Si chiuderà l’11 marzo la gara per assegnare la concessione dei servizi museali del Colosseo, area che comprende Anfiteatro, Foro Romano-Palatino e Domus Aurea: un evento raro, visto che tra un problema e un altro, non se ne vedeva una dal 1996, 25 anni fa. Bandita da Consip, quella di oggi ha un valore di 593 milioni ed è suddivisa in due lotti: da una parte biglietteria, informazioni, accoglienza e assistenza alla visita (564 milioni), dall’altra servizi di editoria, merchandising e oggettistica (29 milioni). Era stata bandita nel 2016 ma dopo ricorsi al Tar, otto rettifiche e due sospensioni, si è arrivati alla conclusione, si spera, il mese prossimo. A beneficiare di questi decenni senza gare e anche della quinquennale durata della gara attuale, sono i concessionari: Coopculture per accoglienza, biglietteria e visite e Mondadori Electa per l’editoria, mostre e merchandising. Il motivo è presto detto.
Nel 1998 il Colosseo contava meno di 3 milioni di visitatori, con introiti per la biglietteria pari a circa 11 milioni di euro, mentre nel 2018 aveva superato i 7,5 milioni di visitatori con 75 milioni di euro di introiti: se però in base agli accordi del secolo scorso, la quota che spetta allo Stato sui biglietti è di circa l’80%, è invece molto più bassa per tutti gli altri servizi esternalizzati, arrivando a zero per audioguide, prevendite e visite guidate (più di 14 milioni di euro, nel 2019). Percentuali simili, nel sistema culturale italiano, caratterizzano tutti i grandi musei. Nella nuova concessione del Colosseo, di durata quinquennale, queste quote saranno riviste al rialzo: si parte da una base di royalties del 22% per chi si candida, ma a vincere sarà l’offerta che garantisce più entrate allo Stato. Si può però immaginare che il concessionario sarà ben tutelato: l’oligopolio di aziende che gestisce le biglietterie per i maggiori musei italiani, le uniche che possono candidarsi per i servizi del Colosseo (700 mila biglietti annui venduti per un solo committente sono requisito per partecipare alla gara) ha un vantaggio comune nel tenere basse le royalties statali.
Sono problemi ben noti agli operatori del settore, aggravatisi con il lockdown e il crollo del turismo, quando i concessionari e il Ministero dei Beni culturali, al Colosseo come altrove, invece di restituire i fondi per i biglietti acquistati e non più utilizzabili ripagarono in voucher. Salvatore Donghi, presidente della Federazione Italiana Tour Operator Promotori Arte e Cultura (Fitopac) e del comitato tour operators di Roma, parla di 15 milioni di euro di biglietti comprati e inutilizzati che le sole agenzie di Roma attendono da Coopculture. Il comitato ha scavato a fondo: “Abbiamo riscontrato che Coopculture è a tutti gli effetti accreditata come Tour Operator-Agenzia di Viaggio. La titolare della licenza è la presidente di Coopculture, Giovanna Barni, che da concessionario di un servizio pubblico è anche a capo di una impresa privata operante nello stesso settore. Coopculture così acquista in autonomia (da sé stessa) biglietti di accesso al Colosseo con una riduzione equivalente alla sua commissione, oltre a 2 euro per diritti di prenotazione”. Non solo, secondo Donghi “Coopculture prenota per se stessa direttamente, senza rischio di impresa in caso di invenduto, il numero di biglietti giornalieri che vuole, per qualunque slot di orario di ingresso al Colosseo. Su alcuni servizi specifici, come Sotterranei e Belvedere, quasi tutti i biglietti sono riservati alle visite a cura di CoopCulture, che può non mettere in vendita dei biglietti per averne essa la disponibilità, o per riservarla a altri suoi clienti. Ed è questo che le consente, in assenza di trasparenza sulla disponibilità di biglietteria, predominio assoluto”. Coopculture replica che l’80% dei biglietti è venduto online e di aver sempre agito “per una piattaforma di vendita che in modo trasparente mette tutti i biglietti a disposizione nel rispetto della gradualità dei rilasci onde evitare accaparramenti. Oggi, dati i numeri, non si rendono pertanto necessarie azioni di contenimento dell’ingente volume del pre-acquisto dei biglietti”.
CoopCulture, società cooperativa, ha sede a Mestre (Venezia) e un fatturato di 76 milioni (2019). Quasi vent’anni in regime di proroga al Colosseo hanno ben contribuito alla crescita. L’ultimo documento che parla di proroga risale peraltro al 2010, la concessione del 1996 non permetteva a CoopCulture di vendere visite guidate, in realtà tenutesi abitualmente negli ultimi anni. Malfunzionamenti di un sistema in cui il Colosseo non è caso isolato (Opera Laboratori Fiorentini, ad esempio, a Pompei gestisce la biglietteria in proroga dal 2004) e che la pandemia, e il collasso del turismo, suggerisce di cambiare: “Impoverisce il territorio, esternalizza a concessionari che, beneficiando di servizi pubblici, allo stesso tempo impediscono alle aziende e al territorio di crescere” conclude Donghi. Ma il nuovo bando non sembra inficiarlo: “Includendo le visite guidate e prevedendo l’acquisto solo di biglietti nominali” necessario per combattere il bagarinaggio “finirà per avvantaggiare ulteriormente il concessionario che può, unico sul mercato, prenotare senza acquistare”.