Il Fatto non può sapere chi tra i due – il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, che ha smentito categoricamente nelle sedi opportune, e la procuratrice della Dda di Trapani Alessia Sinatra – dica il vero, il falso oppure ingigantisca o sminuisca l’episodio che leggerete nelle prossime righe. Il dato a dir poco surreale riguarda però l’atto di incolpazione che la Procura generale della Cassazione ha depositato alla pm siciliana. L’antefatto: nelle chat sequestrate a Luca Palamara, durante l’inchiesta che oggi lo vede imputato per corruzione nell’esercizio della funzione, condotta dalla Procura di Perugia, sono state rinvenute alcune conversazioni tra l’ex presidente dell’Anm e Sinatra. Conversazioni nelle quali Sinatra, nei giorni in cui Creazzo correva per la Procura di Roma, lo definiva con appellativi molto duri – “porco” – per un episodio a suo dire avvenuto in un corridoio durante un convegno nel 2015. Queste conversazioni le sono costate un’incolpazione perché, secondo la Procura generale della Cassazione, Sinatra avrebbe violato i suoi doveri di correttezza ed equilibrio. Il suo è stato ritenuto un comportamento gravemente scorretto nei riguardi di Creazzo, che aveva presentato domanda per guidare la procura di Roma (e ancora aspira all’incarico avendo presentato ricorso) perché avrebbe coinvolto Palamara in una “missione”: condizionare in senso negativo i consiglieri del Csm che avrebbero dovuto poi valutarne la posizione. La sconfitta di Creazzo avrebbe costituito per lei una sorta di rivincita morale. Rispetto a cosa? Al fatto che, scrive la Procura generale della Cassazione, Creazzo “nel dicembre 2015 aveva posto in essere nei suoi confronti una condotta abusante e in violazione della sua sfera di libertà sessuale”.
Sul presunto episodio, consumato durante nel corridoio di un hotel romano, la procura generale non si esprime in termini dubitativi, né lo smentisce, ma pare dar credito alla versione di Sinatra. Ed è questo il punto. Precisiamo ulteriormente che Sinatra – è stata una sua decisione, che non sta a noi giudicare – dal 2015 a oggi non ha mai presentato querela e che il fascicolo penale nato dalle chat, a maggior ragione per l’assenza di una querela, ha visto Creazzo ottenere un’archiviazione. Non c’è alcun atto quindi che attribuisca veridicità al racconto di Sinatra, se non le poche righe scritte proprio dalla procura generale. Ma allora: se viene dato per accaduto il fatto, come pare dalla lettura dell’incolpazione, di cosa s’è macchiata Sinatra? Si trattava infatti di una chat privata, dell’interlocuzione con un amico, certamente influente, ma ritenuta in quel momento, e da entrambi, destinata esclusivamente alla personale e riservata corrispondenza. “L’amarezza – ci spiega Sinatra – deriva dal percepire che si sia creduto al ‘fatto’ (in quanto documentato e riscontrato) e non alla ‘sofferenza’ profonda e persistente che ne è derivata. Quasi a voler negare il diritto a manifestare quella ‘sofferenza’, pur nella riservatezza di una comunicazione esclusiva e privata, nella quale toni, espressioni e valutazioni avrebbero dovuto rigorosamente rimanere confinati. La lettura della privatissima rappresentazione della ‘sofferenza’ avrebbe, invero e correttamente, dovuto orientare verso il massimo rispetto della dignità violata della persona. Che risulta oggi paradossalmente incolpata per aver recato grave pregiudizio a chi del ‘fatto’ è stato l’autore. In queste condizioni, una donna si sente ‘violata’ per la seconda volta. Ed è quanto di più doloroso e mortificante possa essere riservato alla vittima di un abuso sessuale”.