Branagh pieno di progetti, aspetta Johnson e firma “Belfast”

Kenneth Branagh sarà il premier britannico Boris Johnson in This Sceptred Isle, la serie che Michael Winterbottom sta per girare per Sky Atlantic per raccontare le vicende del primo ministro, del governo e del Paese di fronte alla prima ondata della pandemia globale e gli sforzi di scienziati, medici e politici per proteggere la popolazione dal virus.

In attesa dell’uscita del suo kolossal Assassinio sul Nilo rinviata dalla Disney a causa dei lockdown internazionali, Branagh ha intanto sceneggiato e diretto Belfast, un film in parte autobiografico sull’infanzia di un ragazzino durante i tumulti nella Capitale dell’Irlanda del Nord sul finire degli anni 60, interpretato da Jamie Dornan, Caitriona Balfe, Judi Dench, Ciaran Hinds e l’esordiente Jude Hill.

Ivan Cotroneo dopo aver diretto La compagnia del cigno 2 sarà il regista di 14 giorni. Una storia d’amore, un film tratto dal libro omonimo da lui scritto con Monica Rametta, interpretato da Carlotta Natoli e Thomas Trabacchi e prodotto da Indigo Film. Marta ha da poco scoperto che Lorenzo, suo marito, ha da 12 anni una relazione con un’altra, quando apprende che dovrà rimanere con lui in isolamento fiduciario avendo avuto contatti con un positivo. In scena, fra risate e commozione, una storia d’amore nata, perduta e forse riscoperta troppo tardi in cui i due protagonisti, impareranno a (ri)conoscersi in un tempo straordinario dove tutto può essere messo in discussione.

Dopo le riprese de I sopravvissuti diretto da Carmine Elia per Rai2, Lino Guanciale si trasferirà sul set di Noi, adattamento prodotto da Cattleya per Rai1 della celebre serie Usa This Is Us, con la sceneggiatura di Sandro Petraglia e la regia di Luca Ribuoli. Racconterà la vita e i problemi di tre gemelli particolari e dei meravigliosi genitori che li hanno cresciuti.

Che lusso i tarocchi. Garrone sta proprio da Dior

Che l’incanto sia lo stadio ultimo del realismo, e la realtà l’ultimativo del sogno, lo attesta il film più bello di questo scorcio – e confidiamo oltre – di 2021. L’ha diretto Matteo Garrone, si chiama Le Château du Tarot, ed è un fashion film: veicola la collezione haute couture primavera-estate di Dior, firmata da Maria Grazia Chiuri.

Al netto della committenza, e dunque dell’occasionalità e funzionalità, se ne sta su YouTube (http://youtu.be/jYOrGvVh7mk) con la sfrontata bellezza del cinema migliore: poco più di 15 minuti di visione, molti altri di contemplazione. L’idea viene da Chiuri, che sublimando il proprio, e di Christian Dior, amore per i tarocchi si volge al mazzo creato da Bonifacio Bembo nel XV secolo per il duca di Milano Visconti: a lei dargli foggia, a Garrone la carne. I due avevano già collaborato, per la precedente collezione con un corto girato al Giardino di Ninfa, ma qui si superano: Le Château du Tarot è un’estasi che, a farla spiccia, eleva a potenza immaginifica i costumi di Bridgerton e assolutizza Il racconto dei racconti dello stesso Garrone.

Da lì viene la location, il castello di Sammezzano, da lì il binomio indissolubile del cinema di Matteo, che è terragno e visionario, materico e onirico, ponderoso e aereo insieme: sono Arcani Maggiori e, all’unisono, costumi viventi, anzi, viventi costumati. È il surplus di senso, e piacere, del Castello dei Tarocchi, cui accediamo per tramite della protagonista, doppia per ruolo e unica per mesmerizzazione, Agnese Claisse, figlia di Laura Morante: nei suoi occhi la nostra scoperta, nel percorso, instradato dalla Papessa, ecco la Giustizia, il Matto, l’Appeso, la Temperanza, il Diavolo e, infine, la Morte, che tutto può cambiare. Dialoghi pressoché assenti, l’impero è della visione, la libertà di mostrare e mostrarsi all’altezza della Bellezza che si è scelto.

Garrone è al posto giusto, ché si conferma la sua unicità: non è postmoderno, non è classicista, ma classico come voleva Winckelmann. Qui consustanzia Bembo, si fa metamorfico tra gotico e rinascimentale, onora quel che vediamo – gli abiti – per come lo vediamo: la sua arte è per sublimazione dell’artigianalità. Che abbia trascorsi, valenti, di pittore non può stupire. Ma il risultato è più della somma di stilista e regista, Nicolaj Brüel (fotografia), Dimitri Capuani (scenografia) e Marco Spoletini (montaggio) sono determinanti, e forse più di tutti Andrea Farri, che a 38 anni è già uno dei nostri più interessanti compositori: la sua partitura si muove come una steady cam, scivola con eleganza e sapore.

I fashion film possono essere belli, a patto che siano affrancati non dalla committenza, ma dalla contingenza. Non è facile – basti pensare al recente, deludente Ouverture of Something That Never Ended di Alessandro Michele e Gus Van Sant per Gucci – ma è prezioso: il Castello di Garrone è abitato dal Cinema.

 

Marmi in esilio e arte afro: il colonialismo al museo

Al Museo Etnografico di Torino è appena arrivata una richiesta dalla Repubblica Dominicana: restituiteci subito il nostro feticcio, l’idolo Zemi. Ora se ne occuperà il comitato interministeriale, ma il caso non è nuovo: simili richieste ai musei italiani ne sono sempre arrivate, seppur di restituzioni “coloniali” se ne parli solo da qualche anno, da quando Macron, nel 2017, dichiarò pubblicamente, in Burkina Faso, che era venuto il tempo di restituire alle ex colonie il patrimonio sottratto dai colonizzatori.

il dibattito, almeno in Europa, è molto acceso: c’è chi ha detto no alle restituzioni ma solo ai prestiti, come il British Museum; c’è chi ha riallestito senza però restituire, come il Musée royal d’Afrique centrale di Bruxelles, ora Africa Museum. E c’è stato chi invece, come il Nationaal Museum van Wereldculturen olandese, ha dichiarato che tutti gli oggetti trafugati saranno restituiti ai Paesi d’origine: un processo che però va a rilento, come in Francia, dove solo in due casi si è avuta una restituzione. La questione non potrà essere ignorata a lungo: nel giugno scorso cinque attivisti sono arrivati a rubare dal museo Quai Brainly di Parigi, rivendicando l’azione con un video, per denunciare la situazione.

In Italia, dove viviamo ancora un profondo rimosso della nostra esperienza coloniale, le restituzioni vanno avanti da tempo, lontane dal dibattito pubblico. I due beni più controversi, la Venere di Cirene e la Stele di Axum, furono restituiti a Libia e Etiopia tra 2008 e 2012, ma a oggi non si registrano prese di posizione del ministero dei Beni culturali. Non mancano, però, le voci critiche. Vittorio Sgarbi già nel 2009 parlava di “follia… Assurdo parlare di furto. La storia la fanno i vincitori”. “Trovo che sia una cosa decisamente anacronistica”, le faceva eco anni dopo Beatrice Nicolini, docente di Storia e istituzioni dell’Africa alla Cattolica di Milano. Anche per Anna Maria Montaldo, del Museo delle Culture di Bergamo, “l’arte e la cultura appartengono a tutti quelli che la rispettano e la riconoscono”.

Ma il dibattito sulla decolonizzazione, pur schiacciato forzatamente sulla dicotomia “restituire sì/no”, riguarda molto altro. “In gioco c’è la possibilità di offrire (in Europa, come in Africa) spazi di discussione su un passato condiviso”, spiega Maria Stella Rognoni, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Firenze. Decostruire una narrazione coloniale. Anche in questo senso ci sono stati rivolgimenti notevoli, il più clamoroso dei quali arriva dai Paesi Bassi, dove si è deciso di non utilizzare più l’espressione “secolo d’oro” per il 600: per le centinaia di migliaia di persone che subirono la colonizzazione olandese quello fu un pessimo secolo. La sfida più grande, da noi, l’ha accolta il nascituro Museo Italo-Africano “Ilaria Alpi” a Roma. Secondo la sua curatrice, Gaia Delpino, anche i musei, come le statue, possono essere contestati, in quanto “anch’essi portatori di narrazioni, celebrazioni e ricostruzioni storiche, spesso diverse a seconda di chi le presenta”. Delpino, con Rosa Anna di Lella, sta lavorando alla riapertura di quello che fu il Museo Coloniale (1923-1971), nato non per scopi di ricerca ma di propaganda. II nuovo allestimento, la cui apertura prevista per quest’anno ha subito uno slittamento, punterà a “decolonizzare l’ex Museo Coloniale”. Una sfida ambiziosa: il Museo Italo-Africano sarà una sezione del neonato Museo delle Civiltà all’Eur. Non resta che augurarsi che abbia mezzi e strumenti per poter restituire al dibattito pubblico un’immagine più realistica dell’esperienza imperialista italiana, guidando il processo di decolonizzazione della narrazione museale.

Record di 700 mila morti e meno di 400 mila nati

Il divario tra morti e nuovi nati si è ampliato ulteriormente l’anno scorso. Tra “qualche giorno” sarà certificato per il 2020 “il superamento al ribasso della soglia dei 400 mila nati, mai raggiunto in questo Paese”. Lo ha detto il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in audizione alla Camera sul Recovery Fund, sottolineando che nell’anno del Covid si infrangerà anche il confine simbolico dei “700 mila morti – oltre il quale nell’arco degli ultimi cent’anni ci si è spinti giusto all’inizio (1920) e nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944)”. Dimezzati anche i matrimoni, passati nei primi 10 mesi del 2020 “da 170 mila alla metà, 85 mila”.

Legati ai dati record dei decessi sono quelli sulle cure mediche: secondo i dati provvisori “un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato negli ultimi 12 mesi, pur avendone bisogno, a visite mediche o accertamenti” a causa di “liste di attesa, scomodità delle strutture, ragioni economiche e motivi legati al Covid-19; questi ultimi sono stati indicati da circa la metà delle persone”. Nel 2019, osserva l’Istat, nel documento consegnato alla commissione Bilancio, “la quota di rinunce era stata più bassa e pari al 6,3%, in calo rispetto al 2018 (7,2%) e al 2017 (8,1%)”.

“L’impatto del Covid-19 sulla rinuncia è stato maggiore nel Nord, con un aumento di 4,7 punti percentuali rispetto al 2019 (da 5,1% a 9,8%); nel Centro l’indicatore è passato, invece da 6,9% a 10,3% e nel Mezzogiorno da 7,5% a 9,0%”.

Calcolato anche l’impatto sul lavoro: nel terzo trimestre 2020, il calo occupazionale tendenziale tra le donne – pari a -3,5% contro il -2% degli uomini – diventa ancor più marcato se si tratta di donne al di sotto dei 35 anni di età, che hanno visto diminuire il numero di occupate dell’8,9% (contro il -3,9% degli uomini), o residenti nel Mezzogiorno, tra le quali il calo è stato pari al 3,7%, una variazione più che doppia di quella registrata per gli uomini (-1,3%).

Salvi: “Scossa la nostra credibilità”. E Piero Curzio cita Mario Draghi

Come se non bastasse la pandemia, pure la crisi di governo e quella di credibilità della magistratura hanno segnato l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione: solo 32 “ermellini” presenti per motivi di sicurezza sanitaria. Presente Alfonso Bonafede, che ha puntualizzato: “Nelle vesti di ministro della Giustizia non potrò che attenermi all’esposizione generale dell’attività portata avanti nel 2020 esimendomi, per doveroso rispetto dei rapporti istituzionali, da qualsiasi considerazione di indirizzo politico”. Il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi è stato costretto a rivendicare la sua scelta di escludere le autopromozioni delle toghe dagli illeciti disciplinari e la “trasparenza” dei criteri per le incolpazioni derivate dalle chat di Luca Palamara proprio perché l’ex ras delle nomine al Csm ha lanciato un siluro, adombrando che pure l’attuale Pg si sia autopromosso con lui. Quei criteri, spiega, hanno distinto gli illeciti da questioni deontologiche-etiche, “di pertinenza” del Csm o dell’Anm. Anche il presidente della Cassazione Piero Curzio, in apertura, parla della questione morale: “Rosario Livatino lasciò scritto nel suo diario ‘non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma credibili’. Forse il segreto è semplicemente, per ogni scelta che operiamo, di chiederci quanto siamo credibili”.

Curzio poi cita anche Mario Draghi, nome sensibile politicamente in piena crisi di governo, a proposito del debito pubblico sulle spalle dei ragazzi: “Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di disuguaglianza”. Per il Pg Salvi “il coraggio di tanti colleghi ci dà oggi la forza per ricostruire la credibilità della magistratura duramente scossa dalle indagini che hanno portato all’emersione di un sistema diffuso di asservimento del governo autonomo a logiche di interessi di gruppo”. Il vicepresidente del Csm David Ermini avverte: “Risulterebbe vana ogni decisione della Sezione disciplinare se a essa non si affiancasse una rifondazione morale che coinvolga tutta la magistratura”. Il ministro Bonafede, che nulla può dire di politico, rivendica, tra l’altro, che durante la pandemia “la continuità della giustizia è stata assicurata anche grazie all’accelerazione delle politiche di digitalizzazione”. Infine qualche dato: “La corruzione – dice Salvi – si conferma quale strumento abituale delle cosche criminali” spesso in combutta “con politici e amministratori”. Calano gli omicidi volontari nel 2020: 268 contro i 319 del 2019, ma i femminicidi no: 112 nel 2020 contro i 111 del 2019.

“Palamara? Noi facciamo pulizia, altre categorie no”

Lo hanno accusato di essere il “depositario della verità” e di minare l’autonomia e l’indipendenza dei giudici. Ogni volta che in una sua indagine viene arrestato un politico, c’è chi parla di “inchieste a orologeria” (vicepresidente di FI, Antonio Tajani docet). Nicola Gratteri è abituato alle polemiche. Da procuratore capo fa scudo ai suoi pm, ma vuole fare chiarezza dopo gli ultimi attacchi.

Procuratore, dopo le sue dichiarazioni a seguito dell’operazione “Basso profilo” c’è stata una serie di comunicati interni ed esterni alla magistratura. Alcuni molto duri nei suoi confronti. Che ne pensa?

Ne sono a conoscenza. Quello che volevo dire a me sembrava chiaro, evidentemente non lo sono stato. Ribadisco nuovamente, a scanso di ulteriori equivoci, che il riferimento nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera alle scarcerazioni avvenute e a quello che accadrà, sta a significare che sia io sia i magistrati che lavorano nel mio ufficio, siamo pienamente convinti della bontà delle nostre richieste e che, nel pieno rispetto delle norme processuali, esiste il diritto alle impugnazioni dei provvedimenti riconosciuto a tutte le parti, compreso ovviamente il pm. Al riguardo, peraltro, voglio ringraziare il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia che non solo ha capito, ma ha anche reso pubblico il mio pensiero, escludendo qualsivoglia mio possibile riferimento a motivazioni estranee alle dinamiche processuali.

Cosa intende?

Solo nell’ultimo mese la Procura di Catanzaro ha presentato 10 ricorsi in Cassazione contro provvedimenti in materia de libertate(che hanno a che fare con la restrizione della libertà individuale, ndr). È uno dei tanti dati oggettivi esplicativi di quanto ho detto, il resto sono pensieri che mi sono stati attribuiti, che non ho espresso e non penso. Non sono il depositario di alcuna verità.

C’è chi ha detto che non doveva rispondere alla provocazione sulla ‘giustizia a orologeria’. Tornerebbe sui suoi passi?

No. In questo caso mi sembrava doveroso un chiarimento a difesa dell’onore dell’intera magistratura. Sento ripetere questa affermazione ogni volta che in una inchiesta giudiziaria viene coinvolto un politico. Ebbene non è così. Non è interesse dei magistrati colpire il politico “x” o “y” o lo schieramento “x” o “y”. La magistratura tende all’accertamento della verità. E questo vale per me e per tutta la magistratura.

La magistratura agisce sempre correttamente? Palamara ha svelato quello che definisce un “sistema”.

La quasi totalità dei magistrati con quanto raccontato da Palamara non c’entra nulla. La magistratura è composta prevalentemente da magistrati onesti il cui fine è solo quello di fare giustizia. Certo, c’è chi lo fa meglio, chi peggio, chi è più bravo chi meno, ma questo avviene nella nostra come in tutte le categorie. Quindi c’è anche una percentuale di disonesti, ma non superiore a quella delle altre categorie. Però molto più di altri facciamo pulizia, e lo facciamo in autonomia.

Lei lamenta che spesso le richieste cautelari vengono evase con mesi di ritardo, cosa che ha creato malumore in alcuni.

Su questo mi assumo la responsabilità della poco chiara affermazione che ho fatto, perché ovviamente non mi riferivo all’impegno dei singoli magistrati ma alla impossibilità oggettiva per alcuni uffici di definire richieste e processi in tempi fisiologici, e questo vale soprattutto per le sezioni Gip-Gup degli uffici distrettuali che sono il ‘collo stretto dell’imbuto’. Il Csm dovrebbe fare in modo di coprire gli organici. Quindi, con questa precisazione, confermo quanto detto. Ovviamente è compito dei capi degli uffici controllare e verificare l’impegno dei singoli per poi darne conto, in senso positivo o negativo, nelle valutazioni di professionalità. Ma da procuratore della Repubblica dico meglio un pm in meno che un giudice in meno.

C’è chi l’accusa di essere lontano dalla cultura della giurisdizione.

Non è vero. Non ho mai messo in discussione l’impegno dei giudici che, in contesti difficili come il nostro, svolgono la loro funzione con impegno e dedizione o il valore fondamentale di una giurisdizione terza e imparziale. Anzi, più volte ho esaltato il nostro sistema giudiziario criticando, invece, altri sistemi molto meno garantisti del nostro, quale ad esempio, a mio parere, quello statunitense. Ciononostante, sebbene questo sia un concetto che ribadisco ogni volta che ne ho l’occasione, spesso mi viene attribuita una visione della giurisdizione che non mi appartiene. La cosa mi rammarica. Però, se anche in certi casi sarebbe giusto spiegare, è meglio non entrare in un circolo vizioso che può provocare ulteriori danni, oltre a una sovraesposizione per me e la mia famiglia.

“Rischia il Covid”: Verdini torna a casa dopo meno di 3 mesi in cella (su 6 anni e mezzo)

Denis Verdini ai domiciliari dopo 85 giorni di carcere a Rebibbia. L’ex senatore, condannato a 6 anni e mezzo per bancarotta, il 3 novembre, per il crac del Credito cooperativo fiorentino, potrà restare nella sua casa di Firenze almeno fino al 4 marzo. Lo ha deciso il magistrato di Sorveglianza di Roma perché le “pluripatologie” di cui soffre potrebbero “peggiorare” se dovesse prendere il Covid in carcere, quindi è meglio che si curi a casa, data anche l’età. Proprio l’età gioca a favore di Verdini, che potrebbe non tornare più in carcere. L’ex coordinatore di FI, infatti, compirà 70 anni a maggio, e quindi per allora avrà diritto di scontare la sua pena ai domiciliari, a prescindere dal rischio Covid. Ma Verdini ha ancora guai giudiziari: la Procura di Roma ha chiesto, il 18 dicembre, il rinvio a giudizio per turbativa d’asta e concussione nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta Consip. In questo caso, si attende la fissazione dell’udienza davanti al gup.

Bombe carta e lettere rubate: a Capitol Hill atto premeditato

Gli ordigni rudimentali trovati nei pressi del Congresso dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio sarebbero stati piazzati la notte prima dell’assalto da sediziosi ‘pro Trump’: un video – un’esclusiva del Washington Post – mostra un sospetto piazzare bombe artigianali vicino alla sede del Comitato nazionale repubblicano. Le immagini confermano l’ipotesi che l’attacco non sia stato improvvisato, ma sia stata premeditato e ben organizzato. Con i capo-rioni dell’azione, la giustizia sta facendo il suo corso: Richard Barnett, l’uomo fotografato stravaccato sulla sedia della speaker della Camera Nancy Pelosi e con i piedi sulla scrivania, resta in carcere in attesa di giudizio. Avrebbe anche sottratto una lettera della Pelosi. Sono oltre 150 i facinorosi identificati e rinviati a giudizio. Proseguono pure le inchieste su ritardi e inadeguatezze delle misure di sicurezza messe in atto e delle richieste di rinforzi; e sulle collusioni con gli insorti di elementi delle forze dell’ordine e di esponenti del Congresso. Invece, lo sciamano di QAnon, Jacob Chansley, alias Jake Angeli, l’uomo con la pelliccia d’orso e l’elmo con le corna, anch’egli a giudizio come Barnett, si propone come teste a carico nel processo d’impeachment contro l’ex presidente Trump. Il suo avvocato, Albert Watkins, dice che Angeli, dopo essere stato “orrendamente innamorato” del magnate, se ne sente ora tradito: voleva essere incluso nelle misure di clemenza dell’ultimo giorno. A Mar-a-lago, Trump stringe il morso ai Repubblicani nel Congresso: con Kevin McCarthy, il leader del partito alla Camera, delinea una strategia per riconquistare la maggioranza al midterm nel 2022; e, ora, vuole ‘fare fuori’ Liz Cheney, la numero tre del gruppo, favorevole all’impeachment. Al Guardian, l’ex spia russia Yuri Shvets conferma che già il Kgb sovietico, fin dagli anni 80, considerava Trump “un proprio uomo”. Il presidente russo Putin sembra però essersi già adattato al nuovo clima delle relazioni Usa-Russia e ieri ha esteso per cinque anni il New Start, l’accordo tra Mosca e Washington che limita gli armamenti nucleari strategici.

Germania-Usa: zero intesa. Biden pensa a Francia e Cina

L’insediamento della nuova Amministrazione Usa è stata accolta con “sollievo” a Berlino. Il colloquio tra il ministro degli Esteri Heiko Maas e il segretario di Stato Usa Anthony Blinken, a una settimana dall’insediamento alla Casa Bianca, è stato commentato da entrambi su twitter con toni entusiasti. “Non vedo l’ora di siglare la partnership con la Germania, vitale alleata, per affrontare le sfide globali” ha scritto Blinken. A tutti è noto però che sul tavolo ci sono diversi dossier spinosi che non si lasceranno chiudere con una democratica pacca sulla spalla. Tra questi: l’impegno internazionale della Germania, recalcitrante verso una maggiore partecipazione militare, il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2 e i rapporti con la Cina. Poi c’è l’eterna rivalità franco-tedesca, riattizzata dal cambio a Washington.

Le differenze di trattamento non sfuggono alla stampa tedesca: mentre il colloquio telefonico di domenica scorsa tra Joe Biden e Angela Merkel è stato l’occasione per fare uscire dalla Cancelleria uno striminzito comunicato in cui si faceva presente “la disponibilità della Germania ad assumersi la responsabilità nell’affrontare i compiti internazionali insieme ai partner europei e transatlantici”, a Parigi si lasciava filtrare di una telefonata lunga 45 minuti al termine della quale Macron aveva lasciato intendere un “ampio consenso” con il presidente Biden. A vantaggio dell’Eliseo c’è la vicinanza del segretario di Stato Usa a Parigi, dov’è cresciuto, e una serie di contiguità in politica estera. La Francia può vantare con gli Usa un impegno militare nel Sahel e uno sforzo nelle trattative in Libano, che Berlino è lontana dall’offrire. La domanda è: quanto è interessante la Germania per gli Usa? Certo, il cambio della guardia alla presidenza della Cdu e il nuovo posizionamento nei rapporti transatlantici dell’Unione Cdu-Csu lascia pensare a un riavvicinamento a ovest. “Vogliamo sviluppare ulteriormente il parternariato atlantico per una più ampia alleanza per la sicurezza”, è scritto nel Positionspapier della Cdu-Csu. Un ruolo più attivo della Germania sulla scena internazionale e in particolare con i Paesi limitrofi è “anche nell’interesse di Berlino. “La Germania e l’Europa dovrebbero impegnarsi con più forza sui temi della sicurezza come attori indipendenti e capaci di agire” e dovrebbero “contribuire di più alla stabilizzazione all’Est Europa, in Africa, nel vicino e Medioriente e nei Balcani”. In questo scenario, la Nato è “vitale” per la sicurezza tedesca e “quindi dobbiamo continuare a aumentare i nostri investimenti nella Difesa in modo coerente” verso l’obiettivo del 2%.

Molto atlantisti, a modo loro, sono anche i Verdi, con cui i cristiano-democratici di Cdu-Csu stanno immaginando una coalizione per il dopo-Merkel. In un articolo i due co-leader, Annalena Baerbock e Robert Habeck, invitano gli Usa a stringere “un nuovo contratto sociale: una nuova agenda ecologica, economica e sociale” per arrivare a un green-deal sul modello Ue. I verdi chiedono “un’alleanza atlantica per la neutralità climatica”, dal momento che nessun’altra partnership può essere così decisiva per implementare gli accordi di Parigi. Non solo, chiedono una cooperazione transatlantica per aumentare le chance di arrivare a standard produttivi comuni con la Cina in settori chiave come energia, mobilità e produzione industriale. A lungo le aspettative tedesche sulla nuova amministrazione Usa si sono fuse e confuse con una fitta lista di desiderata. Questa settimana è arrivata la prima doccia fredda sul gasdotto del Baltico.

Biden “è ancora dell’idea che Nord Stream 2 sia un cattivo affare per l’Europa”, ha detto la nuova portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Subito è arrivata la risposta di Maas: “Nord Stream 2 è un progetto economico e mi chiedo se sia sensato, nei rapporti transatlantici, imporci l’un l’altro dazi o sanzioni”. Per gli Usa la pipeline è una minaccia geopolitica perché aumenta la dipendenza energetica europea dalla Russia e diminuisce le esportazioni del proprio fracking-gas. Altro tema delicato è la Cina: per alcuni Ue e Germania dovrebbero trovare strade autonome, come per il patto Ue-Cina appena siglato. Cdu e Verdi invece vogliono coordinarsi con gli Usa, “per costruire un’alternativa democratica alle spinte egemoniche e autoritarie cinesi”.

Han torna in patria. La risoluzione Onu blocca i calciatori

Stavolta, forse, non basterà nemmeno la diplomazia dell’ex senatore Razzi. Il calciatore nordcoreano Han Kwang Son (ex Perugia, Juventus e Cagliari) ha risolto il contratto con l’Al Duahil (Qatar) e tornerà in patria. A giocare, se va bene. Dove? Ah, saperlo. Forse nella Juventus locale, l’April 25, squadra delle forze armate. O nel Sonbong (Guardia rossa dei lavoratori e dei contadini), o nel più raffinato club del Wolmido (ministero della Cultura). Non c’è mercato, laggiù: è la stessa Federazione a decidere “dove” gioca “chi”.

Arrivato in Italia con in tasca il sole (dell’avvenire) e un sogno (diventare un calciatore), fatto crescere dall’Ism Academy di Perugia, insieme a 15 connazionali – tutti rimpatriati – Han era stato prima acquistato dal Cagliari, poi prestato al Perugia, infine alla Juventus, che lo utilizzò nella Under 23 prima di piazzarlo in Qatar (10 presenze e 3 gol), incorrendo nei richiami della Fifa. Dalla risoluzione Onu del 2017, infatti, la situazione di questi “emigranti” è molto peggiorata. Ogni forma di rimborso o stipendio, è visto come potenziale finanziamento al regime.

Marco Bagozzi, scrittore, conosce bene la Corea del Nord: “I 2 milioni di euro che la Fifa ha stanziato per il rifacimento degli stadi, sono bloccati a causa dell’embargo così come ogni forma di ristoro legato a trasferte e premi, tanto che i club rinunciano a partecipare alle competizioni continentali”. Alessandro Dominici è il responsabile della Ism Academy: “Con Han e gli altri non abbiamo più contatti dal 2017, contratto con il Cagliari, intorno ai 200 mila euro annui, ma lui almeno ha giocato”. I suoi compagni sono finiti in tribuna, come Choe, Fiorentina, poi Arezzo e Olbia: “Contratto minimo di 30 mila euro all’anno lordi, minuti giocati zero. Non per motivi tecnici, quanto motivazionali, forse si era fatto distrarre dalle comodità occidentali”. Perché per deragliare, 30 mila euro sono più che sufficienti.