Mail box

 

Un commento ironico allo show d’Arabia

Reduce dai successi in Arabia “esaudita”, ladies and gentlemen, Matteo Renzi!

Luigi Coppola

 

Venti centesimi in più per sostenere “il Fatto”

Volevo suggerire di portare il prezzo del Fatto a 2 euro. Io, come molti altri lettori, compriamo e leggiamo il quotidiano indipendentemente dal suo prezzo. Venti centesimi non comportano nessun aggravio di spesa ai lettori, ma 20 centesimi, per tutte le copie vendute, offrono sicuramente un ristoro maggiore a tutta la redazione.

Mario D’Alessio

 

“Prima Pagina” con Oliva è stata una garanzia

Vi scrivo per dichiararvi che anch’io sono al vostro fianco e in più per esprimere il mio entusiastico apprezzamento per come la bravissima vicedirettrice Maddalena Oliva ha condotto la settimana di Prima Pagina su Radio 3. Ho la conferma di essermi affidato a una squadra davvero eccezionale, vi ringrazio e vi garantisco il mio sostegno.

Livio Pilat

 

Complimenti Caselli per l’analisi su Bonafede

Mirabile l’articolo di Caselli sui meriti di Bonafede, soprattutto in riferimento alla prescrizione, un insulso cavillo leguleio che piace tanto a imbecilli e a furbastri in malafede.

Piero Angius

 

Nomi ad hoc al governo: gli affari di Confindustria

Confindustria vuole il suo governo e detta i nomi di chi resta e di chi subentra: Gualtieri sì perché ha portato i soldi; Conte deve trovarsi un altro lavoro. Il piano fatto da Gualtieri deve essere rifatto a uso e consumo di Confindustria. Questi bulli sono classe dirigente che ignora la Costituzione e contribuisce alla deriva economica e sociale del Paese.

Salvatore Giallongo

 

L’acronimo più adatto per il nostro “Pinocchio”

Vi scrivo permettendomi di dare uno spunto: indicare il Lawrence d’Arabia di Rignano in questo momento storico come il Woat, che è il contrario dell’acronimo Goat, “il più grande di tutti i tempi”: “Worst of all time” caratterizzerebbe alla perfezione questo ometto.

Paolo Cingolani

 

La furbizia in sé non è una qualità

Vorrei manifestare il mio disappunto per l’abitudine di definire Renzi capace e intelligente. Qualcuno una volta ha detto: “Stupido è chi danneggia se stesso e gli altri; intelligente chi genera vantaggi agli altri e a se stesso; furbo chi cerca di avvantaggiare se stesso a scapito degli altri”. L’essere furbo non denota affatto alcuna qualità, semplicemente indica chi è privo di scrupoli, ed è ciò che lo pone in vantaggio rispetto a chi, almeno qualche scrupolo, ce l’ha.

Giuseppe Cacopardo

 

Condivido il contributo di Fini sulla democrazia

Ho seguito con attenzione le osservazioni di Massimo Fini sulla democrazia rappresentativa e non posso non trovarmi d’accordo: se un gambler spregiudicato che rappresenta il 2% e che nella vita di tutti i giorni verrebbe buttato fuori a calci nel sedere anche da una assemblea di condominio, con invito a cambiare subito residenza, può tenere sotto schiaffo un intero Paese, allora qualcosa non funziona o non ha mai funzionato. E se un Parlamento intero che rappresenta milioni di singoli individui non riesce a produrre una legge elettorale che non consenta tale aberrazione, allora il guasto sarebbe ancora più grande.

Raimondo Gerthoux

 

L’Innominabile ha leso pure la dignità femminile

Molte cose non sono chiare in questa tragicomica crisi di governo, ma una in particolare mi risulta ancora più stramba: perché l’Innominabile si ostini a ledere la dignità e l’integrità di persone che, almeno nominalmente, ne condividono l’appartenenza politica. Dopo la sfacciata prostrazione ai piedi di Mohammed bin Salman, mi chiedo come possa sentirsi l’on. Bellanova, così come gli amici e i parenti che in lei conoscevano una strenua combattente per i diritti proprio di quei lavoratori umili e derelitti, spesso immigrati, sempre sfruttati. Mi chiedo quale panacea potrà mai offrire l’ex ministro delle Pari Opportunità, l’on. Bonetti, a giustificazione dell’indecoroso show offerto dal suo capopartito dinanzi a colui per il quale le suddite femmine non hanno pari dignità dei sudditi maschi.

Daniele Di Paolo

 

L’eclissi della sinistra secondo Michele Serra

Michele Serra su Repubblica (leggo il titolo e già mi basterebbe: “Pd, Zingaretti e i radical chic”): “Ma dove sono finite le parole di sinistra? Molte di quelle vecchie sono state ingoiate dalla storia. Sono i termini nuovi che difettano”. Ma no, che sbadato! Le nuove parole di sinistra non mancano, basta aprire il giornale e il settimanale su cui scrive: liberismo, Confindustria, Calenda, Renzi, licenziare facile, niente sussidi ai poveracci. E su tutte, la più nuova: Fiat. Anzi, Fca. Anzi, Stellantis.

Riccardo Giagni

Scuola. Per le lezioni serali servirebbe il doppio di personale, docente e non

Gentile redazione, si continua a parlare della scuola su come evitare il rischio contagi, ma mi domando: in Italia milioni di persone della mia generazione sono cresciute frequentando la scuola serale, perché non suddividere gli studenti delle superiori in più turni, anche nel tardo pomeriggio? Al mattino studio, nel primo pomeriggio si disinfettano gli ambienti e indicativamente fra le 15.00 e le 16.00 si entra a scuola fino alle 21/22: che problema ci sarebbe? Gli insegnanti si divideranno gli orari fra mattina e pomeriggio, così da evitare la didattica a distanza… C’è la pandemia e una soluzione va trovata: certo non sarà facile, ma perché non provarci? Ci sono tanti cervelloni: che studino una soluzione! Noi siamo cresciuti lavorando e studiando di sera: dalle 8.00 alle 17.30 lavoro e alle 19.00 pronti per la scuola. Abbiamo fatto grande questo Paese: mi rendo conto che non è facile, ma quest’anno la musica è questa.

Amerigo Turchetto

 

Soldi. Molti, moltissimi soldi: questo servirebbe per poter sviluppare la sua idea insieme a lunghe e complesse trattative sindacali. Immagini che da un giorno all’altro un datore di lavoro comunichi ai suoi dipendenti abituati a un certo orario, continuato e regolare (quello oltretutto previsto quando hanno firmato il contratto), che dovranno lavorare due ore al mattino, una al pomeriggio e due alla sera: come la prenderebbero? E soprattutto, sarebbe giusto? Questo è ciò che si troverebbero a fare gli insegnanti (e c’è da dire che la maggior parte lo fa già da tempo, con la Dad, senza lamentarsi), ciò che dovrebbero trattare i sindacati. Servirebbe poi riorganizzare il personale nelle strutture, quello in amministrazione, vigilare ancor più che durante il giorno. Bisognerebbe stravolgere il sistema. Ha ragione a dire che si può fare se lo si vuole. Tutto è possibile, ma non tutto è immediato. Servirebbero più docenti per organizzare i turni di cui parla (gli insegnanti lavorano a ore, non a quantità di alunni) e più personale, dunque più concorsi. O si dovrebbero raddoppiare gli stipendi dei docenti, ammesso che accettino un simile orario. È lo stesso principio dell’abolizione delle classi pollaio: si può fare, ma c’è bisogno di raddoppiare tutto. Non c’è tempo, né voglia imminente di una rivoluzione lunga per quanto essenziale.

Virginia Della Sala

Continua la soap della Lombardia: tocca a Bertolaso

Amici lombardi, concittadini, ex compagni di sventura: i nostri problemi sono finiti! Come in tutte le soap opera che si rispettino, è tornato uno dei personaggi più amati: Guido Bertolaso, ri-nominato dal presidente Attilio Fontana e dalla sua vice Letizia Moratti consulente del presidente questa volta “per l’attuazione e il coordinamento del piano vaccinale Covid-19 della Regione”. Ieri il primo annuncio del divo Guido: “Vaccineremo 10 milioni di Lombardi entro la fine di giugno”, quando forse saremo tutti vaccinati per l’influenza. Poi sarà tre volte Natale e festa tutti i giorni. Come ricorderete per la Lombardia le relazioni pericolose con Bertolaso sono un grande ritorno: durante la prima ondata è stato lui il deus ex machina del reparto di rianimazione per pazienti Covid nei padiglioni della Fiera di Milano. Opera di cui va inspiegabilmente orgoglioso (“Ho costruito un’astronave”) anche se si è rivelata un clamoroso buco nell’acqua: sono stati spesi 21 milioni e ricoverati pochissimi pazienti. Perché? Molti medici avevano spiegato, da subito, che un reparto di rianimazione non può essere svincolato da una struttura ospedaliera e che sarebbe stato difficile trovare il personale necessario senza svuotare altre strutture.

Alla fine della fiera, è il caso di dirlo, più di un donatore che la scorsa primavera aveva generosamente finanziato l’ospedale in Fiera, ha addirittura chiesto indietro quanto elargito. Ma l’attivissimo pensionato, pluriconsulente di diverse Regioni, si era assolto così: “Se gli astronauti chiamati a pilotarla non sono stati capaci, la colpa è di chi li ha scelti”. Cioè del presidente Fontana. Che però deve aver superato lo sgarbo perché ieri, alla presentazione del palinsento vaccinale, lo ha accolto come una star: “Sono orgoglioso di questa nomina, abbiamo bisogno di grande capacità e di efficienza, della professionalità di chi ci sa dare sicurezza. Bertolaso lo ha dimostrato in tutta la sua vita e lo farà anche in questo caso qui, in Regione Lombardia”. E Moratti: “Ho avuto l’onore di lavorare con lui in precedenza e ho sempre visto determinazione, correttezza e precisione nonostante si trovasse a gestire situazioni di emergenza”. Che per un commissario all’emergenza, come è stato Bertolaso (praticamente a tutto: terremoto, rifiuti, vulcani, incendi) dovrebbe un po’ essere la normalità, ma pazienza.

Comunque noi lombardi non siamo gli unici fortunati. Siccome non bastava una sola astronave, Bertolaso ne ha fatta un’altra a Civitanova Marche. Ai primi di dicembre aveva rivendicato su Facebook l’importanza delle sue “installazioni” nella lotta alla pandemia: “I Covid hospital della Fiera di Milano e di Civitanova Marche sono pieni da settimane (purtroppo), ma erano inutili, giusto?”. Ora, stando ai dati pubblicati all’epoca dal Fatto, giovedì 3 dicembre nell’Astronave di Milano erano ricoverati 72 pazienti in terapia intensiva (su 822 totali della Lombardia). Struttura piena? Sì, ma solo perché i posti letto sono stati, dai primi annunci, letteralmente decimati. Quando fu presentato il progetto si parlò di 400 letti, scesi poi a 300, quindi a 221, infine a 102, poi 72. L’astronavina delle Marche (costata “solo” 11 milioni) il 3 dicembre aveva 20 ricoverati in terapia intensiva, 28 in sub-intensiva (su 62 totali). Va detto che Bertolaso l’altra volta aveva lavorato per la simbolica cifra di un euro: “Stavolta ho deciso di abbassarmi ancora lo stipendio: da un euro a zero. Questo è un incarico che si fa volontariamente e solo perché è una missione importante”. Se la matematica non è un’opinione e c’è una correlazione tra lo stipendio e i risultati, stiamo freschi.

 

Ultimi ricatti. Scalfarotto re del Belgio, Meb a Fiume e Bellanova a Versailles

Con i retroscena più veloci dei retroscenisti, la crisi di governo in atto, innescata dal teorico del Rinascimento Saudita, presenta aspetti interessanti in ogni campo, non escluso quello della psichiatria. Il ruolo centrale di un partito che non si è mai presentato alle elezioni, accreditato nei sondaggi del voto dei parenti stretti (non tutti, a giudicare dalle percentuali) e i cui rappresentanti sono stati eletti dal Pd (lui compreso), dimostra l’eterna validità di un assunto ormai centenario. In teatro, a chi disturbava dalla galleria, Petrolini diceva apertis verbis: “Io non ce l’ho con te ma con chi non ti butta di sotto”. Ecco, questo per dire che cedere a un ricatto è il modo migliore, praticamente sicuro, di subire il prossimo ricatto, e poi il prossimo, e poi il prossimo, eccetera eccetera. Ma veniamo al dettaglio degli avvenimenti, che si susseguono a velocità sostenuta.

Ore 8.15: Renzi chiede il ministero dell’Economia, quello della Giustizia, Trasporti e Lavori pubblici; poi Inps, servizi segreti, l’abbonamento a Sky per due anni, quindici punti in più per la Fiorentina e due aeroporti a Firenze, Nord e Sud, con Nardella controllore di volo.

Ore 9.25: “Irresponsabile chiusura dei partiti avversari”. Così Renzi commenta il titubante no alle sue richieste. In un comizio al Quirinale, ormai trasformato in Leopolda per i suoi show, aggiunge all’elenco 46.000 km quadrati in Mongolia da affidare a Rosato, la comproprietà di Cristiano Ronaldo, una Bentley decappottabile, Fiume italiana con governatore Maria Elena Boschi. Tutto naturalmente per il bene dei nostri figli, per i quali già costruì con le sue mani “mille asili in mille giorni”.

Ore 10.40: “Sconvolto dai veti”, Matteo Renzi apre alla trattativa e concede qualcosa: i km quadrati di Mongolia per Rosato scendono a 30.000, ma è un cedimento che va bilanciato con due miniere di diamanti in Sudafrica e la reggia di Versailles in comodato d’uso per dieci anni a Teresa Bellanova, perché una che ha fatto la bracciante merita di spassarsela un po’ nel lusso, oltre alla soddisfazione di gettare qualche brioche dal balcone.

Ore 12.45: Nuova coraggiosa proposta di Italia Viva: Scalfarotto re del Belgio.

Ore 14.50: Le trattative proseguono a ritmo serrato. Viste le titubanze delle controparti, Renzi decide per il rilancio: il Reddito di cittadinanza può restare in vigore, ma solo per chi ha donato qualcosa alla fondazione Open. Nell’ambito di un ridisegno della politica estera, pretende invece l’annessione di Nizza e Savoia, la Corsica, la Libia e altre nomine all’Eni, dove ha già piazzato gente che non distingue un idrocarburo da un cucciolo di koala.

Ore 16.20: Matteo Renzi concentra la battaglia sul ministero dei Lavori pubblici, perché le infrastrutture sono un bene inestimabile per i nostri figli e nipoti, a cui va costantemente il suo pensiero. Tra i progetti più interessanti, un’avveniristica illuminazione a led per gli ospedali e le scuole dello Yemen, in modo da permettere agli amici sauditi di bombardarle con più agio, senza sprecare preziose bombe italiane la cui fornitura è stata colpevolmente interrotta dal governo Conte.

18.15: Inaspettato rilancio: Scalfarotto imperatore della Turingia.

20.10: Riprendono gli incontri al Quirinale, dove Renzi si presenta con un venditore Tecnocasa e prende appunti: bisognerà abbattere dei tramezzi, rifare gli infissi e acquistare nuovi arazzi.

21.00: Spiace ripetersi, ma tocca farlo: io non ce l’ho con te, ma con chi non ti butta di sotto.

 

Trattativa Stato-Renzi: le ultime richieste Iv

Si è chiusa la trattativa Stato-Italia Viva. Ieri Renzi per bocca dei suoi capigruppo ha presentato la lista delle sue condizioni da mettere per iscritto al tavolo presieduto da Roberto Fico, lista che il Fatto è in grado di rivelare.
Depenalizzazione dei reati di traffico di influenze, bancarotta fraudolenta e finanziamento illecito, retroattiva e con effetto immediato. Legge elettorale con soglia di sbarramento allo 0,7%. Esilio di Conte in Qatar, presso l’emiro Tamim al-Thani, a cui si regala anche Alitalia; in alternativa, sua messa ai lavori forzati di didattica a distanza a Novoli. Ponte aereo Pontassieve-Riyad con velivoli full optional a disposizione per tutti i cittadini che siedono nel board del FII (Future Investment Iniziative Istitute). Giustizia: introduzione della quota “G” come garantismo: al governo dovrà esserci almeno un indagato o un condannato in primo grado. Sostituzione nei tribunali italiani della scritta “La legge è uguale per tutti” con la scritta “Il tempo è galantuomo”.

Riduzione della prescrizione a 1 anno: che i magistrati si sbrighino; viceversa, caduta di tutti i processi, tranne di quelli civili e penali intentati da Renzi o suoi adepti contro i giornalisti (imprescrivibili). Rieducazione dei giornalisti condannati nel consolato saudita di Istanbul. Chiusura ex lege del Fatto Quotidiano. Intervista obbligatoria nei giorni dispari a un esponente di Italia Viva sugli altri giornali (legge che in realtà già vige, non scritta). Boschi alla Difesa, con disponibilità di spesa illimitata per F-35 e Airbus A340-500 e vendita di armi all’Arabia Saudita. In alternativa, poiché Iv non è interessata alle poltrone, Boschi alle Infrastrutture, o ai Trasporti, o allo Sviluppo Economico. Davide Serra all’Economia (se Mario Draghi indisponibile). Gemellaggio culturale con le isole Cayman. Delega ai Servizi Segreti a Marco Carrai; cybersecurity all’account Twitter farfalllina78#ItaliaViva. Delega all’editoria a Flavio Briatore. Via reddito di cittadinanza: disoccupati e incapienti dai 15 anni in su saranno impiegati nella costruzione del Ponte sullo Stretto. Sussidi a pioggia e scudo penale alle aziende che finanziano fondazioni che sono in realtà articolazioni di partito. Inasprimento del Jobs Act: fine del blocco dei licenziamenti e placet al licenziamento per simpatia. Sussidi alle aziende di consegne a domicilio, per formare una generazione di rider felici. Gogna pubblica di Domenico Arcuri in piazza della Signoria, con inoculazione di vaccino valido al 60%. Istituzione della festa nazionale “Nuovo Rinascimento”, il 31 agosto, per celebrare la nascita dell’augusto principe Mohammed bin Salman. Revoca dello Stato d’emergenza e fine di tutti i lockdown e zone rosse: ce lo chiedono i morti di Covid, desiderosi di riabbracciare presto i loro cari. Mes a qualsiasi condizione: ce lo chiedono i nostri figli e nipoti, desiderosi di indebitarsi a vita. Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca a Teresa Bellanova. Via Tridico dall’Inps; al suo posto, Antonella Manzione o Catello Vitiello. Abolizione delle Soprintendenze e ipoteca sui monumenti di Firenze a favore del Future Investment Iniziative Istitute di Riyad. Donazione sine die delle cave di marmo di Carrara alla stirpe Saud. Abolizione del diritto di sciopero senza previa autorizzazione di Ettore Rosato. Fisco: semi-flat tax con aliquota decrescente per fasce di reddito, per incentivare i milionari a restare in Italia. Rialzo della soglia per il pagamento in contanti a 80 mila euro. Amnistia a Denis Verdini e sua nomina de plano a capo della commissione bicamerale sulle Riforme istituzionali. Campagna di sensibilizzazione a spese del governo affidata a Ivan Scalfarotto sui temi dei diritti LGBTQ vigenti nelle petromonarchie del Golfo. Bicamerale sul Recovery Fund con partecipazione di 10 esponenti di Confindustria (da qui in poi, “Tricamerale”). Sostituzione dei vertici della Sanità pubblica con manager scelti da una commissione bipartisan presieduta da Marattin e Letizia Moratti. Rettori nominati dai Cda delle maggiori aziende quotate in Borsa; rinomina delle università obsolete a seconda del brand che le sponsorizza (ad es., “Scuola Normale di Pisa” diventerà “Scuola Apple-Amazon Pisa”, “Università Federico II” diventerà “Università Tesla-Space X Napoli”, etc.). Istituzione della figura del Conferenziere di Stato presso regimi liberticidi per regolarizzare la posizione dei freelance; carica onorifica a Renzi Matteo (segue Iban). Celebrazioni del 25 aprile esclusivamente in streaming dalla Leopolda. Apertura a Livorno del “Museo del Comunismo Tony Blair”.

I migliori retroscenisti spiegano che la maggioranza non ha accettato queste minime condizioni: adesso è chiaro chi è che vuole precipitare il Paese nel caos.

(Disclaimer: articolo satirico in forza degli articoli 9, 21 e 33 della Costituzione).

Perché una tazza di tè servita per tre volte non fa lo stesso effetto

Nei giochi enigmistici, spiega Bartezzaghi (2017), un testo esposto viene trasformato dal solutore in un altro testo, attraverso una doppia lettura del materiale linguistico (sul piano dell’espressione e/o del contenuto). I meccanismi di trasformazione sono chiamati “schemi”, e agiscono sul grafema (un’unità del significante) o sul morfema (un’unità del significato). Esistono schemi a due e a tre elementi; può esserci, oppure no, un resto, cioè una asimmetria nella quantità o nella qualità (consonante/vocale) delle unità grafiche fra gli elementi pre- e post-soluzione. Il gioco linguistico può essere combinato con altri sistemi semiotici (figure, cifre). Gli schemi utilizzano le quattro operazioni metaboliche che già conosciamo (aggiunzione, sottrazione, sostituzione, permutazione).

SCHEMI GRAFEMATICI A DUE ELEMENTI: aggiunta (rete / prete, zoo / zoom), zeppa (lattante / latitante); scarto (prete / rete, zoom / zoo, latitante / lattante); anagramma (locandiera / l’ora di cena); spostamento (creta / cetra); antipodo (bifronte diretto: battello / bolletta; palindromo diretto: banana / banana; bifronte inverso: talamo / malato; palindromo inverso: diffida / diffida); cambio (rabbia / gabbia, idea / idem, ricattatore / ricettatore); scambio (marchese / maschere); frase doppia (risegmentazione: intimare l’azione / intima relazione).

SCHEMI GRAFEMATICI A TRE ELEMENTI: sciarada (nubi / lato = nubilato); sciarada incatenata (casto / toro = castoro); biscarto (della stessa lettera o dello stesso gruppo di lettere: causa / lingua = casalinga; fernet / inetta = ferita); cerniera (flauto / golf = l’autogol); lucchetto (coscia / sciatica = cotica); incastro (pini / roma = piromani); intarsio (candele / dive = candide vele); sciarada alterna (magi / regata = mareggiata); anagramma diviso (sogno / realtà = ergastolano).

SCHEMI MORFEMATICI: cambio di genere (schermo / scherma); falso accrescitivo (gallo / gallone); falso diminutivo (lato / latino); falso vezzeggiativo (stampa / stampella); falso peggiorativo (polpo / polpaccio).

La differenza fondamentale fra enigmisti e comici è psicologica, e viene rivelata da un fenomeno: l’irritazione da pun. Il pun è un gioco di parole che sfrutta l’affinità sonora e/o l’ambiguità semantica di una parola. Purtroppo attira come una calamita i pedanti, che se ne servono per dimostrare quanto sono intelligenti e spiritosi: è questo sottotesto a irritare (“Era un filosofo metafisico e metà tisico che menava spesso il Kant per l’aia”). Il pun ostentato manca di sprezzatura, l’eleganza con cui “si nasconde l’arte e si dimostra di fare e dire senza fatica e quasi senza pensarci” (Castiglione, 1528).

La questione del sottotesto, per un comico, è cruciale. Negli anni 30, durante la prima di una commedia a Broadway, il protagonista, Alfred Lunt, chiese alla co-protagonista, Lynn Fontanne, come da copione, una tazza di tè. La frase, di per sé anodina, detta in quel contesto provocò un uragano di risate e applausi. La sera seguente, Lunt ripetè la battuta, ma ottenne il gelo. Ide m la terza sera, e la quarta. Lunt non se ne capacitava. Chiese alla Fontanne (sua moglie) come mai la stessa frase, che aveva avuto successo alla prima, adesso facesse cilecca. E lei: “Perché adesso non chiedi più una tazza di tè, caro, ma una risata”.

(4. Continua)

 

Scalfarotto e l’onore di parlare dai Sauditi

Se volete associare la definizione di “imbarazzo” a una precisa espressione facciale, vi conviene recuperare la puntata di ieri di Agorà (c’è la replica su RaiPlay) e osservare il volto di Ivan Scalfarotto. Poteva uno strenuo difensore dei diritti civili e delle battaglie omosessuali come lui giustificare l’incredibile marchetta del suo segretario al regime teocratico dell’Arabia Saudita? Eccome se poteva. Incalzato dalle domande di Maria Latella sulla “intervista” di Matteo Renzi al principe Bin Salman, Scalfarotto dava l’impressione di voler sparire, trasformarsi in una sedia, in un complemento d’arredo o un qualsiasi altro oggetto inanimato. Ma invece di dire la verità o trincerarsi in un più dignitoso silenzio, ha difeso il suo indifendibile leader. È vero, dice Scalfarotto: in Italia abbiamo un “grosso problema” con il costo del lavoro, proprio come sosteneva Renzi confessando la sua “invidia” per la meravigliosa flessibilità del mercato saudita. Ed è inutile che tutti i giornalisti si coalizzino per “banalizzare” le parole di Renzi: “Un ex presidente del Consiglio italiano che va a tenere una conferenza in un altro Paese è un grande onore. E comunque è politica estera”. A gettone. Proprio come il senso di Scalfarotto per i diritti umani.

Nel social “a inviti” si parla a voce e solo se si ha il permesso

Mancava? Forse no. E se ancora non ne avete sentito parlare potrebbe essere solo questione di tempo: in questi giorni sui social network si discute fitto fitto di… un altro, nuovo, social network. Si chiama Clubhouse e vi ci sono già iscritti tutti “quelli che contano”. Questo luogo del web esclusivo è per il momento disponibile solo per chi ha un iPhone e solo se si è stati invitati da qualcuno che c’è già. È un social network per chi ama parlare e, si spera, ascoltare. Ci sono dei moderatori, dei membri e delle “stanze”. Chiunque le può aprire, stabilire il tema e cominciare a disquisire con disinvoltura. Clubhouse, infatti, si basa sulle conversazioni audio. Si entra e si esce dalle stanze e si chiacchiera proprio come a una festa. Certo, per prendere la parola bisogna alzare la mano (c’è una icona apposita) e sperare che i moderatori concedano l’intervento (circostanza che ha già sollevato diverse perplessità sul rischio di censure e discriminazioni). In alternativa, si può stare in silenzio dare il via a una festa propria in cui esercitare le regole da despota dell’eloquenza.

Come accade sempre più spesso, il fondatore di Tesla Elon Musk, catalizzatore di tendenze anche con un solo tweet e con la sua semplice presenza in una stanza, ha fatto esplodere il fenomeno a livello mediatico. Il trend di crescita però, era avviato da mesi complice la pandemia. La valutazione dell’applicazione è di un miliardo di dollari. Fondata a marzo del 2020 da due ex dipendenti di Pinterest e Google, avrebbe già raggiunto 2 milioni di iscritti e raccolto 110 milioni di dollari di investimenti, di cui una parte dalla società di venture capital Andreessen Horowitz (tra gli investitori di Facebook&C.).

Clubhouse riunisce su un’unica piattaforma la componente social network “da discussione” come Facebook e Twitter, la componente “messaggio vocale” di Whatsapp e quella “talk show” della Tv. Per molti, un incubo, per altri l’ennesima aspirazione. La piattaforma dà infatti l’illusione di poter finalmente – e letteralmente – far sentire la propria voce nel mare magnum dei social e, se si capita nelle giuste stanze, di farsi notare anche dalle “giuste persone” (sono molti i “vip” e i famosi che ne sono entrati a far parte). Se poi il sistema continuerà a essere a invito (ogni utente può tirarne dentro altri due) la sensazione di esclusività aumenterà. Al momento, esiste finanche la funzione della “lista d’attesa” in cui inserirsi nella speranza che qualcuno conceda l’accesso.

Entrati, ci si trova di fronte a una messa a sistema delle camere dell’eco tipiche di Twitter, ad esempio gli “espertoni” che si citano e sostengono e si chiamano in causa tra loro lasciando agli utenti il ruolo di spettatori o commentatori di poco conto (salvo poi ricorrervi per nutrire il piagnisteo della persecuzione social). La sensazione è di una popolarità potenziale molto più forte rispetto a qualsiasi breve commento scritto sugli altri social e di una qualità di interventi elevata. Così come però si può silenziare chi offende, non si possono però prevedere gli interventi. Delle due quindi una: o si cade nel silenziamento preventivo o si rischia che offese, diffamazioni e argomentazioni leggere circolino senza controllo. Si tenderà quindi a far parlare solo persone di cui ci si fida, anche se la policy vieta di trascrivere o registrare le conversazioni. L’ennesimo palcoscenico travestito da partecipazione.

L’azienda, si legge comunque nei termini d’uso, conserva le conversazioni – crittografate – fin quando la stanza è aperta e in caso di notifica di violazioni o di indagini. Si riserva però anche di decidere in modo discrezionale (dunque poco trasparente) come gestire la violazione delle linee guida, a partire da quelle contro le Fake News).

Poco chiara invece la privacy I termini sono evidentemente commisurati alle norme statunitensi e non fanno riferimento al regolamento europeo né al principio della cosiddetta privacy by design (progettare un prodotto già nel rispetto della tutela dei dati) se si tiene conto che per invitare un amico si deve autorizzare l’accesso alla rubrica. A Clubhouse non manca nulla: registrazione delle attività, profilazione, dialogo con le altre piattaforme se si accede con esse, comunicazione di dati a terze parti e così via. Non stupisce che in Germania siano già state chieste delucidazioni sulla conservazione dei dati e il loro uso.

 

L’ultima traccia di Messina Denaro è un vero pizzino da “Capo dei Capi”

Un pizzino scritto a mano. Un uomo legge quello che c’è scritto, annuisce e poi bisbiglia: “Messina Denaro. Iddu, la mamma del nipote che è di qua, è mia commare, hanno sequestrato tutti i telegrammi mandati dalla posta di Canicattì, per vedere, per capire”. A fare il nome del boss latitante è Giancarlo Buggea, uomo d’onore agrigentino, mentre il “nipote” di cui si parla è Girolamo Bellomo, marito di Lorenza Guttadauro, figlia della sorella del superlatitante.

Buggea è stato arrestato ieri per associazione mafiosa, insieme ad altre 21 persone, luogotenenti e referenti di Cosa Nostra. E tra questi anche Antonio Gallea, già all’ergastolo per l’omicidio del giudice Rosario Livatino, con un permesso per la semilibertà ottenuto nel 2015. Usciva dal carcere la mattina per rientrarvi la sera e in questo frangente aveva ripreso in mano le redini degli affari mafiosi ed era pronto a riorganizzare la Stidda, l’apparato parallelo di Cosa Nostra.

Le indagini della Procura di Palermo, coordinate dall’aggiunto Paolo Guido, rivelano elementi che portano a Messina Denaro (anche lui indagato). Gli uomini della Dda identificano infatti in Buggea l’uomo “in condizione di intrattenere rapporti direttamente con Matteo Messina Denaro, essendo a conoscenza della segretissima rete di comunicazione e protezione utilizzata dal capo di Cosa Nostra latitante”. Buggea però, secondo gli investigatori, non è solo l’uomo in contatto con il Siccu, è anche colui che riesce ad abbattere le barriere del 41-bis, comunicando con il padrino Giuseppe Falsone, condannato all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidio e traffico internazionale di droga. Per farlo si avvale della compagna e avvocatessa Angela Forcella, anche lei arrestata ieri con l’accusa di associazione mafiosa e falso ideologico, nel frattempo diventata legale di Falsone.

L’avvocatessa, per gli inquirenti, è il grimaldello per superare le restrizioni del 41-bis e comunicare con i boss, alcuni poi divenuti suoi clienti. Sarà Buggea ad accompagnarla da Forcella. Il primo incontro viene registrato dagli investigatori. La donna davanti a Falsone scrive qualcosa su un foglio e dice: “Io sono la compagna! (di Buggea, ndr)”. Il boss resta senza parole: “Lei mi fa un grande regalo, lo sa? Perché sono contento. A lei la vedo una cosa… non dico Cosa Nostra…”.

Falsone rappresenta la mafia vecchio stile, quella legata al capo della cupola Bernardo “Binnu” Provenzano, che lo aveva scelto per guidare le famiglie agrigentine. Dopo oltre dieci anni di latitanza, in cui si era anche sottoposto a un intervento di chirurgia plastica facciale, Falsone è arrestato a Marsiglia il 25 giugno 2010.

Con l’avvocatessa, il boss parla a ruota libera spiegandole l’importanza della mafia nella società, con la metafora del carciofo: “Quando da una zappata e tira il carciofo e non c’è più il carciofo, cosa sparano sotto? Sparano i carduna. Ogni carciofo si vede che fa 20 carduna, quando non c’è un buon senso e ragionevolezza, ognuno poi ragiona a conto suo”. I “carduna” sarebbe la microcriminalità, che senza la mafia prenderebbe il sopravvento nel territorio, e che lo Stato non sarebbe in grado di contenere. L’avvocatessa si fa da tramite per consegnare i messaggi a Buggea, che proprio nello studio legale della compagna organizza summit con referenti della mafia agrigentina. Durante gli incontri, Buggea parla ancora di Messina Denaro. “Quelli di Trapani lo sanno dov’è?”, gli domanda l’affiliato. “Lo sanno…”, dice il boss. “Con Matteo glielo dovremmo dire, ci volevano altri due che ci andavano”, dice l’interlocutore. Parlano di un affare sul quale Messina Denaro deve dare il proprio assenso.

Caso Cucchi, medici prescritti “Un fallimento della giustizia”

La prescrizione dei medici imputati per l’omicidio colposo di Stefano Cucchi è stata “un fallimento della giustizia”. Lo scrive la Corte d’assise d’appello di Roma, nel motivare la sentenza del 14 novembre 2019 che ha sancito il non luogo a procedere per i medici dell’ospedale “Sandro Pertini”, il nosocomio dove nel 2009 morì il geometra romano, sei giorni dopo l’arresto. Un’affermazione, quella dei giudici, che di fatto riprende e amplifica la requisitoria del procuratore generale Mario Remus, il quale definì la prescrizione ormai intervenuta “una sconfitta per la giustizia”. Imputati c’erano il primario del Reparto di medicina protetta Aldo Fierro, e altri tre medici: Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Stefania Corbi invece è l’unica assolta nel merito, ossia per non aver commesso il fatto. “Una sentenza oramai sostanzialmente pletorica rispetto al caso”, si legge nelle motivazioni. Ma anche “un monito severo e una occasione di riflessione per chiunque operi a contatto con i detenuti”.

Nonostante la prescrizione, i giudici nelle motivazioni entrano nel merito della vicenda e individuano le possibili responsabilità dei medici, specificate dai periti, ai quali risulta “plausibile” e “supportata dai dati scientifici disponibili” l’ipotesi che “una diversa cura (alimentazione adeguata, monitoraggio cardiaco), in particolare se messa in atto fin dai primi giorni di ricovero, avrebbe potuto evitare il decesso”, impedendo “il verificarsi dell’arresto cardiaco, o consentendo un intervento immediato al verificarsi dello stesso”. Un giudizio che deve però tenere conto della “impossibilità di fornire una valutazione precisa in merito all’entità delle probabilità di salvezza”, sottolineano i giudici”. E qui sta anche il “monito severo” richiamato dalla Corte: “I detenuti – si legge – non vanno considerati un semplice numero del procedimento, ma esseri umani, fors’anche alle volte sgradevoli, eppure sempre doverosamente meritevoli, proprio in ragione del loro stato detentivo di una attenzione anche superiore a quella dedicata a un uomo libero nella persona, la cui dignità non perdono mai, pena la regressione a tempi oscuri oramai trascorsi”. Gli argomenti con i quali i giudici della Corte d’Appello hanno motivato la propria sentenza, non sono piaciuti alla difesa dei medici prescritti, e in particolare del primario Aldo Fierro. Il suo legale, Gaetano Scalise, ha annunciato ricorso: “Si tratta di una sentenza particolare – ha detto – dove l’estensore si è soffermato lungamente sulle cause del decesso, dimenticandosi del necessario nesso di causalità tra la condotta di ogni singolo medico e l’evento”.

“La sentenza nei confronti dei medici – ha detto invece Ilaria Cucchi, sorella del geometra – ha comunque riconosciuto la multifattorialità della morte di Stefano. Senza quel violentissimo pestaggio non sarebbe mai stato ricoverato e non sarebbe morto tra atroci sofferenze”.