Non è mica vero che il dolore è sempre un’opportunità. Dipende da come ci si muove, attraverso il dolore. Da come ci si muove nel buio.
E Michele Bravi, 26 anni, in questi tre anni dal terribile incidente d’auto in cui ha causato involontariamente la morte di una donna, di dolore ne ha attraversato un bel po’.
Lo spiega con un tormento così struggente, così limpido, da rendere chiaro perché La geografia del buio, il suo nuovo album, sia un piccolo capolavoro di sensibilità e ricostruzione.
Quando ti sei sentito pronto a riaffacciarti alla vita?
Nel periodo del dolore più forte ero tornato a essere un neonato. Le persone che mi erano accanto dovevano darmi da mangiare, mettermi a letto, prendersi cura di me. Nel 2019 ho cantato una canzone a un concerto della mia amica Chiara Galiazzo, sono sceso dal palco, una ragazza che lavora con entrambi mi guarda e mi dice: hai una luce negli occhi che non vedevo da tanto. Quella sera ho ricominciato a vivere una semi-normalità in mezzo alla gente.
Prima?
L’estate precedente giravo con un cappello e una sciarpa di lana perché sentivo che non mi fosse concesso di vivere la normalità. I media si erano accaniti terribilmente sulla mia vicenda, con notizie rimaneggiate, che scatenavano un turbinio nel mio privato e ostacolavano la terapia.
In che modo?
Magari arrivavo a un punto in cui iniziavo a interiorizzare quello che mi era accaduto e queste cose mi ributtavano nel passato.
Leggevi gli articoli sull’incidente?
Ho questo ricordo: un giorno ero a casa sul divano e vedevo gli occhi sconvolti degli amici che leggevano sul cellulare cosa si scriveva di me. Oggi per me riparlare con i giornalisti è un atto di coraggio, ma non voglio più vedere quegli occhi. La mia tragedia era già enorme, vivere anche l’impatto mediatico è stato traumatico, ora so che le informazioni sono creta che si può modellare.
Ti sei mai sentito in colpa quando provavi a riprendere a “vivere”?
Tantissimo. Qualsiasi cosa facessi mi sembrava irrispettosa, volevo solo sparire. Se pensavo “sto male”, mi dicevo “sono privilegiato perché sono vivo”. Se pensavo “Sto bene”, mi dicevo “come posso stare bene con quello che è successo”.
Hai raccontato di aver vissuto momenti di dissociazione e allucinazioni.
Ho convissuto con suoni, figure, voci. Vedevo ombre che spostavano le tende e per me erano reali. Se non avessi avuto accanto una persona, sarei rimasto in una solitudine fatale. Invece c’era questo ragazzo meraviglioso che in quei momenti mi prendeva la testa tra le mani, era un lucchetto di carne che mi teneva ancorato alla realtà.
Leggevi i social?
Erano un mondo giudicante terribile, ma la verità è che anche il sostegno sui social per me era un’invasione che non rispettava la mia vulnerabilità. Volevo solo il silenzio, lo imploravo.
Per un po’ hai smesso di parlare.
Per due mesi non ho proferito quasi parola. Perfino la terapia l’ho fatta in silenzio per due settimane. L’unica cosa che ho detto alla terapeuta appena arrivato in studio è stata “Io vengo qua, ti prego salvami”.
Lo psicoanalista e scrittore Massimo Recalcati firma con Cheope e Abbate il tuo singolo “Mantieni il Bacio”, che poi è il titolo di un suo saggio. Come vi siete conosciuti?
Avevo letto la frase “Mantieni il bacio” sul suo libro e trovavo che riassumesse quella testa tra le mani quando stavo male, quando lui, quel ragazzo, mi diede questo bacio la sera prima di partire per l’America e mi disse “Cerca di mantenere queste sensazioni”. L’ho poi incontrato a una cena grazie ad amici comuni e lui mi ha trattato con grande gentilezza, con umanità.
Ti sei liberato di qualche paura attraversando il dolore?
Sì. Hanno speculato su tutto, ora finalmente mi sento libero di dire quello che desidero, senza preoccuparmi delle conseguenze. Ho voglia di raccontare agli altri le cose salvifiche che ho imparato e questo non era scontato, perché alle volte il dolore è più forte di te e ti schiaccia. Il mio videoclip che mostra un amore omosessuale è la mia storia, ne ho discusso tanto con i miei collaboratori prima che incontrasse il pubblico, ma non mi fa più paura nulla. Ho la volontà di togliere lo stigma su tutto, sulla salute mentale, sull’amore.
È una grande conquista.
Parlo da vinto, non c’è più nulla che possa farmi male se non talvolta l’indelicatezza, che comunque ho imparato a gestire.
Non hai più paura delle tue paure.
Non ho più paura di come le mie paure vengono giudicate. Rispetto a quando nel Diario degli errori dicevo timidamente che c’era un ragazzo, io ora dico che ho amato un ragazzo, c’era un ragazzo con me su un letto che mi teneva la testa. Ogni volta che canto sento il suo sapore, non il sapore di qualche altra storia di amore universale.
Lo ami ancora?
È stata la prima volta in cui mi sono innamorato. Non gliel’ho mai detto che l’amavo quando era con me, ero nella tempesta, temevo di essermi attaccato a uno scoglio. Ho capito che l’amavo perché l’ho lasciato andare, così come ho lascito andare il dolore, il silenzio, l’intrusione del mondo esterno.
Parli tanto di lui in questo disco.
Gli ho chiesto il permesso. C’è anche una sua nota vocale ne La vita breve dei coriandoli.
Vi eravate conosciuti prima dell’incidente?
Pochi mesi prima, ed era un storia che per me non valeva nulla, lo trattavo perfino male.
Poi?
Dopo l’incidente lui ha annullato tutti i progetti, è rimasto con me, non mi mandava in bagno da solo. Ora parlo di quei mesi con gentilezza perché c’è stato un amore enorme, ma riversavo tanta rabbia su di lui. Mi ha amato così tanto da escludere il suo dolore, aveva avuto “uno strappo” anche lui nella vita, ma me l’ha raccontato solo la sera prima di partire.
Vi rivedrete?
Mi ha lasciato tanti libri con delle frasi nascoste dentro. Uno di quei bigliettini dice: “Il futuro è una cosa pericolosa, non bisogna mai parlarne”. Sicuramente non finisce qua.
Sei stato escluso da Sanremo, nonostante il tuo singolo sia molto bello. Massimo Recalcati ha scritto su fb che Amadeus è stato cinico.
Sono un fan di Sanremo e ho l’arroganza artistica nel pensare che sia il palco più grande che c’è, mi dispiace, certo, ma non mi sono chiesto i motivi del no e non credo sia per via di un pregiudizio. Non ho più nulla per cui offendermi o cose da cui proteggermi.
Riesci a essere felice?
Ho difficoltà a verbalizzare le emozioni, non so se quello che ogni tanto sento sia felicità. So però che sono grato alla vita e al percorso fatto. Ho imparato a convivere col dolore e a vivere nel presente. Ho 26 anni, ma sono passati tanti anni negli ultimi tre anni.