuoco. Ma come si fa a sanzionare uno che non se ne sta a casa sua quando quel qualcuno la casa non ce l’ha?”. Una dei senza dimora, in un video postato sul sito del movimento, dichiara: “Ci bagnano, ci annaffiano, ci portano via le coperte, anche in presenza dei vigili urbani”. Dal sindaco Francesco Rucco è arrivata una secca smentita: “A Vicenza nessuno si sogna di scacciare con gli idranti chi dorme per strada. Polizia locale e Aim Ambiente mi hanno assicurato che nessun operatore si è reso responsabile di comportamenti contrari al buon senso e al rispetto delle persone”.

Trovato nell’Adige il corpo senza vita di Laura Perselli

Èciò che rimane di Laura Perselli, la donna scomparsa da Bolzano lo scorso 4 gennaio, il corpo riaffiorato ieri nel tardo pomeriggio dalle acque del fiume Adige località San Floriano, nel tratto che affianca i campi tra Egna e Laghetti. La notizia è stata confermata da fonti vicine alla famiglia Neumair-Perselli oltre che dall’avvocato Carlo Bertacchi che ha ricevuto dalla famiglia Neumair l’incarico di seguire l’inchiesta.

I carabinieri hanno recintato l’intera zona e bloccato gli accessi al ponte sull’Adige. Per effettuare altre ricerche è stato abbassato il livello del fiume: nella zona del ritrovamento si prosegue a cercare nella speranza di ritrovare anche il corpo dell’uomo.

Per l’omicidio della coppia è stato arrestato il loro figlio Benno Neumair: in carcere per omicidio e occultamento di cadavere. Il figlio ha sempre respinto le accuse e tramite il suo legale ha fatto sapere che sperava che sua madre e suo padre venissero ritrovati.

Afghanistan, morì schiacciato da un blindato 11 anni dopo a giudizio i militari: “Mentirono”

Otto militari italiani reduci dalla missione in Afghanistan sono stati rinviati a giudizio dal Tribunale di Roma, due per omicidio colposo e sei per falsa testimonianza. L’inchiesta riguarda la morte del caporal maggiore Francesco Positano, 29 anni, investito da un mezzo corazzato dell’esercito il 26 giugno 2010, mentre era in missione a Shindad, nella provincia di Herat, a pochi chilometri dalla base dell’Esercito italiano. I pm hanno individuato in due militari i responsabili della morte di Positano, il primo in qualità di autista per aver “lasciato acceso il motore dell’automezzo e non controllato la marcia e l’inerzia del veicolo mentre la vittima era scesa”; il secondo, ufficiale responsabile del plotone, per aver “dato disposizioni o comunque non impedito com’era suo dovere che Positano scendesse dal mezzo mentre il motore era acceso”. Secondo le prescrizioni contenute nel “riepilogo delle avvertenze” – si ricorda nel capo di imputazione – non è consentita “la presenza di passeggeri fuori dal veicolo”. Inoltre, “prima di accendere il motore”, si deve “verificare sempre che nell’area non siano presenti personale e ostruzioni”. Tutte norme di sicurezza non seguite nell’occasione dell’incidente. L’indagine, chiusa nel 2019, si è protratta a lungo anche per le false dichiarazioni rese nel 2014 dai sei militari appartenenti al plotone, tutte smentite dai rilievi effettuati dai carabinieri del Ris e dalla consulenza del medico legale. Le perizie hanno dato modo di accertare come il caporal maggiore sia morto schiacciato dalla ruota anteriore destra del Buffalo Mk, sul quale viaggiava il plotone, nell’intento di verificare l’entità di un guasto. Convocati dai pm di Roma, nell’aprile 2014, i sei commilitoni hanno però fornito dichiarazioni totalmente differenti fra loro. “Ho visto Francesco a terra dietro il mezzo…”, “è caduto lateralmente al Buffalo… l’ho visto cadere di testa con la faccia rivolta verso il mezzo”, “il Buffalo era fermo quando Positano è caduto…”, sono alcune delle affermazioni rese dai militari chiamati a rendere sommarie informazioni agli inquirenti. Per i pm, però, si tratta di “dichiarazione false”. Anzi, i militari avrebbero “taciuto ciò che sapevano sui fatti”, complicando la corretta ricostruzione dei fatti. Parti civili al processo saranno Luigi e Rosa Positano, genitori del caporal maggiore ucciso, seguiti dagli avvocati Annamaria Antonetti e Lucia Frazzano.

Roma, arriva AstraZeneca. Con le prime forniture, 250 mila iniezioni per prof

In anticipo rispetto al piano, ma dopo giorni di scontri tra casa farmaceutica e Unione europea, sono arrivate all’aeroporto militare di Pratica di Mare (Roma) le prime 249.600 dosi del vaccino AstraZeneca. Nei prossimi giorni, salvo imprevisti, saranno distribuite nei centri di somministrazione nelle varie regioni.

Inizialmente era previsto che le dosi arrivassero in Italia il prossimo 15 febbraio. Il piano per le vaccinazioni di insegnanti e agenti delle forze dell’ordine fino ai 55 anni, quindi, partirà in anticipo, già martedì prossimo: la corsa contro il tempo delle Regioni sulle liste di prenotazione è già scattata. Un’accelerazione condizionata appunto dall’arrivo delle dosi del colosso anglo-svedese. Entro marzo “potremmo avvicinarci alla vaccinazione di 7 milioni di italiani” ha detto venerdì il Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri. E la prossima settimana si apre un nuovo atteso capitolo del programma. Salvo imprevisti, le fiale di vaccino di Oxford – che secondo l’Aifa per ora è preferibile somministrare fino ai 55 anni – saranno distribuite nei vari Centri sui territori entro lunedì prossimo e il giorno seguente tutto dovrebbe essere pronto per le inoculazioni. Dopo gli operatori sanitari, stavolta tocca ad altre categorie ancora potenzialmente troppo esposte al contagio come gli insegnanti, gli uomini delle forze armate e delle forze dell’ordine, il personale di comunità, i detenuti e chi opera nelle carceri. I vaccini di Pfizer e Moderna saranno invece ancora destinati alla popolazione più a rischio di letalità.