La sai l’ultima?

Cina Il Covid si traccia pure con i tamponi anali. I negazionisti: “Atto di sottomissione al potere”

La notizia della settimana è purtroppo quella che arriva dalla Cina: dopo aver esportato il Covid, Pechino si accinge ad esportare anche i tamponi anali per tracciarlo. La ragione è prettamente scientifica: il tampone anale sarebbe più efficace perché il virus resta più a lungo nel canale rettale rispetto a quello respiratorio. Come prevedibile, però, la notizia ha trascinato il dibattito sul Covid in una dimensione da Bagaglino, scatenando facili ironie e ostentazioni di modesto livello (“Non avrete mai i nostri culi”). Le parole più incisive, come spesso accade, le ha pronunciate Alessandro Meluzzi, autoproclamato “pope” della Chiesa ortodossa, propalatore delle più assurde teorie negazioniste (e ovviamente molto apprezzato da Matteo Salvini): “Ora introducono anche i tamponi anali, credo che abbiano a che vedere con una dimensione simbolica e psicologica di sottomissione dell’uomo”. Insomma è l’ennesimo scherzetto delle depravate élite progressiste.

 

Regno Unito Filippo sta per compiere 100 anni grazie anche alla nutriente dieta ricca di “asinelli”
Il simpatico principe Filippo di Edimburgo sarà ricordato non solo per la longeva carriera da marito della regina Elisabetta, ma pure per una curiosa dichiarazione del 1988, una tra le tante prove del suo irresistibile spirito e della sua filantropia: “Se muoio, vorrei reincarnarmi in un virus letale così da contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione”. I suoi desideri si sono realizzati a metà: il virus è arrivato senza che nemmeno si dovesse sacrificare. A giugno Filippo compie 100 anni, ha già fatto sapere di essere molto infastidito dai festeggiamenti in pompa magna che stanno preparando per lui. In compenso questa settimana Filippo e il Messaggero ci hanno regalato un titolo notevolissimo: “Principe Filippo verso i 100 anni, i segreti del record: dal polo al relax alla dieta ricca di asinello”. Il titolista è malizioso: il vegliardo ha molti difetti ma non è un mangiatore di somari. L’ “asinello” in questo caso è un pesce simile al merluzzo.

 

Messico Accoltella il marito dopo aver scoperto le foto insieme all’amante. Poi si accorge che era lei da giovane
Sembra la storia di Narciso al contrario. Una donna forse insicura – di certo piuttosto impulsiva – si è convinta che il marito la tradisse perché non è stata capace di riconoscere la propria stessa immagine nelle fotografie di qualche anno prima. La notizia arriva dal Messico ma la racconta il Daily Mail: la moglie gelosa ha scoperto delle foto compromettenti del consorte insieme a un’altra donna, è impazzita dalla rabbia e l’ha accoltellato alle gambe, mandandolo all’ospedale in condizioni gravi. Solo che quella lì non era affatto un’amante adultera: era proprio lei insieme al marito quando erano giovani. La donna – accecata dai sospetti o forse semplicemente tradita dalla miopia – è stata arrestata. Quando è arrivata la polizia, allertata dai vicini, ha trovato l’uomo in una pozza di sangue mentre provava a far capire alla moglie che gli stava dando la colpa di aver fatto l’amore con lei.

 

Lombardia Tre elicotteri atterrano accanto alla baita, i piloti scendono e vanno prendere la polenta d’asporto
La vita è fatta di priorità e la polenta calda in montagna è uno dei capisaldi. Il problema è che gli impianti sciistici sono chiusi e le baite pure. Un gruppo di facoltosi imprenditori non si è arreso e ha deciso di andare a prendere comunque la polenta da asporto. In elicottero. Lo racconta il Corriere della Sera: “La scena non è passata inosservata ai turisti che nell’ultimo giorno di zona arancione in Lombardia, sabato scorso, avevano deciso di regalarsi qualche ora sulla neve. Tre elicotteri atterrati quasi contemporaneamente, da ognuno è sceso il pilota: le tre persone hanno raggiunto il rifugio, comprato bibite e piatti caldi, per poi ripartire. ‘Sono clienti abituali — spiega il titolare della baita, Walter Esposito —. Imprenditori brianzoli che conosciamo da decenni, che spesso in passato, sempre con l’elicottero, hanno fatto capolino da noi. Non li vedevo da prima della pandemia. Forse hanno deciso di regalarsi una giornata speciale prima che chiudesse nuovamente tutto’”.

 

Olanda Il decalogo della Sanità pubblica: per affrontare serenamente il lockdown trovatevi uno “scopamico”
Ognuno ha i comitati tecnici scientifici che si merita. In Olanda sono un po’ più allegri: la direzione dell’Istituto nazionale per la salute pubblica ha dato indicazioni per affrontare in modo intelligente quarantene e lockdown. Tra le altre cose, ha suggerito a chi non abbia un partner sessuale stabile di trovarsi un “sex buddy”. Un “amico di sesso” o uno “scopamico”, nella non elegantissima declinazione italiana. Il senso del messaggio è chiaro: bisogna evitare contatti promiscui per non favorire la trasmissione del Covid, quindi se avete esigenze sessuali cercate di soddisfarle sempre con la stessa persona. La forma invece è curiosa, visto che proviene da un organo istituzionale. Ma gli olandesi sono molto avanti. Nel decalogo sono consigliate anche diverse pratiche per fare sesso da soli o in compagnia mantenendo la distanza (“raccontare storie erotiche o masturbarsi insieme”). L’istituto per la salute pubblica l’aveva pubblicato per il primo lockdown (23 marzo), il Guardian l’ha rilanciato in questi giorni: il tema è sempre attuale.

 

Roma Il padre si rifiuta di dargli i soldi, un 40enne inizia a lanciare sedie e sdraio dal balcone di casa
A Torre Maura, periferia est di Roma, il padre e la madre si onorano anche così: un 40enne è stato arrestato perché ha iniziato a lanciare sedie dal balcone di casa dopo il rifiuto del papà di dargli i soldi. È una storia di dolore e probabilmente di dipendenza, proviamo a sdrammatizzarla un po’ immaginando l’aspetto coreografico, il diluvio di sgabelli piovuti in strada come botti di Capodanno in un tranquillo (per il resto) venerdì sera. Per fortuna sotto non c’era nessuno. Il bilancio finale – scrive Roma Today – è di “due sedie e una sdraio gettate dal balcone”. Quando sono arrivati i poliziotti, il quarantenne ancora in terrazzo li ha salutati così: “Vi ammazzo tutti”. Dentro “gli agenti hanno trovato l’abitazione completamente a soqquadro: tutte le porte erano state divelte insieme a mobilio e suppellettili distrutte”. Un comportamento “abituale” quello del figlio, come ha raccontato alla polizia il papà, anche nei confronti di “altri familiari”. L’uomo è stato arrestato per maltrattamenti ed estorsione.

 

Canada La star di TikTok cresciuta in una famiglia mormone: ha un padre, 27 madri, 149 fratelli e sorelle
Ha le carte in regola per diventare un leader del Family Day, la stoffa per sfidare Mario Adinolfi. Merlin Blackmore, 19enne canadese, è diventato una star di TikTok raccontando la sua vita familiare: il ragazzo è cresciuto in una comunità mormone fondamentalista. Il suo nucleo consiste in un padre, infatti ha soltanto un padre, 27 madri e 149 fratelli. Il ragazzo sostiene di essere cresciuto nella convinzione di avere una famiglia ordinaria fino a quando non si è affacciato nella scuola pubblica, a 16 anni. Poi la fulminante scoperta: “Stavo studiando le leggi del nostro Paese e ho trovato la norma contro la poligamia: un intero capitolo era dedicato alla mia famiglia, la famiglia Blackmore”. Il padre del giovane, il 64enne Winston Blackmore, è stato condannato a 6 mesi di reclusione nel 2017, racconta today.it. La famiglia Blackmore si riunisce in grandi occasioni, come la festa del Ringraziamento. Vive come una comunità separata, i bambini studiano in famiglia. I figli, per distinguerle, chiamano “Mum” la mamma naturale e “Mother” le altre.

“L’Italia e l’ira funesta: sindrome Sudamerica, fuggiamo dal futuro?”

“Questa disconnessione totale della politica con la realtà sta spalancando le porte dell’Italia a una prova di massa dell’anomia, cioè a forme di disordine diffuso, a uno sviluppo molecolare del ribellismo, alla convinzione di dover fare sempre più a meno della legge e di un governo. Temo che nel prossimo futuro saremo preda della sindrome sudamericana del periodo pre-peronista”.

Fuggire dal futuro. La diagnosi di Marco Revelli sull’Italia che verrà è infausta.

Cos’è questo Parlamento se non il risultato di una disistima totale dell’elettorato verso coloro che avevano governato il Paese nei decenni precedenti? Tanto grande la disistima e la sfiducia da far prevalere il partito di un comico su tutti gli altri, ritenendo che il comico potesse essere più capace o almeno più onesto di tutti gli altri. Cos’altro doveva accadere per allarmare tutti e convincerli a mutare abitudini, riti, esibizioni di potere sciagurato? E invece siamo qua a commentare le iniziative di un uomo politico corsaro, della sua attività demolitrice, della totale assenza di senso della misura.

Matteo Renzi è l’unico responsabile della sciagura?

Renzi è un corsaro senza coscienza pubblica. Ma il problema gravissimo è che le istituzioni non hanno mostrato, in questa dissennata vicenda, di avere gli anticorpi per tenerlo a bada. La prova che l’Italia l’è malata.

Lei cosa avrebbe sperato?

Avrei sperato che gli altri partiti, persino quelli di opposizione, avessero neutralizzato l’attività corsara di Renzi e attivato una clausola di salvaguardia collettiva. Poi alle elezioni avrebbero regolato i conti.

La politica di Renzi è anzi spesso commentata con favore e rispetto.

Leggo commenti che rilevano fondamenti di serietà in un’azione incomprensibile, di elementi di razionalità in una spericolata operazione di puro potere. Dietro questi commenti scorgo anzitutto l’ombra di potentati, come Confindustria, che non si danno pace, che vogliono a tutti i costi riguadagnare condizioni di supremazia e dettare l’agenda al governo.

È necessario però riflettere anche sulle responsabilità di Giuseppe Conte. Dove ha sbagliato, perché ha sbagliato e quando ha sbagliato.

Ha coltivato l’idea che la sua solitudine, l’essere cioè estraneo ai riti e alle piccole e grandi chiese dell’apparato politico, lo tenesse fuori dalle rogne. E poi si è sopravvalutato troppo, ecco.

L’ha fregato il personalismo, l’idea – figlia di un posizionamento sempre mediano – di poter fare tutto e anche un po’ di più?

L’ha fregato anzitutto, se possiamo dire così, l’essere giurista. Avesse avuto nozioni di sociologia dell’organizzazione avrebbe compreso che le decisioni, anche le più giuste e opportune, se non correttamente veicolate nella catena di comando non producono nulla.

Se le Asl regionali invece che vaccinare i medici elargiscono le dosi agli amici degli amici…

Tu hai un piano, ma quel piano poi non lo gestisci. Ne paghi dazio senza averne apparente colpa. Però al fondo la tua responsabilità è chiara. Come con la cassa integrazione: stanziare i soldi ma non controllare che arrivino speditamente nelle tasche di chi ha bisogno è errore esiziale.

E adesso?

Temo che rimpiangeremo il tempo del turpiloquio di Beppe Grillo, la sua capacità di contenere la rabbia sociale dentro i limiti della rappresentanza istituzionale. Perché a me un dato sembra chiaro: gli italiani proveranno ancora maggior sete di rivalsa, e utilizzeranno altre strade per confermare la propria disistima, se non avversione a questa classe dirigente.

Paventa anni di piombo?

No, quelli erano figli di una stagione iperpoliticizzata. Qui all’opposto ciascuno si sente solo e cercherà prove isolate di contestazione. Un magma sociale disperato, che la pandemia convince alla rabbia dei mille movimenti di forconi improvvisati, all’età del disordine capillare.

Movida e piazze affollate: le città anticipano il giallo

Da oggi tutte le Regioni – tranne Umbria, Puglia, Sardegna, Sicilia e Provincia di Bolzano sono a rischio “moderato”. Ma molti non hanno atteso che l’ingresso in zona gialla fosse ufficiale e si sono riversati all’aperto per respirare e incontrarsi dopo settimane di semi-clausura di color arancione. A Milano, Roma, Bologna, Napoli gli italiani sono tornati a rivivere le strade e le piazze. Dopo le prime avvisaglie di sabato, ieri pomeriggio i milanesi hanno invaso il centro tra il Duomo e Corso Vittorio e, soprattutto nella zona dei Navigli, si sono creati assembramenti con centinaia di giovani riuniti in gruppi nell’area della Darsena. Molta gente in giro anche in corso Vittorio Emanuele e tra piazza Gae Aulenti e corso Como. Ritorno della folla anche a Roma, dove sabato sera in piazza del Popolo sono scoppiate risse a cui hanno preso parte circa 200 giovani. Sabato la Polizia locale ha chiuso alcune aree tra il centro e Trastevere e ha comminato 40 sanzioni. Ieri pomeriggio, poi, una folla ha invaso via del Corso. “Il virus non è stato ancora sconfitto, non possiamo vanificare gli sforzi fatti – l’appello della sindaca Virginia Raggi -. Episodi come quelli di ieri sera non sono tollerabili”.

È stato un sabato di assembramenti anche nella zona universitaria di Bologna, dove sono stati segnalati numerosi gruppi di giovani in strada anche dopo le 22. Le stesse scene viste al Vomero, quartiere collinare di Napoli, dove i carabinieri hanno identificato 172 persone, effettuato 39 perquisizioni e staccato 44 multe. Che hanno colpito anche i tre gestori e i 41 clienti trovati in un locale a luci rosse di Giugliano per fare “sesso a pagamento”.

Eppure gli addetti ai lavori lo dicono da giorni: il ritorno in area gialla “non significa normalità”, ha ripetuto ieri il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo. Occorre “evitare assembramenti” poiché c’è il rischio “reale che la curva schizzi rapidamente verso numeri difficilmente gestibili” e non ripetere quanto accaduto la scorsa estate quando “molti si sono proiettati al ritorno alla normalità senza capire che il virus era, come oggi, attorno a noi”.

Ieri sono stati 11.252 i nuovi casi rilevati a fronte di 213.364 test, tra tamponi e antigenici, con un’incidenza del 5,27%, in lieve risalita rispetto a sabato. I morti sono stati 237, al minimo da 3 mesi. Ma i “segnali di allarme” vanno avanti da giorni, secondo matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone” del Cnr. Secondo i suoi calcoli “la sequenza temporale della variazione percentuale settimanale della curva dei positivi sui tamponi molecolari mostra valori negativi – spiega il matematico -. Cosa buona, ma purtroppo in crescita a partire da circa 14 giorni dopo il rilascio delle misure, avvenuto il 7 gennaio”. Dal 25, infatti, “questi valori sono diventati positivi. Questo fa prevedere un significativo aumento dei contagi nelle prossime settimane”. Una situazione in cui vanno considerate anche le condizioni climatiche più vantaggiose per il virus, la diffusione di varianti con maggiore capacità di trasmissione e la progressiva ripresa delle attività delle scuole superiori. Su questo fronte, per l’Unesco tra settembre e gennaio l’Italia non è tra gli Stati che hanno sospeso la didattica in presenza. Anzi, a parte la Francia, le cui scuole sono considerate sempre aperte, ad aver bloccato l’attività ci sono Germania, Olanda e Regno Unito, con 4 settimane di stop.

Sul fronte vaccini, intanto, oggi le Regioni torneranno a discutere con il governo per rimodulare il piano nazionale a seguito dei ritardi della produzione e dopo l’ok da parte dell’Aifa al siero di AstraZeneca più adatto agli under 55. Con quest’ultimo “possiamo parallelizzare il processo, con i vaccini di Pfizer e Moderna che invece somministriamo secondo il piano approvato dal Parlamento – ha detto ieri il commissario Domenico Arcuri -, prima personale sanitario, Rsa, poi ultraottantenni, poi i meno anziani. Con il vaccino di AstraZeneca potremo avviare il percorso parallelo per chi ha tra i 18 e i 55 anni”. E contro il vaccino si è schierato l’ex Nunzio negli Usa, Carlo Maria Viganò, tra i più acerrimi nemici di Papa Francesco, che ha definito il siero “immorale” per via dell’uso di materiale derivante da feti abortiti.

In tutta Europa, intanto, aumenta la tensione contro le restrizioni. A Bruxelles, Budapest, Vienna e Amsterdam, si sono verificati scontri in piazza con decine di arresti.

Ursula e la corsa al Colle: l’altro ostacolo in campo

C’è la crisi di governo, ma c’è anche il calendario che inizia oggi il conto alla rovescia dei 365 giorni: siamo a un anno esatto dalla scadenza del settennato di Sergio Mattarella, eletto al Quirinale il 31 gennaio del 2015, e la partita per il prossimo presidente della Repubblica si incrocia pericolosamente con quella della crisi di governo appena iniziata. Terreno assai fertile per sospetti e congiure, altrettanto fecondo per complotti e fantasmi.

L’indiziato numero uno, al solito, è quel Dario Franceschini che – non è un mistero – sogna il Colle. E su di lui si intrecciano racconti assai contraddittori.

Da una parte c’è chi lo descrive come impegnato pancia a terra nella mediazione, oltre che nel tentativo di allargamento del perimetro giallorosa che non si è mai fermato, nonostante l’operazione Responsabili non sia decollata. Dall’altra c’è chi sostiene che sarebbe pronto a mollare Conte, se dovesse intuire che è proprio il suo nome quello che impedisce la nascita di una “maggioranza Ursula”: ovvero l’ostacolo a quel “dialogo democratico e proficuo anche tra forze politiche diverse” che anche Luigi Di Maio aveva evocato a crisi appena aperta, pensando si potesse ormai fare a meno di Matteo Renzi.

Così non è andata, come noto. Ma è chiaro che una base parlamentare più solida – allargata quindi ai centristi e a pezzi di Forza Italia – sarebbe garanzia di sostegno per il Quirinale che al ministro della Cultura non potrebbe dispiacere. E soprattutto toglierebbe dal tavolo la carta del voto a giugno, quello a cui lo stesso Conte – se riuscisse a varare il suo terzo governo – potrebbe comunque appellarsi nel caso di nuove, prevedibili, bizze dell’alleato Italia Viva. Sostenuto in questo solo da una parte minoritaria del Pd, pur rappresentata dal segretario Nicola Zingaretti.

Ma la partita Quirinale è dirimente anche nel centrodestra, assai diviso sull’atteggiamento da tenere in questa delicata fase istituzionale. Ieri Giorgia Meloni su Repubblica ha portato a galla i malumori interni, dicendo che non ha paura di rimanere “isolata” (tradotto: se gli altri “inciuciano”, Fratelli d’Italia non ci sta). Nei giorni scorsi era stato il leader della Lega Matteo Salvini a sventolare l’arma del Colle – in maniera piuttosto smaccata, va detto – per convincere Silvio Berlusconi a non fare strappi. “Ti mandiamo al Colle”, lo lusingava, confidando nelle elezioni anticipate e nella vittoria scontata del centrodestra. Un’ipotesi che ieri, intervistato dal Corriere della Sera, lo stesso Berlusconi ha giudicato irrispettosa “verso la più alta carica dello Stato, verso la mia storia personale e verso la nostra alleanza, che si basa su logiche di ben più alto profilo”.

Ma al di là di quello che si dice nelle interviste, è chiaro a tutti che uno dei motivi per cui Giuseppe Conte ha accettato suo malgrado di rimangiarsi il veto su Matteo Renzi sia proprio la consapevolezza che rompere l’alleanza giallorosa ora avrebbe conseguenze nefaste sull’assetto delle cariche istituzionali di prossima elezione: la prospettiva del governo di unità nazionale, in sostanza, dividerebbe i destini di Pd e Cinque Stelle, eliminando di fatto l’unica possibile alternativa credibile a Salvini e Meloni. E spalancando dunque le porte del Quirinale al centrodestra.

Mattarella smentisce chi avvelena i pozzi: “Mai sondato Draghi”

Da quando ha lasciato la Presidenza della Bce Mario Draghi è l’uomo più tirato in ballo della politica italiana. Candidato in pectore a tutto: Presidente della Repubblica, ministro dell’Economia e Presidente del Consiglio. Da quando è nato il governo giallorosa, per buona parte della stampa italiana e dei poteri economici che tifano per lui, è lo spettro che aleggia su Giuseppe Conte. Una sorta di minaccia che dovrebbe orientare l’operato del premier. Draghi non ha mai risposto alle aspirazioni che gli vengono attribuite ed è difficile immaginarlo bramare per risolvere le beghe dei partiti italiani. Così fino ad oggi venivano usati suoi interventi pubblici – per esempio quello dell’ultimo Meeting di Rimini – per dimostrare che lui come capo del governo sarebbe perfetto.

Ieri, invece, nel pieno delle consultazioni dell’esploratore Roberto Fico per capire se si possa arrivare a un Conte ter, i grandi giornali hanno fatto un salto di qualità: dare per certo l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi dopo un accordo con Renzi e diverse telefonate con Mattarella. Peccato che la notizia di un patto con il senatore di Scandicci non trovi alcuna conferma e i contatti con il Capo dello Stato siano stati smentiti dal Quirinale. A buttare lì la notizia sono i due quotidiani del gruppo Gedi della famiglia Elkann, La Repubblica e La Stampa, che in queste settimane spingono per un governo istituzionale. Il quotidiano torinese ieri titolava: “Quelle telefonate del Colle a Draghi che fanno tremare Pd e Movimento”. Nel retroscena le “prove” dell’imminente arrivo di Draghi a Chigi erano due: la telefonata “tre giorni fa” di Sergio Mattarella “nel bel mezzo delle consultazioni” e una sorta di accordo Renzi-Draghi, rivelato da una fonte di IV molto vicina all’ex premier. In cosa consiste? “Una disponibilità condizionata di Draghi e la possibilità di un appoggio esterno della Lega a un eventuale governo del presidente guidato dal banchiere” spinto da Giancarlo Giorgetti. La condizione posta da Draghi sarebbe quella di avere “una maggioranza solida, larga abbastanza da metterlo al riparo dai ricatti dei partiti”. Secondo La Stampa, questo governo sarebbe sostenuto anche da FI, dal Pd e finanche dal M5S.

Peccato che fonti del Quirinale ieri abbiano nettamente smentito contatti con l’ex presidente della Bce: “È destituita di ogni fondamento la notizia che il presidente Mattarella abbia contattato, da quando si è aperta la crisi di governo, il presidente Mario Draghi”. Non solo: la disponibilità di Draghi a fare il premier, messa in giro da fonti di IV e FI, non trova alcun riscontro. Eppure La Stampa tifa lo stesso per il banchiere: ieri in prima pagina il direttore Massimo Giannini sperava in un governo Draghi “ma purtroppo non sembra alle viste una maggioranza possibile che lo sostenga” mentre sabato Flavia Perina cercava in lui, Marta Cartabia o Carlo Cottarelli “un nuovo cincinnato per uscire dal vicolo cieco”. Se venerdìLa Repubblicaparlava di “sirene su Draghi” e faceva l’elogio “dell’invisibile protagonista della crisi”, ieri il quotidiano di Maurizio Molinari è andato oltre, attribuendo allo stesso Conte una minaccia nei confronti del M5S: senza un “ter” c’è Mario Draghi, sarebbe stato l’avvertimento del premier al suo partito. Secondo questa ricostruzione, Draghi sarebbe stato “preallertato dal Colle” ma allo stesso tempo “non c’è un indizio concreto che ci sia stata una mossa del Quirinale”. Altro giro, altra smentita. Stavolta da Palazzo Chigi che definisce “destituite di fondamento e veridicità” le ricostruzioni su Conte con “virgolettati mai pronunciati e fantasiosi retroscena”.

I “temi” per arrivare a un nome. Oggi Fico prova a stanare Renzi

Prima i programmi, anzi “i temi” come ripete da settimana il distruttore che sostiene di voler costruire, Matteo Renzi. Poi, se stamattina i giallorosa al tavolo dei partiti non litigheranno e se proprio lui, Renzi, non giocherà (ancora) a nascondino, dovranno parlare del vero problema, ossia del nome del prossimo presidente del Consiglio. Forse con un secondo giro di consultazioni dell’ “esploratore” Roberto Fico. E allora eccolo, lo snodo delle consultazioni. Perché M5S, Pd e Leu da lì sono ripartiti e lì vogliono tornare, alla conferma di Giuseppe Conte. Ma il fu rottamatore voleva la sua testa, e chissà se i giorni e gli scricchiolii anche dentro la sua Italia Viva gli hanno fatto cambiare idea.

Soprattutto, chissà se oggi vorrà sciogliere il nodo gordiano, ossia esprimersi su un Conte ter. Perché stamattina i suoi emissari al tavolo sui temi, i capigruppo Davide Faraone e Maria Elena Boschi, “non parleranno di nomi” come hanno già fatto sapere ieri sera. Le loro energie, giurano, saranno tutte per arrivare “all’accordo scritto” invocato da Renzi, discutendo dei temi centrali per Iv: dal Mes al Recovery Plan, fino a “temi di economia e giustizia”. Fondamentali per scrivere un nuovo contratto di governo. “Ma un contratto del genere mica lo fai in poche ore” sibilano i grillini, ormai esperti della materia.

Così il sospetto di tutti i partiti è che l’ex sindaco di Firenze voglia tirarla ancora lunga. E magari ribaltare il concetto, tentando di lasciare il cerino agli altri giallorosa. Cioè dire che, visto che c’è una convergenza sui temi, non è il caso di impuntarsi su Conte, perché alla fine cos’è un nome di fronte ai contenuti? “Non dovevamo partire da questa storia dei temi, rischiamo solo di avergli dato altro tempo e altro vantaggio” ringhiavano così ieri fonti trasversali da Pd e Leu, mentre i 5Stelle cercavano di mettere assieme i punti di programma con riunioni via web a catena: prima le commissioni, poi i capigruppo e i vertici a filtrare tutto. La certezza è che oggi alle 9.30 Fico ospiterà a Montecitorio le delegazioni di tutta la ex maggioranza: due persone a testa, con la possibilità di portare anche un tecnico (un esperto del settore legislativo, per esempio) a sostegno. Alla fine i partiti manderanno i capigruppo. Ergo, niente leader. Per trovare un vero punto di caduta servirà altro. Ossia una seconda riunione, o un secondo giro di consultazioni. In fretta però, visto che domani Fico dovrà riferire al Quirinale. E sarebbe deplorevole salire al Colle senza il nome del possibile destinatario dell’incarico di formare un governo. Il presidente della Camera lo sa perfettamente, e proverà a fare esporre Renzi. Nel primo incontro Fico, raccontano fonti di governo, Iv è rimasta “coperta”. Mentre nelle riunioni con gli altri partiti il presidente della Camera ha registrato la palese insofferenza degli altri partiti nei confronti di Renzi.

Anche per questo, il “grillino rosso” resta convinto della necessità del tavolo tematico di questa mattina, per abbassare la temperatura dentro l’ex maggioranza. Ma i cattivi pensieri traboccano. “Renzi proverà a non fare il nome ma prima di domani va a tutti i costi snidato” ribadisce un big dei 5Stelle. Fermi sul nome di Conte. “Qualsiasi alternativa ci spaccherebbe, anche se fosse uno di noi” dicono vari maggiorenti. A quel punto, butta lì un veterano, “tanto varrebbe restare compatti ed essere disponibili anche a passare all’opposizione”. Altrimenti “il rischio è che a non votare un nuovo esecutivo siano anche insospettabili, e di peso”: soprattutto in Senato. Nell’attesa, mirano a introdurre nel contratto di governo un codice etico, che escluda gli indagati dall’esecutivo. E sarebbe una norma che escluderebbe dal governo Renzi e Boschi, indagati nell’inchiesta sulla fondazione Open. “Però bisogna arrivarci al passo successivo” ricordano fonti qualificate.

Tradotto , se oggi al tavolo Iv dovesse erigere barricate a favore del Mes, la situazione potrebbe farsi incandescente. Non a caso, raccontano sempre ambienti di governo, ieri Fico ha sentito “tutte le parti coinvolte”. Compreso Conte. In questi giorni l’avvocato si è trincerato nel silenzio, anche per non lasciare varchi a Renzi. Ieri ha passato la domenica in famiglia, in attesa di novità. Ma sente di continuo i partiti, e in particolare i 5Stelle. Aspettando che Renzi cali davvero le carte.

Ma mi faccia il piacere

Ghe pensa lù. “Disabile multato in un bar. Salvini: ‘Pagherà la Lega’” (Giornale, 31.1). In comode rate nell’arco di ottant’anni.

Sano garantismo. “Il magistrato vieta al detenuto il libro di Marta Cartabia” (Il Dubbio, 29.1). Pareva eccessivo anche come pena accessoria.

Gombloddo. “Dopo giorni di fango contro di noi, tutto è più chiaro. Non è Italia Viva ad aver aperto una crisi” (Matteo Renzi, segretario Iv, 26.1). E io ho un alibi di ferro: ero in Arabia Saudita sotto i piedi di Bin Salman.

Il baluardo. “Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico” (Renzi, Corriere della sera, 31.1). Lo combatte finanziandolo.

Permesso di soggiorno. “Un premier europeo per l’Italia”, “Il premier che serve al Paese deve dunque essere davvero europeo” (Maurizio Molinari, direttore Repubblica, 31.1). Giusto: non come quell’extracomunitario di Conte.

C’è un limite a tutto/1. “Il sindaco di Scandicci: ‘Non accostate il Comune a Renzi’” (Verità, 26.1). Passi per Pacciani, però adesso non esageriamo.

C’è un limite a tutto/2. “Su Rai3 Travaglio paragona Renzi al terrorista Bin Laden, con un rancore che non dovrebbe avere nulla a che fare col servizio pubblico. Se non arrivano prese di distanza da Conte, andrebbe interrotta ogni trattativa di governo” (Michele Anzaldi, deputato Iv, Twitter, 13.1). Nell’attesa, giunge voce di una presa di distanze di Bin Laden.

Fuori uno. “La proposta di Berlusconi: ‘Larghe intese con i migliori’” (Giornale, 30.1). Però: umile a tirarsi fuori subito.

Fuori due. “Ora il governo dei migliori” (Antonio Tajani, vicepresidente FI, Messaggero, 31.1). Carino a non volerci entrare nemmeno lui.

Fuori tre. “Emma Bonino: ‘Sì a una donna premier, se autorevole e competente” (Repubblica, 29.1). E niente, ci siamo giocati pure la Bonino.

Venghino, siori. “Ma quale Conte3, il trio Cartabia, Cottarelli, Draghi ci salverà” (Marco Bentivogli, ex sindacalista, Riformista, 28.11). E Giovanni Rana dove lo mettiamo?

Io so’ io… “Focolaio a Rebibbia: 75 positivi al Covid. Domiciliari a Verdini” (Il Dubbio, 30.1). Gli altri si fottano.

Colpa di Virginia. “Tangenti sui lavori stradali: ‘Buche, materiali scadenti’. Il periodo in cui sono circolate le mazzette è compreso tra il 2010 e il 2015” (Corriere della sera- cronaca di Roma, 30.1). Allora governavano Gianni Alemanno e Ignazio Marino. Poi nel 2016 arrivò Virginia Raggi. Quindi è colpa sua.

Tagliando. “Dopo il Covid sto meglio di prima. Due mesi in terapia intensiva, la fisioterapia mi ha rifatto nuovo” (Roberto Giacobbo, conduttore, Libero, 25.1). Mi sa che questo, anziché in ospedale, è passato in carrozzeria.

Vieni avanti, gretino. “Due donne coraggiose, Greta Thunberg come Anna Frank” (Giuseppe Sala, Pd, sindaco di Milano, 23.1). E questi sono i competenti. Poi ci sono gli incompetenti.

Muro del pianto. “I governatori leghisti fanno muro con Fontana: ‘Roma cambi i criteri’” (Verità, 26.1). E gli regali il libretto di istruzioni per il pallottoliere.

Machiavelli. “Errori da matita blu. Conte ha sbagliato tutto” (Pierferdinando Casini, ex Udc ora Pd, Corriere della sera, 27.1). Ha parlato quello che non ne ha mai azzeccata una.

Facci ridere/1. “Marconiglio e il complotto delle forze del male. La disperazione del direttore del Fatto” (Paolo Guzzanti, Riformista, 27.1). Dài, Paolo, parlami ancora della commissione Mitrokhin e di Scaramella, così smetto di disperarmi.

Facci ridere/2. “C’è ancora il giornalismo in Italia? No: c’è Travaglio” (Piero Sansonetti, Riformista, 30.1). Ma non tutto è perduto: c’è pure Sansonetti.

Il confratello. “Tutti gli errori di Zingaretti; il Pd succube dei Cinque stelle” (Fabrizio Cicchitto, Riformista, 30.1). Anziché di Licio Gelli.

Cassandro colpisce ancora. “Le varianti sono un pericolo, tutti in zona rossa per un mese” (Walter Ricciardi, consulente del ministero della Salute, che invece porta 15 Regioni in giallo e 5 in arancione, Messaggero, 25.1). Pazienza, Walterino, anche stavolta non ti si sono filati. Però ritenta, sarai più fortunato.

Dilemmi esistenziali. “Capelli lunghi o caschetto?” (Alessia Morani, Pd, sottosegretario Sviluppo economico, su Facebook con allegata foto della nuova acconciatura, 31.1). Le siamo vicini nell’ora della massima prova.

Il titolo della settimana/1. “Consip, Renzi testimone. Anche in questa crisi, solite toghe a orologeria” (Luca Fazzo, Giornale, 27.1). In effetti, per un’inchiesta partita appena nel 2015, c’è una fretta sospetta.

Il titolo della settimana/2. “È ancora Salvini il più popolare sul web” (Libero, 27.1). Contando anche gli insulti. Ma allora l’Innominabile non lo batte nessuno.

Il titolo della settimana/3. “Letizia Moratti è la nostra Lady di ferro” (Libero, 28.1). Facciamo di latta.

Il titolo della settimana/4. “Salviamo la democrazia” (Sabino Cassese, Corriere della sera, 31.1). Mo’ me lo segno.

Biondi il crooner “osa” il confronto con la storia del soul (e con i ricordi)

L’ultima (per ora) è nata quattro mesi fa. “La mia compagna, Romina, aveva deciso di chiamarla Etna. Sua nonna Maria era morta poco prima, io avevo insistito per omaggiarla. Ci siamo messi d’accordo per Mariaetna. E a tre settimane dal parto ci siamo detti: con un nome così, possiamo farla venire al mondo a Parma? Deve nascere sotto il vulcano. Abbiamo affrontato 1300 chilometri in auto per scendere in Sicilia. Mariaetna ha aperto gli occhi alle pendici della montagna”. Mario Biondi, padre orgoglioso di nove figli (“tutti voluti”), avuti da quattro donne. In vecchiaia, potrebbe metter su una family band. “Zoe e Marika sono coriste per Renato Zero, e hanno già collaborato ai miei dischi. La prima è anche grafica, la seconda modella per Armani. C’è Ray che sta per entrare in conservatorio, dove suo fratello Luis studia la chitarra. Marzio è intonatissimo e un fenomeno con la batteria: però ha abbandonato la musica per la giurisprudenza. L’avvocato Biondi, può servire per i contratti”. Marione ha appena compiuto cinquant’anni: “Qualche acciacco, ma mi dicono che il meglio della vita debba ancora venire”. Mille auguri dagli amici, la festa è stata pubblicare il dodicesimo album Dare. Che per lui, bilingue, ha un doppio significato. “In italiano dare è offrire tutto quel che hai, in inglese vuol dire ‘osare’. Se sei un artista non puoi limitarti a proporre quel che credi la gente voglia da te, come purtroppo vedo fare a molti connazionali”.

Così “Dare” è il disco dove Biondi esce dalla comfort zone, attraversando i territori del soul e del jazz per inoltrarsi verso il rock e la rielaborazione di standard dei tempi ruggenti. Con la tromba di Fabrizio Bosso e l’High Five Quintet, la chitarra di Dodi Battaglia, il trio tenor-pop de Il Volo, i sodali dell’acid britannico Incognito, la cantante e pianista Olivia Trummer. Brani inediti e non solo: Mario si lancia in reinterpretazioni cool di classici come Cantaloupe di Herbie Hancock, di Someday we’ll all be free firmata Donny Hathaway e perfino in una versione uptempo di Strangers in the night: “Non potevo competere con Sinatra, il limite non è solo l’immensità del mito, ma anche il vissuto che ogni cantante porta con sé. Ho una foto con Quincy Jones al Montreux Festival. Lui mi mostra l’anello al mignolo e mi dice: ‘Questo viene dalla Sicilia, me lo ha regalato Frank’. Ho ancora i brividi”. Quante frequentazioni illustri: “Avevo 38 anni, Burt Bacharach 82, mi trattava da amico, dandomi pugni nello stomaco per incoraggiarmi. E poi ebbi l’onore di fare da spalla a Ray Charles al Tua di Taormina. Ero un ragazzo, non ebbi il coraggio di avvicinarmi, la sua aura era monumentale”. Gli esordi dell’adolescente Mario erano stati nelle piazze isolane con il padre Giuseppe, in arte Stefano Biondi. “La prima volta fu a Giarre, la gente mi abbracciò. Io e papà avevamo 19 anni di differenza, eravamo cresciuti insieme. Complici, senza smancerie. Mi ripeteva sempre il nostro patto: mantenere la parola. Prima del concerto diceva: ‘Si va’. Barcollò solo quando gli rivelai di voler diventare un professionista”. Che oggi vuole rispettare le consegne: “A marzo ho due show , Roma e Milano. Li farò, rispettando le regole. Avremo poca gente in sala? L’importante è ripartire”. Come finirà a Sanremo? “Non è semplice cantare senza pubblico. Mi auguro si trovi una soluzione . Senza Festival sarebbe una resa”.

La “cerimonia” sanremese val bene un altro rinvio

Il tempismo, si sa, è tutto. Ed è sul tempo che si sta giocando l’ultima mano della partita di poker del Festival 2021: dal confronto con gli esperti emerge l’enorme difficoltà di organizzare tra un mese Sanremo in sicurezza e rispettando le norme imposte dal Dpcm. Dopo le indiscrezioni su improbabili sostituti alla conduzione come Alberto Matano e Carlo Conti, il direttore artistico ci ripensa. Amadeus ha maturato la decisione di andare avanti: resta convinto che la platea vuota penalizzi lo spettacolo, ma si rimetterà alle decisioni che prenderanno Rai e Comitato tecnico scientifico.

A preoccupare gli esperti però non è il nodo dei figuranti in sala, quanto quello degli inevitabili (e pericolosi) assembramenti. Per evitarli e per ristabilire la connessione sentimentale con il mondo della cultura, che in questi giorni ha fatto sentire la sua voce contro la disparità di trattamento sulla questione del pubblico, i vertici di Viale Mazzini hanno deciso di accendere la luce in cinque teatri, con altrettanti collegamenti dall’Ariston (come suggerito dal Fatto una settimana fa).

Marzo è la deadline perché tutte le parti in causa possano trarre vantaggio dal circo sanremese. La Rai ha i bilanci da ripianare attraverso i 15-17 milioni in più da incassare dagli sponsor dopo una spesa produttiva di 20 milioni (ma queste erano le cifre lusinghiere dello scorso anno: quota 37, che stavolta sarà impossibile raggiungere dopo la possibile defezione della Ferrero). La pubblicità, dopo aprile, costa molto meno. Per quanto riguarda il Comune, il sindaco Biancheri ha già sventolato lo spettro del default, in caso di annullamento: considerando il crollo dell’indotto, in una città turistica l’unica cospicua entrata nel bilancio municipale è rappresentata proprio dai 5 milioni garantiti dalla convenzione (stavolta annuale) firmata con la Rai. C’è poi il mondo della discografia, che attraverso le sigle Afi, Fimi e Pmi ha stilato un corposo protocollo di sicurezza per artisti e operatori. La filiera della musica è stremata dalla pandemia, dopo un anno in cui i maggiori introiti (concerti) sono stati azzerati. Senza Sanremo – e questo è il Sanremo della rottamazione delle vecchie glorie a favore di una nuova infornata di possibili idoli trap-pop-indie per la generazione X – vanno in tilt tutti i piani di sopravvivenza della boccheggiante discografia. Uniti e compatti, dunque, sempre che la grana sia risolta prima delle fatali Idi di marzo.

Eppure, man mano che passano le ore e si avvicina la diffusione del decisivo protocollo del Cts, in Rai comincia a farsi largo lo scoramento. Voci autorevolissime, dai piani alti di Viale Mazzini, sembrano aver messo in agenda, a matita, l’ipotesi di un rinvio ad aprile o meglio ancora maggio. Con tutti i rischi del caso, in primo luogo l’addio alle “convenienze” finanziarie garantite dalle date originarie. Senza dire che mai come in questo momento vale il “del doman non v’è certezza” perché non è affatto sicuro che a maggio il virus sarà sotto controllo.

Insomma è la tempesta perfetta: si sbaglia sia facendo il Festival, sia rimandandolo, sia saltando un turno. La decisione sarà comunicata la prossima settimana. Ieri è intervenuto anche Mogol (presidente Siae): “L’Ariston è un teatro e come gli altri è sottoposto alle limitazioni imposte dalla pandemia. Le regole devono essere uguali per tutti”. Maggio sembra davvero l’ultima spiaggia: un Festival ottobrino si rivelerebbe ancor più insensato per il sovrapporsi tra progetti artistici già confezionati per il 2021 e quelli da portare a compimento per l’anno successivo. E allora tanto varrebbe aspettare il 2022, ipotesi che per Amadeus (e per il suo manager Lucio Presta) sarebbe forse addirittura preferibile.

“Strehler è ancora adesso il più grande. E Arbasino non capiva nulla di teatro”

Si accendono le luci sul palco, ma di amici attorno non ce n’è neanche il sospiro.

La platea è vuota.

C’è però Gabriele Lavia, il diaframma spinge, la sua fisicità impone attenzione, il suo modulare frasi, concetti e azioni blocca i pochissimi in sala, presenti per riaccendere la tradizione millenaria del teatro, e portare sullo schermo Tutta scena – Il teatro in camera, otto appuntamenti, altrettanti protagonisti, dal 4 febbraio in esclusiva su TvLoft (www.tvloft.it).

Lavia aspetta in camerino, cordiale ma fermo. Un totem. Sa stupire, provocare, ribaltare la domanda, interrogare a sua volta, prendere i tempi, citare, recitare Dante o Amleto come chiunque può cantare Lucio Battisti; a differenza della sua proverbiale fisicità d’attore, quando è di fronte all’interlocutore diventa quasi un mimo dai movimenti impercettibili e senza le comuni percezioni dell’ambiente.

È freddo. L’ambiente è molto freddo. Ma lui è con un maglioncino a pelle (di cachemire) e giacca.

Maestro, come sta?

Come i poveri vecchi.

È poco credibile.

Ha ragione, non è giusto; come i vecchi poveri.

Finalmente a teatro. Sensazioni?

Bello, ma una serata è un momento, mentre i riti del teatro sono lunghi, di consuetudine, ed è un po’ di tempo che non li viviamo; (sorride) quando recita, il momento più bello della giornata dell’attore è la cena.

Il dopo teatro…

C’era un attore che spiegava di aver intrapreso la vita da teatrante solo per il post-spettacolo; ed è stato uno dei più grandi del Dopoguerra. Un gigante.

Chi era?

Gianni Santuccio.

Molti suoi colleghi si sono distrutti con le cene post-spettacolo.

La vecchia tradizione, e ne sono parte, non mangiava mai a pranzo, tantomeno prima di salire sul palco; il teatro è una mistica.

Perché tutta questa importanza al post-spettacolo?

Lì tutto diventa fisico, tragicamente e meravigliosamente fisico, mentre il teatro è una situazione diversa: è un assoluto, quindi impossibile da raggiungere. Però ha bisogno di una disciplina molto rigorosa.

Cosa intende?

Lo esprime la parola: è l’arte, o meglio la consuetudine del discepolo; (ci pensa) uno potrebbe replicare: “Ma come, ti chiamano maestro”. No, mi chiamano così perché non sanno cosa dicono, in realtà ho la disciplina del discepolo.

Cioè?

Non ho mai imparato. Nel momento in cui imparo, è finita.

Ha dichiarato: “Il teatro è una forma d’arte che non potendo cambiare non morirà mai”. In questi mesi ha avuto il timore di aver sbagliato?

Mestiere?

No…

Comunque impossibile, non può morire, e per una semplice ragione: non è una tecnica, mentre il cinema è già morto. Poi sento i politici disinformati parlare del cinema nelle sale, eppure ci vado spesso, e ogni volta mia moglie mi fotografa mentre sono seduto in una platea vuota.

Vuote da prima del Covid.

Da molto prima: è una téchne, e ogni téchne è superata da un’altra téchne, e ora è il momento del telefonino (e mostra il suo cellulare. Poi guarda l’oggetto, e aggiunge). Non di questo, non fa neanche le fotografie.

Il teatro è anche una forma di terapia?

No, è partecipazione e ne parlano tanti autori, a cominciare da Sofocle, Euripide, Shakespeare: nell’Amleto, Amleto stesso usa il teatro come tecnica poliziesca per scoprire la verità: lui non si mette di fronte allo spettacolo, ma guarda uno spettatore; (cambia leggermente tono di voce) diciamo che lei è lo spettacolo, tutti guardano lei alla regia di Elsinore, mentre Amleto è rivolto al Re, scruta i volti, perché il teatro era ed è il reggere lo specchio davanti alla natura dell’uomo, rappresentare il suo carattere. Questa è la ragione per cui non morirà mai.

Il suo primo approccio è stato a tre anni…

Con il Cyrano a Palermo, protagonista Gino Cervi; mi sono annoiato da morire, e non perché lo spettacolo fosse brutto, ma tutto sembrava piccolo e lontano; tempo prima, mio padre aveva dato il libro a mio fratello grande: “Leggilo ai tuoi fratelli”. Da allora ricordo ancora delle parti del Cyrano nella traduzione di Mario Giobbe.

Insomma…

Si aprì il sipario e tutto mi parve minuscolo, avvolto da una luce gialla, tipica del dramma storico, e a un certo punto non ne potevo più, con mia madre scocciata: “È l’ultima volta”; (ci pensa) quando torno a Palermo, al teatro Biondo, guardo quel palco, dove stavamo noi, accanto a quello Reale, perché mio padre per la serata aveva speso una fortuna, e parliamo del Dopoguerra, quando le linee ferroviarie erano state bombardate, per cui siamo andati in aereo.

Aveva speso più di una fortuna.

L’aereo era un bimotore sulla tratta Catania-Palermo, e io ero al finestrino, affascinato dalle eliche.

Suo padre grande appassionato…

Non grande, evidentemente voleva dimostrare qualcosa a mia madre, magari ottenere il suo perdono per qualche scappatella; dopo lo spettacolo siamo andati nel camerino a trovare Gino Cervi.

Un papà un po’ birbante.

A quel tempo lo erano tutti; era un’epoca particolare, dove si credeva che gli uomini avessero delle necessità.

Strehler per lei…

Il più grande regista dal Dopoguerra a domani; gli altri, per quanto bravi, stanno sotto e parecchio.

Ottavia Piccolo ricorda: “Strehler mi diceva cose terribili, ero terrorizzata. Avevo accanto Gabriele che mi mandava dei bigliettini con su scritto: ‘Sigh! non gli piaccio’”. Era così terribile?

No, poi siamo diventati grandi amici; lui mi ha onorato dell’amicizia, e quando ho iniziato con la regia, sin dalla prima volta, mi ha sempre mandato un telegramma o un messaggio e conservo ancora il suo ultimo, un mese prima che morisse.

Con su scritto?

‘Caro Gabriele, il nostro affetto è antico e intatto e intanto il nostro Amleto aspetta… ma non per molto’. Lo ricordo a memoria, lo tengo nel cassetto del baule che porto in tournée.

La più importante lezione che le ha lasciato…

Tutto; (cambia tono) stiamo parlando di un’altra storia; (ripensa alla Piccolo) con Ottavia ci conosciamo da quando lei aveva quindici anni, e ne ero innamorato: la andavo a vedere tutte le sere, era in scena con Il giardino dei ciliegi con la regia di Visconti e poi ne Il mercante di Venezia di Ettore Giannini; (pausa) siamo nati a un giorno di distanza, prima lei, e puntualmente per il mio compleanno mi arriva il suo messaggio ‘auguriiiiiii’ e se ci sono molte ‘i’ vuol dire ‘ti sei dimenticato del mio’. Mi piacerebbe lavorare ancora con lei e con Strehler ha interpretato Fool nel Re Lear, grande personaggio, grande spettacolo, anzi uno spettacolo inarrivabile, tutto il resto… (e muove una mano come a prendere le distanze).

Ci spiega quel “sigh” per Strehler?

Non mi faceva mai provare, non amava il mio personaggio, così un giorno presi la decisione: ‘Basta, me ne vado’, e lui a quel punto azzittì un inesistente vociare in sala: ‘Silenzio… (pausa) adesso Lavia vuole provare, mi raccomando zitti’. E io mi ero organizzato delle scene, completamente nudo, coperto solo da un perizoma color sabbia; lui vede questa situazione e sentenzia: ‘La più grande spogliarellista di Amburgo ti fa una sega’. Da quel momento è venuto fuori qualcosa di molto bello, perché era un genio e ne nascono pochi.

Una fortuna incontrarlo.

Eh sì.

Va saputa riconoscere, la fortuna.

Con lui non era complicato; il privilegio è stato di aver costruito con lui un rapporto particolare, profondo, e quando andavo a Milano potevo sedermi accanto a lui durante le prove, concessione rara, e non osavo muovermi fino alla fine.

Oggi com’è recitare con una platea vuota?

Non si può.

Perché?

Cosa vuol dire recitare? È citare nel già citato qualcosa che non era stato ancora citato per cui ricitiamo; quindi non recito il testo, il testo si prova, ma nel momento in cui sto sul palco devo ricitare l’ascolto dello spettatore; se in platea c’è la vecchietta che sgranocchia le caramelle io me ne accorgo.

Lei vede la platea.

(Stupito) Certo.

Molti suoi colleghi preferiscono di no, per evitare l’ansia.

Un conto è vedere, un altro è guardare: io non vedo, la guardo, colgo lo sguardo e l’ascolto.

Ha mai interrotto uno spettacolo?

(Ride, a lungo) Sono il più grande interrompitore dell’ultima storia del teatro: non perdono nessuno.

Castiga.

Tutti, e il cellulare è il massimo; la maggior parte della gente è cretina.

Per il teatro a cosa ha rinunciato?

A nulla, è la mia vita e spero possa esserlo ancora; piuttosto l’ha condizionata, e ogni vita è condizionata: vorrei aver fatto più spettacolo, aver recitato meglio delle parti; non posso più cimentarmi con Amleto.

Ha tre figli, si sarà perso dei passaggi.

E non ho mai rinunciato a una tournée, piuttosto li ho portati con me e due di loro sono attori molto bravi, la piccola è un fenomeno.

Le chiedono consigli?

Ogni tanto, con la piccola ora terrorizzata per la sua prima regia: ‘Non so la parte a memoria’.

Un classico.

Io non so mai la parte a memoria.

Sul palco, come risolve?

Ho portato in scena spettacoli molto complessi, come il Sei personaggi o Vita di Galileo, con qualcuno in scena preposto a suggerirmi.

Nel panico, mai?

No, invento: non so le parole, ma so di cosa parla.

Il suo primo palco.

Dalle monache per la recita di Natale, a me il ruolo di San Giuseppe, e ricordo ancora le battute: ‘Consolati Maria del tuo peregrinare…’ (e continua, e spiega anche le intonazioni volute dalla monaca).

Arbasino divideva gli artisti in tre categorie…

(La domanda non termina, lui va diretto) Capiva poco di teatro. Noi abbiamo dei miti, ma era un po’ snob; grande intellettuale, sia ben chiaro, ma di teatro… cosa sosteneva?

Divideva gli artisti in: brillante promessa, solito stronzo, venerato maestro.

Il teatro è più importante, ma non era il suo mestiere; l’attore è un abisso.

È un venerato maestro.

No, sono vecchio: ho 79 anni.

Li sente?

Certo, ed è meglio essere giovani, almeno non sai; sapere è un inganno. Mi mantengo abbastanza su cose che non so.

Quando ha iniziato a sentirsi vecchio?

Quando ho cominciato a essere vecchio.

Sì, ma quando…

Uno inizia a quarant’anni.

L’ha presa lunga.

Rosso di capelli ne ho sempre dimostrati meno, però non ho più l’agilità fisica di prima.

È considerato un sex symbol.

Magari, mi piacerebbe. Ma sono brutto. Ma alle donne mi sono dedicato.

La sua ex moglie, Monica Guerritore, l’ha definita un folle.

Non mi piacciono i sani; essere ragionevoli non vuol dire nulla, ne conosco molti per i quali non nutro alcuna stima.

Un suo vizio.

Sono pigro. Pigrissimo. Mi salvo solo perché ho i sensi di colpa, e la sera, per disperazione, mi cimento con la ginnastica. In casa ho una sbarra.

Quante trazioni?

Tante, più di lei.

Ci vuole poco.

Una decina.

Scaramanzia.

Ho dei piccoli cerimoniali: salgo sul palco sempre dallo stesso lato.

L’oroscopo lo legge?

Ogni tanto.

Lotteria?

Mai giocato a nulla.

Chi è lei?

Un poveraccio che ha fatto tanto teatro, che ha perso tutto per il teatro, e senza rimpianti.

(Shakespeare, ne “La dodicesima notte”: “La pazzia, signore, se ne va a spasso per il mondo come il sole, e non c’è luogo in cui non risplenda”)