Chi paga oggi l’Irpef? I prelievi, fiscali e contributivi, sui redditi di lavoro (dipendente e indipendente), rappresentano il 18% del Pil e quelli commisurati agli altri redditi solo il 6%. In altre parole, il 47% del reddito prodotto paga oggi il 75% del gettito fiscale complessivo, mentre il 53% solo il 25%. Si tratta di uno squilibrio alla lunga insostenibile, che penalizza il lavoro attraverso il cuneo fiscale e indica la necessità di trasferire una parte del prelievo sui redditi di capitale, riducendo l’Irpef e fiscalizzando i contributi sociali. L’Irpef produce il 40% del reddito tributario, con una funzione redistributrice che riduce l’indice di concentrazione dei redditi di oltre un quarto. Fin qui tutto bene. Ma se si osserva l’andamento della curva è facile verificare che la progressività del prelievo è concentrata sui redditi più bassi, effetto dovuto essenzialmente all’appiattimento del numero degli scaglioni. E salta agli occhi anche una “gobba” in corrispondenza dei redditi intermedi. Una situazione di squilibrio che ha portato la stessa Corte dei Conti ad auspicare un intervento di riordino e di risistemazione nel quadro frammentato delle numerose patrimoniali esistenti.
Grazie al ginepraio di deduzioni, bonus e detrazioni, un contribuente che guadagna tra 15 e 28 mila euro viene oggi tassato al 31%. Nello scaglione successivo, tra 28 e 35 mila euro, l’aliquota effettiva sale al 45,05% fino a schizzare al 60,82 % tra 35 e 40 mila e ridiscendere successivamente al 41,62% per planare al 43% di prelievo sui redditi oltre i 75mila euro.
Norme spesso arbitrarie, dettate da trattamenti speciali e favori temporanei. E poi una pioggia di bonus, incentivi e detassazioni a questo o a quello, aumenti e riduzioni di aliquote soprattutto se riguardano i redditi di capitale e d’impresa, esenzioni, regimi sostitutivi e infine un intollerabile sbilanciamento della pressione sui redditi dei ceti medi e il lavoro dipendente. Per equità ed efficienza il sistema fiscale italiano offre un quadro davvero desolante, almeno da quanto emerge dalle audizioni delle istituzioni economiche e dei maggiori esperti del paese che stanno sfilando in questi giorni davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato. Lo scopo del Parlamento è condurre un’indagine conoscitiva che metta su un piano comune analisi e finalità di una riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Il primo a provarci fu il professor Cesare Cosciani, nel lontano 1973. L’Irpef concepita allora era molto diversa da oggi: includeva nella base imponibile tutti i redditi e a questa si doveva aggiungere un’imposta sul patrimonio. Si partì con una struttura delle aliquote su 32 scaglioni di reddito, uno minimo tassato al 10% e un massimo tassato al 72% e con una serie di imposte sostitutive per i capitali. Nel tempo la liberalizzazione dei flussi finanziari ha reso problematica la tassazione progressiva dei capitali e l’aumento dell’inflazione ha indotto la riduzione degli scaglioni. Oggi queste motivazioni sono ormai superate, ma il fenomeno dello svuotamento dell’imposta, la “fuga dall’Irpef” denunciata da più parti, è continuato. La base imponibile dichiarata ai fini Irpef risulta compresa tra gli 800 e i 900 miliardi, mentre il reddito nazionale netto, che può essere preso come base di riferimento, si colloca tra i 1500 e i 1600 miliardi. In questo gap si colloca l’evasione fiscale, che viaggia ormai nelle ultime stime a 140 miliardi l’anno e una forte sperequazione dei trattamenti tra un contribuente e l’altro.
L’ultima robusta detassazione è arrivata nel 2018 dall’esclusione di dividendi e plusvalenze che derivano da partecipazioni societarie e nel 2019 dall’introduzione della famosa “flat tax”. La norma prevede l’esenzione dell’Iva, delle addizionali Irpef regionali e comunali e un’aliquota forfetaria al 15% per il 60% dei lavoratori autonomi e piccoli imprenditori. Il compendio dei trattamenti di favore, quasi ad personam, è l’elenco delle cosiddette spese fiscali: esenzioni, esclusioni dall’imponibile, regimi sostitutivi, detrazioni e crediti d’imposta pensati anche per categorie di contribuenti composte da poche decine di soggetti. Secondo i dati governativi sono almeno 141 provvedimenti, responsabili di una perdita di gettito di 43 miliardi che va a beneficiare per lo più persone con redditi medio-alti.
Costume italico o necessità pandemica, l’attuale evasione fiscale lascia ancora intatta la dimensione del principale problema dell’erario italiano. Un fenomeno che viene amplificato in questo momento dalla necessità di assicurare al Paese le risorse per fronteggiare un aumento strutturale della spesa corrente, dettato dall’emergenza Covid. Investimenti massicci in sanità, istruzione, trasporti, politiche ambientali e infrastrutturali andranno finanziati con trasferimenti diretti e interessi sul debito. Per rendere lo sforzo sostenibile, l’agenda del prossimo governo dovrà contemplare anche una terapia d’urto che riporti efficienza e giustizia nella rattoppata macchina fiscale.