Habemus festival. Dopo giorni convulsi, tra voci di rinvio e timori di annullamento, finalmente il Cts ha dato il via libera. Il protocollo spedito dalla Rai agli esperti (in realtà un dossier ampiamente discusso fra le parti in una serie di consultazioni interlocutorie) diventa un imprimatur sulle date: Sanremo confermato dal 2 al 6 marzo nella bolla dell’Ariston svuotato di pubblico pagante o pagato (ma accessibile ai fotografi in piccionaia e ai giornalisti durante le prove), con il teatro-studio tv inchiavardato in una “zona rossa” invalicabile e il Comitato a raccomandare la massima attenzione per evitare assembramenti e “rischi esterni” di sorta.
Nel cospicuo scartafaccio di ben 75 pagine predisposto dagli uomini della tv pubblica si scende in dettaglio sulle misure di sicurezza: dal distanziamento tra gli orchestrali, che disporranno di una bacinella per sanificare gli strumenti, al divieto di baci e abbracci fra gli artisti, fino alle navette oscurate anti-fan e al carrellino per portare i fiori o i premi.
Esultano i diretti interessati: il sindaco Biancheri esprime giubilo per la chiusura di “dieci giorni difficili” e per l’arrivo nelle casse dei 5 milioni dovuti dalla Rai, vincolata alla convenzione con il Comune, al mondo della discografia che vede rispettati i piani strategici primaverili, fino al sospiro di sollievo “ufficiale” udito ai piani alti di Viale Mazzini, con in testa Salini, Coletta e ovviamente Amadeus. Ora c’è solo da rimboccarsi le maniche: la scenografia ultra-tech di Gaetano Castelli è già ultimata, e pure il golfo mistico avanzato fino a metà del parterre. C’è da lavorare sulle idee, in vista di una maratona davanti al piccolo schermo: 26 canzoni, 300 minuti di diretta, si va a nanna alle due.
Ma il mondo della cultura “alta” difficilmente sarà ignorato: c’è quell’ipotesi, evidenziata nei giorni scorsi dal Fatto, di un’alleanza virtuosa fra Sanremo e i templi di lirica e prosa. Idea fissata da tempo sui taccuini della direzione artistica, con cinque possibili collegamenti con altrettanti teatri di rilevanza nazionale. Una simbolica riapertura in parallelo, dopo quello che era parso uno scontro frontale fra il Festival pop dei “privilegiati” e le misure da cappio al collo per la filiera teatrale italiana. “In realtà non c’è mai stata una guerra”, commenta Davide Livermore, direttore del Nazionale di Genova. “Quando ho detto che se ci fosse stato pubblico all’Ariston noi avremmo alzato il sipario con Shakespeare sono stato strumentalizzato. Lungi da me l’intenzione di creare polemiche contro Amadeus, che saprà rendere meraviglioso il suo spettacolo. Mancheremmo di rispetto ai milioni di italiani che si appassionano alle canzoni se fossimo percepiti come i soliti snob con la puzza sotto il naso. Anzi, in un periodo così complesso, i veleni devono diventare medicina”. E occasione di dialogo: l’evento scaligero del 7 dicembre scorso, curato da Livermore, è stato un tourbillon di voci, immagini, trovate tecnologiche, omaggi alla tradizione lirica, cinematografica e del costume italiano. “Per la prima volta abbiamo usato la realtà aumentata in tv. Alle cinque del pomeriggio abbiamo totalizzato tre milioni di telespettatori: più del doppio di X-Factor. La pedanteria non ci appartiene: ma è il luogo comune con cui la cultura, che è uno dei volani di questo Paese, è stata presa alla gola con tagli finanziari inaccettabili. Ogni euro investito dai teatri pubblici ne fa tornare sei nelle tasche della collettività. È un tesoro che da 25 anni viene sperperato dalla politica, un bene comune decisivo per far girare l’economia italiana. Nessuno lo dice, ma prima della pandemia gli abbonati alla lirica e alla prosa erano più di quelli della Serie A”. Come raccontarlo, nelle ipertrofiche serate sanremesi? “Puntando sulla narrazione pop. I turisti arrivavano qui da tutto il mondo non solo per ascoltare le opere, ma anche per conoscere le storie dei teatri, edifici ricchi di vicende e aneddoti: pensiamo al San Carlo di Napoli, inaugurato nel 1737. A uno storico che sa divulgare in modo appassionante come Barbero. Pensiamo anche a quanti cantanti d’opera saprebbero omaggiare le canzoni di Sanremo, o il repertorio popolare nazionale. Bastano una chitarra e un tenore che intoni Core ’ngrato, no?”.
Teatri-memoria, per una militanza artistica e civile in questi tempi oscuri. A Genova, due giorni fa, è stato inaugurato uno spettacolo-mostra curato da Livermore sull’Edipo Re di Sofocle: “Con attori dentro teche di cristallo che recitano brani sulla peste che colpisce Tebe. Il coro finale ci parla di noi: ‘Se i tiranni non sono puniti dal cielo, se la tracotanza non viene punita dagli dei, perché continuiamo a fare teatro?’. Una domanda che rimbalza oggi: nessun artista è portatore di verità, non pontifichiamo, ma dobbiamo andare avanti. Tornando a vivere e a recitare”.