Calenda: “Prendo il 20% e dopo lascio”

Dipende dalla prospettiva da cui lo si osserva: Carlo Calenda è il più piccolo o il più grande mistero della politica italiana. È il leader di un partito personale accreditato, secondo i sondaggi più lusinghieri, del 5% delle preferenze degli elettori, ma si comporta come fosse il Re Sole. Si presenta come una fresca novità ma frequenta la politica professionale da una decade, è già stato ministro (con discutibile profitto). Litiga con tutti, nemici ma soprattutto amici. Detta la linea a partiti che valgono tre, quattro o cinque volte il suo.

Eppure al Palazzo dei congressi dell’Eur di Roma, per il congresso che ha formalizzato la sua carica di segretario di Azione, in questi giorni hanno sfilato leader di quasi tutto l’arco costituzionale, ben oltre il ristretto perimetro del centro (nel quale Calenda si colloca a pieno titolo, nonostante non gli piaccia la definizione). È il calco di “un terzo polo riformista”, come l’ha definito lui, di chiara impronta draghiana, un’ipotesi talmente larga che arriva fino al leghista Giancarlo Giorgetti.

Calenda quei leader li ha guardati tutti dall’alto in basso, come quei cagnolini di piccola taglia ma di pessimo carattere, che abbaiano e ringhiano anche a quadrupedi assai più voluminosi. A Enrico Letta, che gli spalanca le porte di un’alleanza del Pd, ha risposto così: “Certo che voglio andare con te, ma devi venire tu nel nostro campo”. Poi l’ha bacchettato: “Il Pd grida al pericolo fascista e poi Letta fa le iniziative con Meloni, facendo battute tipo Sandra e Raimondo”. Parole identiche per Forza Italia, con una contorsione linguistica in più: “Certo che vogliamo stare con voi, ma venite voi nel nostro campo, perché è il vostro” (insomma, ‘sto campo di chi è?). A Matteo Renzi – come se fosse possibile tenere due enormi ego in uno spazio così piccolo – ha dedicato prima un complimento iperbolico, poi il solito buffetto: “A Renzi, che ritengo essere il migliore presidente dai tempi di De Gasperi, dico: certo che stiamo insieme, ma non è pensabile che tu sia pagato da uno Stato straniero. Decidi se vuoi fare politica o business”.

Le parole più interessanti della giornata le ha pronunciate Emma Bonino, con un invito ironico ma non troppo per l’alleato Calenda a darsi una calmata: “Abiamo fatto un patto di federazione tra +Europa e Azione. Preparatevi, perché non sarà facile. In questo patto albergano persone, come si dice, di carattere, a volte un po’ troppo di carattere… Qualcuno dovrà fare provviste di Xanax e qualcun altro di peperoncino per potersi incontrare”.

Messaggio ignorato. Napoleone Calenda, dopo aver stabilito dal suo predellino immaginario, ancora una volta, i confini del futuro governo – dentro tutti tranne Cinque Stelle e Fratelli d’Italia – ha annunciato ai suoi discepoli il suo destino col piglio di una rock star: “Porto questo partito al 20% e poi ve lo lascio”.

“Ero ingenuo, ma chi avrebbe combattuto i Benetton come me?”

Fenomenologia di Danilo Toninelli, ex carabiniere, ex ispettore di sinistri, ex ministro, tra un po’ anche ex senatore. Di gran lunga il più sfottuto tra gli esponenti dei Cinquestelle. Deriso, preso in giro, anche parecchio perculato.

Ho avuto un potere enorme e non mi sono mai risparmiato di esercitarlo contro i vecchi bastioni della rendita parassitaria, contro chi aveva le leve lunghe di un potere immortale. Sono giunto al ministero con la favolosa ingenuità del dilettante, di chi non aveva consapevolezza di quel che provocava con le proprie decisioni. Senza quell’incoscienza ti arrendi prima di iniziare.

Tecnicamente è stato un ardito, si può dire così!

Chi avrebbe fatto la guerra ai Benetton come l’ho fatta io?

Altri dicono che lei fosse solo un dilettante allo sbaraglio.

Allo sbaraglio un corno. I Benetton intanto hanno ripagato sia il ponte che le case degli sfollati. Il decreto Genova l’ho scritto io!

A volte andava fuori tema. A volte oltre il tema.

Se mi fai le pulci su ogni parola che dico troverai sempre qualcosa su cui polemizzare, e qualche altra per ironizzare. Giochino facile.

Toni Nulla scrivevano su twitter.

Con i Cinquestelle voi giornalisti avete avuto sempre la penna rossa e il ditino alzato.

Il giorno che promuove l’auto ibrida annuncia di aver appena comprato un Suv e per giunta diesel.

Ma Toninelli in tasca non aveva i soldi per comprare l’auto ibrida, cosa doveva fare? Andava a piedi? Il malanimo spiega tante cose: perché non giudicarmi per quel che ho fatto a favore della cosiddetta mobilità dolce e poco inquinante. I monopattini nelle strade, per esempio sono opera mia.

A volte sembrava davvero in trance, puntava con gli occhi un punto indefinito. Era davvero ipnotico il suo sguardo.

Ero naif, e lo rivendico. Vero, sincero, con una passione per la politica e una integrità morale indiscutibili. Poi certo: giovane, capelli lunghi, pizzetto, fisicamente in forma. Il meglio del meglio per un comico.

Era notevolmente ingenuo.

Senta bene: più passi il tempo seduto in poltrona più divieni conservativo, pigro, timoroso.

Voi Cinquestelle vi siete però fidanzati con la poltrona.

Spero che tutto il movimento confermi la linea fondativa: due mandati bastano poi si torna da dove si è partiti.

Perderemo anche Toninelli!

Farò altre cose.

Tornerà a Castelleone, appena dietro Cremona. Tanta nebbia in inverno, tante zanzare in estate.

Non è un posto da segnare per una gita turistica. Resiste solo chi è nato qui, o chi – pur essendoci nato – non ha dove andare.

Chissà se a Luigi Di Maio, suo antico leader, piacerebbe tornarsene a Pomigliano d’Arco.

Gli auguro di ritrovare lo spirito primitivo dei Cinquestelle.

Lei è un guerriero.

Non mi fermo mai, non mollo mai.

“Ho scritto il mio libro tutto da solo”. Chi l’ha detto?

Volevo spiegare che non ero stato assistito da ghost writer, da editor, da gente che legge e corregge, ingentilisce, rimodula, sbianchetta. Tutto da solo, senza alcun aiuto. I giornalisti hanno colto l’occasione per fare la solita caciara.

A sua moglie dà assai fastidio vederla bersaglio continuo.

A lei sì, a me no.

Dieci anni a Roma e poi più niente. Adesso che aveva capito tutto della politica… È un peccato!

Mica lascio? Tra mezz’ora ho il mio appuntamento quotidiano con gli iscritti. Ci scambiamo valutazioni, notizie, pareri..

Commentate.

Commentiamo.

Farà l’opinionista web?

Certo non lascio il Movimento.

Draghi è andato a Genova e ha ringraziato tutti tranne lei.

Poco male.

Si è rabbuiato?

Neanche per idea! Quel che ho fatto si vede. Se c’è il ponte è anche merito mio. E se sotto quel ponte adesso nascerà un giardino (quando l’annunciai tutti avanzarono un sorrisetto sfottente, per dire: il giardino sotto il ponte?) è sempre per merito mio.

Lei è un incompreso.

Se Gioia Tauro è tornato ad essere un porto leader nel Mediterraneo è anche, se permette, merito mio.

La gente non sa nulla.

L’ironia è facile, ma i fatti sono più forti.

Perderemo Toninelli e questa è una gran brutta notizia.

Tranquillo, mica c’è solo il Parlamento?

Se l’Est Europa va in guerra si rischia la fame

La crisi in Ucraina ha implicazioni per il mondo intero, con il potenziale di gravi interruzioni alle forniture di materie prime essenziali, dal gas al grano. In Nord Africa, la crisi minaccia le forniture di grano a Paesi che sono i maggiori importatori al mondo. Egitto, Algeria, Tunisia e Libia producono meno della metà della quantità di cereali, soprattutto grano, che le loro popolazioni consumano ogni anno. E mantenere il pane calmierato a un prezzo “politico” è l’obiettivo principale di ogni regime della regione. Le importazioni di grano di questi Paesi provengono da un’ampia gamma di fornitori ma in cima alla lista ci sono Ucraina e Federazione Russa. Se i tamburi di guerra suonano nell’Europa orientale, l’allarme sta suonando da tempo in Nord Africa. Egitto e la Tunisia sono stati tra i mercati esteri in più rapida crescita per il grano ucraino nel 2019, con l’Egitto in assoluto come il primo cliente al mondo per le esportazioni di grano da Kiev. Le regioni orientali dell’Ucraina, che sono più vulnerabili a un potenziale attacco russo, contengono i suoi terreni agricoli più produttivi. Tra luglio dello scorso anno e la fine di gennaio di quest’anno, anche la Russia ha esportato milioni di tonnellate di grano negli Stati nordafricani. Se scoppia una guerra, pure le esportazioni russe saranno ridotte specie se la crisi si trascinerà nel tempo. Nel frattempo, anche i livelli di grave siccità nella maggior parte del Nord Africa, compresi Tunisia, Algeria e Marocco, avranno un impatto negativo sulla loro agricoltura e inevitabilmente aumenterà il fabbisogno di grano e questo avviene avviene mentre le economie di questi Stati continuano a vacillare per gli effetti della pandemia di Covid-19. L’Egitto sta lavorando duramente per aumentare la propria produzione di grano, ma la sua attuale dipendenza dalle importazioni renderebbe qualsiasi conflitto ucraino una pessima notizia, così come per Libia, Algeria e Tunisia. Sanno bene i governanti locali che possono reprimere il dissenso interno ma la fame è benzina per lo scontro sociale, dagli esiti – in questi Paesi – spesso imprevedibili per gli uomini al potere.

 

La necropoli più antica deve far posto all’autostrada

La Città dei Morti del Cairo è tornata silenziosa in settimana, tranne il venerdì, giorno di mercato: le ruspe che erano al lavoro dal luglio 2020 non ci sono più. Alcune tombe sono state demolite per permettere la costruzione di una superstrada che, secondo le autorità egiziane, servirà a decongestionare il traffico verso la nuova capitale, ma che attraverseranno la più grande e antica necropoli del Cairo, protetta dall’Unesco dal 1979. Poco lontano dal cimitero di al-Imam al-Shaafi’i si riuniscono i “cavalieri della Città dei Morti”, una ventina di persone che vengono chiamate così perché stanno cercando di difendere il patrimonio funerario della loro città. Avevano iniziato a fare l’inventario delle tombe più notevoli già prima che il governo annunciasse la costruzione della faraonica infrastruttura.

Ma negli ultimi tempi i “cavalieri” hanno dovuto alzare la voce, anche con l’aiuto di storici e specialisti: la seconda fase dei lavori sta per cominciare e porterà con sé nuove demolizioni. I “cavalieri” si incontrano prima in un caffè per stabilire il programma della giornata, poi si incamminano tra le lapidi, cercando di decifrarne le iscrizioni. Con la complicità dei guardiani del cimitero, scavalcano le recinzioni delle sepolture non accessibili. Il caso li porta sulla tomba di René Guénon, esoterista e intellettuale francese convertito all’Islam, e di Naïma al-Masriya, celebre soubrette degli anni 20. “La maggior parte dei artisti più noti, come Oum Kalsoum e Abdel-Halim Hafez, sono sepolti nel cimitero di al-Basatin. I dignitari e i membri dell’antica monarchia a al-Imam al-Shaafi’i, e le persone più modeste a al-Wazir”, spiega Karim Badr, uno dei cavalieri della Città dei Morti. Una stele funeraria su cui è scritto “gli schiavi liberati di Ibrahim Helmi” si trova accanto alla tomba del loro ex padrone. Da dieci anni Mostafa el-Sadek, medico di 60 anni con la passione per le necropoli, attraversa in lungo e in largo i cimiteri del Cairo annotando le informazioni sui defunti e cercando di identificare a chi appartengono le tombe anonime. La Città dei Morti è come una bambola russa, una storia ne nasconde un’altra: “Si può sapere se la tomba è di un uomo o di una donna in base ai segni incisi sulla parte alta della stele. Per una donna, sono incise trecce, un diadema, una collana. Per un uomo, una medaglia se era un soldato, un tarbush o un turbante a seconda del rango sociale – spiega Mostafa el-Sadek, indicando alcune incisioni -. Il toque su questa tomba è il simbolo dei dervisci sufi, lì vediamo l’emblema di un massone e più lontano delle iscrizioni sciite. Tutte queste tombe riflettono la diversità della società egiziana”. Nel mausoleo di Hosh al-Basha, sempre nel cimitero di al-Imam al-Shaafi’i, sono sepolti diversi membri della famiglia del Wālī d’Egitto Mehmet Ali Pascià. L’umidità ha consumato le pareti e i due arazzi ricamati in filo d’oro, che decoravano l’ingresso, sono stati rubati. El-Sadek mostra le eleganti calligrafie che adornano la tomba di Ibrāhīm Pascià, figlio di Mehmet Ali, morto nel 1848. Sul marmo italiano, è inciso il nome del più grande calligrafo persiano dell’epoca, el-Khorassani. Alcune sepolture sono firmate da un maestro indiscusso della scrittura cufica, Youssef Ahmed (1869-1942). Alcune sono classificate monumento storico, altre no, ma sono altrettanto belle e di grande valore storico.

Le autorità egiziane assicurano che non toccheranno i 75 edifici iscritti alla lista dei monumenti storici, ma gli antichi cimiteri abbondano di sepolture non inventariate, il cui destino è sospeso alle decisioni di diversi ministeri e dell’ente responsabile della conservazione del patrimonio architettonico della città. Già diverse tombe di intellettuali egiziani sono andate distrutte durante la prima fase dei lavori, come quelle dello scrittore Ihsan Abdel Quddous e del giornalista Mohamed el-Tabeï. A volte le tombe vengono contrassegnate con una croce rossa, altre con una croce nera. Capita che i becchini dei cimiteri si portino via delle steli e altri oggetti funerari delle tombe destinate alla demolizione per venderli agli antiquari. Dopo la rivoluzione del 2011, l’architetto May el-Ibrashy ha lanciato l’iniziativa “Al-Athar Lina” (“Questi monumenti ci appartengono”) e sta lavorando con gli abitanti del quartiere di al-Khalifa, nel sud del Cairo, per preservare l’anima dei luoghi e i suoi edifici storici. May el-Ibrashy ha anche collaborato con un altro architetto, Nairy Hampikian, per restaurare la sepoltura di Roqaya Doudou, figlia del principe mamelucco Radwan Katkhoda al-Jalfi, con la sua bella cupola, che ora è in pericolo. “Nel 2005 il livello dell’acqua sotterranea era di circa 20 cm, oggi ha superato i 30 cm!” spiega el-Ibrashy, che lo scorso anno ha portato a termine i lavori di restauro della magnifica cupola del mausoleo dell’Imam al-Shaafi’i. “Nel caso dei cimiteri – spiega l’architetto -, è come cancellare la storia sociale delle famiglie del Cairo e dell’insegnamento iniziato in gran parte nei conventi dei dervisci, “khankâh”, allora molto frequenti nelle necropoli. I vecchi cimiteri sono il territorio spirituale della città. Pensiamo ai riti e alle attività che vi si svolgono, dai rituali zar, le danze per esorcizzare i demoni, ai combattimenti di galli”. Popolata di siti sacri e santi benevoli, la Città dei Morti è anche il focolaio della religione popolare. Nel 1965, il sociologo egiziano Sayed Eweiss pubblicò i risultati di uno studio delle lettere che gli egiziani indirizzarono all’Imam al-Shaafi’i, nato a Gaza nel 767 e morto al Cairo nell’820. Ancora diversi secoli dopo la sua scomparsa, alcuni continuano a affidarsi a lui come se fosse vivo, rivolgendogli le loro suppliche, reclamando giustizia, talvolta confessando dei crimini. Lo studio di Sayed Eweiss è rivelatore dell’unicità di questi luoghi, che si possono visitare seguendo le descrizioni presenti nei Kotob Al-ziyara, volumi molto antichi che risalgono finanche al periodo fatimide e ayyubide. Malgrado gli allestimenti successivi, è ancora possibile seguire i percorsi proposti in questi antichi testi per visitare la grande necropoli, muovendosi tra i suoi cimiteri, ma ben presto questi itinerari non saranno più percorribili, interrotti da ponti e bretelle autostradali. I militanti che si battono per salvare lo storico cimitero, attraverso il gruppo Facebook “Safeguard of Historic Cairo’s Cemeteries”, hanno presentato un piano alternativo ai responsabili del progetto urbanistico.

“Quando si tratta di pianificazione territoriale, non si può realizzare un unico piano e imporlo. Si devono sempre mettere sul tavolo piani diversi perché possano essere discussi. È in questa ottica che abbiamo proposto una soluzione alternativa”, spiega Galila el-Kadi, professoressa emerita delle università francesi e coautrice del libro “La Cité des Morts. Le Caire” (2001). Già in passato, verso la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, la docente universitaria si era dovuta battere per salvare la Città dei Morti. All’epoca aveva proposto un progetto di “parco funerario” in cui sarebbero state messe in risalto le tombe da preservare, ma il progetto non fu mai realizzato. Tornata di recente a Hosh al-Basha, Galila el-Kadi quasi non ha riconosciuto il sito, tanto il suo stato di conservazione si è degradato a causa delle infiltrazioni d’acqua e dell’incuria delle autorità. Questa volta l’antica Città dei morti rischia ancora di più. Lo Stato ha già notificato ad alcune famiglie che dovranno trasferire le spoglie dei loro avi. Alcuni specialisti ritengono che dei monumenti funebri sono troppo fragili per essere trasferiti e quindi saranno demoliti. L’architetto May el-Ibrashy protesta contro la mercificazione dei terreni che rischia di cancellare una parte della storia della città: “Bisogna capire che non tutto può essere messo in vendita in questo Paese – dice – e che ci sono valori che bisogna salvaguardare”.

(Traduzione di Luana De Micco)

Gli Usa insistono: “Attaccano”. La Russia: “Noi? Non ha senso”

Kiev, Donbas, Europa. Dai lati opposti della mappa che può sgretolarsi da un momento all’altro però ci sono Russia e America. La crisi ucraina continua sulle barricate nell’est del Paese, striscia nelle cornette dei telefoni che collegano Eliseo e Cremlino, finisce sugli schermi delle tv che nella Federazione, o oltreoceano, non fanno che ripetere che la guerra inizia domani. Del conflitto in corso, ieri, hanno discusso per 105 minuti di fila il presidente Putin e Macron. L’obiettivo, si legge nelle dichiarazioni congiunte, è frenare l’escalation delle ultime ore, provocata, secondo Putin, dalle truppe ucraine. Per trovare una soluzione che interrompa il piano inclinato letale verso la guerra aperta in Donbas, dove si continuano a registrare esplosioni, discuteranno nelle prossime ore i ministri degli Esteri di Mosca e Parigi, il russo Sergej Lavrov, e il francese Jean-Yves Le Drian. Ieri Le Drian ha preferito però rimandare la chiamata in arrivo da Mosca, come ha ribadito la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Nel frattempo le truppe russe non abbandonano la Bielorussia come precedentemente promesso, mentre continuano le evacuazioni di civili verso la Russia dalle zone contese.

Dopo il colloquio telefonico con Putin, Macron ha sentito l’americano Biden e il tedesco Scholz: notizie che hanno interrotto, anche se per poco, la sequela ininterrotta di messaggi allarmistici in arrivo dagli Usa. La linea diretta tra il Cremlino e l’Eliseo è servita a rinnovare la fiducia in un cessate il fuoco che ora chiede ad alta voce anche il presidente ucraino Volorimir Zelensky. Il leader di Kiev vuole che “si intensifichi il processo di pace” e si convochi il gruppo di contatto trilaterale composto da Ucraina, Russia e Osce. L’ex attore si è anche detto pronto ad incontrare Putin in ogni momento. Forse più delle parole farà il fango. Più delle intenzioni dei leader, sarà la melma a concedere tregua: quella che fa affondare gli stivali dei soldati e non fa procedere i cingolati ferrosi dei carri armati. Quella che rende quasi impossibile ogni attacco alla fine dell’inverno nei territori ghiacciati della mappa ex sovietica.

Peskov: “Mosca non ha interesse nella guerra”

Il Cremlino chiede “ai leader occidentali di tornare ad essere ragionevoli” dagli schermi dove parla quotidianamente ai cittadini della Federazione. In un’intervista trasmessa dal canale televisivo statale Russia 1, il baffuto e potente portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha fatto un appello: “Vi esortiamo a porvi una domanda: che senso ha che la Russia attacchi qualcuno?”. Però ogni “scintilla” che adesso brillerà nel territorio ribelle può portare “a conseguenze irreparabili”, ha avvertito il portavoce di Putin. Il fuoco, a parole, nessuno lo vuole e che cessi lo chiedono tutti: alla Rada di Kiev, al Cremlino di Mosca, alla Casa Bianca di Washington. Eppure non finisce quello di fila delle dichiarazioni in arrivo dagli Usa: il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha ribadito di nuovo all’emittente americana Cnn che “tutto sembra suggerire che siamo sull’orlo di un’invasione”, perché Putin “ha preso la sua decisione”. Solo due giorni fa, alla Conferenza di Monaco, le stesse parole sono state ripetute dalla vice-presidente Kamala Harris, cassa di risonanza di Biden. A Washington, proprio come a Bruxelles, si continuano a invocare colloqui e negoziati per scongiurare il conflitto: “Fino a quando non si muovono i carri armati, gli aerei sono in volo, utilizzeremo ogni istante per verificare se la diplomazia può ancora dissuadere Putin dall’attaccare”, ha detto Blinken.

Tregua violata 1.500 volte

Durante una delle oltre millecinquecento violazioni della tregua bellica riportate dell’Osce, sono morti due civili in una delle due repubbliche auto-proclamate del Donbas. Lo hanno riferito ieri le autorità del dipartimento della Difesa di Lugansk, accusando dei decessi e della distruzione di cinque edifici “l’aggressione delle milizie di Kiev”: le forze armate gialloblu avrebbero tentato di neutralizzare le milizie filo-russe che presidiano le postazioni per forzare l’entrata nel villaggio di Pionerskoye, sito nella zona contesa, una polveriera che dista solo una manciata di chilometri dal confine della Federazione di Putin. Mentre i palazzi tornano a tremare per le esplosioni, almeno 40mila persone – ha riferito il ministro delle Emergenze ad interim Aleksandr Chupriyan – hanno abbandonato le loro case per raggiungere Rostov: “Sono stati ospitati in 92 centri di accoglienza temporanea”. In totale, sarebbero oltre 700mila i cittadini ancora formalmente ucraini che rimangono in attesa di essere ricollocati. Ogni profugo che ha raggiunto la città dove si rifugiò anche l’ex presidente Yanukovic durante la rivolta di Maidan ha ricevuto, secondo i media statali russi, circa 10mila rubli, una cifra irrisoria che equivale a poco più di cento euro. Sono molti di più – circa 950mila, riferisce la Duma russa – i cittadini della regione delle miniere di carbone che vorrebbero diventare cittadini russi.

Le truppe di Putin restano ancora a Minsk

Le esercitazioni congiunte tra i soldati di Putin e quelli di Lukashenko dovevano concludersi ieri, a dieci giorni dall’inizio delle operazioni militari che hanno coinvolto “il più grande schieramento di armi e uomini” dalla Guerra Fredda, come l’hanno definito le divise della Nato. “A causa dell’escalation in corso”, Viktor Khrenin, ministro della Difesa bielorusso, ha smentito ciò che in precedenza aveva assicurato il ministro degli Esteri Vladimir Makei: i russi per il momento non lasciano il Paese e non tornano a casa.

La sai l’ultima?

 

Milano Un australiano si piazza con i bagagli al Palazzo Reale: “È casa mia, sono un Savoia”

Il personaggio della settimana non può non essere il 37enne australiano che ha provato a barricarsi dentro al Palazzo Reale di Milano. Il nostro eroe ha rivendicato la proprietà della reggia, millantando un’improbabile parentela con la famiglia Savoia. “L’uomo è salito al primo piano, dove si trova l’ingresso delle mostre intorno alle 13 e ha domandato come raggiungere Palazzo Marino, sede del Comune, attuale proprietario dell’edificio, dicendo di essere l’erede del Regno d’Italia”, scrive Repubblica. “È poi tornato un’ora dopo, ha appoggiato i bagagli vicino alla postazione Green Pass rifiutando di allontanarsi da ‘casa sua’. A nulla è servito l’intervento dei vigili del fuoco che fanno servizio antincendio nell’edificio (…) L’uomo ha rifiutato di andarsene mostrando anche i documenti che diceva di aver spedito alle autorità italiane”. Per farlo a desistere sono intervenuti anche due funzionari della questura e una decina di agenti. Gente senza cuore e senza fantasia.

 

Usa Il no vax minaccia di aprire il portellone dell’aereo in volo per sensibilizzare contro i pericoli dei vaccini

Nuove esaltanti notizie dalla galassia no vax. Un ardimentoso contestatore di complotti e tirannie globali ha dato forma alla sua protesta provando ad aprire il portellone dell’aereo di cui era passeggero. In volo. Il prode si chiama Michael Brandon Demarre, ha 32 anni ed era un volo di linea della Delta Airlines da Salt Lake City a Portland. “Demarre ha tentato di aprire la porta dell’uscita di emergenza dell’aereo mentre era in volo – scrive Next Quotidiano –. Secondo le dichiarazioni dei testimoni raccolte dalla polizia, ha rimosso la copertura di plastica sopra la maniglia dell’uscita di emergenza e ha tirato con forza la maniglia”. Redarguito da un primo assistente di volo, è stato poi bloccato dal resto dell’equipaggio. Nel frattempo delirava sui vaccini. “A Portland, Demarre ha detto agli ufficiali di aver creato il disturbo in modo che gli altri passeggeri lo registrassero mentre condivideva le sue opinioni personali”. Pronto a far cadere un aereo per difendere le sue idee. È stato arrestato.

 

Parigi Nasce il primo ospedale per curare solo i ricci (con sala operatoria, terapia intensiva e stanza pediatrica)

Visto che i sistemi ospedalieri di mezzo mondo hanno rischiato il default in questi anni, in Francia hanno le idee chiare su come impiegare le risorse sanitarie: sta per vedere la luce il primo nosocomio interamente dedicato ai porcospini. Ce ne informa La Zampa.it: “Un ospedale per ricci aprirà le sue porte a Parigi. Una decisione presa per una specie protetta a partire dal 1981 dalla legge francese (…) ma oggi sono sempre più a rischio”. Sarà una struttura, a quanto pare, super attrezzata e assai confortevole: “L’edificio, primo in Europa nella sua specie, sorgerà a Bois de Vincennes, l’area più frequentata dai ricci della capitale francese, e potrà accogliere una trentina di pazienti. L’ospedale sarà dotato di veterinari, di una piccola sala operatoria, di un’unità di terapia intensiva, di una sala di convalescenza e addirittura di una stanza pediatrica dedicata ai più piccoli”. Sono priorità.

 

Arizona Un parroco sbaglia la formula del sacramento per decenni: migliaia di battesimi non sono più validi

Un prete americano ha sbagliato a celebrare i suoi battesimi per decenni e adesso migliaia di infanti devono essere consacrati di nuovo, se vogliono essere liberati finalmente dal peccato originale. La storia è rimbalzata sulle principali testate statunitensi ed è stata ripresa dalla stampa nazionale. Qui ne scrive Fanpage: “La vicenda arriva dalla città di Phoenix dove padre Andres Arango ha utilizzato la formula sbagliata durante il sacramento del battesimo per decine di anni, pronunciando la frase ‘Noi vi battezziamo’ invece di ‘Io ti battezzo’, invalidando di fatto il rito. L’errore è stato scoperto a metà dello scorso anno e facendo un rapido controllo è emerso che padre Arango ha sempre pronunciato la formula sbagliata, sin dai suoi primi battesimi”. La Congregazione per la dottrina della fede a Roma ha stabilito che quella frase è inaccettabile perché “non è la comunità che battezza una persona, ma è Cristo, e Lui solo, che presiede tutti i sacramenti”. Tutto da rifare.

 

Modena Ospita una coppia di amici ma i due se ne vanno all’improvviso e gli rubano la macchina

Commovente storia di fratellanza e lealtà nel modenese. Una coppia si fa ospitare da un amico e poi scappa dalla sua casa rubandogli la macchina. “La polizia ha intercettato l’auto rubata e il conducente ha anche esibito una patente falsa – scrive Bologna Today –. Gli agenti, nei pressi del Casello di Valsamoggia sull’Autostrada A1, hanno proceduto al fermo di un’Alfa Romeo 159, con a bordo 2 persone, un uomo e una donna. Dagli accertamenti però il veicolo è risultato oggetto di furto il 2 febbraio. Il conducente, per evitare l’identificazione ha esibito agli agenti una patente di guida romena, risultata essere falsa. Sotto le corrette generalità è invece risultata pendente la denuncia di furto del veicolo. Dopo aver contattato l’intestatario, residente a Modena, la polizia ha appurato che aveva ospitato il mese scorso i due giovani, i quali, una volta lasciata l’abitazione, gli avevano sottratto l’auto”. Cornuto e mazziato. Ma alla fine almeno la macchina gli è stata restituita.

 

Nuova Zelanda La polizia suona le canzoni di James Blunt per cacciare i manifestanti assembrati davanti al Parlamento

Ha trovato un modo razionale ed efficiente, la Nuova Zelanda, per dare un senso al terrificante pop mieloso del cantautore James Blunt: le sue canzoni sono state fatte suonare dalla polizia al fine di dissuadere i manifestanti accampati di fronte al Parlamento a Wellington per protestare contro le restrizioni anti Covid. Pare sia stato lo stesso Blunt, in un momento di consapevolezza, a suggerire alle forze dell’ordine di usare i suoi brani con un tweet autoironico. “Accettiamo la sua gentile offerta. Il mio unico dubbio è se sia giusto nei confronti dei nostri agenti di polizia, ma sono convinto che ce la faranno”, gli ha risposto – come riporta SkyTg24 – Trevor Mallard, speaker del parlamento neozelandese. E così è andata. “Radio New Zealand ha riportato la notizia che la canzone You’re Beautiful di James Blunt è stata passata innumerevoli volte, ‘talmente tante volte che ora i manifestanti la sanno a memoria e la cantano’”. E questo fa male almeno quanto il Covid.

 

TikTok Marito e moglie dicono di aver scoperto il segreto della felicità: vivere separati. Si vedono due volte a settimana

Due star di TikTok – dio ci perdoni – hanno scoperto il segreto di una sana e duratura felicità di coppia: vivere separati. Un tesoro nascosto in piena vista: per stare bene con la propria compagna basta starci il meno possibile. Ne scrive Today: “‘Abbiamo vissuto insieme per sei anni e mezzo e mezzo prima di decidere di stabilire le nostre regole e fare quello che funziona meglio per noi e la nostra storia d’amore’ ha spiegato nel video Sana Akhand (…). La prima grande decisione per cambiare le cose è arrivata nel 2018, quando lui si è licenziato e i due si sono concessi un viaggio intorno al mondo di un anno. Poi, però, poco dopo il loro ritorno, è arrivato il covid, e i due hanno sentito ulteriormente bisogno di spazi per loro. Hanno così iniziato a parlare di vivere da soli a luglio, e a ottobre hanno messo in pratica questo proposito, tornando a uscire insieme e a darsi appuntamenti come due fidanzatini”. Escono insieme solo un paio di volte a settimana e non potrebbero esserne più felici. L’idea che forse non si piacciono davvero nemmeno li sfiora.

Il governo insiste: “I sanitari senza vaccino sospesi anche se guariti”

Il ministro Roberto Speranza è contrario a smantellare tutto l’impianto di regole e restrizioni già dal 31 marzo, quando scadrà lo stato d’emergenza. Ieri su Repubblica il ministro rivendica il Green pass: “È stato ed è un pezzo fondamentale della nostra strategia e le mascherine al chiuso sono ancora importanti”. Non solo: Speranza apre la porta a un possibile, ulteriore richiamo del vaccino: a marzo partirà la quarta dose per gli immunocompromessi (a 120 giorni dalla precedente), “ma dovremo valutare il richiamo per tutti dopo l’estate. È da considerare probabile, perché il virus – ribadisce ancora –non stringe la mano e se ne va per sempre”.

Ieri intanto era il secondo anniversario della scoperta del paziente-1 di Codogno. A medici e operatori sanitari è arrivato un messaggio di omaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “È grazie alla loro preparazione professionale e al loro spirito di sacrificio che è stato possibile arginare il rischio di perdite ancor più ingenti”. Anche papa Francesco, all’Angelus, ha rivolto un pensiero di gratitudine “all’eroico personale sanitario”.

I primi passi verso una maggiore “normalità” saranno il 1° marzo con l’aumento della capienza negli stadi e nei palazzetti (75% e 60%); dal 10 del mese si potrà tornare a mangiare nei cinema e negli impianti sportivi e a visitare i propri familiari ricoverati; il 15 giugno scadrà l’obbligo di vaccinazione per gli over-50.

Intanto dal ministero della Salute arriva un chiarimento a un quesito della Federazione ordini dei medici: i sanitari non vaccinati restano sospesi anche se guariti dal virus perché la guarigione da Covid non dà diritto a tornare al lavoro. Al momento sono quasi 22 mila i medici non immunizzati; due mesi fa erano 40 mila in più.

Così Green pass e tamponi allontanano i turisti dall’Italia

Non chiedono il trilione di dollari che l’Arabia Saudita ha stanziato pochi giorni fa per portare nel Paese 50 milioni di turisti già quest’anno e oltre 100 milioni nel 2030, ma gli operatori del turismo (albergatori, tour operator, ristoratori e addetti) non vogliono neanche più accontentarsi delle promesse del governo su un rilancio mai arrivato. Anche se venerdì scorso il premier Mario Draghi, parlando di come gli alberghi delle grandi città siano fra i più colpiti dalla pandemia, “perché il turismo lì non ha ripreso”, ha annunciato che “ci sono tante cose in mente”, per Franco Gattinoni, il presidente della Federazione turismo organizzato di Confcommercio, a un mese e mezzo da Pasqua “sono già evidenti le conseguenze di ritardi e scelte incomprensibili”.

Con ristori al lumicino e la decisione di non allentare le restrizioni anti-Covid, il confronto tra l’Italia e il resto d’Europa è evidente: per il BelPaese sta passando il segnale, pericolosissimo, che entrarvi sia complicato. Del resto, se Grecia, Spagna, Svezia, Portogallo, Francia, Lituania e Regno Unito hanno già allentato le procedure di ingresso per i viaggiatori, da noi la situazione resta complicata tra regole e normative relative alle restrizioni Covid che risultano perfino contraddittorie, tanto da aver costretto più volte il governo a risolvere “i buchi” dei decreti con le Faq (le risposte alle domande frequenti). Così, anche se dal prossimo mese potrebbero scattare alcuni allentamenti, come l’addio al green pass di base per shopping, banche e uffici postali, non si sa ancora cosa succederà con i locali al chiuso – cinema, teatri, musei, ristoranti – e i mezzi di trasporto. E le conseguenze sono evidenti. “In Grecia – rileva Federalberghi – per Pasqua hanno già prenotazioni da tutto esaurito e la Spagna è piena di turisti”. Chiaro che gli stranieri che prenotano con largo anticipo preferiscano Paesi dove, di fatto, è tutto già aperto. Ma l’Italia, con normative tra le più restrittive d’Europa, dopo oltre 3 milioni di disdette per le vacanze invernali, si vede già compromessa per Pasqua e il rischio incombe sull’estate.

Basta confrontare quello che succede tra Spagna, Grecia e Italia rispetto alle più comuni attività dei turisti per capire cosa spinge un turista lontano dal BelPaese.

L’ingresso. Per entrare in tutti gli Stati europei vale l’obbligo del green pass (ottenuto per vaccinazione, guarigione o tampone), ma se negli altri due Paesi il certificato dura 9 mesi, da noi vale solo 6. Chi è in possesso di un green pass più vecchio, deve eseguire un test molecolare (valido 72 ore) o un antigenico rapido (48 ore) per accedere alle attività e ai servizi in cui in Italia è richiesto il super green pass. Solo da febbraio, dopo un rimbrotto di Bruxelles a Roma, non è più obbligatorio sottoporsi anche a un tampone per entrare in Italia.

Nei ristoranti. Se Grecia e Spagna hanno messo fine alla richiesta del green pass in bar e locali, in Italia solo da aprile verrà eliminato per bar e ristoranti all’aperto. Per chi consuma al chiuso resta obbligatorio il green pass rinforzato.

In albergo. È valido lo stesso meccanismo. Serve il super green pass obbligatorio per chi dorme in una struttura alberghiera ma l’obbligo non vale per le locazioni turistiche, cioè per chi utilizza gli affitti brevi.

Nei musei. Anche per entrare nei luoghi d’arte serve il green pass rafforzato. Ma in questo caso è prevista un’eccezione per gli stranieri: possono accedere a musei e aree archeologiche con un test antigenico o un molecolare.

“Purtroppo, da aprile non avremo una ripartenza immediata. Noi non giriamo la chiave, ma viviamo di programmazione”, commenta Gattinoni. Gli fa eco Agostino Ingenito, presidente dell’associazione Bed and Breakfast e Affittacamere: “Va consentito ai viaggiatori completamente vaccinati di muoversi liberamente senza la necessità di test. Vanno seguiti gli esempi degli altri Paesi Ue”. Un’indicazione che potrebbe rilanciare il turismo italiano in vista dell’estate.

Booster, dubbi degli scienziati: “Espone i giovani al contagio”

Nella fascia 12-39 anni chi ha tre dosi avrebbe un rischio maggiore di ospedalizzazione rispetto a chi ne ha avute due, questo è quanto emerge dagli ultimi report dell’Istituto superiore di sanità. Mentre nascono dubbi sulla terza dose nei giovani, si procede verso la quarta almeno per gli immunodepressi.

Nei giovani fino a 40 anni non ci sarebbero benefici evidenti dalla terza dose, la letteratura scientifica ha sottolineato come richiami ravvicinati portino ad un fenomeno di anergia: il sistema immunitario continuando ad essere stimolato inizia a non rispondere a quell’antigene. D’altronde tre dosi ravvicinate non si erano mai fatte nella storia della vaccinazione nel mondo moderno. Per Antonio Cassone, ex direttore delle Malattie infettive all’Istituto superiore di sanità, “gli anticorpi che non si legano o non neutralizzano perché in Omicron sono cambiati gli epitopi del vaccino, basato sul ceppo di Wuhan, che non è più in circolazione da tempo, è probabile che possano indurre risposte negative”; il professore, membro dell’American Academy of Microbiology, ci spiega che “subito dopo la vaccinazione il nostro sistema immunitario sta lavorando per formare una buona risposta difensiva, può trovarsi sotto stress per il sovraccarico e questo rende il soggetto più suscettibile ed esposto a batteri o virus per una certa finestra temporale”. Siamo di fronte ad “un fenomeno molto complesso da capire, c’è una mole di dati che vengono raccolti e analizzati – esemplifica Angelo Pan, direttore di Malattie Infettive Asst di Cremona,e membro dei gruppi di lavoro congiunti Iss e ministero –, noi analizziamo dati, siamo arrivati fino a metà dicembre, questi possono riguardare ancora in parte Delta. Con Omicron può essere cambiato tutto in termini di dinamiche da osservare”. Il virus corre più veloce dei dati che si interpretano, “stando a una pubblicazione di Lancet, si è visto che c’era la riattivazione di herpes zoster dopo vaccini contro epatite A, o dell’influenza, questo potrebbe far supporre un piccolo calo difensivo, temporaneo, ma per avere dati in tal senso servono studi specifici”. Il presidente della Società italiana di genetica umana, Paolo Gasparini, aggiunge che “i giovani che sono passati indenni alla prime ondate, dopo la dose booster si sono contagiati. Sicuramente Omicron è più contagiosa. Ma è chiaro che c’è qualcosa che merita un approfondimento. Potrebbe esserci anche una immunodepressione post-booster temporanea da meglio comprendere”; infine, “dal punto di vista della mia branca posso dirle che le ricerche genetiche hanno messo in evidenza marcatori genetici di suscettibilità al virus, che possono predire evoluzioni cliniche nei soggetti. Quello che mi stupisce, da genetista, è perché queste informazioni non entrino nei percorsi clinici per capire chi deve avere priorità per il booster e chi no; ci sono pubblicazioni che dimostrano come i guariti siano protetti fino a 15 mesi da malattia grave, più protetti dei vaccinati, ed anche che la vaccinazione nei guariti, con anticorpi significativi, aumenti le reazioni avverse”.

Il dibattito sulle tre dosi è stato innescato dal microbiologo Francesco Broccolo a DiMartedì su La7, che ora ribadisce: “Nei giovani fino a 40 anni non ci sarebbero benefici dalla terza dose. Probabilmente perché i giovani hanno fatto vaccinazioni ravvicinate rispetto ai 60-70enni; e la letteratura ci dice come dosi ravvicinate portano a un fenomeno di anergia: il sistema immunitario continuando ad essere stimolato inizia a non rispondere a quell’antigene. I vaccini sono importanti, ma il booster non si fa ad occhi chiusi, si valuta caso per caso, va tenuto conto di molte variabili, ad esempio i guariti che hanno una protezione di 15 mesi”.

 

I PARERI

Garattini “La quarta dose non serve. Riparliamone il prossimo autunno”
La quarta dose di vaccino anti-Covid potrebbe essere utile per chi si trova in situazioni di scarsa risposta immunitaria, come trapiantati o malati sottoposti alla chemioterapia. Potrebbe essere una ragione per ricorrere a essa, ma uso il condizionale. Per le masse è sicuramente presto ipotizzare il ricorso alla quarta dose, intanto bisognerà vedere come procederà l’epidemia nei prossimi mesi, in questo momento non serve. Ora siamo in una fase di diminuzione dei contagi in cui non serve un nuovo richiamo. In ogni caso è troppo presto per fare qualsiasi previsione: è il momento di stare ancora attenti nei comportamenti individuali se vogliamo che finisca presto. Per la quarta dose bisognerà valutare in autunno se saremo in presenza anche di nuove varianti o meno ed eventualmente aggiornare i vaccini, sperando di averne uno utile contro tutte le possibili varianti.
Silvio Garattini

 

Galli “Per gli immunodepressi valutare anche i monoclonali”
Non ci sono indicazioni serie sul fatto che una quarta dose di vaccino anti-Covid possa essere dannosa, ma ritengo che allo stato attuale possa essere utile solo a persone molto anziane con grande storia di immunodepressione a cui le altre dosi non hanno fatto effetto. Insomma sono da verificare come sono messe le persone delle categorie a maggior rischio, eventualmente potrebbe avere un senso la quarta dose ma bisognerebbe considerare anche l’immunizzazione naturale con gli anticorpi monoclonali. La situazione epidemiologica, del resto, si sta rasserenando, quindi in questo momento ricominciare con una quarta dose di massa non ha alcun senso e ha questa conclusione sono arrivati anche gli israeliani. Altro discorso se fra qualche mese cambiassero le cose, ma se serviranno saranno necessari vaccini aggiornati a nuove eventuali varianti.
Massimo Galli

 

Cassone “Quattro dosi così vicine mai fatte in nessun caso prima”
Non ci sono trials clinici e dati esaurienti oggi sulla quarta dose, lo dicono Ema e Fda. Per quanto riguarda gli immunodepressi o fragili, è un tentativo, si tenta di alzarne la risposta immunitaria ma ci sono dubbi. I soggetti, non immunocompromessi o particolarmente fragili, conservano dopo il booster un buon livello di immunità cellulo-mediata che li protegge a lungo, almeno dalla malattia grave. Quattro vaccini così ravvicinati non sono mai stati fatti, e i pochi dati provenienti da Israele, hanno mostrato un basso livello di rialzo anticorpale, insufficiente per proteggere dalle reinfezioni. Inoltre, non abbiamo dati esaustivi sulle reazioni avverse. Il punto più importante su cui tutti dovrebbero riflettere: si somministreranno dosi dello stesso vaccino fatto contro il ceppo capostipite Wuhan, mentre ora ci confrontiamo con tutt’altro virus, Omicron.
Antonio Cassone

Ma mi faccia il piacere

L’amuleto. “Auguri per i 70 anni di regno di Elisabetta II. La scienza (e il buon Dio) ci spiegheranno qual è il suo segreto!” (Matteo Salvini, segretario Lega, Twitter, 6.2). “La regina Elisabetta è positiva al Covid” (

Corriere.it, 20.2). Questo è peggio di Renzi e Fassino messi insieme.

Fulmini e saette. “Non ha senso preoccuparsi del Coronavirus. È molto più probabile avere un incidente stradale o essere colpito da un fulmine” (Roberto Burioni, virologo, intervista a Il Ducato, 4.2.2020). “Le possibilità che un ragazzo muoia di Covid sono le stesse che uno muoia colpito da un fulmine” (Giorgia Meloni, leader FdI, Stampa, 8.2). “Anni 2020-2021: Morti per fulmine negli Usa: 28 (di tutte le età). Morti per Covid negli Usa: 900 sotto i 18 anni” (Burioni, Twitter, 8.2). Mai dare retta a Burioni.

Poche idee, ma confuse/1. “L’unico che paga per il Covid? Briatore” (Libero, 18.2). Ma non era prostatite?

Poche idee, ma confuse/2. “Il titolo che Michele Serra si guarderebbe dal rifare oggi annunciava lo scatto dell’ora legale del 1992, non la sua scadenza: ‘Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti’… Ammettere la figura del fesso direi che è il minimo” (Andrea Marcenaro, Foglio, 19.2). Ne avesse azzeccata una. 1) Quel titolo di Cuore uscì il 30 marzo 1991, un anno prima di Mani Pulite, quindi col trentennale e i relativi pentimenti c’entra come i cavoli a merenda. 2) Quel titolo era di Andrea Aloi, non di Michele Serra. Che, non avendolo fatto allora, non potrebbe rifarlo né pentirsene oggi. In compenso Marcenaro può tranquillamente fare la figura del fesso e poi rifarla.

Sostanzialmente. “I Green pass ci consentono sostanzialmente di frequentare gli ambienti al chiuso, che sono quelli più rischiosi, in maniera sicura, garantendo a chi sta vicino a noi di non essere infetto e quindi di non contagiare ed essere contagiato” (Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute, Che tempo che fa, Rai3, 13.2). “Fake news: ‘Se ho fatto il vaccino contro Sars-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri’. Falso” (sito del Ministero della Salute). Questo lo cacciamo o continuiamo a pagarlo per non dargli retta?

Fortunelli/1. “Calenda: ‘Mai più con i grillini’. Così il M5S rischia di restare fuori dai giochi” (Giornale, 20.2). Questi 5Stelle han più culo che anima.

Fortunelli/2. “La terza via di Calenda taglia fuori i Cinque stelle. Ira Conte: ‘Un arrogante’” (Stampa, 20.2). Invece di ringraziarlo.

Fortunelli/3. “Calenda: ‘O io o Conte’” (Libero, 20.2). Io sto al 2%, Conte al 15: fate voi.

Fortunelli/4. “Calenda: ‘Noi non accettiamo un confronto con M5S e FdI” (Libero, 202.). Pure la Meloni, quanto a culo, non scherza. Ma, per curiosità: “noi” chi?

A sua insaputa. “Calenda: ‘Né M5S, né Renzi’” (Repubblica, 14.2). Non s’è accorto di essere al governo con entrambi.

A sua saputa. “I 30 anni di Mani Pulite. Pomicino: ‘De Benedetti sapeva già tutto mesi prima’” (Giornale, 15.2). Gli sfuggiva solo che avrebbero arrestato pure lui.

L’Uomo Poltroncina. “Serve un patto tra riformatori. Adottiamo il metodo Draghi anche dopo il voto del 2023. Occorre un approccio strategico che coinvolga chi si riconosce nelle famiglie popolare, socialista e liberale, ma anche a chi ha dato con convinzione vita a questo governo” (Renato Brunetta, FI, ministro della Pa, Corriere della sera, 20.2). Tutta ‘sta supercazzola per dire che non si scolla dalla cadrega.

Senti chi parla. “A chi ha scritto, corretto o approvato le leggi che permettono a un imbroglione di truffare un miliardo – un miliardo! – con il superbonus e consentono a mafiosi, finti poveri e latitanti di incassare ogni mese il reddito di cittadinanza dovrebbe essere vietato a vita l’uso della parola ‘onestà’” (Sebastiano Messina, Repubblica, 17.2). Problema: quanti truffatori del superbonus e del reddito occorrono per totalizzare i miliardi (miliardi!) incassati da una sola famiglia, quella padrona di Rep?

Il Carra dei mentitori. “Le accuse erano false, ma mi mostrarono in ceppi. Ai pm serviva un segnale” (Enzo Carra, Riformista, 18.2). Infatti fu condannato definitivamente a 1 anno e 4 mesi per false dichiarazioni al pm sul caso Enimont.

Il titolo della settimana/1. “I cronisti servi di Mani Pulite” (F.F., Libero, 17.2). Collusi con la giustizia: vergogna.

Il titolo della settimana/2. “Mani Pulite non è stata un’impresa così esemplare da additare a modello meritevole di essere replicato” (Giovanni Fiandaca, Foglio, 17.2). Paura, eh?

Il titolo della settimana/3. “Diffusa lettera privata del padre di Renzi: magistrati come Pol Pot” (Piero Sansonetti, Riformista, 15.2). Uahahahah.

Il titolo della settimana/4. “Giustizia. Ultimo atto” (Carlo Nordio, ed. Guerini e Associati, febbraio 2022). Il suo. Poi, per fortuna, è andato in pensione.