Incerti archiviato. Ma ora lo accusa un’altra donna

Lei, la presunta parte lesa, non l’ha presa bene. “La giustizia italiana fa schifo, non mi meraviglia”. Così ha scritto sui social la studentessa che disse di essere vittima del regista Stefano Incerti, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli. La sua denuncia è stata archiviata, Incerti è stato prosciolto.

La studentessa nel febbraio dell’anno scorso si fece intervistare a volto coperto da Fanpage accusando il professore di “violenze sessuali, ordini di vestirsi in un certo modo e foto intime” in cambio di esami. Gli avvocati di Incerti, Maurizio Sica e Lucilla Longone, hanno prodotto documenti e chat in base ai quali la Procura di Napoli e il Gip si sono convinti della consensualità della relazione tra il regista e la studentessa, indagata a sua volta per calunnia in seguito a una controdenuncia (ma pure per lei si prospetta un’archiviazione).

Ma ci sono altri sviluppi. Il clamore dell’intervista convinse altre ragazze a denunciare vicende analoghe. Furono sentite una quarantina di studentesse. Per due di questi casi, la Procura ha chiuso le indagini e ha formulato una nuova ipotesi di reato a carico di Incerti e di un altro docente delle Belle Arti, Salvatore Crimaldi. I due sono accusati di aver palpeggiato due ragazze, i fatti risalgono a diversi anni fa e sono vicini alla prescrizione.

Incerti lasciò la cattedra pochi giorni dopo l’intervista della studentessa. “L’anno scorso – ricorda il docente – ho subito un attacco personale senza precedenti attraverso i social e la televisione. Sono stati additato come il mostro dell’Accademia. Il forte stress mi ha costretto a dimettermi ingiustamente. Oggi si è scritta la verità: tutte quelle accuse erano assolutamente infondate, così come si è rivelata falsa quella più grave e pesante di violenza sessuale. E subito dimostrerò l’infondatezza di questo ultimo episodio, riprendendomi finalmente la mia dignità di uomo, professore e regista”.

Napoli, murale per il baby-rapinatore ucciso. Il Comune lo rimuove. “Fenomeno diffuso”

Il blitz è avvenuto ieri mattina. Polizia e vigili urbani di Napoli hanno cancellato il murale dedicato a Luigi Caiafa, 17 anni, ucciso nella notte del 4 ottobre da un poliziotto durante un tentativo di rapina (il ragazzo impugnava una pistola replica). Il padre, Ciro Caiafa, è stato ucciso la notte del 30 dicembre in un agguato.

Il murale di Luigi Caiafa era comparso nelle scorse settimane in via Sedil Capuano, a Forcella. Era abusivo secondo gli accertamenti del Comune di Napoli che, una volta accertata l’estraneità del condominio, ha fatto provvedere al “ripristino dello stato dei luoghi”. La Procura di Napoli intanto sta indagando sulle raffigurazioni e gli altarini che inneggiano ai baby boss e alla camorra: in questi anni ne sono apparsi numerosi tra i vicoli.

Sarebbero un centinaio e di questo fenomeno ha parlato nei giorni scorsi anche il procuratore generale di Napoli Luigi Riello nella conferenza stampa di inaugurazione dell’Anno giudiziario: “Sono una vergogna che va rimossa, dobbiamo essere tutti inflessibili”.

Mail Box

 

Le incomprensibili cause della crisi

Bisogna fare una Commissione d’inchiesta per scoprire le vere ragioni per le quali il “Sig. Because” ha fatto cadere il Conte due. Una volta scoperte, se sono state contro gli interessi dello Stato italiano, allora bisognerebbe processarlo per “alto tradimento”, e cacciarlo via ignominiosamente.

Massimo Piccolo

 

Renzi tenterà un altro azzardo: attenzione

Gentili Zingaretti e Crimi, Renzi vuol far dimenticare di essere stato lui a provocare la crisi a cui secondo me sta lavorando da tempo. Non credo proprio che accetterà Draghi a lungo, cercherà quindi di fargli fare quello che vuole lui, che poi è quello che vuole, da tempo, la destra. Vi creerà quindi le condizioni per non accettare e per far sì che siate voi a far mancare voti e a creare un’altra crisi, obbligandoci ad andare comunque a elezioni anticipate dove lui verrà rieletto non come Iv, ma come leader del centrodestra, appoggiato da Berlusconi di cui è il legittimo erede. In questo modo riuscirà a farvi sparire, come succede sempre quando si perde la propria identità politica. Siate coerenti e non cedete ai vari ricatti. Meglio davvero andare da subito a elezioni anticipate, chiaramente provocate da Renzi.

Albarosa Raimondi

 

Per me Mattarella doveva forzare la mano

L’incarico a Cottarelli del nostro presidente nel maggio 2018 ha comunque sortito l’effetto sperato e ha visto la nascita di un governo improbabile e imprevedibile ma comunque un governo; la stessa cosa avrebbe dovuto fare adesso forzando come allora la mano e molti “costruttori” sarebbero usciti allo scoperto.

Delfino Biscotti

 

Il canto XXII dell’Inferno è una fotografia attuale

Per comprendere le temperie in cui viviamo, dobbiamo ricorrere al Sommo Poeta e al canto dei fraudolenti per baratteria, dove il barattiere navarrese (Renzi) riesce con l’inganno a trascinare nella pece i due diavoli Alichino (Crimi) e Calcabrina (Zingaretti). L’unico atteggiamento che ci salva da chi ha barattato per una marchetta il Rinascimento toscano è quello del Poeta che lascia il barattiere al suo destino e procede oltre per “riveder le stelle”.

Paolo Filoni

 

Iv, una compagnia di voltagabbana

Finalmente il voltagabbana Renzi è riuscito non solo a sconvolgere l’equilibrio politico, ma anche a riappropriarsi automaticamente, indirettamente e subdolamente, di quella supremazia per cui si è battuto. Questa strategia lo avvicinerà al centrodestra, anche con il consapevole e controproducente supporto dei democratici.

Salvatore Perez

 

Innominabile in Arabia, quanti dubbi irrisolti

Perché l’Innominato viene pagato da noi cittadini, mentre svolge i fatti suoi, remunerato, in Arabia? Perché il costo del lavoro aumenta sempre di più pagando molti parlamentari che non servono con onore la comunità italiana e pensano al particolare? Perché io, docente della scuola pubblica, devo stare in quarantena dopo il tampone Covid e Renzi no?

Giusy de Milato

 

Italiani, aprite gli occhi invece di guardare il “Gf”

Chiedo come sia possibile che un essere vergognoso pagato da noi vada a guadagnare soldi in stati esteri e il popolo italiano stia a guardare tra una puntata e l’altra Amici, Grande Fratello e altre trasmissioni inutili, o utili per rendere il cervello comatoso?

Maria Luisa Lomastro

 

La psicologia del toscano ha un che di affascinante

Ho letto sul nostro quotidiano interessanti analisi psicologiche sul senatore di Rignano. Il “nostro” mi ricorda quel tale che dice alla fidanzata: “sto con te perché sei brutta”. È un pessimo modo per farla sentire in colpa e obbligarla a fare quello che vuole lui. Pensavo fosse amore, invece era un “cadesse”… il governo!

Carmelo Sant’Angelo

 

Non mi va giù Verdini agli arresti domiciliari

La scarcerazione di Verdini dopo soli tre mesi, con la scusa del rischio di contaminazione da Covid, dimostra ancora una volta che esiste per taluni una giustizia più giusta che per altri. Lo si sarebbe potuto vaccinare in carcere, in deroga al calendario prestabilito. Intanto, dagli “arresti domiciliari” il nostro eroe è libero di contattare chi vuole e ricevere la visita di parlamentari coi quali può impunemente tessere le sue trame.

Michele Spirito

 

Compiacere il leader: convenienza o stupidità?

Mio padre, semplice operaio, ma di una saggezza antica, mi diceva: “Molti si sentono grandi perché intorno ci sono tanti che si inginocchiano”. Non aveva torto, dato che vedo troppi personaggi che qualsiasi cosa venga detta dai loro leader approvano senza mai contrariarli. Si chiamano “sudditi”, ma loro o non lo sanno oppure lo sanno bene, ma i vantaggi che ne derivano rimangono prioritari.

Maurizio Bolzoni

Disabilità a scuola. “Le nuove norme rischiano di discriminare i nostri figli”

Vorrei parlare della nuova normativa sull’“esclusione scolastica degli studenti con disabilità”, ovvero il Decreto interministeriale 182 del 29.12.2020. Sono un’insegnante di sostegno specializzata (alla scuola media superiore di secondo grado) e mamma di un bambino con disabilità, che frequenta la terza primaria. Come cittadina posso dire che basta saper leggere per comprendere che l’obiettivo di questa nuova normativa è solo ridurre il numero dei docenti di sostegno.

Come docente con oltre 20 anni di esperienza, sono indignata per questo ennesimo taglio a danno della scuola e della società. Spudoratamente la norma è stata pubblicata il 29 dicembre 2020, quando l’attenzione sulla scuola è più bassa causa vacanze di Natale.

Di quale inclusione parliamo se, ancora oggi, ci sono realtà dove i docenti dicono al docente di sostegno “portalo fuori, non lo voglio in classe”? Per non parlare delle scuole dove, di fronte all’iscrizione di studenti con disabilità, si fa intendere ai genitori che i loro figli non saranno ben accolti.

Tutto questo già avviene, ma cosa avverrà ora che la legge consentirà di esonerare o ridurre l’orario di frequenza scolastica per gli studenti disabili? Come genitore di un bambino con disabilità faccio fatica ad accettare le decisioni prese da Gruppi di Lavoro Operativo senza avere voce in capitolo. Per i “disabili o Dva”, come vengono definiti i nostri figli (si dice persona con disabilità perché viene prima la persona e poi la disabilità), la nuova normativa, non prevede neanche più il rapporto uno a uno tra docente discente (casi gravi). Significa che il docente di sostegno, aiuterà lo studente “disabile” solo pochi minuti per ogni ora di lezione per poi dedicarsi al resto della classe?

Chi ha scritto tale normativa ha mai lavorato con studenti con grave disabilità? Togliere a chi ha un certificato, significa condannarlo all’esclusione prima dalla scuola, e in futuro dalla società. Le parole ingannevoli di questa nuova normativa offendono l’intelligenza e la sensibilità di questi studenti, che ogni giorno lottano per essere riconosciuti uguali a tutti gli altri. Offendono l’intelligenza comune e segnano il fallimento dello Stato italiano, che non è in grado di prendersi cura dei bambini/adolescenti più fragili, ma alza muri tra le persone, sbarra la strada a chi è in difficoltà.

Per tutti questi studenti, e per le loro famiglie, chiedo a voi di sollevare il problema.

Leonarda Abbascià

Nel nuovo governo ci sia almeno un poeta

Tutti sanno che il prossimo governo deve affrontare tre gravi emergenze: sanitaria, economica, sociale. Mi permetto di aggiungerne una quarta: l’emergenza affettiva, la grande scontentezza che ci è arrivata addosso da molti anni e che si aggrava ogni giorno di più. Una condizione di spaesamento e solitudine che deve essere tenuta in considerazione anche dal governo, perché accentua i problemi già messi a fuoco dalla politica. Che sia un governo tecnico o un governo politico, la mia proposta è questa: nel consiglio dei Ministri, proprio per aprire uno spiraglio all’aria inevitabilmente stantia che si respira nei palazzi, ci deve essere anche un poeta, o un musicista o un artista. Abbiamo bisogno di lucidità e di batticuore, ci vuole qualcuno che ami la bellezza, che si batta per la gloria della lingua. Lo so che sarà un poco imbarazzante per lui e anche per gli altri ministri, ma è arrivato il momento di provare a incrociare lo sguardo delle regole, tipico della politica, con le regole dello sguardo, tipiche della poesia. Serve chi fa funzionare l’economia, ma c’è bisogno di almeno una persona che porti in quelle stanze il ricordo che siamo la patria di Dante.

Il totalitarismo 2.0 è un pacco

La digitalizzazione, come ha recentemente imparato per 92 euro e spicci di finta bolletta Enel un noto giornalista, non è sempre un fatto positivo. Non parleremo però di truffe telematiche, ma del modello industriale stesso sotteso all’attuale processo di smaterializzazione della vita: è l’universo “Gafam”, acronimo per Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, le cinque multinazionali Usa che guidano questo passaggio e condividono una visione totalitaria della loro presenza nel mondo. Prendiamo il caso Amazon, sorta di falange militare con appetiti pantagruelici che ha appena pubblicato una trimestrale di inaudita ricchezza: si parte offrendo merce a poco prezzo, accettando anche periodi in perdita, si scarica parte degli sconti sui venditori, si inglobano aziende e dopo un po’ Amazon e il mercato finiscono per coincidere, cioè non c’è più mercato. L’azienda di Jeff Bezos ha oggi il 32% del settore del cloud (e la quota sale considerando solo le P.A.): vale a dire che possiede le infrastrutture in cui finiscono buona parte dei nostri dati, l’oro nell’epoca del Capitalismo della sorveglianza. Parliamo di libri: ha l’80% dell’e-commerce, che a sua volta nel 2020 è stato il 43% delle vendite e oltre metà delle copie. Come ha scritto Il Fatto, “significa che se nel 2018 Amazon vendeva in Italia 1 libro su 5, ora siamo vicini a 1 su 2”. Cosa comporta questo? “Raggiungerà una posizione di dominio tale da non avere più rivali: temo non continueremo a godere dei prezzi e servizi a condizioni imbattibili di oggi…”, ci disse a maggio Martin Angioni, ex country manager per l’Italia. Tradotto: quando sei il mercato, sei tu a stabilire il prezzo di mercato. Nel frattempo, decidi pure quale sia la tua aliquota fiscale: secondo una elaborazione di Italia Oggi, quella di Bezos & C. è del 7,23%, la metà del 14,06% di Facebook, che comunque è ridicola. L’universo concentrazionario “Gafam” è già realtà, pensare che a smontare questa macchina bastino i comportamenti individuali e il consumo consapevole vuol dire vivere tra le nuvole (e il mercato dei cloud, come detto, è già loro): d’altronde il consumerismo è la malattia infantile del costituzionalismo, invece le leggi di mercato sono il solito pacco (che però ti arriva a casa).

Respirare bene? Utile pure col Covid

La fame d’ariaè una delle sgradevoli sensazioni del Covid e innesca un circolo vizioso: fame d’aria-stress, ansia-fame d’aria. I suggerimenti ci arrivano dalla medicina olistica e pare funzionino. Un tenore italo-iraniano del coro della Scala di Milano, Ramtin Rhazavi, è diventato testimone di quanto sostengono gli esperti “del respiro”. Positivo al tampone, ha accusato febbre alta, tosse e alterazioni del timbro della voce: un bel problema per un cantante. Ebbene, ha notato che proprio il metodo usato per esercitare la sua professione, una respirazione fondata sulla retrazione del diaframma, gli ha dato un grosso aiuto a superare lo stress da Covid e in parte ad alleviarne i sintomi: azzeramento dell’ansia e recupero immediato del tono della voce. Constatazione condivisa con alcuni colleghi, anch’essi ammalatisi di Covid. Me ne ha parlato pensando che lo prendessi alla leggera e invece, studiando e ricercando, ecco l’evidenza scientifica, della quale solo da qualche anno si sta prendendo cura la medicina tradizionale. Noi tutti sappiamo che la paura e lo stress sono in grado di peggiorare soprattutto la respirazione, fino a dare dispnea: la respirazione con retrazione diaframmatica agisce in senso opposto. Oggi, tale esercizio viene usato nel training autogeno e in tutte le pratiche di rilassamento, persino nei corsi preparto. Gli studi sui benefici della respirazione in generale, e della retrazione diaframmatica in particolare, si stanno moltiplicando. Per esempio, è stato dimostrato che l’ipertensione può essere ridotta facendo respiri lenti: ogni 10 secondi. Lo hanno scoperto ricercatori dell’Università di Pavia in uno studio pubblicato su Hypertension. Esercizi di retrazione diaframmatica sono diventati la routine degli atleti prima delle competizioni. L’educazione diaframmatica dà una corretta postura, migliora anche l’attività intestinale e vescicale. Certo il Covid non si cura con l’aria, ma se l’esercizio a una buona respirazione può aiutare, perché non farlo?

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Da Ciampi a Draghi, siamo di nuovo all’“ultima spiaggia”

 

“Nella lunga stagione dell’anti-politica, Ciampi ha salvato la dignità della politica. Strano destino. Toccato proprio a lui, un ‘tecnico’ prestato al Quirinale”

(da Ciampi di Massimo Giannini, Einaudi, 2006)

 

Cinque anni prima che Carlo Azeglio Ciampi diventasse presidente del Consiglio, il 14 febbraio 1988 L’Espresso pubblicò in copertina un fotomontaggio con l’immagine dell’allora Governatore della Banca d’Italia, seduto su una poltrona di velluto rosso sullo sfondo di un paesaggio caraibico, sotto il titolo “Ultima spiaggia”. Nel mio editoriale, intitolato a sua volta “Il governo del Governatore”, si auspicava che Ciampi fosse nominato premier di fronte al disfacimento del sistema politico e alla crisi della lira che “ballava” sui mercati internazionali. Ma, come si ricorderà, fu necessario aspettare il 1993 perché il dottor Ciampi arrivasse a Palazzo Chigi.

Quello era il cinquantesimo governo della storia d’Italia, l’ultimo della Prima Repubblica e il primo a essere guidato da un non parlamentare. L’ex Governatore ottenne la fiducia alla Camera il 7 maggio ’93 con 309 voti a favore, 60 contrari e 182 astenuti (supportato da Dc, Psi, Psdi, Pri, Pds e Verdi) e al Senato cinque giorni dopo con 162 sì, 36 no e 50 astensioni. Rimase in carica fino all’11 maggio del ’94, per un totale di un anno e 12 giorni.

Quando L’Espresso uscì con quella copertina, Ciampi mi chiamò al telefono e con una certa diffidenza mi disse: “Direttore, come lei sa, io non sono abituato a parlare con i giornalisti. Ma questo numero del suo settimanale mi ha molto sorpreso. Le chiedo solo se è una vostra idea o se avete raccolto qualche rumor negli ambienti politici”. A quell’epoca ci davamo del “lei” e gli risposi con franchezza che no, non avevamo raccolto alcuna voce, era una proposta che il giornale aveva lanciato di propria iniziativa, nel tentativo di smuovere la palude della politica italiana.

Quel precedente di trent’anni fa può essere utile oggi per valutare le incognite e le aspettative che gravano sul tentativo di Mario Draghi, il campione dei “Ciampi boys”, al quale il presidente Mattarella ha affidato il compito di formare un governo “senza una formula politica”; diciamo di salute pubblica. E mai l’espressione è stata appropriata come nella situazione attuale, oberata da un’emergenza sanitaria a cui s’aggiunge quella economica e sociale riassunta drammaticamente in due cifre: -8,8% di Pil nel 2020 e 444 mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno, con un trend crescente della disoccupazione su cui incombe la fine del blocco dei licenziamenti a marzo.

In tali condizioni, è facile immaginare quali potrebbero essere i contraccolpi internazionali sul piano politico, economico e finanziario, nel caso in cui il Parlamento bocciasse il governo del professor Draghi. Qualcuno ha già preconizzato che sarebbe una “catastrofe per l’Italia”. Al di là delle tensioni e delle polemiche sulla “congiura di Palazzo” che ha fatto cadere ingenerosamente il governo Conte bis, non c’è dubbio che un eventuale fallimento dell’ex presidente della Bce – “l’uomo che ha salvato l’euro e l’Europa” – avrebbe forti ripercussioni sull’immagine e sulla credibilità del nostro Paese.

Ha doppiamente ragione, dunque, chi reclama – anche dal fronte del M5S – che questo sia un esecutivo politico per potergli accordare la fiducia. Non solo perché, essendo i cinquestelle il gruppo parlamentare maggiore, una loro opposizione sposterebbe a destra l’asse della politica italiana. Ma soprattutto perché soltanto i legittimi rappresentanti del popolo possono garantire la linea di un governo guidato da un “super-tecnico” come Draghi, per non perdere il contatto con il Paese reale e con i bisogni effettivi della società.

 

Oggi resuscita Mario “Keynes”, ma è da illusi: il M5S gli dica no

Sergio Mattarella non ha scelto solo un non-politico di alto profilo che potesse coordinare un governo di unità nazionale. Non ha scelto solo l’“italiano più famoso nel mondo” cui un coro imbarazzante eleva da giorni una servile salmodia. No, ha scelto il simbolo dell’establishment internazionale che ha governato il mondo negli ultimi decenni, plasmandolo per com’è.

Mario Draghi per dieci, fatali, anni ha guidato la privatizzazione dei beni pubblici degli italiani: servendo, tra gli altri, due governi Amato, due Berlusconi, uno D’Alema. Il risultato non è stata una riduzione del debito pubblico, né un miglioramento dei servizi, ma la creazione di monopoli privati connessi con la politica. Come capo della Bce ha firmato la famosa lettera del 2011 che chiedeva “privatizzazioni su larga scala” dei servizi locali, “accordi al livello d’impresa, in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende”, lo smantellamento del pubblico impiego (incitando alla riduzione degli stipendi), l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione (affossandone di fatto l’intero progetto sociale). Oggi si resuscita il Draghi keynesiano allievo di Caffè, immaginando una fase espansiva di spesa sociale. Ma nulla supporta questa pia illusione: i soldi reali del Recovery Plan sono molti meno di quanto si dica, e all’ordine del giorno c’è un’emorragia di posti di lavoro. Un governo svincolato dalla ricerca del consenso democratico serve a gestire un bagno di sangue sociale. Come credere che l’interesse degli esultanti Elkann possa coincidere con quello di chi vive del proprio lavoro, o che lavoro non ha?

Pretendere che il Movimento 5 Stelle faccia suo questo ritorno all’ordine significa volerne l’abiura solenne: con il cappello a cono e la candela in mano, davanti alla Santa Inquisizione. Una radicale sconfessione dell’eresia per cui il Movimento è nato, crescendo nei consensi proprio in opposizione all’ultimo governo “tecnico”, quello di Monti. Non fu antipolitica: fu la voglia di un’altra politica, in cui i cittadini tornassero a contare. Una politica che rimettesse al centro i beni comuni (a partire da acqua e ambiente, due delle cinque stelle) massacrati dalle privatizzazioni guidate proprio da Draghi. Per molti versi, il Movimento non è stato all’altezza di quella vocazione: anche se la direzione imboccata (penso per esempio al Reddito di cittadinanza) era finalmente giusta. Perché quell’esperienza abbia un futuro, e possa superare le sue contraddizioni, è necessario ora dire di no: fare opposizione e controllo, con disciplina e onore. L’arrivo di Draghi rappresenta una stretta oligarchica, e una svolta in senso esecutivista della democrazia. Il Parlamento deve contare di meno: era l’obiettivo della riforma costituzionale fallita il 4 dicembre 2016. Lo chiedevano le grandi banche, lamentando che nel meridione d’Europa ci sono “governi deboli; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori… e il diritto di protestare”. Ora Renzi ci arriva per altre vie: quelle, tipicamente sue, della congiura.

Il Movimento può invece ridare dignità e ruolo al Parlamento. Le pelose chiamate alla responsabilità dimenticano che “il Paese i suoi rappresentanti lo possono servire in due modi: nell’assumere la grande responsabilità dell’amministrazione dello Stato e nella critica dall’opposizione. Se questo concetto che l’opposizione è un dovere critico, ugualmente indispensabile e degno quanto quello di assumere la responsabilità della direzione dello Stato, entra finalmente nel costume della nostra vita politica, deve cessare questo sconcio… quello per cui il governo è l’ordine, e l’opposizione il disordine”. Sono parole pronunciate in Parlamento, nel 1948, da un grande Padre costituente, Emilio Lussu. Sembrano scritte per oggi.

L’uomo della strada sta con Conte e lo ringrazia

Ha ragione Antonio Padellaro (Il Fatto, 3 febbraio): dobbiamo un grazie a Conte. La cosiddetta “grande stampa” per la verità non ne sembra convinta: ne è convinto, invece, l’uomo della strada, quello che nei sondaggi designa il professore-avvocato come miglior premier europeo, insieme con Angela Merkel, nella lotta alla pandemia.

L’uomo della strada, però, è soprattutto sgomento. Credeva di aver capito che Renzi, ancora una volta, stesse facendo male a se stesso, e quello, con una serie di attacchi a mitraglia, ripete, in disordine e confusamente, le istruzioni ricevute dagli ambienti opachi e oscuri che lo pilotano (“ci interessano i contenuti, non le poltrone”: poi chiede due, tre, quattro ministeri), scompagina la maggioranza e induce Conte alle dimissioni. Ad averla vinta, dunque, è il Bomba, che intanto sta perfezionando in Arabia la sua nuova dimensione di traditore della Patria.

L’uomo della strada credeva anche di aver capito che il nome di Draghi fosse evocato come spauracchio, all’insaputa di Draghi stesso (figurarsi se un personaggio di quel genere si fa sponsorizzare da Renzi…), e invece dopo qualche giorno ecco Draghi che sale al Quirinale.

La cosiddetta “grande stampa” e molti politici assistono a tutto ciò leccandosi i baffi, come se la crisi fosse stata una rissa da cortile e non un doloroso e impari confronto fra un aggredito e un aggressore “pompato” da mega-interviste un po’ ovunque. Fa eccezione Giorgia Meloni che indica in Renzi il vero colpevole, anche se continua a osteggiare e a oltraggiare Conte.

D’altra parte Conte è troppo anomalo, si presenta con eleganza, non parla il politichese; è stato punto di equilibrio per un governo al cui interno c’era di tutto, e soprattutto si è trovato a fronteggiare una pandemia in un Paese in cui i precedenti governi hanno inferto alla sanità duri colpi. Particolarmente drammatica la situazione della Lombardia, sia per le scelte del passato (privilegiate le strutture private) sia per quelle del presente, dovute alla giunta a trazione leghista. Le drammatiche cifre dei contagi e dei decessi nella Regione influiscono pesantemente sul conteggio complessivo del Paese. Il segretario della Lega stessa, promotore a sua volta di ogni sorta di ammucchiate estive, imputa al governo centrale una situazione di cui lui e il suo partito sono ampiamente corresponsabili.

Conte fin dal principio non reagisce, o reagisce con compostezza. Una volta si ribella (eravamo all’inizio della pandemia), ed è bufera. Ricordate quando Salvini e Meloni lo accusavano si aver firmato nottetempo la richiesta del Mes, e lui in una conferenza stampa li sbugiardò? Si era difeso da un’accusa inconsistente (il Mes non è stato richiesto a tutt’oggi, vediamo che farà Draghi), peraltro espressa con i soliti toni sgradevoli e insultanti, ma ce ne era abbastanza perché Mentana si stracciasse le vesti (“se avessi saputo che avrebbe detto quelle cose non lo avrei mandato in onda”); a Meloni e Salvini furono addirittura concessi nei telegiornali spazi per la replica, peraltro male impiegati.

Su certi temi il comportamento dei media non è solo ingiusto, ma crea disinformazione. Molti fingono di dimenticare che i famosi miliardi del Recovery Fund non sono lì per caso, sono frutto del negoziato di Conte in Europa, dove evidentemente si trova a suo agio ed è bene accolto. E che dire del Recovery Plan? Quando Draghi curerà, con la sua indubbia sapienza, la versione definitiva, i sapientoni diranno: meno male che ha preso in mano la situazione, Conte era in ritardo, batteva la fiacca. Ma quale ritardo? La consegna del piano è richiesta ad aprile, e oggi (come Il Fatto ha già raccontato) di quel “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (detto anche Next Generation EU) esiste già una versione estremamente avanzata e accurata, redatta sotto la direzione del ministro Gualtieri. Scarichiamola da Internet (la si trova in numerosi siti): sarà interessante vedere quanto l’edizione definitiva sarà diversa, in che misura la nuova gestione sarà decisiva…

Stampa a parte, nei discorsi di questi giorni (conferimento dell’incarico da parte di Mattarella, accettazione da parte di Draghi, e via dicendo) quanti “grazie” avete sentito? Probabilmente pochi.

Patria ingrata? Presidente, l’uomo della strada è con lei, anche per la correttezza e per lo spirito di collaborazione con cui ha incontrato il suo successore. Sembra che, per il momento, non tornerà a fare soltanto l’avvocato e il professore…