Discriminazione salariale nei confronti delle donne e anche verso alcune aspiranti dipendenti: Google ha accettato di pagare 2,6 milioni di dollari per sedare le accuse di ben 5.500 tra lavoratrici donne, di origine asiatica. L’accordo chiude un caso aperto quattro anni fa dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti. Secondo le indagini nel periodo compreso tra il 2014 e il 2017, Google ha pagato ingegneri donne meno di colleghi uomini con posizioni simili. Le discrepanze retributive sono state riscontrate in diversi uffici di Google: California, Seattle, Kirkland, Washington. Google prima aveva contestato le accuse definendole infondate, poi ha raggiunto l’accordo. “Crediamo che tutti dovrebbero essere pagati in base al lavoro che svolgono, non a chi sono” ha spiegato l’azienda in una nota, poi assicurando di investire molto per rendere i processi di assunzione e compensazione equi e imparziali. La società di Mountain View ha anche detto di aver condotto audit interni negli ultimi anni per affrontare eventuali disuguaglianze nella retribuzione dei suoi dipendenti. Tuttavia, l’accordo prevede che Google paghi 1,35 milioni di dollari a oltre 2.500 dei suoi ingegneri donne e altri 1,23 milioni di dollari a circa 1.700 donne asiatiche che hanno fatto domanda per lavorare come ingegnere. Inoltre, Big G. dovrà contribuire con 250mila dollari l’anno per cinque anni per creare un fondo per coprire eventuali aggiustamenti futuri. “Indipendentemente dalla complessità o dalle dimensioni della forza lavoro, rimaniamo impegnati a far rispettare le leggi sulle pari opportunità per garantire la non discriminazione e l’equità nella forza lavoro”, ha affermato Jane Suhr, che sovrintende ai programmi di conformità dei contratti federali del Dipartimento del lavoro a San Francisco. L’accordo peserà poco sui conti di Google o nella sua società madre Alphabet, che genera oltre 130 miliardi di dollari di entrate annuali ma la sensazione è che questo tipo di notizie, un po’ alla volta, sta facendo sgretolare il mito dei datori di lavoro illuminati e all’avanguardia della Silicon Valley. Il business è business e si porta dietro tutti i difetti “tradizionali” dell’ecosistema aziendale: scandali, molestie, rivendicazioni sindacali, mobbing, discriminazione e così via. Nei mesi scorsi, per dire, migliaia di dipendenti di Google hanno protestato per una ricercatrice di intelligenza artificiale che sostiene di essere stata licenziata per un documento di ricerca non in linea con l’azienda. Più recentemente, i lavoratori di Google da ogni parte del mondo stanno rpovando a riunirsi in un sindacato. Qualcosa, insommma, si muove.
“Interventi in aree archeologiche, c’è il silenzio-assenso”
È un grande classico della decadenza italiana: approfittare delle situazioni di caos per introdurre leggine apparentemente circoscritte e innocue, ma in realtà devastanti. Così, un manipolo di deputati della Lega (il più noto è Claudio Borghi) ha presentato due emendamenti (il 13182 e 13183) al Milleproroghe che è all’esame del Parlamento. Il primo dispone che fino a tutto il 2022 viga il silenzio-assenso delle soprintendenze per “interventi realizzati da soggetti privati su beni culturali relativamente a opere di consolidamento, messa in sicurezza e adeguamento normativo”: considerato che le soprintendenze sono ormai deserte (per colpa delle scelte degli ultimi governi) questo significa che chiese, palazzi antichi e monumenti di ogni tipo rischiano di essere scempiati, o perfino distrutti, senza che nessuno possa opporsi. Il secondo emendamento vorrebbe invece che, fino al 2025, l’archeologia preventiva sia sostituita, nella gran parte del Paese, da autocertificazioni del progettista che intende procedere alla costruzione della sua opera: laddove invece è proprio l’archeologia preventiva (praticata con successo nei principali Paesi europei) che consente di individuare e salvaguardare testimonianze cruciali della nostra civiltà senza per nulla intralciare i lavori, anzi evitando che vengano bloccati poi.
La cosa più singolare di queste due leggine micidiali (contro cui sta insorgendo tutto il mondo della cultura) è il loro essere a tempo: quasi che, consapevoli che si tratta di una porcata, la si voglia consentire solo per un po’, giusto per qualche anno di sabba. La Lega, si sa, vuole i pieni poteri, anche sul nostro povero territorio. Ma i più accorti ricorderanno il minuetto tra Salvini e Boschi in un Porta a Porta del 2016: d’accordissimo nel voler cancellare le soprintendenze. Se mai la Boschi dovesse arrivare alle ambitissime Infrastrutture il risultato sarebbe certo: un nuovo Rinas-cemento.
Strada Parchi, pm: “No manutenzione almeno dal 2009”
“Adottavano la consapevole decisione di omettere totalmente gli interventi di manutenzione ordinaria”, e “in tal modo rendevano Strada dei Parchi s.p.a. inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti”, dal contratto di concessione. Tutto ciò è avvenuto “da epoca anteriore o almeno coeva al 2009 e con condotta omissiva perdurante fino ad oggi”. Lo si legge nella richiesta con cui la Procura dell’Aquila ha sollecitato il processo per Carlo Toto, patron dell’omonimo gruppo che controlla Strada dei Parchi, concessionaria autostrade A24/A25, nell’ambito dell’inchiesta sullo stato di ponti e viadotti nel territorio aquilano. A rischio processo anche altri tre dirigenti: il consigliere della holding del Gruppo Toto, Cesare Ramadori (all’epoca dei fatti ad di Sdp, di cui oggi è presidente), Igino Lai, responsabile di esercizio di Sdp, e Gianfranco Rapposelli, ad di Infraengineering, altra società del gruppo. Le accuse a vario titolo sono di inadempienza e frode nelle pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti. Oggi l’udienza davanti al Gup.
Per la procura i 4 indagati “commettevano frode nell’adempimento degli obblighi contrattuali posti a carico del concessionario della gestione delle autostrade A24 e A25”, e i rapporti prodotti sulle strutture di controllo “tendevano a minimizzare la reale condizione di grave deterioramento delle opere, negando immotivatamente la necessità di interventi manutentivi”. I pm sottolineano anche che in riferimento ai coefficienti di sicurezza delle opere, per risparmiare sui costi venivano attribuiti fittiziamente requisiti di sicurezza attraverso calcoli di progetto non collegati alla struttura. I riflettori delle Procure – oltre a L’Aquila, indagano Pescara e Teramo – sulle infrastrutture autostradali si sono accesi in particolare dopo il crollo del Ponte Morandi nell’agosto 2018. Sdp ha sempre sostenuto di aver agito nel pieno rispetto di contratti e convenzioni, garantendo la sicurezza.
Amalfi, si stacca costone: paura in Costiera .“Case evacuate, strada bloccata per mesi”
Per fortuna il costone si è staccato in un momento in cui non transitavano veicoli. Altrimenti avremmo contato i morti e i feriti per la grossa frana che alle 9.30 si è abbattuta sulla strada statale 163, la cosiddetta ‘statale amalfitana’. I massi sono precipitati proprio davanti alla galleria che conduce al centro di Amalfi. “È un disastro, è un vero disastro” commentava ieri il sindaco Daniele Milano. La massa di detriti ha sommerso la carreggiata fino a cadere sul lungomare della Marinella, sfiorando alcune abitazioni. Tre famiglie hanno dovuto abbandonare le loro case, aiutati dai Vigili del Fuoco, per l’impraticabilità delle vie di accesso. La Costiera amalfitana è stata spezzata in due e ci vorranno giorni, forse settimane, per ripristinare la circolazione. I tecnici dovranno appurare le cause del crollo, avvenuto dopo settimane di forti e abbondanti piogge. Ieri, intanto, per consentire il rientro a casa degli studenti da Positano, sono state predisposte imbarcazioni con il supporto della Capitaneria di Porto.
Dagli scali a Expo, il Covid non ferma la speculazione
Milano “città del greenwashing”: così titola il suo intervento sul sito Alfaville Lucia Tozzi, esperta di metropoli e di trasformazioni urbane. È la città dei boschi verticali, delle torri botaniche, dei fiumi verdi, delle biblioteche degli alberi. Una patina green che ricopre operazioni immobiliari previste nei prossimi anni per oltre 3 milioni di metri quadrati di uffici, spazi commerciali, residenze. Nella città a più alto consumo di suolo e inquinamento atmosferico d’Italia. La pandemia ha raffreddato gli entusiasmi, lo smart working ha svuotato gli uffici, la scomparsa di turisti e studenti ha fatto calare gli affitti. Eppure i grandi progetti vanno avanti. Il più mediatico è quello di San Siro, che dovrebbe far sorgere un nuovo quartiere attorno allo stadio che Milan e Inter vorrebbero costruire al posto del glorioso Meazza. Ma sono tante le operazioni avviate, mentre la Regione approva una legge “sblocca-cemento” che regala un bonus volumetrico del 25 per cento ai proprietari che ristrutturano immobili inutilizzati da almeno cinque anni.
Il Pirellino. Dopo il Pirellone, sede della Regione Lombardia, i milanesi stanno cominciando a conoscere il Pirellino, il grattacielo in via Melchiorre Gioia dove erano ospitati alcuni degli uffici del Comune. Ora sarà rimesso a nuovo dall’operatore più cool del momento, Manfredi Catella, con la sua Coima. Chiede però di poter edificare accanto nuove volumetrie e la verde Torre Botanica, progettata da Stefano Boeri, già autore del vicino Bosco Verticale, insieme a Elizabeth Diller. Via Melchiorre Gioia sarà attraversata dal Ponte Serra, presentato come una “green house pronta a ospitare le specie vegetali più varie per offrire un’esperienza immersiva, educativa, interattiva”.
A pochi metri, sta crescendo un altro progetto Coima: la Scheggia di Vetro, il grattacielo costruito da Catella al posto della vecchia torre Inps e che diventerà la sede milanese di Intesa Sanpaolo.
Scali ferroviari. L’altra grande trasformazione urbana che cambierà il volto di Milano è quella degli scali ferroviari, sette grandi aree Fs. Le due più importanti, lo Scalo Romana e lo Scalo Farini, hanno indici edificatori di molto superiori allo 0,35 previsto dal Piano di governo del territorio. Sullo Scalo Romana sarà costruito il villaggio olimpico per i Giochi invernali 2026 Milano-Cortina. Protagonista, anche qui, Coima, insieme a Fs.
Il progetto Mind. Sull’area che nel 2015 ospitò Expo (1,1 milioni di metri quadrati) cresceranno nuovi edifici per 510 mila metri quadrati, 40 mila utenti, investimenti per 4 miliardi, 2 pubblici e 2 privati. Soprattutto terziario (200 mila mq), con l’arrivo, per ora solo ipotizzato, di grandi aziende come Novartis, Bayer, Glaxo, Bosch, Abb, Celgene, Ibm. Tutto gestito dall’operatore australiano LendLease insieme alla società pubblica proprietaria delle aree, Arexpo. Per ora, l’unico che ha già aperto i cantieri è l’ospedale Galeazzi. Le calamite per attirare aziende hi tech e big pharma saranno l’Università Statale, le cui facoltà scientifiche saranno trasferite qui dopo aver abbandonato Città Studi, e il centro di ricerca Human Technopole su genoma e big data. Per il parco promesso, che doveva occupare almeno la metà dell’area, resteranno solo le briciole.
Il Trotto. Altri progetti riguardano Bovisa Gasometro, 800 mila mq da riqualificare; piazza d’Armi, 416 mila mq di aree ex militari; la Città della Salute (Prelios, Intesa Sanpaolo e Bizzi&Partners Development), nel Comune di Sesto San Giovanni, ma senza soluzione di continuità con Milano, 1,4 milioni di metri quadrati su cui si trasferiranno anche il Neurologico Besta e l’Istituto dei Tumori. Ancora da definire la sorte dell’area (di Hines e Axa) dell’ex trotto di San Siro, contigua a quella dello stadio.
San Siro: ecco le carte del regalo a Milan&Inter
La voluminosa documentazione su San Siro consegnata da Milan e Inter al Comune di Milano è un segreto finora ben custodito. A nulla sono valse le due richieste di accesso agli atti presentate dal Comitato coordinamento San Siro, composto da cittadini e professionisti, in rete con 23 comitati della città: i documenti sull’operazione che dovrebbe abbattere il Meazza, la “Scala del calcio”, per far nascere un nuovo stadio e un nuovo distretto terziario, commerciale e del tempo libero, devono restare segreti. Il comitato di cittadini non è – sostiene l’amministrazione – un soggetto “portatore d’interessi” che abbia titolo per conoscere le trattative in corso tra i privati e il Comune di Milano: “L’ostensione di documenti contenenti informazioni di natura commerciale e industriale, quali gli elementi costitutivi del Piano economico-finanziario e le altre informazioni tecniche del Progetto di fattibilità”, scrivono i funzionari della Direzione urbanistica del Comune, “determinerebbe la compromissione dell’altrettanto rilevante diritto alla riservatezza”.
Quello che si conosce finora è stato fatto filtrare da Milan e Inter nelle scorse settimane. Ora il Fatto è riuscito a leggere la ponderosa documentazione sulla grande “operazione San Siro” e ne presenta i dati salienti ai suoi lettori, nella convinzione che i cittadini abbiano tutti i diritti di sapere che cosa si sta preparando in questo affare da 1,2 miliardi di euro che dovrebbe cambiare la faccia dell’intero quartiere di San Siro e far scomparire uno dei simboli di Milano. Le due squadre cittadine – controllate entrambe da non trasparentissime proprietà straniere – hanno infatti da tempo proposto l’abbattimento dell’iconico Meazza, per poter far scattare la legge sugli stadi del 2017, che permette a chi costruisce un nuovo impianto di poterci edificare attorno altre volumetrie che possano remunerare l’investimento. Questo è il vero centro dell’affare: il nuovo stadio diventa il pretesto per poter costruire uffici, alberghi, spazi commerciali. Una manna piovuta dal cielo, per squadre che fanno fatica a quadrare i bilanci. Il cielo è quello in cui è assiso il sindaco Giuseppe Sala, da tempo impegnato in una trattativa molto simile a quella dei suq dove si vendono tappeti: il venditore parte da cifre altissime per arrivare comunque al risultato che vuole portare a casa. Milan e Inter sono partite chiedendo di cementificare l’area con un 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi. Indice d’edificabilità 0,70, mentre il Piano di governo del territorio (Pgt) di Milano prevede che sia la metà: 0,35. Sala ha cercato di prendere tempo. Ha passato il cerino al Consiglio comunale (il cui intervento non è previsto dalla legge sugli stadi) che nell’ottobre 2019 ha approvato a maggioranza l’operazione, mettendoci però 16 paletti, 16 condizioni per renderla meno “pesante”. Poi la giunta Sala nel novembre 2019 ha concesso la dichiarazione di opera d’interesse pubblico, necessaria a far scattare la legge sugli stadi, ma con due condizioni: che non si abbatta il Meazza; e che non si superino gli indici di edificabilità concessi dal Pgt. Ecco dunque arrivare, nell’ottobre 2020, le nuove proposte di Milan e Inter, contenute in un dossier (quello “segreto”) di sette volumi e tre appendici. Prima novità: del Meazza sopravvive un moncherino, integrato in una nuova edificazione. Viene riconosciuto – si legge nel dossier – “l’iconico valore della struttura, tutelando una significativa parte della medesima (fronte est del secondo anello completo delle rampe elicoidali del progetto Calzolari/Ronca e Torre 11 del progetto di ampliamento di Ragazzi/Hoffer)”. Seconda novità: l’indice di edificabilità scende a 0,51, comunque sempre più dello 0,35 previsto dal Pgt. Le squadre la spiegano così: “La quota dell’indice di edificabilità eccedente” lo 0,35 è “pari a 0,16”, corrisponde a 46.680 mq e “risulta necessaria al fine di raggiungere l’equilibrio economico finanziario dell’Intervento, alla luce della indispensabile tutela e rifunzionalizzazione di parte dell’odierno manufatto”. Insomma: per mantenere il moncherino del Meazza, ci dovete dare quasi 47 mila mq in più. Così il cemento resta sempre tanto: dai 165.769 mq della proposta iniziale si passa ai 145 mila dichiarati ora, che in verità, fatti i conti, sono 153 mila: 77 mila mq di spazi commerciali, 47 mila di uffici, 12 mila di albergo, 9 mila di intrattenimento, 4 mila di centro congressi, oltre a 2,7 mila di museo dello sport e 1,3 mila di attività sportive. “Ma non si è considerata la condizione preliminare”, sostiene Gabriella Bruschi, presidente del Comitato coordinamento San Siro. “Il nuovo stadio proprio non serve. Basterebbe riqualificare il Meazza. La ristrutturazione costerebbe 300 milioni, la metà di quanto costa costruirlo nuovo”. Un progetto di riqualificazione c’è già, realizzato dagli ingegneri Riccardo Aceti e Nicola Magistretti, che lo hanno presentato al sindaco Sala e all’assessore Pierfrancesco Maran nel dicembre 2020. Ma niente: lo stadio nuovo è il grimaldello per costruirci attorno torri e grattacieli. Con un piano finanziario in cui l’investimento totale è di 1,2 miliardi: 652 per lo stadio, 577 per il resto.
I ricavi, a regime, saranno di 151 milioni dallo stadio, 51 milioni dal resto. Con un “rendimento lordo incrementale” del 6,3 per cento, dice il business plan. “Incredibilmente basso per un investimento immobiliare a Milano”, dice l’ingegner Magistretti, che conosce bene il settore per essere stato direttore infrastrutture della Sea (Malpensa-Linate). “Viene il sospetto che siano stati sovrastimati i costi, per mostrare un rendimento inferiore a quello che sarà davvero conseguito”. Potrebbe essere più del doppio, attorno al 16 per cento. A fronte di questo, il Comune di Milano, che oggi incassa 10 milioni l’anno per affittare il Meazza alle due squadre, ne incasserebbe soltanto 2, dopo aver ceduto per 90 anni tutta l’area in diritto di superficie. “Un incredibile regalo”, commenta l’urbanista Sergio Brenna, “perché non bisogna dimenticare che i terreni dell’operazione non sono delle squadre, ma del Comune, cioè di noi cittadini”. Che cosa deciderà ora Sala, impegnato nella campagna elettorale per la riconferma? Annuncia uno stop alle trattative. Almeno finché non si capirà di chi è uno dei due giocatori della partita, l’Inter, che potrebbe passare di mano dai cinesi di Suning Holdings a chissà quale fondo d’investimento internazionale.
In Inghilterra preoccupano le “varianti della variante”
Ancora un allarme sulle mutazioni del coronavirus. Arriva dalla Gran Bretagna, dove alcuni scienziati hanno rilevato nuovi cambiamenti genetici definiti “preoccupanti” dalla Bbc della cosiddetta “variante inglese” di SarsCov2, individuata per prima nel sud dell’Inghilterra nei mesi scorsi e poi dilagata con un’apparente maggiore aggressività rispetto al ceppo originario dell’infezione. Le prime indicazioni in questo senso emergono da uno studio preliminare. Stando ai ricercatori non si può escludere che questa ulteriore mutazione, se confermata, possa limitare l’efficacia dei vaccini esistenti, pur senza presumibilmente azzerarla.
Però continua la discesa dei contagi giornalieri nel Regno Unito, per effetto del lockdown e delle restrizioni draconiane imposte per far fronte al dilagare del coronavirus, anche se resta elevato il tributo di morti censiti nelle 24 ore: altri 1.449, fino a un totale di circa 108.000 (record europeo in cifra assoluta) dall’inizio della pandemia, seppure con l’aggiunta ieri di dati relativi al parziale ritardo statistico consueto del weekend. Lo certificano i dati governativi diffusi proprio nel giorno del decesso per Covid-19 anche del centenario veterano-eroe sir Tom Moore.
Over 80, prenotazioni al via solo in tre regioni
La fase due del piano di vaccinazione, quella che coinvolge gli ultraottantenni, è iniziata solo in tre regioni. Oltre al Lazio, la Campania e l’Emilia-Romagna. Le altre cominceranno, se tutto va bene, a partire dall’8 febbraio. Ma si arriva anche alla fine del mese. Come ha disposto il ministero della Salute, devono prima completare la fase uno, quella rivolta agli operatori sanitari, con la somministrazione del richiamo.
Le scorte dei vaccini Usa Pfizer e Moderna adesso servono prima di tutto per la seconda dose. E ai tagli alle consegne programmate (fino ad ora sono state fornite complessivamente quasi 2,4 milioni di dosi, per l’87,1% già somministrate) si sommano le incertezze sul vaccino europeo AstraZeneca. Perché ha sì ottenuto il via libera anche dall’Agenzia nazionale del farmaco. Ma con l’avvertenza di utilizzarlo, nelle persone sopra i 55 anni, solo su quelle che sono in buone condizioni di salute. Cosa che potrebbe portare molte Regioni a ricorrere unicamente, per gli over 80, ai sieri sviluppati negli Usa.
Una conferma, dal Piemonte, arriva da Roberto Testi (direttore del dipartimento Prevenzione dell’Asl Città di Torino): “In assenza di certezze su quello di AstraZeneca dovremo avvalerci di altri vaccini, che però fino ad ora ci sono stati tagliati di un terzo. E devono ancora fare il richiamo oltre 100 mila operatori sanitari. Per i grandi anziani, per adesso, la data fissata è il 21 febbraio”. Nel Lazio, dove ci sono 460 mila over 80, dopo che il sistema di prenotazione online è andato in tilt il primo giorno per un sovraccarico di prenotazioni, tutto ora sembra funzionare. Alle 17 di ieri erano già state completate circa 117 mila prenotazioni (che però possono essere fatte anche via telefono, con un numero dedicato) e le vaccinazioni cominceranno la prossima settimana.
Stessa scadenza per la Campania, che alle 12 di ieri contava 50 mila prenotazioni online (su circa 300 mila grandi anziani) e che ha predisposto un servizio di vaccinazione a domicilio per chi non può muoversi.
L’Emilia-Romagna, a sua volta, ha fatto partire il piano di vaccinazioni a domicilio degli anziani ultraottantenni non autosufficienti (oltre 62 mila) e dei loro coniugi caregiver, facendo ricorso sia a Pfizer che a Moderna. Da ieri sono i servizi di cure primarie delle Asl a contattarli per fissare un appuntamento per la somministrazione. Solo nei prossimi giorni si saprà però come la Regione intende proseguire con la fase due.
Anche la Puglia, che dovrebbe partire l’8 febbraio, si avvarrà di un sistema di prenotazioni online. Diverso il caso della Toscana. Qui la fase due dovrebbe iniziare il 15 febbraio (come per il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto e la Liguria) ma attraverso un accordo con i medici di base per la raccolta delle adesioni. In pratica lo stesso modello a cui sta lavorando il Piemonte, mentre in Liguria si è preferito puntare sulle prenotazioni tramite Cup o call center. Più indietro altre regioni come il Molise, la Basilicata, le Marche. Una data ufficiale ancora non è stata fissata.
“AstraZeneca non serve a fermare i contagi: meglio usare Sputnik”
“Rinuncerei del tutto al vaccino di Astrazeneca”. Le parole della celebre immunologa Antonella Viola sono pietre sulle fiale dell’antidoto realizzato in collaborazione con Oxford e la Irbm di Pomezia. “Anzi penso che l’introduzione di questo farmaco danneggerà la campagna vaccinale”.
Quindi addirittura consiglierebbe a Unione europea e governo italiano di cancellare Astrazeneca dal programma?
Hanno avuto una comunicazione non corretta con annunci non supportati dai fatti, hanno commesso errori nei trial clinici, hanno prodotto un siero con efficacia limitata, non hanno presentato dati sufficienti per le persone con più di 55 anni… mentre gli altri, Pfizer Biontech e Moderna su tutti, hanno lavorato bene. In questo momento abbiamo due vaccini che sono vicini a un’efficacia del 95%, che possono essere rimodulati in breve tempo rispetto alle varianti del coronavirus SarsCov2, bisogna puntare su quelli. Senza fretta, senza correre, perché non è il contatore dei vaccinati ad essere importante ma la possibilità di raggiungere l’immunità di gregge nel più breve tempo possibile. E Astrazeneca questo obiettivo lo mette a rischio con la sua bassa efficacia, 60%. Se proprio si deve introdurre altri vaccini perché non può esserci una produzione sufficiente di Pfizer e Moderna allora punterei sul russo Sputnik e quando sarà approvato sull’altro americano, Johnson&Johnson, che ha un’efficacia sopra il 70% sul SarsCov2 non mutato, ma ha il vantaggio di essere monodose almeno. Così potremmo raggiungere l’immunità di gregge entro la fine del 2021.
In più c’è una questione etica?
Certo, devo somministrare il vaccino che funziona 6 volte su 10 ad alcuni mentre altri ne ricevono uno vicino a 10 su 10… I criteri individuati dall’Aifa sono anche corretti, ma la questione non si dovrebbe porre. Ripeto non serve la fretta dei grandi numeri, ma una strategia vincente.
Immagino sarà contraria allora anche a continuare la sperimentazione sul vaccino Reithera realizzato in collaborazione con l’ospedale Spallanzani di Roma?
Eticamente non si può pensare, avendo i vaccini che funzionano, di chiedere a un 80enne con patologie di partecipare a un programma di sperimentazione e magari somministrargli il placebo lasciandolo a rischio contagio per altri mesi. Come pensano di svolgere la fase 3 della sperimentazione? Oltre al fatto che i dati di fase 2 annunciati in conferenza stampa non sembrano neppure così efficaci. Perché c’è stato un investimento pubblico di 81 milioni di euro per questo vaccino con fondi per l’emergenza messi sulla ricerca? Ricordiamo che questo progetto è già stato bocciato dalla Germania oltretutto, perché l’Italia invece lo ha finanziato?
Invece i dati di Sputnik pubblicati da Lancet l’hanno convinta quindi?
Sì, quel 91% di efficacia pare davvero solido. Ci sono degli elementi che lasciano perplessi e che devono essere approfonditi: ad esempio, le persone arrivate alla prima dose da positive ma asintomatiche, mi pare non siano state considerate positive al SarsCov2, questo potrebbe un po’ falsare il risultato. Bisognerebbe approfondire, ma nel complesso il giudizio è positivo. Quindi direi, piuttosto produciamo più vaccini di quelli che presentano vantaggi piuttosto che svantaggi e incertezza.
Le varianti di SarsCov2 la mettono in allarme?
Moltissimo. Perché il virus sta cercando di diventare più contagioso nascondendosi al sistema immunitario. Quindi se anche le varianti di per sè non sono più aggressive diffondendosi di più raggiungeranno più facilmente le persone più fragili.
Sugli anticorpi monoclonali siamo in ritardo? Di queste ore l’approvazione…
È in ritardo l’Europa. Posto che devono essere usati nel modo giusto (massimo tre giorni dall’infezione) e che l’organizzazione non è semplice. Puntare sul vaccino è comunque prioritario.
Bertolaso la spara: “A giugno 10 mln di lombardi vaccinati”
“Il traguardo di vaccinare tutta la Lombardia prima della fine di giugno è possibile e ce la faremo”. Guido Bertolaso è tornato. E chi si aspettava un esordio col botto, non è rimasto deluso. Il neo responsabile della campagna vaccinale lombarda, alla prima uscita ufficiale accanto alla sua sponsor Letizia Moratti, infatti ha dato spettacolo.
Mezz’ora di annunci roboanti, numeri sballati, previsioni irrealizzabili e qualche nota autocelebrativa. Proprio come un anno fa, quando prometteva 600 letti di terapia intensiva all’Ospedale in Fiera (nella realtà, non hanno mai superato gli 80). Un incontenibile fiume di parole pronunciate con voce roca e fiato corto, lasciti dell’invasiva terapia intensiva per Covid. A fargli da contraltare, una Moratti sfuggente, che ha dribblato ogni domanda sul piano vaccinale appena presentato in Consiglio regionale, trincerandosi dietro a un “finché non avremo date certe di consegna dei vaccini, non faccio previsioni”. C’era Guido a parlare per lei. E anche per Attilio Fontana, figura sbiadita, relegata in secondo piano.
Bertolaso, premettendo che con quel piano vaccinale lui non c’entra, perché preparato dai vertici sanitari lombardi (ma entro poche ore lo avrebbe “messo a posto”), è passato a illustrare la “più grande operazione di Protezione civile della storia per vaccinare 10 milioni di lombardi”, lavorando “h24, 7 giorni su 7”. Intanto l’inizio delle vaccinazioni per gli over 80 è stato anticipato dal 24 marzo al 24 febbraio. Il primo step dovrebbe terminare “entro marzo”. Poi si passerà alla vaccinazione di massa, entro giugno. Dell’approvvigionamento dei vaccini il dottore non è affatto preoccupato: “Avremo ancora febbraio e marzo difficili”, ma “da aprile saremo inondati di dosi. Avremo 4 o 5 tipi di vaccino”.
In cantiere c’è quindi un’opera titanica che Bertolaso regalerà alla Lombardia, visto che “mi sono dimezzato lo stipendio: da un euro (compenso ricevuto per l’ospedale in Fiera, ndr), a zero”. E che porterà a termine, nonostante gli siano stati negati i “suoi ragazzi”, perché lui ora è “in contrapposizione col governo”.
Questo lo show. Ma la realtà è differente. E lo dicono i numeri: i lombardi da vaccinare non sono 10, ma 8,5 milioni (Bertolaso ha contato 1,5 milioni di under 17 per i quali ancora un vaccino non c’è). In più, per vaccinare quegli 8,5 mln servirebbero altrettante dosi, dosi da moltiplicare per due nel casi di vaccini che necessitano del richiamo. Cioè la Lombardia da sola, con 17-20 milioni di dosi, dovrebbe assorbire metà delle scorte dell’intero Paese, per Bertolaso. E considerato che al momento non si hanno certezze sul fatto che verremo “inondati” ad aprile dai vaccini, siamo di fronte a un nuovo “miracolo”: la moltiplicazione delle dosi. Anche sui tempi non ci siamo: al 31 gennaio, erano state somministrate 305.814 vaccinazioni. Com’è possibile che a marzo si riescano a vaccinare 700 mila over 80? E che tra aprile e giugno si vaccinino 6,5 milioni di persone? Significa vaccinare 542 mila lombardi a settimana, 77.428 al giorno, 3.226 all’ora.
“La verità è che non esiste alcun piano vaccinale”, sostiene la consigliera Carmela Rozza (Pd): “Non ci hanno detto chi vaccinerà; dove lo si farà né quando”. Inoltre i precedenti col fallimentare piano dei vaccini antinfluenzali non depongono a favore delle doti organizzative del Pirellone.
Basta leggere l’assurdo iter previsto per la prenotazione degli over 80: bisogna dovrà accedere alla piattaforma online (che però ancora non esiste), registrarsi e poi attendere una telefonata dell’operatore che comunicherà data e ora del vaccino. Significa oltre 700 mila chiamate. Chi le farà? Quanto tempo sarà necessario? Ma non c’è da preoccuparsi, tanto ora c’è Bertolaso.