I ricatti del catto-boyscout: più che poker, è un “ciapanò”

Come non ci bastasse il Berlusconi for President, che fa politica da Montecarlo, amena località di villeggiatura italiana, noto rifugio di evasori fiscali compulsivi e di Briatori, abbiamo Matteo Renzi, l’irresponsabile, il ricattatore seriale.

Quali che siano i limiti di un governo, non lo si fa cadere in un momento delicatissimo, dal punto di vista sociale, economico, psicologico, mentre il Paese, con il sacrificio di tutti, sta cercando faticosamente di rialzare la testa. Ma a Renzi non gliene può fregar di meno. Mentre ai suoi concittadini è proibito uscire dalla propria Regione, in certi casi dal proprio Comune e persino da casa, lui, fra un ricatto e l’altro, in aperto contrasto con la nostra politica estera, vola, trasvolando Regioni, Paesi, Continenti, in Arabia Saudita, il Paese più sessista del mondo.

Per questa pia trasvolata, degna di un catto-boyscout, pagata dai contribuenti, ha preso 80 mila euro, molto di più di quanto guadagni all’anno un cittadino italiano del ceto medio. Si è giustificato dicendo che è un apprezzato conferenziere. Ci piacerebbe sapere in quale inglese ha parlato, l’ultimo che abbiamo sentito era al livello non di un boy scout, ma piuttosto di un bambino dell’asilo, il luogo che più gli conviene, dove starebbe in un girello col ciuccio in bocca così perlomeno non potrebbe aprirla.

Io non capisco davvero come si possa dar fiducia a un soggetto di questo genere. Uno che al bar dicesse “stai sereno” all’amico e due giorni dopo, due giorni, non due anni, gli soffiasse il posto, in quel bar non ci potrebbe rientrare più senza prendere un fracco di botte. Aveva dichiarato solennemente che se avesse perso il referendum anticostituzionale si sarebbe ritirato a vita privata. E invece è ancora lì. Ha sperperato in soli quattro anni un patrimonio di voti del 40 per cento attribuito al Pd, più che dimezzandolo.

In questi giorni le televisioni gli hanno dato uno spazio enorme. Anche perché lui se l’è preso con la consueta disinvoltura. Dopo l’incontro con il presidente della Repubblica, invece di fare una stringata dichiarazione, come vuole la consuetudine istituzionale, ha tenuto un comizio di mezz’ora. A Sky Tg24 Riccardo Barenghi, che non può essere certamente considerato un giornalista di destra, si è detto “allibito”, a dir poco, per questa violazione del bon ton istituzionale di cui, nonostante la sua lunga esperienza di commentatore politico, non ricordava precedenti. Ma anche Sky ci ha messo del suo nel dare man forte a Matteo Renzi. Ha sottolineato la differenza fra il viso raggiante del ricattatore e quello smunto, a dire di Sky, di Nicola Zingaretti, segretario del Pd. E allora torniamo alla mascella di mussoliniana memoria e smettiamola con questa farsa della democrazia.

Si è detto e scritto che Renzi si è portato come un abile giocatore di poker, ma il poker è una cosa molto più seria della politica, almeno di quella che fa Renzi. Giocare il gioco dei “due forni”, come faceva il benedettissimo Bettino Craxi che con il 16 per cento dei consensi ricattava Dc e Pci che avevano ciascuno il 40 per cento, non è a livello del poker, ma di un tressette “ciapanò” fra pensionati.

 

Con Draghi al governo diremo addio al welfare

IIl 23 febbraio 2012, mentre la Grecia era al collasso e il mondo intero versava in una crisi globale, Mario Draghi dichiarò al Wall Street Journal: “Quel che si profila in Grecia è un nuovo mondo che abolirà il vecchio regime e ci libererà dei sepolcri imbiancati. All’esterno paiono belli ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Lo stato sociale è morto”. Lo stato sociale era quello inaugurato nel 1945 dal governo laburista inglese e impostato tre anni prima dal sociologo William Beveridge, secondo cui “il welfare aiuta a liberare la società da quattro mostri: bisogno, malattia, ignoranza e squallore”.

Da quel momento in poi la sinistra ha coinciso soprattutto con la socialdemocrazia e la destra con il neoliberismo; la sinistra ha messo al primo posto lo Stato e la riduzione delle disuguaglianze attraverso l’equa distribuzione della ricchezza per sconfiggere quei quattro mostri; la destra ha privilegiato il mercato e ha puntato sulla concorrenza per creare quanta più ricchezza possibile, a prescindere dalla sua equa distribuzione e dal dilagare dei mostri.

Prima ancora che Draghi salisse al Quirinale, già il sito di Repubblica ha scritto: “Per gli investitori, Mr. Whatever it takes è la migliore opzione per governare l’Italia. Piazza Affari scatta fin dalle prime battute con le banche grandi protagoniste. Lo spread tra Btp e Bund cala vedendo la soglia psicologica di 100 punti base. Piazza Affari si conferma in rialzo oltre il 2% a metà mattina. Intesa Sanpaolo e Unicredit volano del 5 per cento”.

Il welfare è stata la risposta socialdemocratica, cioè riformista e umanitaria, alle sfide della società industriale, alle rivendicazioni sindacali, alle istanze religiose, alla lotta di classe, alle spinte rivoluzionarie. È stato il massimo che il capitalismo ha potuto consentirsi per mostrare un volto umano pur restando capitalismo. Ma è stato il minimo che il socialismo ha potuto ottenere per restare socialismo nei paesi capitalisti.

I socialdemocratici ritengono che ogni cittadino, per il semplice fatto di essere stato messo al mondo senza la sua volontà, abbia il diritto di sopravvivere decorosamente anche se non è produttivo perché minore, vecchio o inabile; i neoliberisti, sulla scia di Laffer e Kuznets, ritengono prioritario consentire ai ricchi di arricchirsi: prima o poi la loro ricchezza sgocciolerà ad alleviare i poveri.

In Italia abbiamo avuto un’eloquente cartina al tornasole (il reddito di cittadinanza) per capire a primo colpo se un nostro interlocutore è neoliberista o socialdemocratico. Matteo Renzi, il cattolico boy scout, è sempre stato contrario all’articolo 18 destinato ai proletari e al reddito di cittadinanza destinato ai sottoproletari, mentre ha accarezzato la classe media con 80 euro e ha dichiarato di trovarsi a suo agio con Marchionne, che guadagnava 1037 volte più dell’operaio della Fiat, piuttosto che con la Camusso che guadagnava quanto un metalmeccanico.

Il 2 febbraio 2021 l’ultimo governo larvatamente socialdemocratico ha ceduto il passo al primo governo compiutamente neoliberista. La pandemia, che nelle mani di Beveridge avrebbe portato al governo i laburisti, nelle mani di Conte e Zingaretti ha portato al governo il centro-destra. Il tripudio dei giornali della Fiat ha subito accompagnato quest’esito a lungo corteggiato e accortamente preparato.

Chapeau a Renzi, stratega neo-dadà che prima ha tentato di portare a destra tutto il Pd senza riuscirci; poi si è illuso di attrarre la destra in un partito tutto suo, facendo flop; ora è riuscito a riunire sotto la bandiera di Draghi una destra meno becera di quella salviniana, di cui lui detiene il brevetto.

Nel campo avverso restano i cocci di due formazioni politiche frastornate dalle imboscate di Renzi, disorientate dalla mancanza di un modello di società da proporre al Paese, fiaccate dalla carenza di cultura politica e tecnologica. Un Pd che non sa cosa sia il postmoderno e un Movimento 5 Stelle che non sa chi sia Gramsci. Entrambi incapaci di agire secondo i ritmi e i bisogni di una società ormai postindustriale e di comunicare bene persino le poche cose buone che siano riusciti ad abbozzare.

Quando, fra qualche giorno, potremo leggere il Recovery plan di Draghi, comparandolo con quello di Gualtieri avremo la misura metrico decimale, palpabile, della virata verso il neoliberismo in versione squisitamente bancaria. Chi sognava ingenuamente che dall’azione congiunta di Pd e 5Stelle potesse nascere la prima socialdemocrazia del Mediterraneo, può mettersi l’anima in pace e prepararsi a una lunghissima marcia per formare una classe dirigente di sinistra mentre i poveri, aumentati nel numero e peggiorati nella condizione, avranno imparato a distinguere tra chi li ama e chi li odia.

 

Crediti non riscossi. Il fisco resta tra le priorità del nuovo esecutivo

Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, sollecita un intervento legislativo per risolvere l’annosa questione degli “stock arretrati”, quel magazzino di cartelle esattoriali riferite a crediti ancora da incassare. Sono oltre 1.000 miliardi, accumulati in 20 anni, dovuti in gran parte a soggetti nullatenenti o società fallite che non sono in grado di sostenere la riscossione coattiva, nemmeno con piani di rateizzazione ordinari o misure straordinarie come rottamazione o saldo e stralcio. La politica non può capire fino in fondo: è una faccenda puramente tecnica, regolata da leggi e decreti. Sono “liste di inesigibilità”, quando la macchina dell’esecuzione forzata dimostra che ha tentato tutte le strade per recuperare il credito. Venticinque anni fa, quando le esattorie erano di emanazione bancaria, subivano (salvo corruzione) per questa ragione delle liste di inesigibilità un rigoroso controllo da parte dello Stato. Dal 2006, da quando la riscossione è stata unificata (Riscossione S.p.A., poi Equitalia) in un unico “Agente nazionale”, e ancor più oggi con l’Agenzia delle Entrate Riscossione questo controllo delle liste di inesigibilità se lo fa da solo. Per risolvere una volta per tutte la questione del “magazzino inesigibile” c’è un’unica possibilità: tentate tutte le strade di cui sopra e terminata la “pausa” pandemia, va inviato sul territorio l’esercito degli Ufficiali di riscossione per redigere per ogni contribuente il verbale di pignoramento negativo o insufficiente (ai sensi dell’articolo 518 del codice di procedura civile). Tali pubblici ufficiali dovranno essere affiancati dalla Guardia di Finanza, che avrà il compito di verificare che i nullatenenti non hanno altre entrate e che le società cessate o fallite non siano offshore. Questi verbali certificheranno la veridicità delle liste di inesigibilità. Fuori da questa procedura c’è solo imparzialità di giudizio e corruzione.

Stefano Masino, ufficiale di riscossione (Asti)

 

Gentile Masino, la politica potrà anche non capire ma il tema fiscale resta al centro della scena complicata dalla crisi di governo. La proposta del direttore Ruffini – nuove regole e la possibilità per l’ente di Riscossione di poter valutare concretamente l’esigibilità dei singoli crediti – è una valutazione che può fare solo il Parlamento. Così come il nuovo governo dovrà risolvere la questione delle cartelle esattoriali sospese che sono in procinto di partire tra un mese.

Patrizia De Rubertis

Mail box

 

“Pancho” Pardi lancia un appello ai 5S

Ho sottoscritto, insieme a tantissimi altri, una lettera aperta a sostegno del governo Conte e non me ne pento. Era necessaria nel momento in cui Renzi portava a compimento la sua opera volta scassare la maggioranza e affossare il governo. Ora la situazione è rapidamente mutata. I 5Stelle si sentono vincolati alla lealtà nei confronti del presidente del Consiglio da loro proposto. In una politica in cui i furbi si fanno un merito di rovesciare alleanze e patti di coalizione, la lealtà è certo ammirevole. Ma una forza politica che ha ancora, e fino alla fine della legislatura, la presenza maggiore nelle assemblee elettive non può per ripicca confinarsi in un ruolo minoritario che la esclude dalla manutenzione di quanto di buono è stato fatto finora e dalla possibilità di influire sulla gestione del futuro. Prima di tutto non deve accettare e subire la tesi secondo la quale l’affossatore del suo governo è il vincitore e il regista della nomina di Draghi. Deve saper distinguere. L’opera distruttiva è tutta di Renzi, ma l’opera costruttiva è di Mattarella e solo a lui ne va il merito. I 5Stelle preferivano Conte a Draghi, ma Conte si è dimesso e il suo ritorno nel ruolo è del tutto impossibile. Anzi, di fronte allo smarrimento del partito e al rischio di divisioni dilanianti, Conte stesso, in nome del suo prestigio, dovrebbe sentire il dovere di esercitare opera di calma e persuasione. I 5Stelle, per essenziali motivi (sanitari, sociali, economici), non volevano le elezioni: il governo Draghi è l’unico modo per evitarle. I 5Stelle hanno contribuito a costruire una maggioranza a forte vocazione europea e antisovranista: con l’opposizione a Draghi si collocherebbero fuori di quel contesto. I 5Stelle avevano iniziato a discutere la possibilità di un’alleanza più estesa e organica di centrosinistra: con la scelta dell’autoesclusione renderebbero vano questo progetto. Il momento è difficile ma in politica i momenti facili o non esistono o sono ingannevoli. Tra la prospettiva della disgregazione e la possibilità di un rinnovamento creativo la forza di maggioranza relativa, cui spetta più che a tutti salvaguardare la centralità del Parlamento, non può avere esitazioni.

Francesco “Pancho” Pardi

 

Regeni, il mio tributo poetico per ricordarlo

A Giulio

Là… Fra i martiri

in quel paradiso

… c’era un posto assegnato

… per te…

L’interminabile orrore

di ciò che appartiene

a coloro

che non sono più uomini

… è passato sopra il tuo corpo

… percuotendo la tua anima

… ormai rivolta…

allo spirito…

per liberarsi e ascendere

verso mete divine

E tuttavia

tu sei mondo e stelle

carne e luce

alternati…

Il senso, che troverà il futuro

… nelle azioni dei tiranni…

svelerà che il transito…

attraverso il cupo passaggio…

precede solo i luoghi

dove non è abbaglio

la Verità

la Bellezza

l’Amore

la Forza

il mistero del Logos…

E tu…

In quelle regioni

… troverai il pareggio

e lo riporterai

sulla Terra…

Uma Koller

 

Le foto dell’Innominabile mi danno il voltastomaco

Per cortesia limitate al minimo indispensabile le foto del sedicente statista di Rignano. Un lettore già è costretto di questi tempi a sorbirsi la foto del suddetto in prima pagina. Poi va a pagina 5 e quasi rischia di vomitare, trovandosi davanti una gigantografia.

Renato Facchin

 

Tranquillo, caro Renato, credo che con Draghi sparirà presto.

M. Trav.

 

Crisi, non sono convinto delle scelte di Mattarella

Sono rimasto molto deluso dalla decisione del presidente Mattarella di conferire prima un incarico esplorativo al presidente della Camera Fico e poi di conferirlo a Draghi. Dopo il “fallimento Fico”, ha fatto un preambolo per spiegare perché non si andava subito al voto: avesse detto le stesse cose per poi rimandare alle Camere Conte per tentare una nuova fiducia, probabilmente avremmo ancora Conte come presidente e Renzi fuori dai radar!

Ruggero Franceschi

 

Pienamente d’accordo.

M. Trav.

 

I parlamentari evitino di fare consulenze

Non credete sia arrivato il momento di fare una legge che impedisca a un parlamentare durante l’esercizio del suo mandato di recarsi all’estero per consulenze retribuite? Questi poco onorevoli signori non sono da noi lautamente retribuiti? Faccio il paragone con un dirigente d’azienda, cosa accadrebbe a questi se, pur stipendiato dalla sua azienda, si recasse in giro a fare consulenze retribuite a eventuali concorrenti? Verrebbe immediatamente licenziato senza alcuna possibilità di appello.

Lucio Planamente

 

Sì.

M. Trav.

Gli alieni a Disneyland, le aurore boreali e quei postini molesti

E per la serie “Squillano le trombe”, la posta della settimana.

Caro Daniele, hai letto dello strano asteroide Oumuamua? Avi Loeb, astrofisico ad Harvard, insiste che in realtà si tratti di un’astronave aliena. A questo punto mi sento autorizzato a confessarti un sospetto terribile che mi attanaglia da anni: e se per caso gli alieni fossero uguali ai personaggi di Walt Disney? Gli alieni potrebbero aver suggerito telepaticamente le proprie caratteristiche somatiche alla mente di Walt Disney, preparando l’invasione. Immaginiamo adesso di dover difendere la nostra casa da un assalto di ratti cannibali. BAMBINO: “No, papà! Non puoi uccidere Topolino!”. In breve tempo, gli alieni a forma di Topolino, Pippo e Paperino potrebbero decimare le nostre città, stuprare le nostre donne, demoralizzare la gioventù e mangiare tutti i nostri Ringo. È questo quello che vogliamo? Pensiamoci: non c’è bambino al mondo che non conosca Topolino. Meglio stare all’erta, no? (Alberto Bianchi, Firenze). Dunque non sono il solo ad averci pensato. Che sollievo! Credevo di essere pazzo. E adesso seguimi: se tu fossi un alieno con le fattezze di Paperino, da dove cominceresti l’invasione? Io sono giunto alla conclusione che prima vorrei dissimulare la mia presenza fra i terrestri per studiarli meglio, e non ci sarebbe posto migliore di Disneyland, che di sicuro è un’altra idea trasmessa telepaticamente dagli alieni a quell’allocco di Walt Disney per la bisogna. Quindi mi mischierei fra le attrazioni per ricavare informazioni utili sui terrestri, per esempio posando per i selfie con le turiste e palpandole di nascosto. Qualcuna magari ci starebbe pure, e nove mesi dopo l’incontro ravvicinato darebbe alla luce una chimera: anche se probabilmente morirebbe poco dopo, perché dubito che il suo sistema immunitario possa essere equipaggiato per superare le malattie esantematiche dell’infanzia, l’eventualità resta minacciosa. Quindi sì, meglio stare all’erta.

La settimana scorsa, mentre mio marito era in ufficio, è arrivato il postino. È entrato in casa, mi ha preso, mi ha buttato sul letto e mi ha trombato. Più tardi nel pomeriggio è arrivato il giardiniere, è entrato in casa, mi ha preso, mi ha buttato sul letto e mi ha trombato. Poi, poco prima che tornasse mio marito, un venditore di aspirapolveri è entrato in casa, mi ha preso, mi ha buttato sul letto e mi ha trombato. Non capisco. Perché tutta questa gente pensa di poter fare quello che vuole con me? (Lauretta Ballarin, Treviso). Non saprei. Qual è l’indirizzo?

Sono un bambino di dieci anni e ho un male incurabile. È una situazione difficile, ma cerco di sopportarla con coraggio e dignità. Mi piacerebbe molto se potessi aiutarmi a soddisfare il mio ultimo desiderio. Vorrei andare a Parigi a vedere Disneyland. Vorrei incontrare Totti. Non mi dispiacerebbe fare una vacanza alle Hawaii. Sarebbe bello poter cenare con Diletta Leotta. Vorrei fare un viaggio a bordo di un sottomarino. E mi servirebbero anche nuovi giochi per la Playstation. Credi di potermi aiutare a raggiungere la Lapponia per vedere le aurore boreali? Sarebbe divertente inoltre fare qualche giro intorno alla Terra sullo Space Shuttle. Pensi che Margot Robbie possa venire a trovarmi in ospedale? In alternativa, Angelina Jolie potrebbe adottarmi. Mi piacerebbe vedere una partita della Nazionale seduto in panchina. Potrei incontrare Veltroni? E Putin? (Camillo Sabatini, Terni). Posso aiutarti senz’altro, a parte la cena con Diletta Leotta. A quanto pare c’è la fila. Dirai: “Ma io ho il cancro!” Lo dicono tutti.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

Renzi chiederà anche a Draghi il ponte sullo stretto?

Bello Draghi, bello Mattarella, bello il senso di responsabilità, bello bello bello tutto. Ma c’è un conticino che non torna, un tarlo che ci rode, per non dire un’aporia, in cui tutta questa storia edificante cade fatalmente. La seguente: ma ora, in vista della formazione dello stupendo governo Draghi, Renzi porrà a Draghi medesimo le stesse condizioni che aveva posto per il Conte-ter? Le stesse che hanno indotto i presenti al tavolo presieduto da Fico a non verbalizzare il non verbalizzabile no a tutto con, in più, l’ingiunzione, a metà tra il taglieggiamento e la trance

agonistica, di inserire in ruoli apicali i suoi amici-iniziati, dopo averne fatti dimettere tre? Le stesse senza le quali il Recovery Fund

sarebbe andato perso, nessun vaccino sarebbe stato efficace e il governo ci avrebbe fatto morire tutti? Insomma, costui che oggi si atteggia a Cesare Borgia, col bordone della stampa e degli amichetti di Twitter, s’impunterà anche con Draghi sui “contenuti” ai quali tanto tiene (compreso il Ponte sullo Stretto) o rinuncerà alla sua “battaglia di idee” perché quel che farà Draghi, l’uomo che cammina a due metri da terra, sarà buono a prescindere, dimostrando così quel che noi sosteniamo da tempo, ovvero che le ragioni che lo muovevano contro Conte, Pd, M5S e Leu erano (a ben pensare, e volendo escludere i conflitti d’interesse cui la sua condotta di conferenziere filo-saudita lo espone) esclusivamente di carattere personale, biliare, ghiandolare, e comunque di natura tutt’altro che politica?

E, al di là delle sue fregole prive di merito, davvero un personaggio così fasullo verrà premiato in un eventuale esecutivo Draghi, invece che messo definitivamente nell’angolo – in attesa della sua sparizione decretata dagli elettori – quale guastatore seriale e pericolo per le Istituzioni?

Grazie Giuseppe: stile e onore nel suo saluto

Non conoscevo Giuseppe Conte ma quando, nel novembre del 2019 lo vidi nei tg andare incontro agli operai dell’Ilva di Taranto – giustamente agitati per la irrisolta crisi della fabbrica e prostrati dalla paura di perdere il lavoro – ne fui colpito. Poiché è abbastanza raro vedere un presidente del Consiglio che invece di rifugiarsi dentro un’auto blu e dileguarsi decideva di assumersi le proprie responsabilità di governo e di accettare un confronto che nell’occasione fu molto duro.

Quando, il 9 marzo 2020, nella notte più lunga della Repubblica, Giuseppe Conte annunciò il lockdown

a un Paese smarrito e angosciato dall’aggressione del Covid-19 lo immaginai con l’animo in subbuglio mentre era costretto a prendere una decisione che non aveva precedenti. Con la propria firma in calce a un decreto che, come gravità, equivaleva alla dichiarazione di una guerra. Quando, nell’estate dello stesso anno, ottenne da Bruxelles i famosi 209 miliardi per l’Italia, il salvagente a cui aggrapparsi per evitare il naufragio definitivo di una nazione, mi domandai come avesse fatto a vincere la resistenza dei cosiddetti Paesi frugali che ci vedono come degli scrocconi perennemente col cappello in mano. Però c’era riuscito. Ieri, infine, quando è uscito dal portone di palazzo Chigi per congedarsi e augurare buon lavoro a Mario Draghi ho provato gratitudine per un signore che nel paesaggio di macerie frutto dell’opera del noto sfasciacarrozze (e dei sabotatori associati) si preoccupava di assicurare un sereno passaggio di consegne, nel pieno rispetto dei cittadini e delle istituzioni. Ciò non significa, ovviamente, che nella esperienza di premier Giuseppe Conte non abbia commesso errori. L’estate del liberi tutti che ha creato le condizioni per la catastrofica seconda ondata della pandemia avrebbe dovuto essere gestita certamente con maggiore prudenza. E se avessi potuto lo avrei messo in guardia dal reclutare i famosi responsabili o volenterosi, non perché non fosse legittimo allargare il consenso parlamentare al governo quanto per l’inclinazione diciamo così mercantile di certi personaggi di cui si era fidato. Adesso però, per quel che conta, desidero ringraziarlo per come si è comportato nell’esercizio delle sue funzioni, e in momenti particolarmente difficili per noi tutti. Da uomo. Con disciplina e onore.

Creazzo a processo davanti al Csm

Saranno fissate settimana prossima dal vice presidente del Csm David Ermini, che è presidente della sezione disciplinare, le date dei processi al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e Alessia Sinatra, pm di Palermo, messi sotto accusa dalla procura generale della Cassazione separatamente ma per fatti speculari. Creazzo è stato accusato dalla collega di pesanti avance in un corridoio di un hotel romano durante un congresso del 2015. Sinatra finisce sotto processo disciplinare perché, secondo l’accusa, quando in una chat con Luca Palamara, suo amico, gli disse che quel “porco di Creazzo” non doveva diventare procuratore di Roma, stava cercando di farsi giustizia da sola. Ieri, a poche ore dalla pubblicazione sul Fatto e altri quotidiani, dell’incolpazione inflitta a Sinatra, la Procura generale della Cassazione guidata da Giovanni Salvi ha fatto sapere che il 2 dicembre 2020 la Procura generale ha esercitato l’azione disciplinare nei confronti di Creazzo proprio a seguito delle accuse a lui rivolte da Sinatra in sede di interrogatorio disciplinare e poi sottoposte a verifica attraverso attività di indagine.

Il 25 gennaio 2021 è stato chiesto il giudizio al Csm. Dal canto suo Creazzo, sentito dalla procura generale, ha respinto l’accusa di aver molestato la collega. “La Sezione disciplinare – si legge nel comunicato della procura generale della Cassazione – potrà valutare le deduzioni addotte dal magistrato a sua discolpa”. Su Sinatra la procura generale ha precisato che “la contestazione è relativa all’uso improprio di quei fatti – il riferimento è alle chat con Palamara, ndr – al fine di ricercare una privata giustizia, come dalla stessa rappresentato. Valuterà la Sezione disciplinare se ciò costituisca condotta scorretta e possa considerarsi giustificata dagli aspetti personali coinvolti”.

Il difensore di Sinatra, il professor Mario Serio, non condivide affatto: “La procura generale sembra considerare che la partita possa ritenersi chiusa in pareggio con due distinte incolpazioni. È evidente che si tratta di posizioni sideralmente distanti l’una dall’altra. Amareggia che si dica che la dottoressa Sinatra abbia inteso perpetrare una sorta di giustizia privata. Ha solo detto che si trattava di un privato colloquio (con Palamara, ndr) nel quale risaltava la propria amarezza e il proprio rammarico. Non ha mai inteso interferire con l’attività del Csm, né avrebbe potuto farlo, parlando con un estraneo al Consiglio superiore, una persona con cui aveva grande confidenza e una delle prime a cui nel passato aveva comunicato l’episodio”.

E ancora: “Chiederemo alla Sezione disciplinare una trattazione particolarmente accelerata del procedimento, date le conseguenze gravemente negative sul piano psicologico e materiale che lo stesso comporta, e l’ammissione di un teste fondamentale che era stato inizialmente citato dalla procura generale e poi mai sentito, che potrà testimoniare sulla gravità del disagio psicologico subito da Sinatra”. “Avrei preferito non essere creduta, piuttosto che si ipotizzasse che possa avere utilizzato quell’episodio per alterare le istituzioni e ottenere una giustizia riparativa alla quale ho rinunciato in maniera sofferta – ha dichiarato Sinatra – Il mio dolore non è quantificabile e non avrebbe trovato soddisfazione né nella sconfitta di chiunque né nella vittoria di altri”.

“Terreni e uva da vendere” L’ultimo affare del “Siccu”

Un “lucroso settore economico delle transazioni per la vendita di uva” nel territorio agrigentino. L’ultimo affare di Matteo Messina Denaro e dei suoi uomini potrebbe avere una collocazione precisa. Nelle terre che ricadono sotto il controllo di Calogero “Lillo” Di Caro, uomo d’onore legato a “u Siccu” e scelto a guidare il mandamento di Canicattì, di cui fanno parte anche le famiglie mafiose di Ravanusa, Campobello di Licata e Licata. Un’area geografica ricca che ha sempre vissuto della coltivazione di terre e vigneti, e che in passato è stata lo snodo delle comunicazioni del padrino Bernardo Provenzano.

Su quello che gli investigatori sospettano essere uno degli ultimi affari dei Messina Denaro ora indaga la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, coordinata dall’aggiunto Paolo Guido insieme agli uomini del Ros, che dopo gli arresti dello scorso 2 febbraio di 22 persone, tra cui il boss Di Caro per associazione mafiosa, sta continuando a scavare per capire le manovre degli uomini del boss latitante. Di Caro, si legge negli atti, aveva “selezionato sul mercato un proprio mediatore”, un “sensale”, al quale “tutti gli imprenditori della zona avrebbero dovuto rivolgersi per la commercializzazione dell’uva e in generale dei prodotti ortofrutticoli”.

Al “sensale” sarebbe spettato tra “l’1 ed il 3% del valore complessivo delle singole transazioni”. E così in un colpo solo i mafiosi riempivano le loro casse “senza ricorrere ad attività più pericolose”, come il traffico di droga e tenendo in pugno un settore “commerciale ed economico dei territori ricadenti nella provincia agrigentina”.

Dalle indagini della Procura di Palermo emergono molti dettagli di questo affare. A cominciare dall’ordine del capo mandamento Di Caro di comporre un “triumvirato”, che si sarebbe diviso i proventi. A formarlo sarebbero stati: il capo mafia di Ravanusa Luigi Boncori e gli uomini d’onore Giancarlo Buggea e Giuseppe Giuliana. Tutti arrestati per mafia il 2 febbraio.

“Dobbiamo essere uno per tutti, ognuno però deve avere il suo sensale, io ho il mio, tu ne prendi uno”, spiega Boncori a Giuliana. In un altro dialogo, Giuliana riferirà che il suo uomo ha “comprato 15 migliaia di vigne, nella provincia di Caltanissetta”. Gli interlocutori parlano pure della “grande rimuneratività” del settore, dove “una singola transazione può raggiungere anche il valore di 500 mila euro”.

Gli affari sembrano andare a gonfie vele, finché sorge un problema. Anche gli “stiddari”, il gruppo mafioso parallelo a Cosa nostra guidato da Antonio Gallea, in licenza premio nonostante l’ergastolo come mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, e Santo Gioacchino Rinallo, tornato in semilibertà, ha messo gli occhi sulle vigne. “Il Lungo (Buggea, ndr) c’ha quell’amico suo, che gli ha comprato due vigne grosse, una è stata 270 mila euro, hai capito o no? Otto vigne gliele ha comprate”, dicono due “stiddari” intercettati.

Alcuni vigneti degli uomini d’onore vengono danneggiati. “Abbìano (buttano, ndr) le vigne a terra e poi, perché finisce a bordello! Se loro fanno in una parte, dentro un sensale nostro, e gli abbìano la vigna a terra, poi a noi tocca abbìare le vigne a loro”, dice Boncori a Buggea.

Nonostante i vecchi attriti tra “stiddari” e Di Caro, che in passato ha subito attentati proprio dagli uomini di Gallea, tra i due apparati mafiosi vige rispetto. La pax mafiosa è stipulata in un summit nello studio dell’avvocatessa Angela Porcello, arrestata il 2 febbraio, dove Buggea riceve gli “stiddari”.

Adulato dagli uomini di Gallea, ingolosito dai proventi del settore economico e dalla brama di potere, Buggea inizia a tramare contro Di Caro, per scalzare il vecchio padrino. L’ultima parola però spetta sempre a Messina Denaro, come si evince dalla conversazione tra Buggea e lo “stiddaro” Antonino Chiazza: “Noi altri con Matteo glielo dovremmo dire, ci volevano altri due che ci andavano”. Le voci dell’inadeguatezza di Di Caro erano arrivate all’orecchio del capo dei capi. “Me lo hanno detto…, dice che c’erano chiacchiere con Matteo Messina Denaro, dice che non vuole”, dice Buggea.

Willy, i Bianchi accusati di omicidio volontario “Sferrarono colpi sapendo di poter uccidere”

Sapevano che lo stavano uccidendo. Infierendo sul suo corpo “esile” e “inerme” mentre era già a terra. Steso poco prima da un violento colpo di Mma chiamato ‘Shutouchi’. Una mossa che, secondo i consulenti dei magistrati, è “idonea ad uccidere”. Per la Procura di Velletri, quello di Willy Monteiro Duarte non è più un omicidio preterintenzionale, bensì un omicidio volontario aggravato dai futili motivi. La nuova accusa formulata dagli inquirenti riguarda Marco Bianchi, Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Stefano Belleggia, i quattro principali indagati per l’uccisione del 21enne di Paliano, avvenuta in strada a Colleferro, in provincia di Roma, nella notte fra il 5 e il 6 settembre 2020. Monteiro Duarte, secondo il medico legale, è morto per “un grave politraumatismo a livello cranico-toracico ed addominale con conseguente insufficienza cardiorespiratoria ed arresto cardiocircolatorio”. Ai giovani, tutti fra i 23 e i 26 anni, ieri mattina è stata notificata una nuova ordinanza di custodia cautelare, che non modifica i provvedimenti sin qui adottati – erano già in carcere, tranne Belleggia che si trovava agli arresti domiciliari – ma porta a un nuovo interrogatorio di garanzia che si svolgerà questa mattina. Entro febbraio, poi, è prevista la conclusione delle indagini.

Determinante il lavoro dei carabinieri di Colleferro. Tre i principali elementi che hanno portato al salto di qualità nell’inchiesta. Innanzitutto la perizia tecnica sulle arti marziali e sull’Mma, disciplina di cui i fratelli Bianchi sono esperti. Nella relazione depositata il 28 dicembre scorso, il consulente della Procura spiega che “la lesione riportata al collo può essere assimilata al colpo ‘Shutouchi” che prevede la torsione della mano ed il colpo di taglio”, una mossa “idonea a uccidere come anche i colpi sferrati all’altezza del torace”. Inoltre “la sproporzione tra la fisicità degli aggressori e quella della vittima evidenzia ancora di più la consapevolezza dell’idoneità dei colpi a produrre lesioni mortali”. Poi ci sono le conversazioni intercettate. Il 22 settembre Pincarelli parla con il padre e in dialetto gli dice: “Gli so tirato quando steva da per terra a chiglio, me c’hanno fatto cascà sopre”. A quel punto il genitore lo riprende: “Zitto! – gli intima –. Tu si cascato, basta, tu solo con l’avvocato devi parlà”. A pesare sulla posizione di Belleggia, infine, le dichiarazioni rese ai carabinieri da Tondinelli, “dei tre amici dei Bianchi l’unico a non essersi mostrato inattendibile” e il “rinvenimento sulla scarpa destra dell’indagato di tracce biologiche”.