Gli agricoltori protestano, Modi stacca di nuovo Internet

Nel giorno dell’anniversario della morte del Mahatma Gandhi, il padre dell’indipendenza indiana, migliaia di contadini e piccoli proprietari terrieri hanno organizzato un giorno di sciopero della fame contro la forzata dipendenza dai grandi distributori di prodotti agricoli imposta dal governo centrale. La reazione del primo ministro ultranazionalista e leader del partito religioso induista (Bjp), Narendra Modi, è stata la stessa di quella mostrata 2 anni fa quando cancellò l’autonomia degli Stati di Kashmir e Jammu: il blocco dei servizi Internet mobili in diverse aree intorno a Delhi. Questa settimana i contadini hanno alzato ancora di più la loro voce durante i sit-in di protesta, che durano da oltre due mesi, ottenendo come risposta solo botte e gas lacrimogeni dalle squadre antisommossa tanto che un contadino è morto e decine di altri sono rimasti feriti. La risposta contro i musulmani del Kashmir fu molto più brutale in termini di violenza e Internet rimase bloccato per settimane, e non per 24 ore come nel caso degli agricoltori. Ma, in questo caso, Modi deve essere più cauto perchè la maggioranza dei contadini infuriati è costituita da indiani di religione induista finora elettori del Bjp e di casta bassa proprio come il premier.

Le proteste dei piccoli e medi coltivatori sono scoppiate a causa delle nuove leggi sull’agricoltura che, secondo loro, vanno a vantaggio dei grandi acquirenti privati a spese dei produttori. Da fine novembre decine di migliaia di agricoltori sono accampati nei luoghi di protesta non distanti dalla capitale indiana. Martedì scorso una parata di trattori programmata per la Festa della Repubblica aveva fatto scattare i manganelli e i lacrimogeni della polizia mentre alcuni gruppi di persone urlavano slogan contro i contadini. Si tratta probabilmente delle squadre di giovani militanti dell’ala estremista del Bjp di cui Modi fu zelante adepto fino a scalarne il vertice.

“Il movimento dei contadini era pacifico e continuerà a esserlo”, ha detto Darshan Pal, leader del gruppo di sindacati agricoli Samyukt Kisan Morcha, che organizza le proteste. L’agricoltura dà lavoro a circa la metà della popolazione indiana di un miliardo e 300 milioni di persone.

Capriles, gli anti-Maduro immobiliaristi a Madrid

“Il cuore a Caracas e il portafogli, poco a poco, a Madrid”, così il giornale spagnolo El Confidencial annunciava nel 2014 l’ingresso nel mondo finanziario iberico del “clan Capriles”, la famiglia di imprenditori venezuelana dell’oppositore di Nicolas Maduro, Henrique. Allora si trattava della scalata del cugino, Miguel Angel Capriles, a consigliere del gruppo bancario Ncg, antica cassa di risparmio galiziana salvata dai fondi pubblici e rivenduta l’anno prima al banchiere venezuelano amico, Juan Carlos Estotet. Oggi, che l’espansione immobiliare e finanziaria del gruppo Capriles avanza, la notizia è che “il portafogli”, chiamato Orinoquia Real Estate si quota in borsa. La società, guidata dai cugini Axel Capriles e Edric Capriles, esordisce con un patrimonio di 76 immobili suddivisi in tre città, Madrid, Valencia e Magala, il cui valore, sempre secondo El Confidencial, si aggira intorno ai 20 milioni di euro. Ma non finisce qui, “l’obiettivo è continuare a crescere negli affitti turistici così come nel co-living”.

Una notizia non da poco, in un Paese come la Spagna, in cui la crisi post-pandemica già morde e a risentirne è il mercato immobiliare. Questo mentre Henrique, i cui genitori nel 2017 ottennero la cittadinanza spagnola dal governo Rajoy, beneficiario della fortuna creata dal nonno, imprenditore della comunicazione e del tessile, ribadisce alla Bbc di essere “l’unico oppositore a non aver lasciato Caracas sottoponendosi ai rischi della crisi come 25 milioni di venezuelani”. Orinoquia intanto ha “rivoluzionato il mercato immobiliare spagnolo”, soprattutto nel settore turistico e del lusso: dal quartiere Salamanca di Madrid, a piazza della Merced di Malaga, fino al Carmen di Valencia. La principale attività di famiglia in Spagna è l’acquisto e la ristrutturazione di edifici per poi affittarli per “promuovere il mercato immobiliare di lusso, quello preferito dalle grandi fortune latinoamericane che da dieci anni a questa parte sbarcano nella Capitale”, assicura il quotidiano che ha dato la notizia della quotazione in borsa. Passo già intrapreso dalla società Gran Roque Capital gestita dal cugino Miguel Angel, che, visti i tempi, punta anche agli spazi di co-working e a case dal prezzo più accessibile.

È lui, già consigliere in Venezuela di Mercantil Servicios Financieros, secondo gruppo finanziario privato di Caracas, il nome più noto nella capitale spagnola. Basso profilo, si è fatto fotografare solo in occasione del matrimonio di sua figlia Mayra Alexandra Capriles, due anni fa, tenutosi in una delle fortune acquistate dal clan per 19 milioni di euro e ristrutturato poco prima delle nozze. Si tratta dello storico palazzo de La Serreta, a pochi chilometri da Segovia. Nella tenuta, di più di mille mq, commissionata nel 1464 da Isabella di Castiglia per il primo duca di Alburquerque, al matrimonio dell’ereditiera si è radunata l’aristocrazia venezuelana residente in Spagna, quella che i 400 abitanti del villaggio sperano diventi assidua frequentatrice, rendendolo esclusiva meta di villeggiatura. Non di vacanza si tratta. Molti imprenditori di Caracas, come i Capriles, a causa del deterioramento delle condizioni economiche e politiche, hanno spostato i propri interessi in Spagna. È proprio Madrid ad aver accolto l’altro oppositore di Maduro, Leopoldo Lopez, acerrimo rivale di Henrique Capriles, e a essere passata da “pacificatore tra il presidente e l’ex capo del Parlamento, Juan Guaidò”, all’appoggio di quest’ultimo. Linea questa adottata dalla ministra degli Esteri, Arancha González Laya che ha preso il posto di Joseph Borrell. L’Alto rappresentante dell’Ue, al contrario, ha insistito fino all’ultima risoluzione del Parlamento europeo per “ricercare un accordo nazionale con il coinvolgimento di tutte le parti”. Ma la crisi morde, si diceva.

“Polonia e aborto, ora il popolo dopo il Pis odia anche i cardinali”

La legge che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto, appena entrata in vigore in Polonia, sembra “frutto di politiche bizantine, simili a quelle che si vedevano alla fine del regime sovietico. Eppure, per il governo del Pis, partito Diritto e Giustizia, le proteste degli ultimi mesi sono state una sorpresa”, dice Dariusz Stola, docente di Storia all’Istituto di Studi politici dell’Accademia polacca delle Scienze.

Professore, lei ha preso parte alle marce contro il regime sovietico negli anni Ottanta e proteste così partecipate non si ripetevano da allora.

Negli ultimi 30 anni non si era mai più visto mezzo milione di persone in strada, queste sono le prime grandi manifestazioni della storia dello Stato polacco democratico e le prime dalla fine del regime comunista. Gli storici, per loro natura, evitano di commentare gli eventi in corso, non possediamo ancora la giusta distanza per analizzarli, ma ci sono due cose sorprendenti: la presenza delle donne, mai così predominanti ed in prima linea nella storia del Paese, e la giovanissima età di chi protesta. In termini politici, la gioventù polacca, come quella degli altri Paesi democratici europei, è inattiva: non vota, non si iscrive a organizzazioni politiche. C’è un fenomeno senza precedenti che però non possiamo non tenere in considerazione: in questi giorni anche nei piccoli paesi gli attivisti marciano, e o parlo di centri abitati in cui nemmeno negli anni Ottanta si è protestato contro i comunisti. Questo è un dato che suggerisce che il governo, con le sue scelte sbagliate, ha risvegliato i giovani perfino nelle aree più periferiche della nazione. Ci vorrà tempo prima di capire in quali risultati reali, pratici ed elettorali si tradurrà quest’onda. La differenza certa con Solidarnosc è che il movimento sindacale aveva una presenza costante e una struttura organizzativa, mentre questa piazza ha la capacità di dimostrare potenza immediata, mobilita migliaia di persone in poche ore, ma, alla stessa velocità, scompare. In ogni caso, tutto ciò avrà comunque effetti catastrofici sulla Chiesa cattolica polacca.

Lei ha scritto che la Chiesa pagherà per quest’alleanza con il Pis, ma avverrà anche il contrario?

Alla Chiesa costerà di più: quando fai accordi con politici cinici, perdi sempre più di loro. Se le gerarchie ecclesiastiche supportano gli immorali, perdono la capacità di imporre moralità al Paese. Ribadiamolo: mettere in discussione la Chiesa cattolica era inimmaginabile 30 anni fa, sta accadendo oggi con questi attivisti per la prima volta, non so se questo determinerà una nuova forma di religiosità o è una strada verso la Secolarizzazione. Ma abbiamo già il gap più alto d’Europa tra generazione giovane e anziana per partecipazione religiosa: una discrepanza abissale, figlia di un cambiamento culturale innegabile.

Quanto contribuirà a un cambiamento della società questo allontanamento dalla fede dei giovani?

Polacco non vuol dire cattolico: la religione fa parte della storia della nazione da relativamente poco tempo. Al tempo dell’occupazione della Russia zarista il partito indipendentista polacco, in assenza di Stato unitario, ha cercato l’alleanza dei cattolici in opposizione ai russi ortodossi, ai tedeschi protestanti, e ha avuto vene antisemite. Una nuova dimensione della religione polacca si è cementificata nel Paese con papa Giovanni Paolo II. Se durante il regime sovietico la Chiesa era legata all’opposizione anticomunista, oggi ha deciso di spostarsi verso destra. Qui i preti sono politicamente attivi e tutti a destra. Il Pis è la scelta prominente dei cardinali.

Giornalisti e analisti descrivono due Polonie: una rurale e tradizionalista, l’altra democratica e liberale, ora in strada.

La situazione è più complessa: come in ogni società avanzata post-industriale esistono varietà di opinioni e tendenze, che a volte si traducono in azioni politiche. In Usa e Gran Bretagna, per esempio, c’è una polarizzazione tra due partiti, ma noi abbiamo un sistema politico multi-partitico. Kaczynsky è riuscito a consolidare tutto il potere nelle sue mani, ma è vero anche che l’opposizione è divisa.

Questa l’analisi della politica interna. E quella estera?

In Europa il Pis ha alienato e offeso tutti gli alleati che aveva, la Germania in particolare, e abbiamo ormai poca influenza nelle istituzioni: a Bruxelles siamo soli. Ideologicamente il Pis è vicino all’Ungheria di Orban, che però è filo-russo. Con lui condividiamo la retorica apocalittica del tramonto della società occidentale, tra l’altro identica a quella della propaganda russa. E poi non c’è più l’alleato Trump a Washington: il presidente polacco Duda si è congratulato per la vittoria con Biden perfino dopo Putin.

Gli storici odiano essere scambiati per indovini, ma cosa accadrà adesso?

Il cambiamento è qui, è arrivato: quale sarà l’evoluzione è presto per dirlo.

L’Inpgi annaspa: “Inutile il nuovo piano”

Un piano di ristrutturazione in cinque mosse per salvare l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti. È la proposta del Consiglio dell’ente previdenziale guidato da Marina Macelloni, che diventerà operativa solo in cambio di un anticipo dell’allargamento della platea degli iscritti, che ora è previsto dal 2023. Peccato che, secondo i consiglieri di minoranza Daniela Stigliano, Elena Polidori e Carlo Parisi, si tratti di “una promessa di tagli, inutili e temporanei, in cambio dell’ingresso immediato dei comunicatori, almeno quelli pubblici, altrettanto inutile per le sorti dell’Inpgi (…) Un’operazione di facciata, priva di qualunque sostanza visto che si tradurrebbe in nemmeno 20 milioni di euro di benefici l’anno per un quinquennio”.

Di quali misure si tratta, esattamente? Innanzitutto il Consiglio dell’Inpgi ipotizza di proporre al governo l’aumento dell’1% per cinque anni della contribuzione previdenziale versata dai giornalisti dipendenti e un contributo straordinario (sempre 1%) per i pensionati. In secondo luogo, c’è l’abbassamento del reddito cumulabile con la pensione (da 22.524 a 5mila euro).

Poi la sospensione di prestazioni assistenziali che l’ente eroga in aggiunta a quelle previste per legge, come l’assegno di super-invalidità, il ricovero in case di riposo e sussidi. Infine, completano il piano del cda Inpgi la reintroduzione degli abbattimenti per le pensioni di anzianità e la riduzione dei costi di struttura del 10 per cento.

Complessivamente le misure in questione sono però poca cosa se confrontate alla delicata situazione finanziaria dell’ente. Secondo il bilancio di assestamento preventivo, l’Inpgi chiuderà il 2020 in rosso per 253 milioni. Per l’istituto di previdenza si tratta del quarto anno consecutivo in perdita. Con il preventivo 2021 che delinea un ulteriore rosso da oltre 220 milioni. La gestione previdenziale, intesa come la differenza fra entrate contributive e prestazioni erogate, è negativa già dal 2010 quando il primo rosso si attestò a 1,3 milioni. Il patrimonio si è nel frattempo molto ridotto e la liquidità è in picchiata, complici anche le difficoltà a dismettere gli immobili che sono stati conferiti negli ultimi anni nel Fondo Immobiliare Giovanni Amendola, con una forte rivalutazione che ha consentito all’istituto di chiudere i bilanci in utile fino al 2016. A fronte di questi numeri, per la terza volta, il governo ha comunque deciso con la legge di Bilancio di far slittare il commissariamento dell’istituto di sei mesi. Inoltre ha riconosciuto all’Inpgi gli aiuti previsti per la salvaguardia e l’incremento dell’occupazione e ha caricato sulle casse pubbliche i maggiori oneri per l’assistenza sostenuti dall’istituto nel 2021 per contrastare l’impatto economico e occupazionale del Covid-19. In cambio, entro il 30 giugno, l’Inpgi dovrà avviare un percorso di riequilibrio dei conti. Di qui le ipotesi di intervento del Consiglio Inpgi. Che però non lasciano poche speranze per il futuro. Non a caso, già in precedenza, il comitato spontaneo “Salviamo la previdenza dei giornalisti” si era rivolto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendo di intervenire. Lo stesso aveva fatto anche l’Ordine dei giornalisti. Nonostante le rassicurazioni del caso, complice anche il delicato contesto politico, però nulla finora si è mosso.

Libero Web in libero Reddit. Qui è nato il caso Gamestop

È l’altro protagonista della vicenda “Gamestop” che in queste ore ha ribaltato – si vedrà presto se solo momentaneamente – gli equilibri di Wall Street portando nelle mani di piccoli investitori organizzati il potere di seminare il panico tra i grossi fondi di investimento, soprattutto quelli che speculano sul fallimento di aziende più o meno decotte. Reddit è la piattaforma da cui questo movimento ha preso il via con un nutrito gruppo di utenti riuniti sotto il nome “Wallstreetbets” che si è coordinato per attivare il meccanismo che ha portato il valore delle azioni di Gamestop in pochi mesi da 6 a 350 dollari e che ora continua a premere sulla necessità di mantenere le posizioni.

Reddit, così come 4chan, fa parte di quella galassia della Rete poco mainstream ma con milioni di utenti, soprattutto nei Paesi anglofoni. Non è un social network, come è stato definito in questi giorni. Facebook, Instagram e Tik Tok sono piattaforme sottoposte a forte attenzione e pressione mediatica e politica. Basti pensare che nel bel mezzo del caos attorno a Gamestop, la stessa Facebook aveva bloccato una pagina di trader autonomi da quasi 200mila utenti accusandola di “violazioni delle policy” sul nudo, salvo poi farla ricomparire dopo la diffusione della notizia da parte di Reuters. Nonostante Reddit sia comunque in mano a privati (Advance Publication, casa madre della Condé Nast), finora non c’è stato alcun intervento sulle discussioni attorno a Gamestop e nelle sezioni dedicate. Una libertà che si estende a tutte le altre tematiche e che, in qualche caso, ha anche favorito la crescita di teorie cospirazioniste e fronde pro-Donald Trump, al centro di numerose polemiche in passato.

Possiamo partire da questo articolo per spiegare come funziona. Ipotizziamo che il pezzo contenga un errore, che ad esempio definisca Reddit “un social network”. Cosa accadrebbe? Un utente di Reddit esperto o appassionato di media o di giornalismo potrebbe pubblicarlo nella sezione “Notizie” o “Tecnologia” o “Business” (i cosiddetti subreddit) accompagnandolo a una osservazione o chiedendo pareri. Aprirebbe una discussione con l’obiettivo di spingere gli altri utenti interessati al tema a commentare, a postare studi e ricerche sui limiti del giornalismo, sulla complessità dell’identificare in modo univoco le piattaforme come Reddit, sulla necessità di alfabetizzazione informatica e così via. Si creerebbe un movimento di opinione (che potrebbe essere anche satirico o dispregiativo) più o meno grande a seconda dell’interesse sul tema. E, come nel caso di Gamestop, si potrebbe decidere di intervenire in modo coordinato: acquistando in massa il giornale se invece l’articolo fosse corretto, inviando migliaia di lettere al direttore qualora fosse pessimo. O comprando in massa (Wallstreetbets ha 6 milioni di iscritti) le azioni di un’azienda in crisi se si volessero colpire gli hedge fund che scommettono sul suo fallimento. Insomma, per quanto Facebook&C. si sforzino di definirsi “comunità”, Reddit al momento è una delle pochissime piattaforme che incarna davvero la definizione di agglomeratore di “community”, “comunità online”, basate sugli interessi e non sulle relazioni – la maggior parte degli utenti ha un nickname e naviga anonimamente – nonché sulla padronanza della materia, se si tiene conto che non è da tutti agire nel mercato azionario da un giorno all’alto o comprenderne le dinamiche.

La piattaforma è poco diffusa in Italia, probabilmente complice il fatto che sia quasi completamente utilizzata da utenti che parlano e scrivono in inglese, ma i suoi numeri sono in crescita. Solo a dicembre del 2020 è stato diffuso qualche dato più attendibile: Reddit oggi avrebbe circa 52 milioni di utenti collegati ogni giorno e un pubblico in costante aumento. Certo, non tutte le storie possono avere un lieto fine. “Né Alexis né io abbiamo creato Reddit per essere un bastione della libertà di parola, ma piuttosto come un luogo per discussioni aperte e oneste” ha detto in passato Steve Huffman, uno dei fondatori. Nel 2016 finì tra le polemiche per aver modificato dei commenti su un subreddit frequentato da sostenitori di Trump e per le critiche degli utenti dovette rimuoverle e scusarsi. Oggi porta avanti delle linee guida molto rigide (sulla violenza e il razzismo), ma resta ancora un baluardo di libertà online.

“Muto dentro il mio dolore, sono rinato per un grande amore”

Non è mica vero che il dolore è sempre un’opportunità. Dipende da come ci si muove, attraverso il dolore. Da come ci si muove nel buio.
E Michele Bravi, 26 anni, in questi tre anni dal terribile incidente d’auto in cui ha causato involontariamente la morte di una donna, di dolore ne ha attraversato un bel po’.

Lo spiega con un tormento così struggente, così limpido, da rendere chiaro perché La geografia del buio, il suo nuovo album, sia un piccolo capolavoro di sensibilità e ricostruzione.

Quando ti sei sentito pronto a riaffacciarti alla vita?

Nel periodo del dolore più forte ero tornato a essere un neonato. Le persone che mi erano accanto dovevano darmi da mangiare, mettermi a letto, prendersi cura di me. Nel 2019 ho cantato una canzone a un concerto della mia amica Chiara Galiazzo, sono sceso dal palco, una ragazza che lavora con entrambi mi guarda e mi dice: hai una luce negli occhi che non vedevo da tanto. Quella sera ho ricominciato a vivere una semi-normalità in mezzo alla gente.

Prima?

L’estate precedente giravo con un cappello e una sciarpa di lana perché sentivo che non mi fosse concesso di vivere la normalità. I media si erano accaniti terribilmente sulla mia vicenda, con notizie rimaneggiate, che scatenavano un turbinio nel mio privato e ostacolavano la terapia.

In che modo?

Magari arrivavo a un punto in cui iniziavo a interiorizzare quello che mi era accaduto e queste cose mi ributtavano nel passato.

Leggevi gli articoli sull’incidente?

Ho questo ricordo: un giorno ero a casa sul divano e vedevo gli occhi sconvolti degli amici che leggevano sul cellulare cosa si scriveva di me. Oggi per me riparlare con i giornalisti è un atto di coraggio, ma non voglio più vedere quegli occhi. La mia tragedia era già enorme, vivere anche l’impatto mediatico è stato traumatico, ora so che le informazioni sono creta che si può modellare.

Ti sei mai sentito in colpa quando provavi a riprendere a “vivere”?

Tantissimo. Qualsiasi cosa facessi mi sembrava irrispettosa, volevo solo sparire. Se pensavo “sto male”, mi dicevo “sono privilegiato perché sono vivo”. Se pensavo “Sto bene”, mi dicevo “come posso stare bene con quello che è successo”.

Hai raccontato di aver vissuto momenti di dissociazione e allucinazioni.

Ho convissuto con suoni, figure, voci. Vedevo ombre che spostavano le tende e per me erano reali. Se non avessi avuto accanto una persona, sarei rimasto in una solitudine fatale. Invece c’era questo ragazzo meraviglioso che in quei momenti mi prendeva la testa tra le mani, era un lucchetto di carne che mi teneva ancorato alla realtà.

Leggevi i social?

Erano un mondo giudicante terribile, ma la verità è che anche il sostegno sui social per me era un’invasione che non rispettava la mia vulnerabilità. Volevo solo il silenzio, lo imploravo.

Per un po’ hai smesso di parlare.

Per due mesi non ho proferito quasi parola. Perfino la terapia l’ho fatta in silenzio per due settimane. L’unica cosa che ho detto alla terapeuta appena arrivato in studio è stata “Io vengo qua, ti prego salvami”.

Lo psicoanalista e scrittore Massimo Recalcati firma con Cheope e Abbate il tuo singolo “Mantieni il Bacio”, che poi è il titolo di un suo saggio. Come vi siete conosciuti?

Avevo letto la frase “Mantieni il bacio” sul suo libro e trovavo che riassumesse quella testa tra le mani quando stavo male, quando lui, quel ragazzo, mi diede questo bacio la sera prima di partire per l’America e mi disse “Cerca di mantenere queste sensazioni”. L’ho poi incontrato a una cena grazie ad amici comuni e lui mi ha trattato con grande gentilezza, con umanità.

Ti sei liberato di qualche paura attraversando il dolore?

Sì. Hanno speculato su tutto, ora finalmente mi sento libero di dire quello che desidero, senza preoccuparmi delle conseguenze. Ho voglia di raccontare agli altri le cose salvifiche che ho imparato e questo non era scontato, perché alle volte il dolore è più forte di te e ti schiaccia. Il mio videoclip che mostra un amore omosessuale è la mia storia, ne ho discusso tanto con i miei collaboratori prima che incontrasse il pubblico, ma non mi fa più paura nulla. Ho la volontà di togliere lo stigma su tutto, sulla salute mentale, sull’amore.

È una grande conquista.

Parlo da vinto, non c’è più nulla che possa farmi male se non talvolta l’indelicatezza, che comunque ho imparato a gestire.

Non hai più paura delle tue paure.

Non ho più paura di come le mie paure vengono giudicate. Rispetto a quando nel Diario degli errori dicevo timidamente che c’era un ragazzo, io ora dico che ho amato un ragazzo, c’era un ragazzo con me su un letto che mi teneva la testa. Ogni volta che canto sento il suo sapore, non il sapore di qualche altra storia di amore universale.

Lo ami ancora?

È stata la prima volta in cui mi sono innamorato. Non gliel’ho mai detto che l’amavo quando era con me, ero nella tempesta, temevo di essermi attaccato a uno scoglio. Ho capito che l’amavo perché l’ho lasciato andare, così come ho lascito andare il dolore, il silenzio, l’intrusione del mondo esterno.

Parli tanto di lui in questo disco.

Gli ho chiesto il permesso. C’è anche una sua nota vocale ne La vita breve dei coriandoli.

Vi eravate conosciuti prima dell’incidente?

Pochi mesi prima, ed era un storia che per me non valeva nulla, lo trattavo perfino male.

Poi?

Dopo l’incidente lui ha annullato tutti i progetti, è rimasto con me, non mi mandava in bagno da solo. Ora parlo di quei mesi con gentilezza perché c’è stato un amore enorme, ma riversavo tanta rabbia su di lui. Mi ha amato così tanto da escludere il suo dolore, aveva avuto “uno strappo” anche lui nella vita, ma me l’ha raccontato solo la sera prima di partire.

Vi rivedrete?

Mi ha lasciato tanti libri con delle frasi nascoste dentro. Uno di quei bigliettini dice: “Il futuro è una cosa pericolosa, non bisogna mai parlarne”. Sicuramente non finisce qua.

Sei stato escluso da Sanremo, nonostante il tuo singolo sia molto bello. Massimo Recalcati ha scritto su fb che Amadeus è stato cinico.

Sono un fan di Sanremo e ho l’arroganza artistica nel pensare che sia il palco più grande che c’è, mi dispiace, certo, ma non mi sono chiesto i motivi del no e non credo sia per via di un pregiudizio. Non ho più nulla per cui offendermi o cose da cui proteggermi.

Riesci a essere felice?

Ho difficoltà a verbalizzare le emozioni, non so se quello che ogni tanto sento sia felicità. So però che sono grato alla vita e al percorso fatto. Ho imparato a convivere col dolore e a vivere nel presente. Ho 26 anni, ma sono passati tanti anni negli ultimi tre anni.

Analogie e inversioni: quando la risata è presa alla lettera

 

 

Continuiamo la nostra istruttiva passeggiata in compagnia dei comici greci e latini.

 

ARGOMENTI DI SUCCESSIONE/COESISTENZA

I LEGAMI DI SUCCESSIONE

L’inversione. Cicerone, vedendo entrare suo genero, il borioso Dolabella, piccolo di statura, con al fianco una lunga spada, disse:

“Chi ha attaccato mio genero a quella spada?”

Augusto congedò con biasimo un ufficiale. A questi che lo supplicava “Cosa dirò a mio padre?”, Augusto rispose: “Digli che non ero di tuo gradimento.” (Quintiliano)

LA RELAZIONE DI COESISTENZA ATTO-PERSONA

La scelta fra i diversi aspetti della persona. Un tizio consegna ai mummificatori il cadavere di suo padre. Dopo qualche tempo, si reca a riprenderlo. L’addetto ha anche altri corpi, quindi gli chiede se suo padre aveva qualche segno distintivo. Il tizio: “Tossiva spesso.” (Ierocle, V sec. d.C.)

La qualificazione attraverso l’atto. PRIMA DONNA: Non mi pare, in nome delle due dee…. PRASSAGORA: “In nome delle due dee.” Cretina! Dove hai la testa? PRIMA DONNA: Che c’è? Non mi pare di aver chiesto da bere. PRASSAGORA: Già: ma sei uomo, e hai giurato sulle due dee. (Ekk., 155-58)

In Grecia, infatti, una donna travestita da uomo si tradiva, se giurava come una donna, cioè sulle due dee (Demetra e Persefone). La Prima Donna invece teme di essersi tradita perché ha chiesto da bere (la donna alcolista era un luogo comune della commedia antica).

“Quinto ama Taide.” Taide chi? “Taide la guercia.” A Taide manca un occhio, a Quinto due. (Epigr., III, 8)

A Ravenna un oste furbo mi ha fregato: gli avevo chiesto del vino annacquato, quello mi ha venduto del vino puro. (Epigr., III, 57)

Sesto, hai il viso di chi nuota sott’acqua (Epigr., II, 87, 2), scrive Marziale per dire che è deforme.

ERMES: E Cratino? È ancora vivo? TRIGEO: Morto, all’epoca dell’invasione. ERMES: Che gli è successo? TRIGEO: Un colpo secco: non ha retto a veder fracassato un orcio pieno di vino. (Eir., 699-703)

Le doppie gerarchie. L’argomento a maggior ragione. DISCORSO PEGGIORE: Se uno ti becca in flagrante con sua moglie, gli risponderai che non hai fatto niente di male; poi butterai la colpa addosso a Zeus, dicendo che anche lui soccombe all’amore per le donne. E tu, mortale come sei, come potresti avere più forza di un dio? (Ne., 1079-82)

Marco Vestino all’annuncio che un tale era stato ucciso: “Finalmente smetterà di puzzare” (Quintiliano). Ovvero, in vita puzzava così tanto che il puzzo di cadavere sarà nulla in confronto.

L’argomento di auto-svalutazione. TINDARO: Che ho fatto di male? EGIONE: E me lo chiedi, lurido seminatore, sarchiatore e spigolatore di schifezze? TINDARO: Dovresti prima darmi dell’erpicatore, perché i contadini erpicano sempre prima di sarchiare. (Capt., 660-663) Questo è anche un esempio di analogia prolungata.

 

ARGOMENTI DI ANALOGIA/CASO PARTICOLARE

L’ANALOGIA

La metafora presa alla lettera. PROLOGO: Vi porto Plauto. Con la lingua, non con la mano. (Men., 3)

SCELEDRO: Ti prendi gioco di me, Palestrione. PALESTRIONE: Allora ho le mani sporche. SCELEDRO: Perché? PALESTRIONE: Perché gioco col fango. (Mil., 324-325)

Nell’Anfitrione, Alcmena dice al marito di essere rimasta fedele al giuramento (temere Giunone e non farsi toccare da un uomo) (Amph., 835): ha ragione, ma non sa che è Giove ad aver abusato di lei, e quindi lei dovrà temere Giunone.

 

IL CASO PARTICOLARE

Prendere alla lettera. GNATONE: Come stai? PARMENONE: In piedi. (Eun., 271)

CARINO: E come ha fatto a vederla? ANTICHIONE: Con gli occhi. CARINO: In che modo? ANTICHIONE: Spalancandoli. (Merc., 3-4)

TEOPROPIDE: Mio figlio, quando sono partito, come te l’ho lasciato? TRANIONE: Coi piedi, le mani, le dita, gli orecchi, gli occhi, le labbra. (Most., 1117-1118)

CARONTE: Siediti al remo. Altri passeggeri? Sbrigatevi! (DIONISO siede a cavalcioni del remo) Ma che fai? DIONISO: Che faccio? Siedo al remo, come hai detto. (Bat., 197-99)

È una gag non diversa da quella di Franco Franchi che saltava in braccio a Ciccio Ingrassia quando questi diceva: “Soprassediamo.”

(41. Continua)

Torino, oltre 2.000 sindaci si schierano con Appendino

Oltre duemila sindaci (2.018 nella serata di ieri) si sono schierati finora con la collega Chiara Appendino, condannata per i fatti di piazza San Carlo, a Torino. L’appello lanciato poche ore prima dal presidente dell’Anci, Antonio Decaro, per sollecitare il Parlamento a una revisione del Testo unico degli Enti Locali, è stato firmato da primi cittadini di ogni colore. Tra loro quelli delle 13 Città metropolitane oltre a Torino: Raggi per Roma, Sala per Milano, Luigi de Magistris per Napoli, Orlando per Palermo, Bucci per Genova, Merola per Bologna, Nardella per Firenze, Decaro per Bari, Pogliese per Catania, Brugnaro per Venezia, De Luca per Messina, Truzzu per Cagliari, Falcomatà per Reggio Calabria. Nell’elenco anche tutti i sindaci dei 106 capoluoghi di provincia. E poi molti rappresentanti di piccoli Comuni. Non chiedono “immunità o impunità”, rispettano “il dolore dei parenti delle vittime”, ma domandano: “Possono i sindaci rispondere personalmente e penalmente di valutazioni non ascrivibili alle loro competenze? Possono essere condannati per aver fatto il loro lavoro?”.

La sera del 3 giugno 2017, durante la proiezione su maxi-schermo della finale di Champions League, una serie di ondate di panico tra la folla causarono il ferimento di 1.600 persone e la morte di due donne. Dopo 3 anni e mezzo i cinque imputati, tra cui Chiara Appendino, sono stati condannati tutti a un anno e sei mesi. Dopo la sentenza la sindaca aveva commentato: “Accetto e rispetto la decisione del giudice, anche per il ruolo istituzionale che ricopro, ma non posso non nasconde una certa amarezza perché c’è un sindaco che sostanzialmente paga per un gesto folle di alcuni ragazzi che sono già stati condannati anche in appello”. E ancora: “La tesi è che avrei dovuto prevedere quanto sarebbe accaduto e, di conseguenza, annullare la proiezione in piazza. Ma come potevo? Lo avrei anche fatto, ma non avevo gli elementi necessari”.

Covid-19, il Tar boccia il regalo di De Luca alle cliniche private. “Ipotesi danno erariale”

Otto pagine di una sentenza del Tar Campania, resa nota ieri, dicono no a un indennizzo di oltre 3 milioni di euro a una clinica privata e fissano un principio: l’accordo anti-Covid tra il governatore Pd Vincenzo De Luca e la sanità privata è da bocciare.

Finito nel mirino dell’opposizione a Cinque Stelle, perché ritenuto troppo sbilanciato verso gli interessi degli imprenditori delle case di cura, sull’accordo tra De Luca e l’Aiop – l’associazione delle cliniche private – pende un’indagine della Gdf coordinata dai pm della Corte dei Conti, Licia Centro e Davide Vitale. Si lavora per accertare l’esistenza di danni erariali prodotti da una intesa, siglata a marzo e poi prolungata con aggiustamenti in autunno, in base alla quale le case di cura avrebbero dovuto ricevere il 95% di quanto percepiscono lavorando a pieno regime, anche se non un solo posto letto fosse stato occupato. Una sorta di ‘vuoto per pieno’, a prescindere dalla reale produzione. L’accordo è servito a coinvolgere le cliniche private nelle strategie di cura e di contrasto dell’epidemia, spostando presso queste strutture pazienti Covid o non Covid, con lo scopo di alleggerire il carico di ospedali pubblici allo stremo. In questo modo, le case di cura sono state anche indennizzate dai danni dei provvedimenti coi quali, in piena pandemia, la Campania aveva sospeso le attività ordinarie di ricovero e ambulatoriali differibili non urgenti. Privando la sanità privata della sua principale fonte di reddito.

La sentenza del Tar ha respinto un ricorso della Clinica Mediterranea Spa di Napoli, che si era resa disponibile ad accogliere 49 pazienti non Covid, contro l’Asl Napoli 1 che ha stornato (e quindi non ha pagato) la fattura 9656 del 13 maggio 2020 per un importo di 3.246.926,64 euro. La fattura era relativa al mese di aprile, durante il lockdown. Scrive il Tar: “Il beneficio è subordinato alla concreta erogazione delle prestazioni che, nella fattispecie, non è stata documentata”. Dunque “la sentenza mette totalmente in discussione l’accordo, era inammissibile il riconoscimento di una remunerazione sulla base della sola disponibilità manifestata”, sostiene il vicepresidente M5S del consiglio regionale, Valeria Ciarambino. Mentre da ambienti inquirenti filtra soddisfazione per il contenuto di una sentenza “dirimente, che conforta le ragioni delle accuse erariali contro un accordo che ha violato tutte le norme emergenziali del Cura Italia, del decreto Rilancio e del decreto Liquidità”.

Poltronificio Solinas: la Regione Sardegna assume 60 collaboratori a 6 milioni l’anno

L’opposizione parla di “legge poltronificio” e, dando un’occhiata ai numeri, non è così difficile capire il perché. La Sardegna di Christian Solinas è infatti pronta ad approvare un mega-piano di assunzioni nello staff della giunta regionale: oltre 60 nuovi collaboratori per il centrodestra, per un costo annuo di circa 6 milioni di euro.

La proposta ha già ricevuto il via libera della Commissione Bilancio e adesso arriverà in aula forse già questa settimana. Il testo dettaglia le spese per ciascun ufficio: 733.400 euro per tre capi dipartimento, 285.600 euro per un segretario generale, 2 milioni e 240.583 euro per le retribuzioni di 20 persone in più nell’ufficio di Gabinetto di Solinas. Il governatore potrà contare su due addetti al cerimoniale (costo: 120 mila euro l’anno), su un autista da 60 mila euro e su diverse altre figure professionali al suo servizio, tra consulenti e esperti del comitato per la legislazione. Su tutti emerge poi la figura del nuovo segretario generale della Regione, a cui andrebbe un compenso annuo di 285 mila euro. Per intenderci, 40 mila euro in più di quanto guadagna il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ma anche gli assessori del presidente Solinas non se la passeranno male, con 41 assunzioni sparse tra i vari gabinetti per un totale di 2,8 milioni di euro. Tutte spese che, visto anche il periodo, indignano il Movimento 5 Stelle sardo: “In tempo pandemia, in tempo di grave crisi economica, risulta quantomeno inopportuno – accusa Michele Ciusa, capogruppo in Regione – anche perché in questo caso i sacrifici vengono richiesti soltanto ai cittadini, gli stessi cittadini-lavoratori che il presidente sostiene di voler aiutare. Ma in che modo?”.

E proprio Solinas non è rimasto indifferente alle polemiche, non trovando però miglior via d’uscita se non scaricare le colpe della legge sulla Dg Silvia Curto, sostenendo che i costi per le assunzioni siano sovrastimati per via di alcuni errori tecnici. Al riguardo, il presidente ha promesso un emendamento per correggere le storture, tirando però dritto sul tenore delle assunzioni: “Nessuno spreco – dichiara a La Nuova Sardegna – snelliamo la burocrazia”.