Usciamo in fretta dalla capanna

I ripetuti lockdown cominciano a lasciare le loro cicatrici, non solo economiche, ma anche e soprattutto psicologiche. Stiamo assistendo al moltiplicarsi di reazioni inaspettate, sia da parte degli adulti sia di giovani e bambini. Se per un verso, appena incontriamo un conoscente, ci lamentiamo dell’impossibilità di muoverci, viaggiare, intrattenerci con gli amici, dall’altro, ce lo dicono gli psicologi, siamo in piena “sindrome della capanna”, termine rispolverato dalla Società Italiana di Psichiatria. In parole povere, rimpiangiamo la libertà di muoverci ma ci sentiamo sempre più sicuri stando a casa, accusiamo la privazione di una certa socialità, ma reagiamo scorbuticamente. La definizione nasce come la descrizione dell’irascibilità delle persone che vivevano in campagna e restavano bloccate nelle loro case a causa del freddo invernale e della neve. A causa delle condizioni climatiche avverse, dall’assenza di mezzi di comunicazione, dei social, l’impossibilità di contatti sociali, la gente si rifugiava in casa e diventava irrequieta e irritabile. Le cause sono diverse ma le reazioni sono uguali. È una costellazione di sintomi nota ai professionisti della salute mentale, piuttosto diffusa dopo un periodo di confinamento e che può rappresentare una seria minaccia per il nostro benessere. Il fenomeno è stato evidenziato anche nelle spedizioni polari e in quelle spaziali. Vivere isolati fa male. Siamo animali sociali e dobbiamo “appartenere”. Ne conseguono disturbi anche gravi. Oltre all’irritabilità, senso di paura e insicurezza, depressione, disturbi del sonno (e lo smart working ne è complice). I ragazzini si danno a gesti autolesionisti. Gli psichiatri diffondono consigli per evitarla ma, lo dicono anche le ricerche di mercato, la cura della nostra persona, che è anche rispetto di sé, si sta perdendo. A parte le ristrettezze economiche, abbiamo perso la voglia di comprare un abito nuovo e di curarci esteticamente. Le vendite dei cosmetici stanno crollando. Ma attenzione, non si può amare l’altro se non si ama se stessi. Il pericolo che corriamo è una società futura chiusa, pavida ed egoista. Usciamo in fretta da questa capanna.

 

Mail box

 

Il silenzio della stampa sul “Renzi d’Arabia”

La domanda da farsi è: se fosse stato Berlusconi al posto di Renzi nella sua genuflessione ben pagata al potere autocratico saudita? Se fosse stato suo l’elogio del mercato del lavoro schiavista? E la retorica di un “nuovo Rinascimento” là dove vige la dittatura maschile contro le donne? E il silenzio sulla morte e lo smembramento di Khashoggi nell’ambasciata saudita di Istanbul? Quale sarebbe stato l’effetto? Non è difficile immaginarlo: non solo i movimenti, ma anche buona parte della stampa l’avrebbero seppellito sotto un coro di critiche. Colpisce allora il disinteresse, per fortuna non unanime, verso il comportamento di Renzi. Su cui pesano elementi aggravanti. Aveva voluto ridurre il Senato a camera dei consiglieri regionali. Prima che il referendum costituzionale del 2016 lo impedisse, si era impegnato a lasciare la politica in caso di sconfitta. Non solo non l’ha fatto ma si è fatto eleggere proprio al Senato. E da qui ha guidato la scissione del partito di cui era stato segretario e ha fatto cadere il governo retto dal suo ex partito. Poteva bastare? No, doveva disonorare il Senato e la Commissione esteri di cui è immeritevole membro. Ora il Senato può difendere la sua dignità sulla base dell’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Lo farà?

Francesco “Pancho” Pardi

 

Fca multata negli Usa: cosa dice “Repubblica”?

Essendo un vecchio curioso e dovendo scrivere due righe circa il silenzio quasi totale di stampa e tv sulla multa di 30 milioni di dollari inflitta alla Fca Usa, ho cercato su Internet i commenti giornalistici: ho trovato solo quelli del Fatto che avevo già letto e poi quello su Repubblica, ma nell’inserto “Finanza’’. Malgrado ciò, vi invito a leggerlo perché quella pagina si apre con una grande icona di Stellantis e un articoletto sgrammaticato con “stati uniti” (scritti in minuscolo), senza mai ricordare che quegli “accordi’’ furono fatti da Marchionne con Obama dalla Fiat, e non come si cerca di far intendere una questione fra gli Usa e Stellantis.

Franco Novembrini

 

Dedico questa filastrocca al leader di Forza Italia

Berlusconi, sei malato?

Quando serve son malato

se c’è udienza in tribunale

io comincio a stare male

e telefono a Zangrillo

lui risponde al primo squillo.

Quanti gradi vuoi che metta?

Trentanove, è febbre netta

che supporta un’influenza

serve a rinviar l’udienza

e così poco per volta

con richiesta sempre accolta

non s’arriva a decisione

ma all’amata prescrizione.

So che aspiri al Quirinale

come fai? Stai sempre male.

Il mio male è intermittente

viene alternativamente

è un dolor da tribunale

passa con il Quirinale.

Se divento presidente

sarò vecchio ma efficiente

l’ho promesso anche a Salvini

a Meloni e ai lor vicini.

Si riunisca il Parlamento

per un bel rinascimento

sono colto, sano e forte

ben lontano dalla morte

il mio male è il tribunale

io sto bene in Quirinale.

Guariente Guarienti

 

Il rinvio alle Camere sarebbe una mossa giusta

Dopo la “spallata” di domenica dei giornali Gedi, con tanto di fake news su Draghi al Quirinale, penso che la situazione del Conte ter si complichi. Renzi alza la posta-ricatto, si sente sempre più forte, il suo gruppo “resiste” mentre le fibrillazioni all’interno della maggioranza crescono. Il problema sta nello strombazzamento amplificato di giornali e poteri industriali: “comunque sia, non si va alle elezioni. Mattarella all’ultimo cercherà di fare il governo del presidente”. Ma questo è osteggiato da tutti (destra e sinistra) e chiaramente annunciato pubblicamente. Gli unici sostenitori sono Italia Viva e una parte di Forza Italia. Allora mi chiedo: può Mattarella mandare a casa un governo che ha una nutrita maggioranza assoluta alla Camera e una maggioranza relativa (ma incrementabile) al Senato? Perché Mattarella non rinvia Conte al Parlamento col chiaro messaggio che, saltato il Conte ter, si va alle urne? Solo così vedremmo liquefarsi il gruppo di Italia Viva e il definitivo isolamento di Renzi. Dico delle pataccate?

Enzo Cecchini

 

Propongo la nascita degli “Amici del Fatto”

Sicuramente sono un romantico. Il Fatto mi fa sentire di appartenere a un gruppo di persone che in linea generale la pensano come me. Proporrei un associazione “Amici del Fatto” che potrebbe diventare anche una entità che crea opinioni.

S. Di Giuseppe

 

La grande furbata del senatore toscano

Potete spiegarmi la differenza tra chi, retribuito per fare ad esempio il vigile, abbandona il suo incarico e va a lavorare nel negozio della moglie e Matteo Renzi, retribuito come senatore, che va all’estero a fare il conferenziere a pagamento, per di più sputtanando il Paese che lo paga come senatore? Perché il vigile viene sanzionato e il senatore no? Non stava svolgendo compiti istituzionali, ma affari suoi a spese dello Stato. Vorrei sapere perché non viene additato come “furbetto”.

Tanino Armento

 

DIRITTO DI REPLICA

Nell’articolo di Wanda Marra pubblicato domenica dal giornale, tra le altre cose, è scritto che un mio tweet su una vicenda giornalistica sarebbe un implicito atto d’accusa nei confronti di Walter Veltroni. Le ricostruzioni di un giornalista sono assolutamente libere e legittime, ma per quanto mi riguarda nego nel modo più assoluto che abbia retropensieri di sorta. Con Veltroni, che è fondatore del Pd, ho un ottimo rapporto e anche in questi giorni un continuo scambio di opinioni.

Nicola Zingaretti Segretario Pd

Oltre il Covid. Per gli anziani il male più diffuso è la solitudine forzata

Gentile redazione, secondo recenti studi, la solitudine degli anziani sta diventando una malattia sempre più diffusa, soprattutto in pandemia. Il problema certamente esisteva anche prima del Coronavirus, ma ora si è acuito con il lockdown, l’isolamento e restrizioni varie.

La stampa, recentemente, ha pubblicato due casi emblematici di pensionati che hanno telefonato ai carabinieri: il primo è quello di un 95enne di Alto Reno, che ha chiamato le forze dell’ordine dicendo di essere solo in casa il giorno di Natale e voleva qualcuno con cui brindare. Il secondo caso riguarda una pensionata di Castenaso, che ha contattato il 112 perché non voleva trascorrere le festività lontano dal figlio.

Dopo il virus, la solitudine si rivela il maggior dramma per i nostri “vecchi” che sono costretti a vivere da soli, isolati dagli affetti. Questo male sociale ti divora lentamente. Se non sono possibili, in questo tremendo periodo di Covid, un abbraccio, una coccola e un ascolto di persona, almeno una telefonata può essere di conforto. Una parola di benevolenza asciuga le lacrime, consola il cuore, riposa e solleva lo spirito, aumenta la gioia di vivere, cura le ferite del cuore. È un gesto di amore e di solidarietà nei confronti dei nostri anziani, che vanno tutelati e amati il più possibile, per il contributo di esperienza e di umanità che possono trasmettere alle altre generazioni e al bene comune.

La solitudine può essere un grave disagio, ma con la vicinanza e il conforto morale e spirituale possiamo guarirla.

Ringrazio vivamente della cortese accoglienza e porgo molti cari saluti.

Franco Petraglia
Cervinara (Avellino)

Iv è in malafede su Bonafede: ecco i tanti meriti del Ministro

Nessuno è insostituibile. D’accordo. Ma neppure si può condizionare la formazione di un governo alla sostituzione di un ministro considerato inadeguato se invece a essere inadeguato è proprio questo giudizio. Mi riferisco ad Alfonso Bonafede, tornato al centro della bagarre dopo la minaccia di Iv e del centrodestra di votare contro la sua relazione annuale sulla giustizia, prevista per mercoledì scorso prima che Conte si dimettesse. Va da sé che in ogni vicenda umana si alternano luci e ombre. Così è anche nel bilancio dell’attività ministeriale di Bonafede. Per il quale però i profili positivi mi sembrano nettamente prevalenti. Ne ricordo alcuni.

Per cominciare cito un magistrato certamente senza “simpatie” a sinistra. Il procuratore generale di Torino Saluzzo, che inaugurando l’anno giudiziario 2021 ha dato atto al ministro di “una forte accelerazione sul fronte delle strutture e dell’innovazione, con ‘salti’ nel futuro che in condizioni normali avrebbero richiesto anni” (il riferimento è al processo telematico); e di “una poderosa politica assunzionale, che non si vedeva da oltre 20 anni, continuata e gestita anche nel periodo peggiore della crisi sanitaria”. Non è poco, anzi! Quanto al futuro, si sa che via Arenula ha elaborato nell’ambito del Pnrr un piano straordinario per il miglioramento dell’efficienza della nostra giustizia. Le raccomandazioni della Commissione Ue per il 2019-2020 sono state recepite una per una: si è così predisposto per tempo tutto ciò che serve a garantirsi e gestire i cospicui finanziamenti previsti nel Recovery plan.

La legge “Spazzacorrotti” l’ha fortemente voluta proprio Bonafede ed è persino troppo facile ricordare che era dai tempi di Tangentopoli (preannunziata dagli scandali Italcasse, Lockheed e Petroli) che l’estensione della corruzione gridava vendetta, cioè postulava una legge di contrasto davvero efficace: arrivata solo nel 2019, appunto con la “Spazzacorrotti”, che non a caso ha ottenuto significativi apprezzamenti anche in Europa.

Con la ministra Bellanova, Bonafede ha fatto approvare dal Cdm un progetto di riforma dei reati agroalimentari (ora in Parlamento), utile a fronteggiare i nuovi complessi fenomeni di frode alimentare, ben lontani ormai dal caso dell’oste che mescola acqua con il vino. Un progetto per garantire cibo sano, territori salubri e cittadini consapevoli, garantendo benessere alla collettività e distintività alle produzioni.

C’è poi il tema della riforma della prescrizione, anch’essa “targata” Bonafede. Punto di partenza imprescindibile è che la percentuale italiana di prescrizioni – del 10/11 per cento contro lo 0,1/2 per cento degli altri Paesi europei – era per la nostra giustizia una vergognosa bancarotta, dovuta al fatto che solo da noi la prescrizione non si interrompeva mai. Con un effetto ancor più grave: la coesistenza di due distinti codici: uno per i “galantuomini” (cioè le persone considerate “per bene” a prescindere…); l’altro per i cittadini “comuni”. Perché la prescrizione giocava sempre a vantaggio dei primi, mentre i secondi ne “godevano” assai meno. Una asimmetria fonte di ingiustizia e disuguaglianze. Un sistema dove in realtà era la prescrizione infinita (senza mai uno stop definitivo) che contribuiva fortemente a far durare all’infinito certi processi. Un cortocircuito. Cui Bonafede ha cercato di rimediare.

Infine ricordo la gestione del delicato problema dei mafiosi che, per paura del Covid, venivano generosamente scarcerati e restituiti coi domiciliari ai loro territori, un punto obiettivamente a favore della mafia che lo sfruttava in funzione anti-Stato. Un pericolo che Bonafede ha coraggiosamente limitato.

 

Pazza crisi: siamo ostaggi dei ghiribizzi degli Irresponsabili

Cosa fa, adesso, Giuseppe Conte? È questa la domanda principale che è giusto porsi dentro questa crisi tanto inutile quanto idiota. Lo scenario che ci ritroviamo ora davanti è quello più prevedibile e quasi scontato. Fallita miseramente la “missione responsabili”, tra un Giggetto Vitali che fa maramao alla maggioranza e Lady Mastella che litiga con l’ex fedelissima berlusconiana Rossi per l’uso delle parole “Noi campani” (?) nel nome del gruppo “Europeisti Maie Centro Democratico” (??), l’unica strada per Mattarella è quella di puntare sulla maggioranza di prima. “Usando” Fico come esploratore. Quindi Renzi ancora dentro il governo, magari controbilanciato (come no) proprio dagli “Europeisti”. Se saltasse pure questa strada, resterebbe giusto il cosiddetto governo Ursula. Ovvero l’opzione più gradita alla mitologica Emma Bonino, un’altra come Renzi che gode di ottima stampa, ma che in natura ha forse meno sostenitori (Saviano e Richetti a parte) di Ciampolillo. Se ci pensate, nel bel mezzo della crisi più devastante mai abbattutasi sull’Italia dal secondo dopoguerra, siamo ostaggi dei ghiribizzi di gente con più senatori che elettori: non è tutto incredibilmente fantastico?

Il fantomatico “governo Ursula” significherebbe “tutti dentro tranne fascisti e leghisti” (mi si perdoni la ripetizione). Uno scenario totemicamente vomitevole, che tanti fenomeni di Pd e M5S sarebbero pure disposti ad accettare pur di non tornare a casa anzitempo.

Al voto non ci andremo, perché Mattarella non vuole come non vogliono quasi tutti i parlamentari, terrorizzati dal taglio a deputati e senatori del 2023. Dunque non resta che il Conte Ter. Ovvero una schifezza (come le altre e forse pure peggio).

Sì, ma sarà davvero un “Conte Ter”? Ovvero: Giuseppe Conte, dopo l’esperienza non certo esaltante con la Lega e la sua “esplosione” del 22 agosto in Senato, durante la quale demolì nel sangue (dialettico) Salvini divenendo fino a tutt’oggi e per distacco il politico più stimato dagli italiani, concederà il tris?

Bella domanda. La sensazione è che, come si muoverà, Conte sbaglierà.

Se segue orgoglio e coerenza dice di “no”, perché è impossibile fidarsi di Renzi e perché non puoi dialogare con uno così. Ancor più dopo quello che Renzi ha detto, e fatto, a Conte.

Se però dice “no”, di fatto esce di scena dopo essersi fatto il mazzo dentro una pandemia e avere ottenuto (non da solo, ma certo con ruolo di primo piano) il Recovery Fund. Dicendo no vincerebbe il “premio della coerenza”, ma farebbe anche un regalo enorme a Renzi, centrodestra e buona parte dei parlamentari Pd. Rischierebbe insomma di agire come quello che, per fare un dispetto alla moglie, si tagliò gli zebedei col machete.

Conte dovrebbe dire un “no” secco solo se fosse convinto che, senza di lui, non nascerebbero altri governi. Ma questa certezza non ce l’ha minimamente, perché tutti (tranne Meloni, i 5Stelle più intransigenti e forse Salvini) non vogliono il voto. Al voto non ci andremo fino al 2023. È sicuro. I “responsabili” per governare senza Italia Morta non ci sono. È sicuro. E se Conte si sfila, ne trovano un altro il secondo dopo. Con viva gioia del ducetto di Arabia Viva.

E allora? E allora è un gran casino. Siamo dentro la tempesta perfetta, ostaggi di un uomo che nessuno vota più, ma che al Senato è decisivo. Qualsiasi decisione gronderà sangue. E le uniche certezze sono che ci rifaremo male. E che riavremo Renzi pure nel prossimo governo. Che spettacolo!

 

B. for president? Allora è meglio Vallanzasca

Quella che un mese fa sembrava solo una boutade oggi sta diventando realtà: Berlusconi for President. Credo che mai nella storia dei Paesi democratici e non democratici, ma azzarderei dire nella storia del mondo, sia salito alla massima carica dello Stato un delinquente di diritto comune. Certo al potere ci sono stati criminali molto peggiori di Silvio Berlusconi, Stalin, Hitler o, per rimanere all’oggi, Erdogan e il generale tagliagole al-Sisi, ma costoro sono responsabili di crimini politici, non di reati di diritto comune. Tanto varrebbe allora eleggere presidente della Repubblica Renato Vallanzasca che, oltre a essere molto più simpatico di Berlusconi, è perlomeno un bandito leale che ha sempre ammesso le sue responsabilità, mentre l’altro non solo le ha negate anche quando erano sancite da una condanna definitiva, ma ha cercato di sfuggirvi con i mezzi più sleali, usando le sue televisioni, quelle pubbliche a lui soggette, i propri giornali e facendosi leggi ad personam.

La candidatura di Berlusconi è stata ufficialmente lanciata da Matteo Salvini alla trasmissione di Giletti (ormai, da tempo, la politica italiana non si fa più nelle sedi istituzionali, il governo e il Parlamento, ma nei cessi televisivi, nei talk, sui social network). L’ex democristiano Gianfranco Rotondi (eravamo riusciti a liberarci dei democristiani, ma restano gli ex democristiani: altro perenne sfinimento di cazzo) ha affermato che Berlusconi Presidente sarebbe “La scelta di un Paese normale. È il fondatore della Seconda Repubblica; ha la maggioranza elettorale nei sondaggi e nel sentiment del Paese. L’elezione di Berlusconi al Quirinale sarebbe naturale, legittima e pacificatrice”.

Berlusconi ha tre processi in corso per reati gravissimi (corruzione di testimoni? Che sarà mai?) al momento opportuno si farà una legge che blocca i processi in cui sono coinvolte le più alte autorità dello Stato per tutta la durata del loro mandato e magari anche per i cinque anni successivi come, mi pare, abbia fatto Putin, quando Berlusconi avrebbe 99 anni, senza aver perso, per ciò, la sua “naturale capacità a delinquere” come l’ha definito in una sentenza la magistratura italiana, perché se è “naturale” non si può perdere solo perché si è venuti vecchi.

Di fronte a questa eventualità inaudita, nel senso letterale di mai udita nella Storia, non mi pare che ci sia in giro molta indignazione. Berlusconi ci ha preso per sfinimento. Dove sono finiti i “girotondi”? Io ho partecipato a tutti. A cominciare dal Palavobis dove 12 mila persone si trovarono riunite quasi per caso e per aver io, nel mio intervento, riprendendo Sandro Pertini, usato la frase “a brigante brigante e mezzo”, il ministro leghista della Giustizia Roberto Castelli voleva farmi arrestare. Ho partecipato alla manifestazione di piazza Navona. E a quella di piazza San Giovanni: 400 mila persone, di sinistra, di centro, di destra, di nulla. E 400 mila persone in piazza per una protesta che non aveva contenuti economici né strettamente politici, ma si fondava su una questione di principio, erano un’enormità oltre che una novità assoluta per il nostro Paese. Dove sono finiti Daria Colombo, Giuseppe Ayala, Francesco De Gregori? Dov’è finito Nanni Moretti che in piazza San Giovanni tenne un vibrante discorso che scosse l’intero Paese? Probabilmente si sono stancati. Persino Travaglio nel suo editoriale del 26.1, dedicato alla crisi di governo, ha solo sfiorato, in poche righe, l’argomento “Berlusconi for President”, evidentemente stufo di dover ripetere il mantra: pregiudicato, plurindagato, pluriprescritto.

Le ragioni per cui non è assolutamente accettabile che Silvio Berlusconi diventi Presidente della Repubblica italiana sono talmente evidenti che è inutile tornarci sopra. Poi, in subordine, ci sono altre questioni. Silvio Berlusconi è stato l’uomo più divisivo nella storia dell’Italia repubblicana. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale, come potrà riconoscersi in questo soggetto una parte molto consistente dei cittadini? Berlusconi ha 84 anni, ne avrà 86 al momento dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, 92, se verrà eletto, alla fine del mandato, 99 se ottenesse un reincarico. Già oggi è parecchio malandato: due operazioni al cuore, una alla prostata, è sopravvissuto al Covid che, soprattutto nei soggetti anziani, ha ripercussioni non trascurabili. Il Presidente della Repubblica ha pesanti incombenze sia nazionali che internazionali. Deve incontrare i suoi pari in Europa e nel mondo. Come dovranno barcamenarsi i burocrati che lo accompagnano? Lo carrucoleranno giù dall’aereo, lo porteranno in lettiga al luogo degli incontri, lo faranno ventilare da delle geishe giapponesi?

Già adesso Berlusconi non partecipa fisicamente a incontri ufficiali che, soprattutto in questo momento, dovrebbero essere di particolare interesse per il capo di un partito. Manda avanti Tajani. In compenso parla. Parla. Parla ogni giorno. Da dove? E chi lo sa? Forse da un sarcofago egizio.

 

Le parole per far ridere: piccola anatomia dei giochi linguistici

La sfida posta dai giochi enigmistici ha un antecedente alto nel mito della Sfinge, il mostro che, inviato per vendetta da Era all’ingresso di Tebe, divorava chi non sapeva rispondere al suo indovinello minaccioso. Edipo risolse l’enigma e liberò Tebe (poi scoprì di avere ucciso il suo vero padre e di aver fatto figli con la sua vera madre; e si accecò). La vicenda della Sfinge e di Edipo è una delle tante trasfigurazioni del mistero iniziatico, di cui, per gli Egizi, la Sfinge era simbolo. Il mistero iniziatico (l’ordine del mondo è fondato sull’omicidio, il sacro è la violenza, vedi Questioni comiche #1) apparenta, attraverso i processi storici che l’hanno via via eufemizzato, il sacro, il mito, il rito, la comicità, i giochi di prestigio e i giochi enigmistici.

Occupiamoci, per cominciare, dei giochi linguistici, tipo “Tu sei Pietro, e su questa pietra fonderò la mia chiesa” (un apocrifo, ma emblematico della loro rilevanza). Come spiega Bartezzaghi (2017), i giochi linguistici sono di due specie. Ci sono quelli fondati su regolarità, quali l’affinità sonora (assonanza, consonanza, allitterazione, rima, paronomasia); il parallelismo (fonemico, sillabico, metrico); l’ambiguità semantica (doppio senso); la condensazione (fusione, falsa etimologia); la mescolanza fra lingue, gerghi, registri; la parodia stilistica; la deformazione eccentrica (dialettismo, ipercorrettismo, vezzo verbale, lingue inventate); lo stereotipo verbale (tormentone, frasi celebri); la tipografia (giochi verbo-visivi). Sfruttano l’affinità sonora il calembour (che può anche fare perno su un’ambiguità semantica), il grammelot, il maccheronico, l’allusione a titoli celebri (come “Va’ dove ti porta il clito”, titolo che – ora può essere rivelato – fu un’invenzione di Umberto Eco) e la sostituzione di parole oscene. A tutti questi giochi aggiungerei quello suggerito da Borges: l’anacronismo deliberato, ovvero la sostituzione del contesto (per esempio, riscrivere verbatim il Don Chisciotte 300 anni dopo, come fa Pierre Menard, oppure “leggere l’opera di De Sade come se l’avesse scritta S. Paolo”): è un altro modo, sofisticato, di aggiungere ambiguità a un testo, cioè di farvi concorrere percorsi di senso (isotopie) diversi. I giochi linguistici fondati su regolarità hanno la stessa forma (sintattica e semantica) dei jokes e dei lapsus: ne condividono i tratti di infrazione pragmatica e di abbassamento del registro, veicoli dell’effetto comico. Questi giochi linguistici, nella classificazione dei giochi di Roger Caillois (1958), appartengono alla paidia, la polarità dei giochi di fantasia caratterizzata appunto da bassa normatività e alto potenziale comico.

Alla polarità opposta, quella del ludus, appartengono i giochi linguistici fondati su regole. Privilegiano la competenza combinatoria (l’azione sul significante) e propongono una sfida (risolvere un enigma, attenersi a una restrizione, riempire uno schema, battere un primato). Ne sono esempio le quattro famiglie di giochi enigmistici (giochi in versi, rebus, cruciverba, crittografie) e la ludolinguistica (panvocalismi, anagrammi, palindromi, metagrammi, lipogrammi, pangrammi & c.). Alcuni giochi possono avere una connotazione divertente: per esempio, la frase bisenso e l’indovinello, che, come i jokes, sfruttano l’ambiguità semantica e la bisociazione (Koestler, 1964). Anche la ludolinguistica fa sorridere, poiché richiama il piacere infantile delle filastrocche. Se l’anagramma del nome di una celebrità rivela un tratto personale (onomanzia), diventa comicità di carattere (Matteo Renzi = menerà zitto; temano terzi; mi tenta zero).

(3. Continua)

 

Il Corriere dà, il Corriere toglie

Il Corriere dà, il Corriere toglie. Ieri in un sussulto d’orgoglio il grande giornale della borghesia italiana ha puntualizzato se stesso. L’editoriale di Paolo Lepri si è preso la briga di spiegare che in effetti no, l’Arabia Saudita non è “un nostro alleato” come l’aveva definito Matteo Renzi il giorno prima, sempre sul Corriere della Sera, nella ficcante intervista di Maria Teresa Meli. Sul tema dell’incredibile marchetta al principe Bin Salman – non proprio un campione dei diritti umani – la Meli si era sentita di dover fare a Renzi una sola domanda: “La accusano di aver fatto da testimonial del regime saudita”. Nemmeno la fatica del punto interrogativo. Renzi – senza contraddittorio – aveva quindi azionato la supercazzola: “Soltanto chi non conosce la politica estera ignora il fatto che stiamo parlando (l’Arabia Saudita, ndr)
di uno dei nostri più importanti alleati”.
Sicuro sicuro?

Ieri il Corsera ha fatto mea culpa. Come scrive Lepri, gli argomenti di Renzi “appartengono alla fantasia”.

Demolition Man fa trappoloni: non è meglio andare alle urne?

Caro Marco, non so tu ma io non mi fido per niente. Perché nessuno mi toglie dalla testa che il percorso a ostacoli imposto da Demolition Man è stato studiato per esigere, giunti all’ultima curva, la non riconferma di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi.

Perché quando Matteo Renzi avrà concordato con il resto della coalizione il famoso cronoprogramma – con l’avvicendamento di tre o quattro ministri a lui sgraditi, a cominciare da Alfonso Bonafede alla Giustizia – egli con l’abituale gioco delle tre carte, ora perfezionato in qualche suk arabo, proverà a intortare gli astanti. È un trappolone abbastanza prevedibile, e mi sembra già di sentirlo mentre confeziona il pacco con l’inconfondibile stile arabo-rignanese: signori miei, visto che siamo d’accordo per arrivare insieme fino al termine della legislatura, e insieme eleggere anche il capo dello Stato, suvvia vogliamo paralizzare il Paese su Conte, come se non ci fossero personalità all’altezza in grado di guidare il governo? Se non l’ha già fatto potrebbe giocare la carta dell’esploratore Roberto Fico (visto che sta già lì) senza contare Draghi, Panetta, Cartabia, Cottarelli, e chi più ne ha più ne metta. Spero naturalmente di sbagliare, ma penso che fidarsi del campione del mondo dell’inaffidabilità sarebbe un po’ come nominare presidente di Amnesty lo sceicco Bin Salman.

Perciò mi chiedo e ti chiedo: prima di finire mani e piedi impigliati nella rete renziana, non sarebbe preferibile dargli un taglio e procedere speditamente verso le elezioni? Conosco la prima obiezione: però, fissarsi sul Conte-ter non è la stessa modalità ricattatoria, sia pure di segno opposto, rimproverata a Renzi? No, perché se l’avvocato pugliese si trova saldamente in vetta alle classifiche di popolarità in Italia e in Europa, significa che la sua capacità di governo nel corso di un periodo tra i più drammatici della storia italiana viene largamente apprezzata. Senza contare che tre partiti su quattro della coalizione uscente lo hanno ricandidato senza se e senza ma. Quindi, piegarsi ai diktat del “politico più impopolare che vuole cacciare il politico più popolare” (Massimo D’Alema), quel tizio che si diverte a taglieggiare i governi dall’alto del 3% dei consensi, non sarebbe sommamente indecente?

Poi c’è l’argomento che soprattutto nel Pd si considera decisivo: che se si va al voto possiamo trovarci Matteo Salvini a Palazzo Chigi, e Silvio Berlusconi al Quirinale. Ne siamo proprio sicuri? Secondo il sondaggio Ipsos pubblicato domenica dal Fatto la somma di Lega, FdI e Forza Italia fa 46,2%. Mentre M5S, Pd e Sinistra Italiana raggiungono insieme il 40,3%. Se ai due partiti virtuali, Italia Viva e Azione di Carlo Calenda, aggiungiamo Più Europa abbiamo un 8% circa di elettorato certamente non sovranista e neppure antieuropeo. In una campagna elettorale fortemente polarizzata sulla gestione dei 209 miliardi di fondi europei (ottenuti grazie al negoziato condotto da Conte) siamo così convinti che gli elettori tutti quei soldi li lascerebbero nelle mani di chi li considera sterco del diavolo, o quasi? Ok, insiste il partito del male minore, ma davanti al rischio che il destra-centro conquisti l’intero piatto elettorale non sarebbe meglio ingurgitare l’amaro fiele renziano piuttosto che mettersi nelle mani degli amici di Trump e di Putin?

Controdomanda: quindi proprio noi che esaltiamo ogni giorno la Costituzione più bella del mondo dovremmo metterci di traverso per impedire l’attuazione dell’articolo 1 e del principio che la sovranità appartiene al popolo? E ciò perché temiamo che all’apertura delle urne vincano gli altri (oppure perché i mercati la prenderebbero male)? E se pure vincessero gli altri (e non è detto) la sconfitta del centrosinistra (o di ciò che ne ha le parvenze) non potrebbe essere l’occasione per riflettere sugli errori commessi? E stando all’opposizione, perché non cercare di costruire la futura maggioranza su basi più solide? Non si chiama democrazia? E non potrebbe anche essere la buona volta che ci togliamo dalle scatole quel signore lì?

Dimenticavo lo strombazzato “governo dei migliori”. A parte che non si capisce come verrebbero scelti questi supposti “migliori” (per concorso o a cura delle note confraternite?) penso che abbia ragione Paolo Mieli quando giudica il governo istituzionale una finta soluzione, o nel migliore dei casi un ponte per arrivare al voto di giugno. In conclusione, se Renzi alzando ogni giorno il prezzo del ricatto alla fine costringesse Conte a farsi da parte, spero vivamente che Pd e 5Stelle mantengano l’impegno preso di chiudere questo teatro dell’assurdo e di dedicarsi alla campagna elettorale. Sinceramente, Marco, sto forse vaneggiando?

L’improbabile toto-premier da Draghi alla Belloni

Draghi, Cartabia, Cottarelli; Giovannini, Belloni, Guerini, Franceschini; Di Maio, Lamorgese, Gentiloni, Sassoli.

Lo squadrone del toto premier si potrebbe leggere come l’11 dell’Italia campione del mondo nell’82.

Sui giornali, in assenza di notizie concrete, si lavora di artificio e fantasia per provare ad azzeccare il nome dell’eventuale successore di Giuseppe Conte. Si va dal sempiterno moloch di Mario Draghi a figure femminili già mitologiche (per l’opinione pubblica che per lo più ignora chi siano) come la costituzionalista Marta Cartabia e più di recente la diplomatica Elisabetta Belloni. Dal mazzo dei retroscenisti di tanto in tanto torna a uscire la carta di Carlo Cottarelli e persino dell’ex ministro Enrico Giovannini. Più defilate le opzioni politiche, come i sempreverdi Paolo Gentiloni e Dario Franceschini, l’europeista David Sassoli e il semirenziano Lorenzo Guerini. Ne resterà uno solo, o probabilmente nemmeno quello.