Dipende dalla prospettiva da cui lo si osserva: Carlo Calenda è il più piccolo o il più grande mistero della politica italiana. È il leader di un partito personale accreditato, secondo i sondaggi più lusinghieri, del 5% delle preferenze degli elettori, ma si comporta come fosse il Re Sole. Si presenta come una fresca novità ma frequenta la politica professionale da una decade, è già stato ministro (con discutibile profitto). Litiga con tutti, nemici ma soprattutto amici. Detta la linea a partiti che valgono tre, quattro o cinque volte il suo.
Eppure al Palazzo dei congressi dell’Eur di Roma, per il congresso che ha formalizzato la sua carica di segretario di Azione, in questi giorni hanno sfilato leader di quasi tutto l’arco costituzionale, ben oltre il ristretto perimetro del centro (nel quale Calenda si colloca a pieno titolo, nonostante non gli piaccia la definizione). È il calco di “un terzo polo riformista”, come l’ha definito lui, di chiara impronta draghiana, un’ipotesi talmente larga che arriva fino al leghista Giancarlo Giorgetti.
Calenda quei leader li ha guardati tutti dall’alto in basso, come quei cagnolini di piccola taglia ma di pessimo carattere, che abbaiano e ringhiano anche a quadrupedi assai più voluminosi. A Enrico Letta, che gli spalanca le porte di un’alleanza del Pd, ha risposto così: “Certo che voglio andare con te, ma devi venire tu nel nostro campo”. Poi l’ha bacchettato: “Il Pd grida al pericolo fascista e poi Letta fa le iniziative con Meloni, facendo battute tipo Sandra e Raimondo”. Parole identiche per Forza Italia, con una contorsione linguistica in più: “Certo che vogliamo stare con voi, ma venite voi nel nostro campo, perché è il vostro” (insomma, ‘sto campo di chi è?). A Matteo Renzi – come se fosse possibile tenere due enormi ego in uno spazio così piccolo – ha dedicato prima un complimento iperbolico, poi il solito buffetto: “A Renzi, che ritengo essere il migliore presidente dai tempi di De Gasperi, dico: certo che stiamo insieme, ma non è pensabile che tu sia pagato da uno Stato straniero. Decidi se vuoi fare politica o business”.
Le parole più interessanti della giornata le ha pronunciate Emma Bonino, con un invito ironico ma non troppo per l’alleato Calenda a darsi una calmata: “Abiamo fatto un patto di federazione tra +Europa e Azione. Preparatevi, perché non sarà facile. In questo patto albergano persone, come si dice, di carattere, a volte un po’ troppo di carattere… Qualcuno dovrà fare provviste di Xanax e qualcun altro di peperoncino per potersi incontrare”.
Messaggio ignorato. Napoleone Calenda, dopo aver stabilito dal suo predellino immaginario, ancora una volta, i confini del futuro governo – dentro tutti tranne Cinque Stelle e Fratelli d’Italia – ha annunciato ai suoi discepoli il suo destino col piglio di una rock star: “Porto questo partito al 20% e poi ve lo lascio”.