“Adesso lasciateci Speranza. Contagi in rialzo, ma lieve”

Professor Franco Locatelli, quanto è importante la continuità? Si è già espresso per una conferma di Roberto Speranza ministro della Sanità.

Il lavoro fatto da Speranza si è connotato per passione convinta, dedizione e capacità di governare una situazione difficile: ecco perché ritengo meriti continuità. E avrebbe senso perché Speranza ha ora conoscenze che chiunque altro dovrebbe acquisire con tempi necessariamente lunghi in una intrinseca complessità. Ma il professor Mario Draghi non ha certo bisogno dei miei suggerimenti: è una riflessione su quanto affrontato da Speranza in questi tredici mesi.

Se Draghi chiamasse lei?

La mia risposta rimane quella che ho appena dato.

Vaccini: oggi 249 mila dosi di Astrazeneca. Ma a dicembre troppo ottimisti?

Eravamo stati ottimisti rispetto alla disponibilità assicurata da Astrazeneca in prima battuta. L’auspicio è che ora la disponibilità non sia più cambiata al ribasso e non si debba rimodulare oltre la campagna di vaccinazione. Entro fine giugno, senza altri disguidi, con i tre vaccini approvati, dovremmo arrivare a 38 milioni di dosi.

L’obiettivo 42 milioni di vaccinati entro l’autunno è ancora possibile?

Sono ottimista sul fatto che si possa raggiungere l’obiettivo, perché arriveranno anche Johnson&Johnson, Curevac e Sputnik. L’Italia quando ha avuto le dosi preventivate ha dimostrato di poter correre a 100 mila dosi al giorno anche con un vaccino logisticamente complicato come quello di Pfizer. Due giorni fa ne abbiamo somministrate 95 mila.

Il rischio varianti è alto? Sui verbali del Cts si leggono anche scenari catastrofici da 400 mila contagi al giorno, certo in assenza di misure e vaccini.

La variante britannica non sembra che si connoti per ridotta sensibilità al vaccino. Su quella brasiliana non abbiamo evidenze disponibili di resistenza ai vaccini. È importante monitorare bene quanto si configura con potenziali reinfezioni di soggetti già contagiati prima dal SarsCov2 e nei soggetti già vaccinati dopo la prima e dopo la seconda dose. Senza sottovalutare nulla, tuttavia, eviterei al momento ingiustificati allarmismi.

Produrre solo Pfizer e Moderna lasciando perdere gli altri vaccini?

Non condivido. È giusto somministrare alle persone più a rischio di forme gravi di Covid-19 i vaccini con capacità di protezione più elevata, ma Astrazeneca e Johnson&Johnson hanno la loro efficacia e nel caso del secondo il vantaggio di essere monodose. Più ne abbiamo e meglio è.

C’è la proposta di fermare la fase 3 di Reithera: come è possibile eticamente somministrare a un 80enne con acciacchi il placebo lasciandolo scoperto per mesi?

Non darei per scontato il placebo. Reithera potrebbe condurre la fase 3 in comparazione con un altro vaccino. Hanno e avranno l’attenzione dovuta alla salute della persona. Rimango convinto che esistano solide ragioni per non abbandonare un progetto italiano.

Il russo Sputnik?

Il lavoro pubblicato su Lancet rileva dati interessanti. Se agenzie regolatorie serie come Ema e Aifa approveranno non vedo perché non dovremmo considerare questo vaccino. La scienza non ha confini geopolitici.

E il cubano Soberana 02 senza brevetto?

È attraente dal punto di vista della sostenibilità. Papa Francesco ha ricordato come i vaccini debbano essere occasione per dimostrare solidarietà globale e non aumentare il divario fra Paesi ricchi e fortunati e Paesi poveri. È giusto non guardare solo al nostro particolare, ma a tutto il mondo. Era il senso dell’appello che ho sottoscritto con Giuseppe Ippolito, Nicola Magrini e Gino Strada per indicare l’opportunità di politiche condivise per strategie di prevenzione e cura in tutti i continenti, in primis l’Africa.

Rialzo dei contagi in Italia e il governatore De Luca vuole richiudere le scuole in Campania.

Un rialzo sì, però moderato. L’Rt è stabile. La Campania ha un Rt al di sotto di 1 e solo cinque regioni hanno valori più bassi. Detto questo l’atteggiamento sulla scuola per me deve essere quello di preservarla senza atteggiamenti dogmatici: va chiusa solo in aree circoscritte in presenza di documentata criticità. Non dividiamoci su un tema così importante come la formazione delle future generazioni.

“Per Conte non è finita” , “Per Draghi serve aiuto”

Sono arrivate in redazione decine e decine di messaggi dai nostri lettori. Molti sono disgustati, altri preoccupati, altri ancora pieni di dubbi o di perplessità sugli scenari che si aprono nella politica italiana. In molti scrivono per ringraziare il presidente del Consiglio uscente, Giuseppe Conte, per la qualità del lavoro svolto a Palazzo Chigi e per la dignità con cui ha lasciato la carica. Tanti si chiedono cosa debba fare il Movimento 5 Stelle, se sostenere o meno il governo Draghi, e come possa eventualmente influenzarne il cammino. Quasi tutti sperano che il germoglio dell’alleanza di centrosinistra con il Pd e LeU possa ancora dare dei frutti. Queste sono alcune delle lettere arrivate al Fatto.

 

Niente partiti: è meglio se Conte è super partes

Non mi dilungo sull’alto profilo morale, di onestà intellettuale e materiale, e di capacità nello scegliere validi collaboratori con la volontà di operare nell’esclusivo interesse della Nazione e della collettività, come ha dimostrato nel suo secondo governo il Prof. Giuseppe Conte. Mi scuso, pertanto, se mi permetto di suggerire al Prof. Giuseppe Conte di non costituire una sua Lista e tanto meno un suo Partito politico in caso di Elezioni, poiché sarebbe ancora accusato ed infangato dai tanti beceri individui, perdendo inoltre lo status di super partes agli occhi della gente. Confido che possa essere indicato come premier in una coalizione con l’uscente maggioranza leale, Iv esclusa, allargata magari a una sinistra che la smettesse di essere suicida.

Rita Caviglia

 

L’avvocato per Draghi è un’ombra minacciosa

Direttore Travaglio, ora che la tensione sul M5S e su Conte sarà passata perché non avranno più la responsabilità di guidare il Paese in quanto sarà Draghi ad assumersi questo compito da tutti auspicato, sono convinto che ci divertiremo un sacco, specialmente dopo le dichiarazioni di Giuseppe Conte, un marziano a Roma, che ha dimostrato ancora una volta la sua grandezza e questo dimostra con l’ulteriore mandato ad un altro esponente fuori dai partiti come è Draghi che gli insulti, le offese fatte nei confronti di Conte, l’intruso e inadatto, erano strumentali e di gelosia. Conte sarà una spina nel fianco, un’ombra minacciosa per Draghi ,in pratica gli sta dicendo: amico mio stai attento a come comportarti perché anche se sono fuori ti starò col fiato sul collo, pronto a riprendermi quello che mi è stato tolto con un golpe bianco. Prepara i popcorn, direttore, perché ci divertiremo.

Michele Lenti

 

Non è detto che sia una vittoria di Renzi

Se tra qualche giorno nascerà un governo a tempo, magari di un anno fino all’elezione del Presidente della Repubblica (Draghi?), per attuare un mini-programma accordato, un governo tecnico-politico (la parte politica rappresenta dai “protagonisti del Conte 2”) che accontenta nei programmi e negli uomini M5s-Pd-Leu ed “esclude le richieste” di IV, ma un governo Draghi che sarebbe molto più solido nei numeri rispetto al Conte 2 (Renzi non può votare contro; Fi per lo meno non ostacolerà) e con Conte in un ruolo rilevante (che intanto prepara la coalizione alle elezioni con più libertà), siamo sicuri che sarebbe comunque una vittoria di Renzi?

Orlando Murray

 

Si potrebbe votare anche in pandemia

È indubbio che lo svolgimento di una campagna elettorale durante una pandemia crea dei problemi. Però si potrebbero prendere degli adeguati provvedimenti. Innanzitutto vietare i comizi di piazza, si potrebbero autorizzare solo i comizi televisivi (tribune politiche), consentendo ai partiti di usufruirne in parti uguali. Per l’accesso ai seggi elettorali si potrebbero usare infine gli stessi accorgimenti in uso attualmente nei supermercati, non più di tot persone presenti per volta.

Piero Fratelli

 

L’ex premier ha dato dignità alle istituzioni

Ho il desiderio di esprimere un sincero Grazie al Premier Conte, o meglio Sig. Conte. Raro protagonista, nella politica nazionale, si è distinto per competenza, serietà e comportamenti/modi urbani/civili patrimonio di ben pochi frequentatori dei palazzi delle Istituzioni. Mi auguro che in questi palazzi si aprano presto tutte le finestre affinché nel breve evapori l’olezzo rilasciato dallo gnomo rignanese.

Luciano Piras

 

La responsabilità è sempre del M5S?

Oltre alle motivazioni espresse sul Fatto, quello che mi manda in bestia in queste ore, è che al M5S i grandi editorialisti chiedono dopo la rissa con Renzi (come se non fossero stati la vittima ma l’aggressore) responsabilità, capacità di capire la tragicità del momento e l’accettazione di tutto ciò che comporterà un governo con Renzi e Berlusconi. A Fratelli d’Italia e Lega non è richiesto nulla, starebbero all’opposizione a valutare di volta in volta i provvedimenti e andrebbe bene così.

Stefano Tolomelli

 

I 5S possono fare opposizione da dentro

La situazione è oltremodo liquida, e non è affatto già detto che il governo Draghi partirà, né come, né con chi. Tutto può ancora succedere. Tirarsene fuori da subito, per il M5S, avrebbe significato lasciare campo libero al resto del mondo; lo stesso resto del mondo, che con il grimaldello Renzi, ha fatto cadere Conte e il loro governo. Beccandosi in più il marchio dell’irresponsabilità. Il danno e la beffa. Lasciamo che parlino le consultazioni. E speriamo che, una volta che ci sia una prospettiva chiara e definita, il M5S faccia la giusta scelta. Lei esclude che il M5S possa giocarsi la carta della partecipazione/opposizione interna, come la Lega nel governo gialloverde?

Giuliano Checchi

 

Condivido ogni parola del fondo di Padellaro

Ieri ho avuto la piacevole sorpresa di leggere l’articolo di Antonio Padellaro sul “grazie” a Giuseppe Conte. Senza saperlo, pensavamo le stesse cose sulla gratitudine per quest’uomo. Condivido pienamente tutto ciò che ha scritto e lo ringrazio per le sue parole; grazie anche tutti voi che siete corretti e leali. Mi piacete sempre di più!

Bonaria Meloni

 

Renzi, poteri forti e resto del mondo

Gentile direttore, Renzi dice: “Noi contro il resto del mondo: tre a zero”. Se per “noi” intende il suo partitino, dimostra ancora una volta di essere un millantatore, se per “noi” invece intende i suoi pupari (Confindustria, banchieri, circoli della speculazione finanziaria internazionale, tutti i mass media di proprietà dei suddetti) ha ragione, ma solo sul risultato. Il fatto è che gli piace vincere facile, perché era lui che giocava con il resto del mondo e aveva contro una squadra rabberciata, all’interno della quale più di uno giocava per far fuori l’allenatore. Circa il periodo che stiamo vivendo, è molto attuale quanto scriveva Antonio Gramsci su Ordine Nuovo nel giugno del 1921: “Nella coscienza delle masse, anche delle più arretrate, è scaduto il prestigio e la riverenza per le istituzioni e queste, svuotate di ogni spirito, private di ogni moralità, sopravvivono solo come paurosi vampiri”.

C. Zaccari

 

Sono convinto che il Pd tradirà ancora i grillini

Provo a leggere i fatti e le chiacchiere di questi giorni con un po’ di creatività e acume in più di quanto visto e sentito. Bene che Conte abbia fatto le dichiarazioni di oggi e si ponga quindi come consolidatore degli eterogenei 5S, e a questo anche bene che ci provino con Draghi, mantenendo una sintonia con Pd e Leu. Ma vediamo bene: chi ha voluto Draghi? Confindustria, editori dei giornaloni, vari settori del commercio e delle partite Iva, “poteri forti” in genere, e forse buona parte del Pd, oltre a Renzi, e forse lo stesso Mattarella. E quale politica potrebbe mai fare Draghi ? Non certo quella di un polo progressista e di sinistra. E il Pd, che è rappresentato da Zingaretti solo formalmente, ma in realtà dai vari Franceschini, Orlando ecc. quanto ci metterà a sentire il richiamo del no al reddito di cittadinanza e del no al salario minimo e del no al decreto dignità e del no al blocco della prescrizione? Quindi, il Pd tradirà. Ma in questo caso i 5S potranno fare al governo Draghi quello che Renzi ha fatto al governo Conte, ma con più forza. Ma non per farlo cadere, così gli affezionati alla poltrona del movimento staranno tranquilli per un paio di anni ancora, ma per fare un’opposizione feroce alle porcate che questo governo ammucchiata farà a danno dei non ricchi e potenti. Come al solito!

Andrea Arrighi

 

Le condizioni che vanno poste

Ci ho messo due giorni per digerire il malumore, accumulato in un crescendo di umiliazioni verso un gruppo di persone, evidentemente perbene, come Giuseppe Conte e molti suoi sostenitori della prima ora (leggasi nelle ore esatte della prima umiliazione, quella in cui Cottarelli portava avanti l’esplorazione con Conte rimbalzato in mondovisione). Da oggi spero in una nuova riemersione dal fango gettato. I 5S dovrebbero dettare le loro condizioni: 1. renziani fuori dal governo, al massimo appoggio esterno;
2. riforma della giustizia entro marzo; 3. legge sul conflitto di interessi; 4. legittimazione del Reddito di cittadinanza da parte di Draghi rendendolo uno strumento strutturale; 5. revoca concessioni autostradali. Se la lista non va, Draghi votatevelo voi, e a votare.

Francesco Rinaldi

 

Sono tornati pure i cantori dello spread

Stamattina ho sentito Napoli e Brunetta cantare lo spread a 100 punti. Era sparito dai radar lo spread. Certo senza ricordare, complice tutti i presenti nei vari studi tv, che è stato il narciso di Forza Italia viva a farlo schizzare a 120 punti, Conte l’aveva portato a 75, ma nessuno ne parlava. Ne ha di strada da fare Draghi. Credo poi, che i 5S debbano andare al colloquio con l’incaricato, senza fare nomi, ma con tre punti fermi; il controllo su come si spendono i soldi, il sistema giudiziario come l’aveva gestito il miglior ministro della giustizia Bonafede, la sanità e la scuola senza tagli. Certo si potrebbe inserire l’esclusione di Renzi, ma tanto poi la gatta da pelare è sua. Questo è l’unico sistema per stanare Draghi, altrimenti i voti vada a prenderli a destra. Certo sarebbe meglio che anche Leu e il Pd vogliano le stesse cose, ma la vedo dura.

Claudio Molaschi

 

Lo stile e la forma stavolta sono sostanza

Senza entrare nel merito delle rispettive e opposte idee politiche, a me sembra molto indicativo il confronto della stessa immagine di chi, nel momento delicato e sofferto delle dimissioni dalla carica di presidente del Consiglio, esprime decoro, contegno dignitoso, nobiltà morale, nessuna polemica, modestia, rispetto a chi, da ministro della Repubblica, starnazza dal “Papeete”, si attacca ai citofoni, divora cesti di ciliegie mentre si parla di problemi molto seri: la forma esprime esattamente la sostanza che c’è dentro.

Giancarlo Faraglia

 

A questo tradimento risponderemo col voto

Prima o poi andremo a votare. Donne e uomini avranno modo di rimandare il “vaffa” al mittente. “Terribile è l’ira del mansueto”.

Claudio Locatelli

Mistero FI: B. ci ripensa e non vede più “Mario”

Una consultazione doppia, quella andata in scena per Forza Italia. Con un primo tempo a fine mattinata, nella lunga telefonata tra Mario Draghi e Silvio Berlusconi. E nel pomeriggio la seconda parte, con l’incontro a Montecitorio tra il premier incaricato e la delegazione forzista composta da Antonio Tajani, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini.

Un appuntamento dove il partito azzurro ha ribadito il pieno appoggio all’ex presidente della Bce, confermando l’apertura del giorno prima. “Abbiamo confermato a Draghi il nostro sostegno. FI si aspetta un esecutivo di alto livello, capace di rappresentare al meglio l’unità del Paese coinvolgendo le risorse migliori della politica, dell’economia e della cultura”, ha detto l’ex presidente del Parlamento Ue. Che potrebbe entrare come ministro. Ma non è l’unico papabile: altri in FI aspirano a essere nella squadra, con la delegazione che ha sponsorizzato pure il nome di Guido Bertolaso – magari al posto del commissario Domenico Arcuri –, elogiato per la campagna vaccinale in Lombardia. “Abbiamo detto a Draghi che questa non è una nuova maggioranza politica, né l’ampliamento del Conte bis, ma la risposta all’appello del Quirinale”, sottolinea Gelmini.

L’argomento che però ieri ha tenuto banco nel partito azzurro è stata l’assenza di Berlusconi alle consultazioni. Giovedì, dopo l’apertura definitiva a Draghi, l’ex premier aveva fatto sapere che avrebbe guidato di persona la delegazione forzista. Sono mesi che il leader non si fa vedere nella Capitale e la sua discesa era attesa in maniera messianica. Ieri mattina, però, è arrivato lo stop di Alberto Zangrillo. “Il presidente ha deciso di non venire per motivi precauzionali, su indicazione dei suoi medici. Ma non si esclude che possa farlo in un eventuale passaggio successivo”, si fa sapere da FI.

Qualcuno, però, nel partito ha storto il naso. Lasciando correre i sospetti e dando vita al giallo: “Vuoi vedere che gli hanno chiesto di non farsi vedere, per depotenziare a livello d’immagine l’appoggio a Draghi?”, si sono chiesti alcuni deputati. Non è un mistero che la decisione di appoggiare l’ex banchiere sia stata assai travagliata, con l’area filo-leghista che ha fatto di tutto per ostacolarla e prendere tempo, in attesa delle mosse di Matteo Salvini. Ma poi l’apertura è arrivata, anche su pressione dei gruppi, dove l’ala liberal minacciava addirittura la scissione.

Dal partito, però, questa versione viene seccamente smentita. “Il presidente ha deciso solo su consiglio del medico, anche perché nessuno può impedirgli di mettersi in viaggio e andare dove vuole”, dicono. E a conferma che davvero tutti lo aspettavano c’è pure uno striscione con un “Bentornato presidente” affisso davanti alla nuova magione sull’Appia antica (la villa che fu di Franco Zeffirelli) e postato su Instagram da Licia Ronzulli.

A quanto si sa, l’ex premier non ha avuto altri problemi cardiaci ma, dopo il ricovero del 14 gennaio nel Principato di Monaco, Zangrillo gli aveva consigliato “riposo assoluto” per un mese. Da qui la decisione di non mettersi in viaggio, pur con rammarico. “Peccato, mi sarei divertito”, è trapelato, in serata, dalla Francia.

Zingaretti e i dem adesso sono pronti a digerire la Lega

Ci sarà un secondo giro di consultazioni, perché è ancora presto per sciogliere tutti i nodi sul tavolo: dal “perimetro” della maggioranza alla composizione del governo (modello Dini 1995, con ministri tecnici o modello Ciampi, metà politici e metà tecnici?), agli eventuali ingressi. A sera la conferma arriva anche dallo staff del premier incaricato, Mario Draghi.

D’altra parte i problemi sono esemplificati dalla posizione del Pd, che dopo essersi schierato a difesa di Giuseppe Conte, ora si presenta come pilastro del futuro governo Draghi. E come tale ha una questione enorme da metabolizzare: l’eventuale (ma quasi certo) ingresso della Lega.

Nella giornata in cui cadono i veti, il Pd di veti non può porne, ma prova a mettere qualche paletto. “Noi non siamo nelle condizioni di porre veti a nessuno, siamo nelle condizioni di porre questioni di principio”, dice il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio.

I componenti delle delegazioni che ieri hanno incontrato Draghi nella Sala della Regina, alla Camera, raccontano di aver trovato un premier incaricato (che li ha ricevuti da solo) disponibile ad ascoltare, senza mettersi in cattedra. E che, mentre prendeva appunti, esemplificava le 5 emergenze da fronteggiare: sanitaria, economica, sociale, culturale ed educativa.

Il Pd, rappresentato da Nicola Zingaretti, Andrea Orlando e i due capigruppo, Delrio e Andrea Marcucci, ha illustrato una serie di punti programmatici. Il segretario a Draghi ha parlato di fisco, lotta alle disuguaglianze, migrazione, atlantismo, europeismo, sviluppo economico. “Il problema di un governo largo è che rischia di non avere la maggioranza su nulla”, ha detto Zingaretti. Tradotto: che succede con la Flat tax o con il primo barcone che arriva, se c’è pure il Carroccio al governo? E poi, tra due settimane arrivano gli emendamenti alla prescrizione nel Milleproroghe: a quel punto che succede? “Il governo deve avere una base solida”, ha ribadito il segretario.

Che poi, uscendo, ha invitato tutti (se stesso compreso?) a “non cedere al disfattismo”. Il travaglio interno, per non dire intimo, è alto. L’idea della foto di gruppo con il Carroccio sembra un incubo non evitabile.

Per questo i dem ieri speravano nella “proposta” che sarebbe arrivata a Draghi da Federico Fornaro e Loredana De Petris, capigruppo di LeU. Va bene il governo di tutti, hanno detto più o meno i due, ma se si fanno le cose essenziali e poi si va a votare in primavera. Uno schema, per inciso, che avrebbe tra le subordinate la facilitazione dell’elezione di Draghi al Colle. Oppure, se così non è, ci dovrebbe essere una maggioranza omogenea. Neanche la delegazione di LeU si è spinta davvero fino al veto finale alla Lega, pur se c’è andata vicina.

Mentre chi si è spinto al Sì, senza condizioni, sempre per restare nella maggioranza uscente, è Italia Viva, guidata alle consultazioni da un Matteo Renzi raggiante, al punto da volersi togliere la mascherina per mostrare la sua espressione soddisfatta senza veli. Un micro show per pochi all’insegna del “ve l’avevo detto io”.

La sua presenza stavolta non dovrebbe essere un problema neanche per gli ex compagni di partito. Perché sarebbero disposti a rimanere fuori dall’esecutivo sia lui sia Maria Elena Boschi. I profili di chi potrebbe entrare sono oggetto di dibattito dentro e fuori il Pd. Se ci saranno politici, un’opzione sarebbe che entrassero i leader. Che pare però complessa, vista l’eterogeneità probabile della maggioranza. In alternativa, si parla di figure più moderate, magari nella veste di sottosegretari a Palazzo Chigi: Dario Franceschini per i dem, Giancarlo Giorgetti per la Lega, Antonio Tajani per Forza Italia, Ettore Rosato per Iv. Per questo, più complesso individuare un profilo nei 5S.

Ma è presto, si dice nei palazzi della politica. Draghi, intanto, non parla. Lunedì riprenderà il giro di consultazioni. Il tentativo è di arrivare a un accordo mercoledì. Chissà se Draghi – oltre alla patria – salverà pure i partiti.

Salvini ha fame di poltrone e dice sì all’ammucchiata

Matteo Salvini si è convinto: la Lega deve entrare nel governo Draghi. Il sostegno all’ex presidente della Bce potrebbe arrivare già stamani dopo le consultazioni con il presidente incaricato o dopo un ulteriore passaggio con la segreteria politica formata da capigruppo, amministratori locali e governatori che in queste ore lo stanno pressando per dire “sì” al banchiere. L’ingresso in maggioranza, mette le mani avanti chi ha parlato con il segretario, non è ancora ufficiale perché “prima dobbiamo andare ad ascoltare Draghi”, ma ieri è stato lo stesso Salvini a far capire che la decisione è presa: “Mattarella ha fatto un appello e noi ci siamo – ha spiegato a Sky Tg24– mi piacerebbe che in questo governo ci fossero tutti”. Sicuramente non c’è la possibilità che la Lega si astenga, ma come condizione per entrare in maggioranza Salvini chiede ministri propri o di area leghista: “Non facciamo le cose a metà – ha continuato il segretario del Carroccio – se sei dentro, dai una mano e ti prendi onori e oneri”.

Ma che la volontà della Lega sia quella di entrare si capisce quando nel pomeriggio, mentre Giorgia Meloni conferma il suo “no”, Salvini cita Papa Francesco per eliminare quel veto posto giovedì dopo la segreteria (“Draghi scelga tra noi e Grillo”): “Chi sono io per dire tu no? – ha concluso il segretario – Noi a Draghi non diremo che non vogliamo tizio. Se poi il M5S dice che vuole la patrimoniale, noi diremo che vogliamo meno tasse”.

Quindi il tema non è più il se, ma il come. Perché il leader del Carroccio vuole anche capire cosa succede nel campo avverso – quello dei giallorosa – dove ieri è stato il giorno delle condizioni poste da LeU e Pd. Il segretario dem Nicola Zingaretti ha chiesto una riforma fiscale “progressiva” (inconciliabile con la flat tax) e LeU ha dichiarato la propria “incompatibilità” con la Lega. “Ma nessuno potrà impedirci di entrare, dopo l’appello di Mattarella” sostiene l’ex ministro dell’Interno.

E se la delegazione del Carroccio composta da Salvini e i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo (non Giancarlo Giorgetti) questa mattina andrà ad “ascoltare” Draghi, porterà anche i propri paletti: taglio delle tasse, una riforma della giustizia garantista e il controllo delle frontiere. Che, anche se non saranno veti espliciti, vuol dire discontinuità rispetto al Conte bis. Quindi niente Bonafede, Azzolina e tantomeno Lamorgese. E magari, sostiene Giorgetti, incassare la disponibilità ad andare a votare nella primavera del 2022, dopo che la prossima maggioranza avrà issato Draghi al Quirinale.

Per questo l’obiettivo del leghista è quello di spoliticizzare il governo che nascerà per renderlo un “esecutivo di salvezza nazionale” e non lasciare l’autostrada dell’opposizione a Meloni che ieri, dopo aver incontrato Draghi, ha lanciato diverse frecciate al leghista: “Io non vorrei un governo con tutti e non ho chiesto ministri a Draghi, a differenza di altri”.

A spingere Salvini verso il “sì” ci sono i governatori – da Zaia a Fedriga – ma anche i tanti imprenditori del nord che in queste ore lo stanno chiamando invitandolo a “non tirarsi indietro”. Quel ceto produttivo che un no a Draghi proprio non lo capirebbe. E poi c’è Giorgetti che gli fa da guida per entrare al governo (potrebbe diventare ministro dei Rapporti col Parlamento) e così facendo accreditarsi nelle cancellerie internazionali per poi arrivare a Palazzo Chigi con Draghi al Colle. Ma i segnali della conversione arrivano anche dall’ala euroscettica del Carroccio, da Alberto Bagnai (“Draghi è un pragmatico”) a Claudio Borghi (“È un fuoriclasse ma deve giocare con noi”). Tutti segnali per una strada che sembra ormai segnata.

Rischio scissione: Grillo a Roma. Per Draghi si vota su Rousseau

Comunque vada, ci saranno morti e feriti. Comunque scelga, il Movimento sa che ci rimetterà, e il probabilissimo voto finale degli iscritti sulla piattaforma web Rousseau, l’ultima risorsa per riconoscersi ancora nello specchio e non prendersi tutte le colpe, non potrà evitare i danni. Forse non potrà fermare neppure quell’ombra che si sta facendo carne, la scissione. Con Davide Casaleggio che – dicono voci non certo amiche – potrebbe essere pronto per provarci, per infilarsi nel varco che tutti vedono. Perché il governo Draghi per i 5stelle è un calcolo che non darà mai un conto dritto. Deve saperlo anche il Garante e fondatore Beppe Grillo, che oggi guarderà negli occhi il “tecnico” che presto potrebbe abbracciare come presidente del Consiglio. Quel Mario Draghi contro cui nel 2014 Grillo puntava il dito, “perché il ricatto sull’articolo 18 è fatto dalla Bce”, la Banca centrale europea. Lo stesso che a suo dire “andava processato per il caso Montepaschi” (2013). Proprio l’economista contro cui, era sempre il 2014, Gianroberto Casaleggio si scagliava così da un palco: “Draghi ha detto che i governi che non fanno le riforme saranno cacciati, ma non ha titoli per darci ordini”. Sette anni dopo, stamattina Grillo lo incontrerà alla Camera assieme alla delegazione del M5S, per le consultazioni. Dopo avergli parlato mercoledì per due ore, decidendo che bisogna almeno provare a sostenerlo, ci metterà la faccia. E oggi gli chiederà punti di programma come garanzie. Da capo che deve mostrare di esserlo, per cercare di tenere assieme i suoi.

 

Nella capitale: Casaleggio c’è, Beppe (alla fine) arriva

Per tutta la giornata di ieri, Grillo più che il leader del M5S è un fantasma, un miraggio che non appare mai. Lo davano in arrivo sin da giovedì sera, ma non si vede, il fondatore. Operatori e cronisti setacciano alberghi e circondano le Camere senza esito. La sola certezza è che tra ieri notte e stamattina sarà arrivato, per prepararsi alle consultazioni di mezzogiorno e al vertice che farà un’ora prima con un po’ di big nella sala Tatarella di Montecitorio, per limare la linea. Quindi per ragionare su come proporre punti come il salario minimo o la legge sul conflitto d’interessi, e magari la patrimoniale per i ricchi. E assieme a Luigi Di Maio e ad altri ministri uscenti a discuterne ci sarà anche Giuseppe Conte. Il suo primo atto politico da figura del Movimento dopo la presidenza, la conferma del suo avvicinarsi a una seconda vita politica. Invece non ci sarà il reggente, Vito Crimi. Gli viene imputata la gestione della trattativa con Matteo Renzi, dicono, e il dazio sarà l’assenza nella delegazione di oggi. Così con Grillo ci saranno Paola Taverna, essenziale anche per dare un segnale ai senatori inquieti, e i capigruppo di Camera e Senato. Nell’attesa, ieri il Garante dalla sua casa al mare in Toscana ha passato la giornata al telefono. Ha sentito Di Maio, Roberto Fico, e proprio Conte. Ma ha parlato anche con i parlamentari, e soprattutto con i senatori, perché è a Palazzo Madama che fa base la possibile rivolta anti-Draghi. Su 92 eletti i fautori sicuri del sì, dicono, non arrivano alla metà. Diversi gli incerti, almeno una dozzina i no. Recuperarli tutti non sarà possibile, è sicuro. Perderne tanti è un rischio concreto. Ma non va sottovalutato il processo contrario, cioè che un gruppo, questa volta soprattutto alla Camera, smotti in caso di no a Draghi. Sostenendo comunque l’economista. Però il cuore del problema resta il Senato, da dove infatti spira anche il vento che predica l’astensione nel voto di fiducia, “così facciamo partire Draghi ma restiamo fuori dal governo”. Ma su tutto incombe il voto su Rousseau, ormai invocato anche da diversi big (Danilo Toninelli, Nicola Morra). Soprattutto, parla Casaleggio: “Qui a Roma ho incontrato diversi parlamentari e ministri, e c’è ampio consenso sul fatto che l’unico modo per avere una coesione del Movimento sarà quello di chiedere agli iscritti su Rousseau”. Invocando il voto sul web, il patron della piattaforma rivendica anche la sua centralità. A Roma da martedì, ha effettivamente incontrato diversi maggiorenti, come Stefano Buffagni, Alfonso Bonafede, Morra e il capogruppo in Senato Ettore Licheri, con cui ha pranzato ieri. “Ma di eletti ne ha visti davvero tanti” conferma un veterano che lo ha incontrato. In testa ha davvero la scissione? Chi gli ha parlato assicura di no. “Piuttosto, insiste sulla necessità di parlare a Draghi e di fargli accettare alcuni dei nostri temi forti”. Ma il sospetto che sia venuto “a prendersi pezzi”, come sibila un veterano, è diffuso. Mentre fuori c’è sempre Di Battista, a predicare il no a Draghi. Lo ha ribadito anche allo stesso Grillo giovedì, in un lungo e non facile colloquio, Senza convincere il Garante a fare un passo indietro.

 

La trattativa dietro le quinte per i posti

Il governo Draghi è ancora un’ipotesi, ma di certo i partiti già chiedono posti. Due o tre per le forze politiche più grandi, raccontano dai Palazzi. E tre sarebbero i ministri invocati anche dal M5S, con Di Maio che pare l’unica certezza. Vorrebbe restare alla Farnesina, ma nel gioco degli equilibri il condizionale sarà d’obbligo fino all’ultimo. Di sicuro inciderà anche la composizione della maggioranza che verrà, quanto sarà larga. Iv sarà dentro, pare inevitabile. Ma nelle ultime ore dal Movimento è riemersa la richiesta di un segnale negativo ai renziani. “Beppe dovrebbe mettere un veto a Iv, già dobbiamo sorbirci Forza Italia” è il ragionamento. La richiesta, raccontano, sarebbe arrivata anche alle orecchie di Grillo, da più voci. Ma è complicata, anzi di più, da esaudire. Perché quello con Draghi è un tavolo dove le carte andranno soprattutto accettate. E questo molti 5Stelle lo hanno capito in fretta.

 

L’Avvocato, che ora deve decidere

Si diceva prima di Conte e della sua presenza al vertice di questa mattina. Un chiaro atto politico. Il suo proporsi giovedì come possibile nuovo leader del Movimento – “per voi ci sono e ci sarò sempre” – ha innervosito alcuni maggiorenti. Ma Grillo lo vuole dentro, lo ha ripetuto a tutti anche ieri. Però i numerosi contiani del M5S già chiedono di più all’avvocato, già lo vorrebbero più decisamente in campo. “Non basta dire che ci sarà sempre per noi, ora deve iscriversi al Movimento, fare passi evidenti”. Ma l’ex premier vuole camminare alla sua andatura. Tornerà a fare il professore di Diritto a Firenze, questo ormai lo ha deciso. E vuole anche mantenere un ruolo in politica. “Ma se corre subito come leader del M5S potrebbe perdere quota come leader della coalizione giallorosa”, osserva un grillino di peso. Cosa a cui tiene moltissimo. “Deciderà con i tempi giusti, intanto aiuterà il Movimento” assicura chi gli è vicino. Ma intanto il M5S rischia di sfarinarsi. Molto in fretta.

Vengo anch’io, non tu no

È una fortuna che in Italia esista la libertà di stampa, altrimenti non sapremmo che Draghi a scuola “andava bene in matematica” e “non faceva la spia”, gioca a calcio “alla Di Bartolomei” ma va meglio col basket, “acquista i croccantini per il cane al supermercato”, “fulmina” la moglie che parla di politica, si presenta al Colle (ma anche altrove) con “look istituzionale” (mica a torso nudo, pinocchietto e infradito come i predecessori), “si mette in fila quando va a fare la spesa” (anziché abbattere gli altri avventori col bazooka), “apprezza i piatti della comune tradizione” perché è “normale” (sennò li sputerebbe), “fa la carità, ma di nascosto” e c’è già il primo miracolo: l’abbattimento dello spread con la sola forza del pensiero (peraltro di appena 7 punti, mentre i puzzoni di prima l’avevano portato nell’ultimo anno da 300 a 100, prima che il Rignanese lo rifacesse schizzare all’insù). Altro di lui non si sa, almeno come premier: cosa vuol fare, come e con chi, ma queste sono quisquilie. Infatti tutti rispondono per lui e danno per fatto un governo di natura, maggioranza, programma e durata ignoti (anche a Draghi, che però è una persona seria e infatti consulta e tace).

Nell’attesa, siamo andati a rileggerci l’ultimo discorso di Mattarella: “Mi appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Ha detto proprio così: “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Non maggioranza Ursula, Barbara, Maria Elena: nel governo entrano tutti quelli che vogliono. E ci mancherebbe che non fosse così: nelle consultazioni il nome di Draghi non l’aveva fatto nessun partito. Ora tutti s’affannano a dire sì o no a un governo del tutto sconosciuto, al buio. E a decidere chi entra e chi no. FdI no. FI sì. Pd e LeU entrano, ma non vogliono la Lega, mentre FI gli va benissimo. Salvini non vuole i 5Stelle, ma forse entra lo stesso “se c’è posto per noi”. I 5Stelle non s’è ben capito (e forse, prima di frantumarsi e suicidarsi a tavola con B. e i due Matteo, potrebbero astenersi o al massimo dare un appoggio esterno condizionato alle elezioni fra sei mesi o un anno e al mantenimento e alla realizzazione delle loro riforme, senza ministri propri, ma con garanti esterni tipo De Masi al Lavoro e Davigo alla Giustizia). Certo, più gente entra, più bestie si vedono, più il governo s’indebolisce: litigavano già i giallorosa, figurarsi con FI e magari la Lega. Ma la maggioranza non la decidono né Zinga, né Grillo, né B., né Salvini. Chi ciancia di “maggioranza Ursula” o “dei migliori” e gioca al “vengo anch’io, no tu no” tradisce le parole di Mattarella. Sempreché abbiano ancora un senso.

Toyota Highlander, il maxi suv ibrido

La Highlander sbarca anche in Europa con la sua ultima generazione, forte della motorizzazione ibrida e dell’heritage di una vera e propria world car, avendo già scorrazzato in diversi continenti, dall’America all’Asia.

Coi suoi quasi 5 metri di lunghezza (4,97, per la precisione), si va a piazzare al top della gamma sport utility Toyota insieme a CH-R e Rav4. Quest’ultima presto avrà anche un’opzione ricaricabile alla spina, mentre ferve l’attesa per la versione Cross della Yaris, che arriverà prima dell’estate.

Un roaster completo, quello dei suv della casa giapponese, che Highlander va a capitanare con l’autorevolezza dei sette posti (veri) e l’affidabilità della piattaforma modulare GA-K dove nasce, la stessa su cui viene fabbricata Rav4.

Un packaging che consente ampio spazio all’interno sia per i passeggeri che per i bagagli, visto che il vano posteriore, a seconda e terza fila di sedili ripiegate, raggiunge la capienza fuori dal comune di 1.909 litri.

Si accennava al powertrain ibrido. Ebbene, il debutto su un suv del genere poteva nascondere insidie soprattutto per la stazza (2 tonnellate), ma sia la dimensione che la collocazione dei vari propulsori alla fine risulta convincente: accanto all’unità termica, un 2,5 benzina, ce ne sono due elettriche piazzate rispettivamente all’anteriore e sulle ruote posteriori, per garantire quella che in Toyota chiamano AWD-i, ovvero trazione integrale intelligente. Che serve a scaricare a terra nella maniera più consona, a seconda dei terreni che si affrontano, la potenza massima del sistema, che è di 248 cavalli (con emissioni di 149 g/km di anidride carbonica).

Su strada, la sensazione è amplificata. Nonostante gli ingombri importanti, questo maxi-suv risulta preciso nei cambi di direzione, anche grazie ad uno sterzo preciso, con un effetto rollio decisamente ridotto. In poche parole, è grosso ma assai vivace. E comodo.

Il listino è altrettanto importante. I prezzi di Highlander partono dai 52.200 euro della versione d’ingresso Trend, per poi salire. Ma con gli incentivi si scende ben sotto la soglia dei 50 mila.

 

I costruttori d’auto europei scommettono sul 2021

È stato un 2021 da incubo per il mercato dell’auto europeo, che si è fermato sotto la soglia dei dodici milioni di immatricolazioni: un quarto in meno rispetto al 2019, a causa delle restrizioni da Coronavirus.

Quando si riprenderà il vecchio continente da un anno così nero? La risposta prova a darla l’associazione dei costruttori continentali, l’Acea, che in una nota fa sapere che il primo mattone per la ricostruzione verrà posto proprio nel 2021, con un incremento delle vendite che dovrebbe toccare il 10% alla fine dell’anno. Frutto soprattutto, secondo gli analisti, di un secondo semestre in crescita anche grazie ai progressi dei programmi di vaccinazione nazionali, dopo che nei primi mesi si sarà scontata ancora l’onda lunga dell’emergenza sanitaria.

Tenendo bene presente, tra le altre cose, le incognite che la Brexit riserverà sul fronte della produzione just in time e della catena di approvvigionamento della componentistica. Tematica sensibile anche in ottica elettrificazione: l’Acea prevede che nell’anno in corso i veicoli ricaricabili riceveranno un ulteriore impulso dal mercato, arrivando a pesare fino al 10,5% del totale.

Ma per fare questo, oltre a infrastrutture e rete di ricarica all’altezza, l’industria dell’auto europea dovrà essere sincronizzata come un orologio e supportata dai vari governi. Nonché, come per altri comparti industriali, sperare che questa pandemia diventi presto solo un brutto ricordo.

Ferrari tampona le perdite, ma resta il nodo governance

Le “catene” della pandemia tengono solo parzialmente a bada il cavallino rampante: nell’annus horribilis da poco archiviato, Ferrari ha chiuso con un decremento delle consegne limitato ad appena il 10%, a 9.119 unità totali. Un buon risultato, nonostante la sospensione produttiva di sette settimane e la temporanea chiusura dei concessionari per via del Covid. I ricavi sono andati meglio delle consegne: meno 8,9% a 3,46 miliardi di euro. E dalla vendita di automobili e ricambi sono stati generati 2,835 miliardi (-4,1%), mentre per i motori il fatturato di 151 milioni risulta in flessione del 24%. Colpa del calo delle consegne a Maserati, che presto farà i motori in casa.

L’Ebitda – ovvero gli utili prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti – è sceso del 10% a 1,143 miliardi, per un margine del 33% (33,7% nel 2019), mentre l’utile operativo, pari a 716 milioni, ha subito un calo del 22%. Cifre comunque migliori di quelle che si attendevano i vertici dell’azienda.

“Nonostante le sfide della pandemia, abbiamo svelato tre nuovi modelli nel 2020, la Portofino M, la SF90 Spider e l’auto da pista in edizione limitata 488 GT Modificata, che arriverà sul mercato nel 2021 e sono felice di annunciare che il nostro portafoglio sarà ulteriormente arricchito da tre nuovi modelli quest’anno”, ha detto il direttore finanziario Antonio Picca Piccon.

Non solo: nel primo semestre del 2022 sarà presentato il nuovo piano industriale e saranno divulgate le informazioni sulla futura gamma elettrificata (ovvero con tecnologia ibrida) della Ferrari. Per la prima vettura 100% elettrica, invece, c’è ancora tempo: “In un decennio vedremo una Ferrari full electric, vogliamo vederla”, ha confermato il presidente John Elkann che, però, a un orizzonte più vicino vede il nuovo suv, in arrivo il prossimo anno e destinato ad aprire le porte di Maranello a una clientela inedita, a scrivere un nuovo capitolo nella storia del costruttore e che varrà nuove e inesplorate opportunità commerciali.

Rimane un nodo da sciogliere: “Oggi alla Ferrari, dopo l’uscita di Louis Camilleri, cercano un amministratore delegato. Cioè, la testa di un’azienda che vive di riflettori e di borsa”, spiega Francesco Paternò, vice direttore dell’Automobile. John Elkann mantiene l’interim di ad ed è anche presidente del neonato gruppo Stellantis, “Ma non si può tenere il piede in due volanti senza rischiare di fare danni. Quando ha detto che prenderà altro ‘tempo necessario’ per ‘trovare il migliore ad possibile’ la borsa non ha gradito. I mercati non sopportano le incertezze di governance. Al Quirinale direbbero che alla Ferrari servirebbe un Draghi”, chiosa Paternò.